Dislocazione dei contingenti dell'Arma in territorio somalo nel corso delle missioni UnosomAnche in altre azioni alcune unità del Distaccamento venivano ferite, pur se in modo non grave. Il 7 febbraio del 1994 in una imboscata a Balad, non lontano dal posto dove alcuni giorni prima era stato ucciso un ufficiale dell'Esercito e ferito un altro militare, la Colonna italiana fu fatta segno ad un attacco armato. I paracadutisti del "Tuscania" risposero immediatamente al fuoco, superando senza danni la difficile situazione.
Queste sono solo alcune delle molte azioni alle quali i Carabinieri hanno partecipato come arma combattente, dando un contributo fondamentale per il rientro alla base delle altre unità e per il recupero dei caduti e dei feriti.
Nel maggio del 1993 si concretizzò un'altra esigenza: fu richiesto un contingente di 80 unità dell'11a Brigata per svolgere quei compiti di sicurezza e di polizia all'interno del porto di Mogadiscio, che precedentemente erano stati assicurati dagli Stati Uniti.
Parallelamente a queste operazioni di esclusivo carattere militare, sotto l'impulso delle Nazioni Unite venivano redatti alcuni progetti, anche dal punto di vista della ricostruzione della amministrazione somala. L'Onu riteneva che uno degli obbiettivi prioritari durante le operazioni in Somalia, per il mantenimento della pace e per la ricostruzione dello Stato, fosse la riorganizzazione della Polizia locale, e quindi nella zona di propria competenza ogni contingente internazionale dovette provvedere a questo obbiettivo, in prima istanza come azione preparatoria ad un programma organico di ricostituzione della Polizia somala: di questa forza si ricordava la preparazione e la professionalità, prima che Siad Barre la lasciasse decadere, per dare maggior spazio alle Forze Speciali da lui create.
Al momento dello scoppio dei gravi disordini, dopo il colpo di Stato che nel 1991 aveva rovesciato il presidente Siad Barre, la Polizia somala, pur non facendosi coinvolgere direttamente nella guerra civile, era rimasta comunque disarmata e impotente: il personale sbandato, l'equipaggiamento distrutto o rubato. Già poco prima dell'inizio della guerra civile era stata studiata e avanzata nelle competenti sedi italiane una ipotesi di intervento professionale dell'Arma per la ricostituzione della Polizia somala. La collaborazione, peraltro, era stata richiesta informalmente fin da prima del cambiamento politico, nel dicembre del 1990, da locali organi di Polizia, quando un gruppo di esperti dell'Arma era stato inviato a protezione della comunità italiana per preparare l'Operazione Ippocampo, volta all'evacuazione dei connazionali dalla Somalia. Alla fine del 1990 erano state accertate le precarie condizioni della Polizia somala in termini di aggiornamento dell'addestramento e di equipaggiamento.
Forte dell'esperienza maturata sia in Somalia sia in circostanze analoghe e della sua conoscenza della situazione locale, mentre si svolgevano le operazioni di carattere militare previste dalle Nazioni Unite, all'interno della zona di totale competenza degli italiani, il Comando di Italfor, su richiesta del Comandante in Capo della missione internazionale - la medesima richiesta era stata avanzata a tutti i Comandi nazionali presenti per l'area di competenza - aveva avviato dal febbraio 1993, con i Carabinieri, una prima riorganizzazione di quelle Forze di Polizia, arruolando con criteri selettivi ben precisi 3.000 somali, la gran parte dei quali erano già stati nei ranghi dell'organizzazione, e inviando un ufficiale dell'Arma come Comandante della Polizia Militare (Provost Marshal) delle truppe italiane, con l'incarico di ricostituire le Stazioni di Polizia: attività sempre integrata nella riorganizzazione e nel potenziamento della Polizia voluto da Unosom I, che provvedeva alla parte finanziaria con pagamento dello stipendio dei poliziotti somali. Il Comando italiano aveva provveduto, con l'impiego di sottufficiali e carabinieri del "Tuscania", a dare un addestramento elementare alle forze arruolate. Aveva altresì dato un parziale supporto logistico (uniformi, munizioni e viveri) ai presidi di Polizia.

Visti i risultati conseguiti dagli italiani in un tempo relativamente breve, il contingente pakistano chiese al Comando italiano di occuparsi dello stesso problema nella zona di propria competenza. L'area italiana risultò l'unica che poteva disporre di una Forza di Polizia locale con una certa disciplina e un inquadramento, anche se ancora largamente carente sotto il profilo addestrativo; carenza dovuta alla mancanza di attività nel periodo della guerra civile in Somalia.
Ancora prima che iniziasse la Missione Unosom II, nel quadro della Uncivpol l'Italia era stata invitata a partecipare al programma di riorganizzazione dell'amministrazione della Somalia, nel quale si incardinava la ricostituzione di quella Polizia, come momento necessario e imprescindibile per normalizzare la situazione in tutto il territorio.
Infatti, nel momento in cui Unitaf aveva iniziato la propria azione (dicembre 1992), la Polizia locale era stata ufficialmente sciolta: il personale si era ulteriormente sbandato; non vi era più equipaggiamento e le infrastrutture ancora esistenti erano state completamente saccheggiate; la prigione era però funzionante. La situazione era senza dubbio assai più complessa di quella che i Carabinieri avevano trovato nel pur difficile momento del passaggio all'Arma della Somalia Gendarmery da parte degli inglesi nel 1950. In questo quadro di collaborazione e intervento a favore della ripresa delle attività istituzionali della Somalia, si inserì l'ipotesi di aiuto tecnico per la ricostituzione della Polizia somala.
A seguito delle richieste ancora non ufficiali, avanzate per le vie brevi, alla fine di dicembre del 1992 il Comando Generale compose un gruppo di lavoro ristretto (dieci ufficiali) che nel gennaio 1993 formulò organiche e dettagliate ipotesi per la prospettata collaborazione. La pianificazione di un iter di lavoro non era certo semplice, perdurando in Somalia lo stato di guerra civile che riduceva sempre di più le già minime risorse operative della locale Polizia. Lo scopo della missione - partecipare alla ricostruzione di quell'organizzazione con una assistenza esclusivamente di carattere tecnico-professionale - fu analizzato sotto un profilo ordinativo, operativo e logistico. Per taluni aspetti professionali si ripeteva, pur se in un quadro storico e giuridico notevolmente differente, quella programmazione di base già attuata durante il periodo dell'Afis, l'unica peraltro che poteva porre le basi per una efficiente Forza di Polizia.
In sintesi queste erano le linee operative previste: doveva essere organizzata e garantita una rigorosa istruzione professionale ad ogni livello ordinativo e insieme si doveva fare in modo di affidare nel più breve tempo possibile l'attività di addestramento alle strutture locali, cioè dovevano essere addestrati quadri e truppa mentre si formavano validi istruttori. Si doveva anche programmare l'organizzazione di appositi Istituti di formazione professionale sul territorio somalo.
Per la realizzazione di questo progetto, il gruppo di lavoro aveva previsto un contingente di 400 uomini, articolati in uno Stato Maggiore, un Nucleo Elicotteri, con Comandi di Gruppo nei capoluoghi delle 8 province maggiori e Distaccamenti nei più grandi centri abitati. In seguito però si pensò potesse essere sufficiente una aliquota meno importante, che avesse compiti di indirizzo e di sostegno delle forze somale. Era comunque evidente che, per attuare qualsiasi iniziativa di quel tipo, occorressero indicazioni governative nel quadro della politica estera italiana e successivi accordi internazionali garantiti dalle Nazioni Unite. Fu allora elaborato un secondo studio che prevedeva un contingente ridotto a 45 unità, senza nulla togliere all'impegno professionale, ma per meglio organizzare il lavoro e il relativo coordinamento con possibili altre nazioni che avessero partecipato all'impresa.

Ai primi di gennaio del 1993 il Segretario Generale delle Nazioni Unite, tramite Kofi Annan, in quel momento Vice Segretario Generale per le Operazioni di Mantenimento della Pace, aveva fatto pervenire all'Italia, nel quadro della collaborazione internazionale, la richiesta della disponibilità di un ufficiale dell'Arma da inviare in Somalia, unitamente ad un ufficiale tedesco e ad uno olandese, per concretizzare l'intervento italiano volto alla riorganizzazione dell'amministrazione somala, per la ricostituzione di una Forza di Polizia Civile neutrale. La missione, con oneri finanziari a carico dell'Onu, prevedeva tre giorni preventivi a New York, tre settimane in Somalia per studiare il problema in loco e una settimana successiva, ancora presso la sede di New York, per preparare il rapporto richiesto.
La commissione dei tre esperti doveva infatti elaborare congiuntamente uno studio di fattibilità, considerando alcuni punti fondamentali tenuti in particolare evidenza dalle Nazioni Unite e formulando delle raccomandazioni. In dettaglio, gli Uffici del Segretariato Generale sottolinearono che la precaria situazione della sicurezza in Somalia doveva essere risolta una volta ristabilita la pace: senza un ambiente sicuro non sarebbero stati possibili né un riassetto politico ed economico di quel territorio, né la necessaria riconciliazione tra i clan. Pertanto, uno dei compiti prioritari della comunità internazionale era la ricostituzione di una Forza di Polizia "nazionale" neutrale, indispensabile per qualsiasi sforzo diretto a riportare la popolazione somala a una vita normale.
Le Nazioni Unite fecero anche rilevare che Unitaf, in attesa di un programma organico, aveva comunque iniziato a organizzare delle forze ausiliarie alle quali aveva affidato limitate funzioni di sicurezza; alcuni dei membri di quelle forze erano anche stati autorizzati a girare armati. Questo però era avvenuto solo nel settore italiano, in quanto considerato ben controllato dai propri militari: le stesse forze ausiliarie reclutate dimostravano di avere una certa disciplina che veniva assicurata dal Comando italiano. In questo quadro di studio per una Polizia nazionale bisognava però considerare che Unitaf non era stata dispiegata nel nord della Somalia, lasciando un pericoloso vuoto in quel settore; inoltre le fazioni della Somalia nord-occidentale probabilmente sarebbero state riluttanti a partecipare ad una Forza di Polizia nazionale, in presenza di una forte milizia locale, caratterizzate come erano da un estremismo nazionalista. Il compito dei tre esperti si annunciava complesso.
Il ristretto gruppo di ufficiali, uno dei quali era appartenente all'Arma, si recò a New York negli ultimi giorni di gennaio del 1993, e di lì in Somalia dal 1° all'11 febbraio, per prendere contatti con le autorità locali, con le Forze delle Nazioni Unite ivi dislocate e con il contingente Unitaf, cioè con quanti erano interessati alla creazione di forze ausiliarie locali, nome con il quale si preferiva indicare la costituenda Forza di Polizia Civile somala, in attesa di poterla chiamare Polizia, quando si fosse concretato un solido quadro di riferimenti governativi a Mogadiscio. La Commissione rientrò a New York subito dopo, per studiare gli aspetti operativi della missione, e in una settimana, come previsto, terminò i suoi lavori.
Fu elaborato, con un notevole apporto dell'ufficiale italiano, un progetto operativo di riorganizzazione e sviluppo, presentato anche al Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per la Somalia. Era stato ovviamente tenuto in conto che le forze, almeno all'inizio, avrebbero dovuto agire in un contesto di totale assenza di autorità costituite e quindi di un sistema statuale legale.

Lo studio sul campo aveva chiaramente rivelato l'esigenza che queste forze ausiliarie, fino a quando non fosse stato costituito un Governo nazionale legittimo a Mogadiscio, dovessero rimanere sotto la responsabilità della struttura di Unosom II e essere assistite dagli elementi della Uncivpol, integrate in quella missione. In seguito avrebbero potuto passare sotto la responsabilità dei componenti di Uncivpol relativamente alla riorganizzazione, all'addestramento, alla supervisione e all'aggiornamento. Poiché vi erano ancora simulacri di strutture locali di Polizia più o meno organizzate e operative, si doveva partire da queste per poi giungere, per gradi, alla necessaria struttura nazionale unica.
Gli esperti stimavano che il contingente multinazionale della Polizia Civile dovesse essere composto da 531 unità, da trarre da Forze di Polizia che avessero basi professionali comuni, per non internazionalizzare troppo il contingente stesso e per metterlo in grado di operare con la dovuta efficienza. La situazione trovata in Cambogia circa i problemi di mancata omogeneità dei contingenti inviati per Uncivpol dell'Untac, e quindi di complessa operatività, era ben presente ai tre ufficiali partecipanti al team di studio, in particolare all'italiano, per l'esperienza che l'Arma stava avendo in quel territorio asiatico.
In successive riunioni congiunte di tutte le nazioni partecipanti al programma presso il Palazzo di Vetro a New York e nella stessa Somalia, fu deciso che Uncivpol non avrebbe avuto funzioni di addestramento e/o di affiancamento della Polizia somala, ma avrebbe fornito una consulenza professionale per la riorganizzazione delle unità centrali e di coordinamento delle risorse fornite allo scopo dalla comunità internazionale.
In seguito alla circostanziata relazione dei tre esperti del team di studio e alle conseguenti decisioni delle Nazioni Unite, il Comando Generale dell'Arma autorizzò, nell'agosto 1993, una missione tecnico-conoscitiva in Somalia. Questa missione avrebbe avuto una durata di due mesi; sarebbe stata composta da due ufficiali italiani, insieme ad elementi delle Polizie olandese e tedesca; sarebbe stata inoltre inserita nell'ambito Unosom II per uno studio approfondito sul campo della collaborazione da fornire, limitata, come detto, alla consulenza e al coordinamento a livello centrale e alla ricostituzione di una Polizia rigorosamente "nazionale", anche se si sarebbero tenute in conto le distinte realtà regionali. I due ufficiali dovevano altresì definire i dettagli della collaborazione italiana anche riguardo ai materiali richiesti e/o necessari e alle unità da inviare.
Per riassumere la situazione, nel giugno del 1993 questi erano i seguenti ulteriori impieghi previsti per l'Arma, oltre alla presenza dei carabinieri integrati nel contigente italiano di Unosom II, per compiti di polizia militare: il contingente, commisurato alle necessità, per l'addestramento della Polizia somala (richiesto ai primi di gennaio); una Compagnia di vigilanza del porto di Mogadiscio (ipotesi formulata ai primi di aprile); 20 unità da integrare nella Compagnia Multinazionale di Polizia Militare (richieste il 1° di aprile). Alla fine di dicembre 1993 cessava, per accordi presi a livello diplomatico internazionale, l'esigenza dell'invio di queste unità.