Sarajevo, 1996: i militari dell'Italfor-Ifor percorrono una strada di grande scorrimento. In lontananza, quel che resta del Palazzo della Radio. Distrutto durante la guerra civile, è divenuto oggi monumento nazionale.L'Accordo di Pace sulla Bosnia-Erzegovina, firmato a Dayton (Ohio) il 21 novembre 1995 e ratificato solennemente a Parigi il 15 dicembre dello stesso anno, ha decretato la fine del conflitto, ma in realtà per il momento si può dire che ha imposto solamente una seria tregua allo stato di guerra, che con il tempo può anche portare, con l'aiuto della comunità internazionale, ad una condizione di pace e stabilità. Gli Accordi di Dayton, dunque, dividevano il territorio della Bosnia-Erzegovina tra Federazione Croato-Musulmana (Fcm), il 51 per cento, e Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina (Rsbe), il 49 per cento, riconoscendo di fatto una situazione esistente e sanzionando così la definitiva scomparsa dello Stato federale jugoslavo titino dalla comunità internazionale. Le due entità erano riunite nello Stato Unitario di Bosnia-Erzegovina. Sarajevo ne diveniva la capitale.
In questi accordi, che hanno due aspetti importanti, quello militare e quello civile, era stata prevista, tra le altre decisioni, l'elaborazione di un piano dettagliato sul rientro nelle località di origine dei profughi e dei rifugiati. Piano che portò a programmare ulteriori difficili interventi per il loro reinserimento nella terra natia, non più riconoscibile, sconvolta com'era da un conflitto violento che aveva distrutto edifici grandi e piccoli, oltre a molte vite umane. Il rientro si presentava molto complesso anche per le condizioni di invivibilità che si ponevano alla maggior parte dei profughi. Da notare, tra gli accordi presi, anche la unificazione della città di Mostar, con una amministrazione neutrale europea articolata su 6 distretti e con elezioni per i Consigli municipali e provinciali che si sarebbero dovute tenere entro il 31 maggio 1996.
Contemporaneamente alla ratifica parigina degli Accordi, il 15 dicembre 1995 con la risoluzione n. 1031 e il 21 dicembre con la n. 1035, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in base al Capitolo VII dello Statuto autorizzava gli Stati membri, in collaborazione con la Nato, a stabilire una Forza multinazionale per l'attuazione degli Accordi di Dayton, sotto comando e controllo unificato della stessa Alleanza Atlantica (e quindi non sotto il diretto Comando del Consiglio di Sicurezza, come sarebbe avvenuto se la risoluzione fosse stata presa in base al Capitolo VIII dello Statuto): la Ifor (Implementation Force, Forza di Implementazione) della Nato, meglio nota in ambiente militare come Operazione Joint Endeavour.
Nell'Agreement on the Military Aspects of the Peace Settlement (Protocollo relativo agli aspetti militari dell'accordo di pace), firmato come parte degli Accordi di Pace, i belligeranti avevano accettato la costituzione di una Forza internazionale che sorvegliasse l'applicazione e il rispetto degli accordi presi, con componenti non solo Nato. Con le due risoluzioni sopra ricordate, le Nazioni Unite rilasciavano ogni responsabilità militare ai Paesi membri del Patto Atlantico, riservandosi i soli, peraltro assai ampi, compiti civili di assistenza umanitaria, autorizzando ufficialmente la nuova missione internazionale. L'Operazione Joint Endeavour, missione di "imposizione" o di "applicazione" della pace, fu avviata dalla Nato il 18 dicembre 1995: quel giorno, secondo gli Accordi di Dayton, i "caschi blu" dell'Onu passarono dal Comando Unprofor, Forze Onu in Bosnia, al Comando delle Forze Alleate del Sud Europa a Napoli (Allied Forces South Europe, Afsouth-Ifor). Facevano parte di Ifor tutti i Paesi membri della Nato ma anche Paesi non membri, tra i quali la Russia. Il mandato principale di Ifor è stato quello di far applicare, anche con l'uso della forza, gli Accordi di Dayton sul campo, assicurando nel contempo la libertà di movimento dei civili.

Ancora un mezzo blindato dell'Arma con la scritta Ifor. Nel luglio del 1996 la Forza poteva contare sulla presenza di 118 Carabinieri.Raggiunti gli obiettivi militari, cioè principalmente il mantenimento del "cessate il fuoco" come previsto a Dayton, Ifor concluse il suo compito il 20 dicembre 1996, sostituita dalla Sfor (Stabilization Force, Forza di Stabilizzazione), Operazione Joint Guard, istituita sulla base della risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 1088 del 12 dicembre 1996. Le Nazioni Unite ancora una volta davano mandato alla Alleanza Atlantica di assicurare la continuità della missione precedente, sostituendo Ifor con una Forza di Stabilizzazione, con un mandato previsto in 18 mesi (che fu peraltro rinnovato) e sottoposto a verifiche semestrali da parte del Consiglio Atlantico. Sfor aveva sostanzialmente il compito di controllare i focolai di tensione anche prevenendoli; era numericamente più ridotta di Ifor e intendeva tra l'altro sviluppare, ove possibile, una ulteriore azione pacificatrice del territorio, ricostruendone altresì il tessuto urbano e sociale e soprattutto le Istituzioni civili.
L'Italia non partecipò direttamente alle operazioni di Unprofor con la componente terrestre, ma diede un valido contributo con la Marina Militare e un supporto logistico ai contingenti multinazionali con la messa a disposizione di basi militari e strutture. Direttamente intervenne invece in Ifor con un contingente di circa 10.500 uomini appartenenti alle tre Forze Armate. Per quanto riguarda la forza terrestre, l'Esercito, dopo aver inviato un Nucleo Avanzato il 18 dicembre 1995, completò la sua partecipazione il 26 gennaio 1996, con 2.500 uomini schierati nell'area di Sarajevo (quartieri e periferia centro-orientale), di Pale e nell'enclave di Gorazde, inseriti nella Divisione Multinazionale di Sud-Est, il Comando della quale aveva sede alle porte di Mostar. Alle dipendenze del contingente italiano furono posti un Battaglione egiziano e uno portoghese.
Il 10 dicembre 1995 erano arrivati a Sarajevo 23 militari dell'Arma già responsabili del servizio di sicurezza del Comando delle Forze Alleate del Sud Europa a Napoli (Afsouth), quindi già inseriti in un contesto internazionale con status internazionale. Questi uomini furono destinati al servizio di difesa del Quartier Generale della Nato nella Missione Ifor, con compiti di polizia militare: dovevano garantire la sicurezza degli edifici e delle persone. L'indicazione era stata dello stesso Comandante delle Forze Alleate del Sud Europa, in quel momento anche Comandante Operativo di Ifor, che già ne aveva apprezzato la professionalità nella base di Napoli.
Oltre ad aver assicurato la protezione del Comando di Ifor, i carabinieri effettuarono scorte, pattugliarono la città, collaborando alla sicurezza generale del territorio. Si aggiunsero così al contingente dell'Arma che già operava nella città di Mostar, inquadrato nella Compagnia Multinazionale di Polizia Militare della Divisione Multinazionale Est per le esigenze di polizia militare, scorte e sicurezza e ai carabinieri inseriti nella Polizia Civile della Ueo dal marzo 1995. Sarebbero giunti poco dopo, l'8 gennaio 1996, 72 carabinieri paracadutisti del 1° Battaglione "Tuscania", integrati in Italfor-Ifor di stanza a Sarajevo, inquadrati per il Settore di Brigata in un Plotone meccanizzato, un Nucleo scorta e un Nucleo di Polizia Militare, e per il Settore divisionale in un Plotone motorizzato, costituendo anche una riserva strategica, oltre che per i consueti servizi di polizia militare.
Il Comandante del contingente dell'Arma, su richiesta degli statunitensi, ricopriva anche la carica di Provost Marshal, cioè di Comandante della Polizia Militare Internazionale del Quartier Generale di Ifor, ed era l'ufficiale di collegamento con le autorità locali. Era inoltre nelle sue funzioni, il Consigliere Giuridico del Comandante della Brigata italiana presente (si alternarono e si alternano Reparti provenienti da varie Brigate italiane). L'area di impiego era quella urbana e dei dintorni di Sarajevo, sotto il Comando e il Controllo francese. Il contingente italiano per la Bosnia, insieme al Battaglione portoghese e a quello egiziano, era inserito nell'ambito della Divisione Multinazionale di Sud-Est (Dmse) a guida francese, costituendo la Brigata Multinazionale Nord (Bmnn).

Nel giugno del 1996 erano dunque presenti, integrate in Ifor, presso la sede del Comando, 15 unità; nella Allied Command Europe Rapid Reaction, o Corpo d'Armata di Reazione Rapida, cioè la Forza di Reazione Rapida (Frr) in quel momento dispiegata a Sarajevo, un Plotone rinforzato del 13° Battaglione Carabinieri "Friuli-Venezia Giulia", composto da 2 ufficiali, 7 marescialli e 27 tra appuntati e carabinieri: in tutto 36 unità, con funzioni di polizia militare e di controllo delle rotabili principali nell'area di intervento della Forza Rapida, con gravitazione su Sarajevo e dintorni, per condurre operazioni di polizia militare in senso generale e specialistico. Nello Stato Maggiore, Ufficio della Polizia Militare, era inserito un ufficiale dei Carabinieri. Presso il Comando Brigata italiano vi erano 4 ufficiali, 13 marescialli e 49 tra appuntati e carabinieri: in tutto le unità del 1° Battaglione Paracadutisti "Tuscania" con funzioni operative e di polizia militare erano in numero leggermente inferiore che all'arrivo, 66. Complessivamente, al luglio 1996, i carabinieri presenti nella Missione Ifor erano 118.
Proprio nel quadro delle operazioni portate a termine in quel periodo a Sarajevo si è evidenziata la grande flessibilità d'impiego dell'Arma che ha svolto funzioni di polizia militare e contemporaneamente ha costituito un supporto al resto del personale e alle forze speciali del contingente italiano, distinguendosi anche nella ricerca delle informazioni per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica. Era stato inoltre suo compito la monitorizzazione dei seggi elettorali e dell'attività preparatoria delle elezioni.
Per riassumere, nell'ambito di Ifor-Sfor, l'Italia ha partecipato con elementi inquadrati nel Comando della Divisione Multinazionale di Sud-Est (Dmse), come sopra ricordato; e, per il settore terrestre, con reparti che compongono la Brigata Multinazionale Nord (Bmnn) nella zona settentrionale dell'area di responsabilità della Divisione francese "Salamandre", con un contingente operativo (Brigata "Framework") di circa 1.700 unità, che ha assicurato una ampia riserva operativa. Recentemente, nel quadro della riduzione delle forze multinazionali in campo, la Brigata Multinazionale Nord è stata sostituita da un Gruppo Italiano di Combattimento di 980 uomini, con una componente operativa e una logistica. La nuova unità è conosciuta come Italian Battle Group. Due marescialli dell'Arma sono attualmente impegnati nell'Ufficio di Sicurezza e di Polizia Militare del Quartier Generale di Sfor.
Per il settore aereo, l'Italia ha partecipato con un apporto attivo adeguato. Per il settore navale, fu messa a disposizione una partecipazione navale italiana sulla base di quanto era stato fatto per le precedenti missioni.
Nell'ottobre 1998 i carabinieri presenti nella Missione Sfor, 102 in tutto, erano così inquadrati: nella Compagnia Multinazionale Polizia Militare del Quartier Generale di Sfor, un Plotone di carabinieri fornito dal 13° Battaglione "Friuli-Venezia Giulia" già in Bosnia dal 19 giugno 1996. A Zagabria, presso la sede del Comando Arretrato delle operazioni in Bosnia, nella Compagnia Multinazionale di Polizia Militare erano dislocati un ufficiale e 3 tra appuntati e carabinieri del Comando Carabinieri Afsouth. Nella Sfor era poi inserito un ufficiale dell'Arma del Comando Ftase (Forze Terrestri Alleate del Sud Europa), addetto alla Sicurezza. Nello Stato Maggiore di Sfor, Ufficio di Polizia Militare, un ufficiale dell'Arma aveva l'incarico delicato di Provost Marshal, come l'aveva avuto in precedenza in Ifor. Una partecipazione a tutti i livelli, con incarichi qualificati.