Nel luglio 1991 iniziò il ritiro della maggior parte dei componenti della missione, ma, poiché la situazione politica si stava aggravando, le Nazioni Unite decisero di far rimanere in Turchia, a Silopi, 2.500 uomini. Per l'Italia si prevedeva il graduale rientro del contingente entro il 15 luglio. In effetti il 17 luglio la Missione Airone aveva concluso il proprio mandato e i suoi componenti erano rientrati in patria, ad eccezione di 200 uomini, dei Carabinieri Paracadutisti del "Tuscania" e di unità della "Folgore", rimaste per il proseguimento dell'operazione nella costituenda Brigata Internazionale: questa aliquota assunse la denominazione di Airone 2. In totale, per la Missione Airone 1 la partecipazione italiana aveva visto impegnati, considerati gli avvicendamenti, circa 1.500 uomini.
La seconda fase della missione, nota come Provide Comfort II, fu realizzata con il pieno accordo del Governo turco il 18 luglio 1991, su impulso degli Stati Uniti, con la convergenza di tutte le nazioni che avevano partecipato alla prima. La sera del 18 luglio il Ministero degli Affari Esteri turco informava, con nota verbale, le ambasciate delle Forze operanti nella missione, e cioè Belgio, Francia, Italia, Olanda, Gran Bretagna e Stati Uniti, che il Governo era d'accordo per l'avvio dell'operazione: l'obbiettivo era quello di impedire il riproporsi di quelle condizioni che avevano generato l'abbandono in massa del Kurdistan da parte delle popolazioni curde, dette nord-irachene.
La Turchia, dunque, prevedeva e accoglieva sul suo territorio la presenza di una Forza internazionale costituita da componenti terrestri ed aeree, sostenute da un gruppo navale che avrebbe operato nel Mediterraneo Orientale per tutta la durata della missione. In via eccezionale il Governo turco avrebbe consentito l'uso delle basi di Incirlik e Batman per scopi non inerenti a operazioni della Nato. Avrebbe anche contribuito all'operazione assegnando alle Forze della Coalizione (Combined Task Force, Ctf) unità turche che sarebbero rimaste sotto il Comando nazionale. L'Italia previde un Bataillon Task Force. La Turchia chiarì che non sarebbe stata possibile alcuna operazione offensiva verso l'Iraq dal territorio turco, senza l'esplicita approvazione del Governo; così come la tipologia, l'entità e le aree di dislocazione dei contingenti (da stabilirsi d'intesa con lo Stato Maggiore turco), le direttive concernenti le attività delle Forze alleate, lo sbarco di veicoli, materiali ed equipaggiamenti trasferiti in Turchia per esigenze dell'operazione necessitavano della preventiva approvazione turca.
L'avvio della Operazione Provide Comfort II chiudeva definitivamente la Comfort I, per cui tutte le risorse umane e materiali non designate per le esigenze future dovevano lasciare la Turchia nel più breve tempo possibile. Il Governo turco si riservava la possibilità di ritirare o modificare i termini dell'accordo in piena autonomia, cioè di ritirare le autorizzazioni date, anche senza preavviso. L'operazione sarebbe terminata il 30 settembre 1991, salvo eventuali estensioni a giudizio del Governo turco, che comunque non avrebbero ecceduto i 90 giorni. La nota verbale si concludeva con un significante paragrafo:

«...Niente di quanto sopra concordato dovrà essere interpretato come una deroga da parte del Governo della Turchia ai suoi diritti sovrani, né dovrà comportare oneri finanziari aggiuntivi...».

Questa seconda missione, sempre con caratteristiche di aiuto umanitario, aveva per scopo principale quello di esercitare una deterrenza nei confronti degli iracheni, di vigilare sul comportamento delle autorità irachene proprio verso gli osservatori delle Nazioni Unite e il rispetto della risoluzione che aveva dato origine alla missione multinazionale; doveva inoltre continuare la tutela delle popolazioni curde nella fascia territoriale già prevista. Tali compiti dovevano essere assicurati fino alla fine di settembre, svolti ovviamente in totale coordinamento con le altre forze presenti sul territorio. Anche questa volta il Comando delle Forze terrestri italiane si stabilì nella base aerea di Incirlik, mentre quello operativo, con la Compagnia paracadutata di incursori "Col Moschin", un Plotone di Carabinieri Paracadutisti e un Plotone di servizi, si rischierava nell'area di Silopi. Non fu rinnovato l'accordo tra le Nazioni Unite e la Turchia, dopo il 30 settembre, per indisponibilità del Governo di Ankara. Il 1° ottobre la seconda Provide Comfort terminò e il 9 successivo tutta la componente italiana rientrò in patria.
Interessa ricordare un episodio legato a questa vicenda: dopo il ritiro della maggior parte del contingente multinazionale nel luglio 1991, vi era stato un accordo tra l'Onu e l'Iraq, che prevedeva l'invio di 500 - poi ridotte a 250 - Guardie Civili delle Nazioni Unite (United Nations Civil Police, Uncivpol), dislocate in quello Stato per sopperire alle necessità di sicurezza delle attività di soccorso. Questo contingente avrebbe dovuto schierarsi nel Kurdistan per presidiare le strutture Onu esistenti, cioè i campi profughi; assicurare la transitabilità degli itinerari del rientro dei profughi curdi dall'Iran e dalla Turchia; scortare i funzionari Onu nei giri ispettivi che sovente facevano per monitorare il territorio relativamente alla tutela dei diritti umani. Si prevedeva che tale personale non avrebbe avuto lo status di truppe dell'Onu, ma, come detto, di Guardie Civili: una specie di vigilantes in uniforme e armati.
Questa operazione dell'Onu non aveva nulla a che vedere con l'Operazione multinazionale Airone, che era in atto da parte delle Forze Armate italiane. All'Italia venne richiesta una presenza tra le 30 e le 50 unità di Polizia. Per quanto riguardava l'Arma, il Comando Generale fece presente che non era possibile impiegare per quella richiesta delle Nazioni Unite personale del "Tuscania", in quanto specializzato come arma combattente e utilizzato nella stessa area per altri scopi, ma, nel caso l'esigenza si fosse concretata, avrebbe inviato altro personale con particolari requisiti professionali adatti all'impiego richiesto.
L'Arma dunque, nel quadro del soddisfacimento delle esigenze internazionali, aveva aderito all'invito. Rimaneva ovviamente da chiarire lo status giuridico dei carabinieri e degli altri appartenenti alle Forze Armate che avessero fatto parte del nuovo intervento multinazionale. La missione però non si concretò nel senso previsto