Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

ACQUE
LA SACRALITÀ DEL FIUME
01/06/2014
di Cristiano Manni Commissario Capo del Corpo forestale dello Stato

di Cristiano Manni Commissario Capo del Corpo forestale dello Stato

Il concetto di sacro è qui interpretato come quella condizione per cui un oggetto o un concetto sono sottratti al libero utilizzo da parte della collettività, e affidati alla sfera del divino.

 
Riassunto

Il concetto di sacro è qui interpretato come quella condizione per cui un oggetto o un concetto sono sottratti al libero utilizzo da parte della collettività, e affidati alla sfera del divino. In questo modo, il bene o il concetto si preservano, garantendo quello che, in chiave moderna, può essere definito un uso sostenibile della risorsa. Un fiume sacro è stato pertanto gestito in modo sostenibile, garantendo vantaggi evolutivi agli uomini e alle culture che lo hanno ritenuto tale. Purificazione, limite e fecondità sono i tre concetti che più evidentemente legano il fiume al sacro, garantendo igiene, protezione e cibo.

Abstract
Sacredness of River
The concept of the sacred is here interpreted as the condition of an object or a concept to be subtracted from free use on behalf of the community, and entrusted to the sphere of the divine. In this way, object and concept are preserved, ensuring what in modern terms would be defined  a sustainable use of the resource. A sacred river was therefore organised in a sustainable way, ensuring evolutionary advantages to men and cultures that have considered such. Purification, border and fertility are the three concepts that more clearly link the river to the sacred, assuring hygiene, protection and food.

 
 

Esiste un fiume le cui acque danno l'immortalità; in qualche regione vi sarà un altro fiume, le cui acque la tolgono
                                                                                                                                    J.L.B – L'immortale


 

Se è vero, come è vero, secondo i neo evoluzionisti alla Jaques Monod, che l'uomo, come ogni essere vivente, è uno strumento teleonomico per trasmettere il supremo sogno biologico dell'invarianza della vita, in continua lotta contro la mutazione dell'implacabile entropia, ben si comprende l'irresistibile attrazione verso le più alte manifestazioni della vitalità. L'istintiva meraviglia, che già doveva pervadere i primi uomini, di fronte alle maestose manifestazioni dell'acqua, ha sicuramente - e darwinianamente - selezionato coloro che, attirati da tale meraviglia, insita nel profumo, nel rumore e nelle sensazioni che da l'avvicinarsi ad un fiume, trovavano presso le sue rive tutte le condizioni favorevoli per procurarsi di che vivere, per spostarsi con sicurezza lungo le sue rive o trasportati dalle sue acque, e difesi dalla contrapposizione delle sponde. Il fiume ha unito, nutrito e protetto, per centinaia di migliaia di anni, anche quei primati, oggi scomparsi, che hanno lastricato il percorso evolutivo dell'Homo sapiens sapiens.
Tutto quello che esiste e prende posto nel cosmo fu sak per gli umani che parlarono le lingue indo europee originarie. Il termine significa legato, collegato, esprimendo così una corrispondenza biunivoca tra l'esistenza contingente dell'oggetto e quella necessaria del concetto, dell'idea, della divinità che la rappresenta. “Sacralizzare” vuol dire pertanto “deporre” un oggetto o un concetto su un ripiano dal quale gli uomini possano solo guardarlo, e non più toccarlo liberamente. L'amministrazione del sacro è quindi affidata ad una classe sacerdotale, che lo dispensa agli uomini nella misura voluta da Dio, o dagli dei, o da qualsiasi entità divina, ivi compresi la storia e il destino. Letto in un'ottica antropologica, il sacro ha la duplice funzione di regolare l'accesso alle risorse economiche ed ambientali, e di costituire una simbologia sotto la quale possa riconoscersi un'identità culturale o religiosa, legittimandola e difendendola dalle altre culture, nate in contesti differenti, ma con processi analoghi, e destinate a scontrarsi nelle guerre, nelle invasioni, nelle migrazioni, spesso sovrapponendosi e contaminandosi reciprocamente, fino a rendere difficilmente evidenti le ragioni per cui nacquero.
In questa analisi, un fiume sacro può offrire a coloro, che tale lo considerano, un indubbio vantaggio, poiché mantiene inalterate quelle caratteristiche in grado di fare la differenza in caso di competizione: garantire igiene personale e degli alimenti, riducendo così il rischio di contrarre infezioni; offrire opportunità di difesa, ma servire anche da via di comunicazione; determinare un ambiente favorevole all'agricoltura e alla sicurezza alimentare. Queste tre importanti funzioni hanno rappresentato per millenni un forte fattore di pressione selettiva per quelle culture che sacralizzavano, e quindi difendevano, queste funzioni del fiume.
Il bere acqua pulita, non contaminata, e potersi lavare, o poter lavare cibi e utensili, deve aver rappresentato un potente vantaggio evolutivo per quelle popolazioni umane che potevano mettere in atto queste pratiche. Qui forse risiede una delle prime motivazioni della sacralità dei fiumi: la possibilità di purificare, insita nell'acqua. Nasce quindi il rito, vale a dire l'insieme delle regole di trasmissione dell'informazione acquisita.
Il rito, ingessato e sacralizzato per garantire l'invarianza informativa, può essere letto in parallelo alla sequenza di duplicazione dell'informazione genetica. Come questa, tuttavia, va inesorabilmente incontro a mutazioni, casuali o sistematiche, dovute in buona parte alle relazioni con l'ambiente esterno, che ne mutano il significato originario.  Per tale motivo, il rito non è solo forma, ma anche sostanza, poiché trasmette un contenuto funzionale di informazione. Tale funzionalità può essere legata ad uno qualsiasi dei livelli di organizzazione della materia organica, e per questo accade che il significato sia incomprensibile all'individuo.

 
foto 1 la sacralità profanata del fiume Yamuna, uno dei più inquinati al mondo, un tempo simbolo di purezza.

Il legame tra sacralità e purificazione è evidente nel  fiume sacro per antonomasia: il Gange. Identificato dall'Induismo con la dea Devi, figlia della Montagna (Himavan, ed in effetti nasce sull'Himalaya, dal ghiacciaio Gangotri, ma per questa religione nasce dal cielo, sotto i piedi Vishnu), la sua sacralità è dovuta alla purificazione che segue dall'immergersi nelle sue acque. Gli induisti che si recano in pellegrinaggio nelle città sacre presso le sue rive, vi praticano abluzioni rituali. Ne prelevano inoltre l'acqua in una piccola bottiglia, per conservarla presso le dimore, e farla bere ai moribondi, affinché escano dal ciclo delle morti e delle reincarnazioni. Vi si spargono le ceneri dei defunti, e le loro anime potranno essere purificate anche dopo la morte. La città sacra di Varanasi, che sorge presso le sue sponde, è frequentata  ogni anno da milioni di pellegrini, che continuano a bagnarsi e a bere ritualmente le sua acque, anche se ormai hanno raggiunto soglie di inquinamento altissimo.
Ad Allahabad, altra importante città sacra che sorge alla confluenza tra il Gange e lo Yamuna, si svolge ogni 12 anni un gigantesco raduno religioso, denominato Maha Kumbh Mela, alla cui ultima edizione ha preso parte l'impressionante quantità di cento milioni di persone. La particolare sacralità del luogo è dovuta al fatto che il fiume Yamunaè probabilmente l'antichissimo Sarasvati, il primo fiume sacro deiVeda, da quando la popolazione degli Arii arrivò nelle pianure indiane oltre quattromila anni fa, e lo divinizzò per le sue acque creatrici di vita, purificanti e nutrienti. In seguito, la creazione della vita legata al fiume fu trasferita alla creatività delle idee, della musica e della poesia, ed ancora oggi la Dea  Sarasvati protegge i frutti della mente umana.

 
 
Foto 2 la sacralità profanata del Nilo: il lago Nasser, visto dal satellite, intercetta i limi che un tempo rendevano fertile l'Egitto

Un altro fiume, la cui sacralità è legata alla purificazione, è il Giordano. Nelle sue acque avvenne il battesimo del Messia, nel quale albergano la natura umana e quella divina, inscindibili ma distinte. Il battesimo, pratica antichissima e comune a più culture religiose, è l'immersione iniziatica nell'acqua consacrata, ed ha significato di morte e rinascita. L'uomo vecchio muore e si disperde nel fluire dell'acqua, ed il fanciullo riemerge per un nuovo cammino soteriologico, che lo salverà. É facile supporre che questo rito abbia comuni origini e significati con le abluzioni indiane. L'immersione rituale era praticata anche da alcune sette misteriche dell'Antica Grecia, come quelle che praticavano i riti orfici e dionisiaci. Non stupisce allora che proprio da Eraclito ci sia giunta l'affermazione che un uomo non possa immergersi due volte nello stesso fiume, il che alluderebbe non soltanto alla natura mutevole della realtà, il cui scorrere è appunto paragonato al fiume, ma dall'inesorabilità di certe scelte, anche iniziatiche, dalle quali non si può tornare indietro. Anche per la chiesa cattolica il battesimo è irreversibile, ed irreversibili sono i suoi effetti: il peccato originale non tornerà a macchiare l'anima, e la richiesta di essere rimessi dal battesimo è rubricata come semplice apostasia.
Il rito del battesimo originario, che richiedeva volontà e coscienza, e quindi l'età adulta, ha determinato diversi scismi e separazioni in seno al Cristianesimo, a partire dalla prima metà del XVI Secolo, con la rivolta degli anabattisti e la loro successiva persecuzione da parte della chiesa cattolica e degli imperatori.
Nella storia della cultura occidentale, fiume ed elemento sacro sono associati nel concetto di confine. La sacralità del limite è riconosciuta in moltissime culture sin da tempi assai remoti. La Cultura di Rinaldone, progenitrice degli etruschi, riconosceva la sacralità dei confini in rituali di geomanzia, che suddividevano il territorio in settori assegnati a particolari gruppi tribali. Si pensa che, nell'area geografica dell'Italia Centrale, il centro di tale suddivisione fosse l'area attorno al lago di Bolsena, consacrata alla dea etrusca Voltumna, ed identificata con il Fanum Voltumnae, presso il quale avveniva l'annuale simposio dei dodici locumoni.

 
 
Foto 3 L'isola Tiberina, cuore arcaico di Roma

La sacralità dei confini confluì nella cultura latina, che venne a contatto con quella etrusca proprio sulle rive del Tevere. Nel latino arcaico le parole pax e pactum derivano da pangere, che ha il significato di “piantare” i confini. La violazione dei termini era un delitto talmente grave che veniva punito con una pena peggiore della morte: la consacrazione agli dei. Con tale atto, l'individuo cessava di essere uomo, e chiunque poteva ucciderlo. Forse non a caso, la prima iscrizione che riporta il termine “sacro” in latino arcaico, sul lapis niger, si trova proprio vicino al fiume Tevere, nella parte del Foro ad esso più prossimale, all'altezza dell'Isola Tiberina.
Il Tevere è il “fiume sacro ai destini di Roma”, come sta scritto nella colonna di travertino posta alle sue sorgenti, sul Monte Fumaiolo. La sua sacralità non è legata al confine che divide, ma che unisce. In particolare, all'epoca della Fondazione, la rive destra era controllata dalle popolazioni etrusche, e quella sinistra dai popoli latini. Il passaggio del confine era un evento sacro, sottoposto a leggi precise, e controllato da un sacerdote e magistrato: il pontifex maximus. Il termine deriva evidentemente da pontem facere, il che evidenzia lo stretto collegamento tra il limes e il sacro. Il pontefice, titolo che ancora oggi è attribuito soltanto al Papa, scriveva e interpretava le leggi, pronunciava sentenze, eleggeva altri collegi sacerdotali e le più importanti cariche dell'antica Roma. Il primo pontefice fu proprio il figlio di Romolo, Numa Pompilio. Ma il collegamento fra fiume e sacralità dei confini e dei ponti lo si ritrova anche altrove, per esempio in Grecia, e più precisamente in Tessaglia, dove il ponte sul fiume Peneo, impersonificazione di un dio omonimo, era consacrato e controllato dai sacerdoti gephiraei. Anche il Tevere veniva identificato con un dio; Tiberino, una divinità dei tempi arcaici, legata alla natura, fratello del dio delle sorgenti Fonto e figlio di Giuturna, signora delle acque, che deriva forse dalla dea etrusca Voltumna, signora del lago di Bolsena, il cui culto si è poi cristianizzato in quello di santa Cristina.

 

Ma ci sono anche elementi per attribuire la sacralità del Tevere alla fertilità. Dalla ricostruzione della cartografia storica, al momento della fondazione di Roma (il cui nome alcuni fanno discendere dall'etrusco Rumon, termine con cui questo popolo chiamava il Tevere), nei pressi dell'Isola Tiberina, sulla sponda sinistra del fiume, vi erano due ampie insenature del fiume, propri ai piedi del Palatino, tra questo e il Campidoglio e l'Aventino, dove oggi si trovano il Velabro e il Circo Massimo. Le due insenature, vicine all'Isola, ed i colli sovrastanti, costituirono con tutta probabilità un luogo estremamente favorevole all'insediamento dei primi abitati della Città. Proprio in analogia col seno femminile, che in etrusco si diceva rumon, e che le due insenature probabilmente richiamavano, nasce una vasta serie di analogie con le mammelle della lupa, cioè prostituta, probabilmente sacra, Acca Laerzia, e con nel fico ruminale, in cui frutto, per la forma e l'emissione del lattice, richiama la mammella, e sotto il quale, presso la grotta del Lupercale, scoperta nel 2007 sotto il Palatino, furono trovati Romolo e Remo. I due gemelli, nati dalla vergine vestale Rea Silvia, finirono poi per essere allevati da una donna consacrata alla fertilità. E alla fertilità rimanda anche il padre adottivo dei gemelli, il pastore Faustolo, i cui dodici figli divennero per volontà dello stesso Romolo, i fratelli arvali, sacerdoti dediti al culto della Dea Madre, o dea Dia, o Cerere. Il bosco sacro degli Arvali era sulla riva etrusca del fiume, ed il numero di dodici ha probabilmente analogia con le locumonie etrusche.
Il fiume, confine per antonomasia, fu un tempo figlio del sole e della terra, e dissetò i Titani che si ribellarono a Zeus, per questo il padre degli dei lo trasformò in un corso dalle acque imbevibili e maledette, a segnare il confine supremo tra il mondo dei vivi e quello dei morti: l'Acheronte. Nelle suggestioni omeriche, esso si trova chissà dove, presso una rupe bianca come l'argento, ad una distanza relativamente breve dell'isola di Circe. Secondo la geografia dell'Odissea accettata molti, l'incontro con la maga e la discesa nel regno di Ade, per parlare con Tiresia, sarebbe da collocarsi nel mare Tirreno. Secondo altri interpreti, i luoghi del poema omerico sarebbero quasi  tutti in Grecia. In effetti vi è un fiume Acheronte la cui foce è a circa cinquanta miglia nautiche a nord di Itaca. Qui si trovava l'antichissimo Necromanteion, l'oracolo dei morti.
Altri due fiumi omerici hanno la loro sacralità della funzione di confine: lo Scamandro e il Simoenta, che delimitavano, e ancora delimitano, la regione della Troade. É noto l'episodio dell'Iliade in cui il dio Scamandro si adira con Achille, che ha gettato nel fiume un numero impressionante di corpi di giovani troiani,  e lo sommerge in una repentina e devastante ondata, dalla  quale egli fugge solo con l'aiuto divino. Al ritirarsi delle acque, la terra intorno è piena di corpi e di armi. In effetti il fiume è ancor oggi noto per le funeste piene, la cui portata è arrivata ad essere fino ad ottantamila volte superiore alla media delle minime che si registrano in estate, quando il suo letto si asciuga in alcuni tratti.

 
    Fig. 4

Foto 4                                                       Foto 5


Foto 4 la sacralità profanata del Piave, le cui acque mormoranti un tempo fermarono lo straniero. La sua portata d'acqua è oggi drasticamente ridotta dalle derivazioni per uso industriale.
Foto 5 la sacralità dimenticata del Piave, deturpata dalle bombolette.


 

Confini, guerre e battaglie hanno determinato, assai più recentemente, la sacralità di un altro fiume: il Piave. Si tratta, ovviamente, di una sacralità più laica, dovuta al fatto che su questo fiume, durante le fasi finali della Prima Guerra Mondiale, l'esercito italiano riusci a fermare per due volte l'impeto degli austroungarici, e a sconfiggerli in una terza battaglia. In questo contesto, la sacralità non è direttamente collegata ad una divinità, quanto piuttosto alla Storia, quella con la S maiuscola di concezione hegeliana, vista come necessaria sintesi dei processi dialettici dello spirito del tempo, ed in quanto tale predestinata a riconoscersi in quei popoli che essa ha prescelto come strumento e materia della propria manifestazione. Se vogliamo, possiamo scorgere un'analogia con la scritta posta alle sorgenti del Tevere, di cui abbiamo già detto, voluta da Mussolini che, tra le altre cose, spostò i confini della Romagna affinché le sorgenti del fiume venissero a trovarsi nella sua terra.
La concezione hegeliana della storia trova naturalmente ampia accoglienza nei movimenti e nelle correnti di pensiero di impronta nazionalista. Non possiamo che citare l'ancor più recente sacralizzazione del fiume Po, e l'instaurazione di un rituale di natura politica, prelevando dalle sorgenti, con un'ampolla, le acque del fiume, e versandole nel mare di Venezia.

Il legame tra sacro e fiume è evidentemente connesso al rapporto, da sempre evidente all'umanità, tra l'acqua e la fertilità del terreno, l'abbondanza dei raccolti, la possibilità di praticare un'agricoltura stabile e di affrancarsi pertanto dal nomadismo. Il caso forse più emblematico è il Nilo. Questo fiume, come tutti sappiamo, ha ospitato per oltre 3.000 anni una delle più fiorenti e potenti civiltà della storia, rappresentando un ambiente ideale per l'insediamento umano sin dagli inizi del Neolitico, quando la desertificazione ha cominciato ad interessare gran parte di quei territori, allora probabilmente boschi o praterie, che sorgevano dove ora si trova il deserto. Il fattore determinante che ha permesso una così intima vicinanza tra uomo e fiume è stata probabilmente, proprio in questo caso, la stabilità e la regolarità del regime idrologico del Nilo. Il suo basso corso, infatti, attraversando terre desertiche, è alimentato da una porzione di bacino idrografico pressoché inattivo. Il suo regime è condizionato essenzialmente dall'alto bacino, situato tra l'Equatore ed il Tropico del Cancro, dove scorrono le due grandi arterie che alimentano il fiume a sud della capitale del Sudan, delle quali una, il Nilo Bianco, proviene dagli altipiani etiopi e l'altra, il Nilo Azzurro, discende dal Lago Vittoria, esattamente sull'Equatore. Proprio questa fascia geografica, per la preponderanza dell'effetto della circolazione generale dell'atmosfera, condizionata solo dalle posizioni astronomiche dell'asse terrestre rispetto al sole, sugli altri fattori endogeni, presenta un'altissima fedeltà climatica.L'onda di piena, ingrossandosi progressivamente e lentamente al volgere dell'equinozio primaverile, raggiungeva il basso corso del fiume alla metà del mese di luglio, per rientrare nell'alveo di magra a metà di novembre, lasciando un ambiente inondato dal limo, fertile ed umido, pronto per essere seminato coni cereali. Gli ambienti paludosi che andavano restringendosi con il progressivo ritirarsi delle acque, offrivano condizioni favorevolissime per la pesca e la caccia di grandi mammiferi. Le paglie dei cereali e il fango del fiume fornivano la materia prima per costruire i mattoni, che avevano, allora come oggi, un eccezionale potere isolante, e erano ottimi per costruire abitazioni.

Il dio del fiume era Hapy. Divinità maschile dall'aspetto quasi androgino, il dio era rappresentato con il ventre obeso e le mammelle cadenti, in segno di opulenza. Era una divinità benefica e positiva che dispensava i frutti del fiume, e di cui non c'era da temere l'ira. Più che con il fiume stesso, Hapy era la personificazione divina dell'onda di piena, che arrivava con estrema puntualità e  dolcezza, senza provocare esondazioni catastrofiche, poiché era estremamente facile riconoscere lo spazio degli uomini e quello delle acque. La classe sacerdotale studiava il moto delle stelle allo scopo di perfezionare il calendario e prevedere con precisione l'arrivo di Hapy. La stella di riferimento era Sirio, la più luminosa del cielo, ai piedi di Orione, poco al di sotto dell'equatore celeste, che cominciava a sorgere nel cielo mattutino, prima di dissolversi nella luce solare, proprio in corrispondenza della piena.
Il fiume Nilo segnava anche il confine tra la vita e la morte. La sponda sinistra, dove morivano il Sole e la stella Sirio, che per settanta giorni rimaneva nella sua tomba notturna, sotto l'orizzonte, per poi risorgere  poco più di un mese dopo il solstizio invernale, era la sponda della morte, e da questo lato si costruivano i sepolcri, se si voleva che l'anima del defunto migrasse nel regno dell'Oltretomba. Per settanta giorni il cadavere del faraone restava a disposizione dei sacerdoti per la mummificazione, prima di essere disposto nel grandioso sepolcro. Sembra che le piramidi di Ghiza, per dimensione e disposizione, riproducano sulla terra la costellazione di Orione, accompagnata fedelmente da Sirio.
Quello che sta scritto in cielo corrisponde a quello che è scritto in terra: così gli antichi egizi hanno vissuto in armonia con il fiume e le sue benefiche inondazioni. La costruzione della diga di Assuan, ha allontanato per sempre Hapy dall'Egitto. Da allora, i fertili limi non disseminano più la terra dei faraoni, ma si fermano, come in uno sterile onanismo, sul fondo del lago Nasser.
In altri fiumi si concretizza ancora la sacralità della purezza e nella fecondità. Nel Giardino dell'Eden, ai piedi dell'albero della vita, nascevano 4 fiumi: il Gihon, il Pison, il Tigri e l'Eufrate. Qui nacque il peccato originale che solo l'acqua può lavare. Alle sorgenti dei fiumi della Mesopotamia, sulle montagne della Turchia Orientale, irraggiungibili dagli antichi, dimoravano le divinità sumeriche, babilonesi, e il Dio di Adamo ed Eva. Le sorgenti simboleggiano la nascita, lo scorrere dei fiumi il passare della vita, fino allo sfociare nel mare del tutto. Risalire il fiume rappresenta il tentativo di arrivare alle radici della vita e dell'immortalità, discenderlo simboleggia il seguire il corso del tempo. Il giardino è invece il luogo della prosperità, dell'abbondanza, della pace tra Dio e l'uomo. Non è difficile, anche in questo contesto millenario, che ha  accolto le prime civiltà umane, capaci di organizzarsi intorno alla città, sostentate da un'agricoltura che permetteva loro di essere stabili, leggere la sacralizzazione come tentativo di trasmettere la conoscenza. Come giardini dovevano appunto apparire i campi coltivati alle popolazioni ancora nomadi, che li osservavano da lontano, ansiose di penetrare in quel paradiso terrestre protetto da solide mura, e al ritorno dai loro spostamenti si raccontavano di luoghi mitici, dove crescevano frutti meravigliosi, e gli animali convivevano in pace con gli uomini, che evidentemente non solo coltivavano la terra, ma praticavano anche l'allevamento stabile.
Un tempo, sacralizzare il fiume ha significato imporre delle regole per difendere le sue funzioni essenziali a vantaggio delle comunità. Oggi le condizioni sono profondamente cambiate. La sacralità è stata spesso profanata, nell'illusione che ben altre fossero le priorità di sviluppo. Ci si è tuttavia resi conto che non è possibile considerare il fiume alla stregua di un oggetto, limitandone la natura ad una manciata di equazioni matematiche o di formule chimiche. E dove un tempo si apponeva il sigillo divino, oggi si formula una legge di tutela, che dovrebbe garantire la conservazione di fiumi, torrenti, laghi e corsi d'acqua considerandoli, sotto un punto di vista squisitamente razionale, tutti “sacri”.
La ragione ci ha permesso di penetrare nelle regole divine, per leggervi l'umana esigenza di gestire in modo sostenibile le risorse. Ma dove la ragione dorme, la ragione di Kant, capace di discernere il vero dal falso, il giusto dall'empio e il bello dal brutto, e poiché il suo sonno produce mostri, allora è bene che torni il sacro.