Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

ACQUE
ALLUVIONI IN ITALIA: EVENTI STORICI E GESTIONE DEL TERRITORIO
01/04/2014

Ing. Mauro BencivengaISPRADirettore Dipartimento Tutela Acque Interne e Marine
Ing. Mauro Bencivenga ISPRA Direttore Dipartimento Tutela Acque Interne e Marine

L’Italia è un Paese particolarmente esposto al rischio alluvioni e quindi è necessario mantenere alto il livello di attenzione sull’uso del territorio, sulla manutenzione dei corsi d’acqua e delle opere idrauliche; inoltre rimane assolutamente necessaria la conoscenza storica dei fenomeni di piena verificatisi nel passato e in tal senso è necessario dare continuità al lavoro di rilevamento e pubblicazione di dati, memorie sulle piene e sulle alluvioni e mantenere efficienti e funzionanti le reti di rilevamento al fine di non disperdere quel grande patrimonio di cui primo artefice è stato il Servizio Idrografico Nazionale

  

#RiassuntoRiassunto
L’Italia è un Paese particolarmente esposto al rischio alluvioni e quindi è necessario mantenere alto il livello di attenzione sull’uso del territorio, sulla manutenzione dei corsi d’acqua e delle opere idrauliche; inoltre rimane assolutamente necessaria la conoscenza storica dei fenomeni di piena verificatisi nel passato e in tal senso è necessario dare continuità al lavoro di rilevamento e pubblicazione di dati, memorie sulle piene e sulle alluvioni e mantenere efficienti e funzionanti le reti di rilevamento al fine di non disperdere quel grande patrimonio di cui primo artefice è stato il Servizio Idrografico Nazionale.

Abstract
Floods in Italy Historical events and territory managment
Italy is particularly exposed to the risk of floods and therefore attention must be paid on the management of the territory, maintenance of watercourses and hydraulic facilities. Vital is the awareness of the floods occurred in the past. In this direction it is necessary to continue the work of survey, publication and recollection of data regarding overflows and floods and to keep the network of survey working, in order to avoid the loss of the great heritage whose first maker was the national water service.

 
 
 

#PremessePremesse

Il territorio italiano è sicuramente tra i più belli e caratteristici nel mondo, ma è anche tra i più fragili nei confronti del rischio idraulico e idrogeologico per le caratteristiche intrinseche dei suoli e per quelle dovute all’elevata pendenza dei bacini idrografici ( si passa dal livello del mare a quote di oltre 2000 mt. nello spazio di  pochi  chilometri) e per la elevata intensità di pioggia che si manifesta su tutto il territorio nazionale.
Oltre ai fattori naturali il rischio idraulico-idrogeologico del territorio è determinato da fattori antropici connessi alla densità della popolazione, allo sviluppo urbanistico e all’evoluzione socio-economica del territorio.
Dopo la grande alluvione del 1966 di Firenze, nel 1970 fu istituita dal Parlamento la Commissione De Marchi per censire tutti i problemi idrogeologici nazionali, a cui sarebbero dovuti seguire i dovuti interventi.
A conclusione dei propri lavori la Commissione individuò per tutto il territorio nazionale  le aree critiche e soggette al rischio idraulico e geologico e tutte le opere necessarie per la difesa del suolo nell’ambito dei bacini idrografici di appartenenza.
Dal 1970 si diede mano alla stesura della legge sulla difesa del suolo che trovò finalmente consenso nel 1989 quando venne emanata la legge 183.
La legge stanziava 3.000 mld. di £ per la difesa del suolo e istituiva i Servizi Tecnici Nazionali (Servizio Idrografico, Servizio Geologico, Servizio Sismico e Servizio Dighe) sotto la Presidenza del Consiglio dei Ministri e le Autorità di bacino come organo di coordinamento sul territorio per la pianificazione, la programmazione e la verifica degli interventi.
Alla luce del suo contenuto, la legge n. 183, certamente da considerare un’ampia e organica legge di riforma, ha goduto, sin dalla sua emanazione , di una sostanziale condivisione da parte degli operatori del settore, avendo l'effetto, in particolare, di mettere a disposizione delle Autorità di bacino poteri incisivi e strumenti di intervento adeguati alla complessità del quadro da governare. Tuttavia la legge n. 183 del 1989 ha incontrato significative difficoltà attuative.
Tale fatto è da collegare alle difficoltà derivanti da un farraginoso assetto delle competenze, non solo legislative, ma soprattutto amministrative, che ha fatto sì che il sistema non sia stato in grado di superare sovrapposizioni e oggettivi conflitti. Ciò appare dovuto in massima parte alla molteplicità di organi, strutture ed enti che - sulla base della legislazione vigente - operavano sullo stesso territorio, dando vita, talvolta, addirittura a competenze simili o analoghe che facevano capo a differenti strutture della stessa.
In seguito all'entrata in vigore del Capo I della Legge 15 marzo 1997, n° 59 (Bassanini)  vennero  considerevolmente ridimensionati i compiti e le strutture dei Servizi Tecnici  e in particolare del Servizio Idrografico Nazionale con la conseguenza che tutte le attività conoscitive sulla idrologia e sul bilancio idrico vennero trasferite alle Amministrazioni regionali e suddivise in funzione dei limiti amministrativi e non più per bacino idrografico.


 

#Interventi e opere realizzate negli ultimi 100 anniInterventi e opere realizzate negli ultimi 100 anni

Nel corso degli ultimi 100 anni molteplici e importanti interventi di difesa, bonifica e sistemazione idraulica hanno interessato il territorio
nazionale. Tra gli interventi si ricordano:

 

#                       2.1 Gli argini del Po2.1 Gli argini del Po

Foto 1 Pianta e Sezione di Difese Arginali del Po

Lungo il tronco vallivo del fiume Po sono state costituite due golene: le golene aperte, comprese fra il primo argine golenale e l’alveo attivo, vengono inondate in occasione delle piene ordinarie del fiume Po mentre le golene protette, intercluse fra gli argini golenali e l’argine maestro del Po, possono essere inondate nei periodi di piena eccezionale.
Da un punto di vista legale, gli argini golenali non possono essere di altezza o dimensioni paragonabili con gli Argini Maestri, dovendo essi assolvere ad un diverso compito e dovendo garantire l’esondazione nelle aree quando la piena si riveli di entità ragguardevole.
La legge vigente consente di operare tagli delle arginature golenali qualora ciò sia reputato opportuno a protezione degli Argini Maestri, ovvero quando ciò si riveli necessario al fine del controllo della piena in corso.
Le altezze consentite per gli argini golenali sono state oggetto di codifica da parte del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, dopo l’importante piena del 1917. Già in tale epoca si pose con forza la questione del progressivo restringimento del fiume Po, determinando un rallentamento dei procedimenti di trasformazione di tratti di arginature golenali in Arginature Maestre.
Nel voto del 30 gennaio 1918, il Consiglio superiore dei Lavori Pubblici era del parere che: “nella sistemazione delle arginature di Po, …………, non soltanto si cerchi di evitare un ulteriore restringimento della sezione viva verso fiume, ma si vegga modo di nuovamente ridurre a golenali quei tratti d’argine che, quantunque trasformati in Argini Maestri, non furono dichiarati di 2a categoria.” .
Gli argini maestri attuali del Po sono stati realizzati, in sagoma ed in quota dopo la piena del 1951 e si sono mostrati sufficienti anche per la piena dell’ottobre 2000 che è la nuova piena storica.

 
 

#     2.2.    I Muraglioni del Tevere a Roma2.2. I Muraglioni del Tevere a Roma

Come un segno del destino, il 28 dicembre 1870, poco più di due mesi dopo la breccia di Porta Pia, Roma subì una grande inondazione da 17,22 metri: la maggiore dal 1637. Secondo alcuni studiosi, se nel frattempo il bacino del Tevere non fosse stato ridotto in favore di quello dell’Arno, la piena del 1870 avrebbe superato in intensità addirittura quella del 1598. L’impressione fu grande e di nuovo si pose mano a progetti di opere di difesa di Roma dalle piene. Il 1º gennaio 1871 fu istituita una commissione tecnica, che però rimase sostanzialmente inoperosa per mancanza di finanziamenti. La situazione si sbloccò per impulso di Giuseppe Garibaldi, che nel 1875 spinse il Parlamento a finanziare l’opera e simultaneamente presentò un progetto di deviazione del Tevere e dell’Aniene, che avrebbero dovuto aggirare Roma da est su un tracciato più o meno simile a quello dell’attuale cintura ferroviaria. Alla fine, prevalse il progetto di Raffaele Canevari di arginare il Tevere con gli alti muraglioni di travertino che vediamo ancora oggi.

 

I muraglioni avrebbero dovuto essere alti abbastanza da contenere una piena alta più di quella del 28 dicembre 1870 (18,45 m a Ripetta), avrebbero racchiuso un alveo largo 100 metri (alla base dei muraglioni) ed avrebbero ospitato gli attuali Lungotevere.
Sotto i Lungotevere furono previsti due grandi collettori, che avrebbero raccolto l’acqua di tutte le fognature che prima sboccavano direttamente nel fiume e l’avrebbero convogliata più a valle; in questo modo venne risolto per sempre il millenario problema dell’allagamento delle zone basse di Roma attraverso le cloache. Infine venne decisa una radicale sistemazione dell’alveo, con la rimozione di tutte le rovine, la ricostruzione di ponte Cestio, modifiche al ponte Sant'Angelo, la demolizione di due delle tre arcate superstiti di ponte Senatorio (da allora definitivamente “Rotto”) e la demolizione totale di tutto ciò che si trovasse sul tracciato dei muraglioni. In un primo tempo si pensò addirittura di sopprimere l’Isola Tiberina, facendo scorrere il fiume solo sotto ponte Cestio, ma il progetto venne modificato.
La realizzazione dei muraglioni, durata quasi mezzo secolo e terminata solo nel 1926, ha cambiato il volto di Roma, liberandola dalla piaga delle inondazioni. La grande piena del 17 dicembre 1937, paragonabile a quella del 1870, provocò soltanto modesti allagamenti, che peraltro non si sono mai più ripetuti. Roma ha ricompensato l’ingegner Canevari intitolandogli una stradina lungo la via Salaria, al confine con il comune di Monterotondo.

Foto 2: Costruzione dei Muraglioni a Roma
 
 
 

#2.3 La Galleria Adige - Garda2.3 La Galleria Adige - Garda

Dopo le grandi alluvioni della seconda parte del XIX secolo, l'ultima delle quali nel 1882, emerse in tutta la sua urgenza la necessità di difendere la città di Verona dalle piene del fiume Adige. Riprendendo un'idea già maturata nel Settecento, il Magistrato delle acque di Venezia propose di alleggerire la portata di piena dell'Adige mediante la costruzione di una galleria diversiva, per convogliare nel Lago di Garda parte della portata eccedente le capacità ricettive dell'alveo del fiume.

Foto 3. Galleria Adige-Garda - Opera di presa

L'estensione dello specchio lacustre, pari a circa 370 km², è tale da consentire la laminazione di ingenti volumi di deflusso con modesti aumenti del suo livello. La soluzione ritenuta più idonea fu quella di prevedere la galleria scolmatrice, con origine in sponda destra del fiume Adige, presso Ravazzone di Mori e con sbocco nel Lago di Garda a sud dell'abitato di Torbole, dove la profondità del lago è tale da poter ricevere senza danni il materiale solido eventualmente trasportato dalle acque. I lavori di costruzione iniziarono nel marzo del 1939, venendo sospesi per gli eventi bellici nel 1943, ripresi poi nel 1954 per finire nel maggio del 1959.
Durante la fase di maggior intensità dell'evento alluvionale del Novembre 1966 l'Ufficio del Genio Civile di Trento effettuò, attraverso lo scolmatore Adige-Garda  la diversione nel lago di Garda di parte delle portate di piena dell’Adige in transito a Mori.
L'apertura della galleria, avvenne alle ore 16,15 del giorno 4 novembre e la chiusura alle ore 14,30 del giorno successivo.
Le portate scaricate nel lago variarono da un minimo di 50 mc/sec, nella fase iniziale dell'apertura, ad un massimo di 500 mc/sec raggiunto alle ore 2 del 5 novembre.
L'utilizzazione della "Galleria Adige-Garda" fu determinante ai fini del contenimento della piena del tratto arginato di pianura del fiume Adige.
 Complessivamente fu scaricato nel lago un volume d'acqua di 64 milioni di mc con un aumento del livello del lago di 33 cm di cui solo 17,5 quale l'apporto delle acque di piena dell'Adige.
Durante lo scarico la quota dello specchio d'acqua si elevò da m 0,97 a m 1,30 sullo zero idrometrico di Peschiera (m 64,03), mentre in caso di emergenza essa può raggiungere m 1,40 senza alcun pericolo di allagamento per gli abitati rivieraschi.

 
 

#2.4	Lo scolmatore dell2.4 Lo scolmatore dell'Arno

Foto 4 Scolmatore Arno

Il canale scolmatore dell’Arno è un canale scolmatore del fiume Arno che parte a valle di Pontedera e termina nei pressi del Calambrone, al confine tra i comuni di Livorno e di Pisa.
Dopo l'inondazione del 1949, nel 1954 fu decisa la costruzione dello scolmatore dell'Arno per un costo di oltre 10 miliardi di lire del tempo. L'opera non era ancora completa per l'alluvione del 1966.
Lo scolmatore avrebbe dovuto avere una portata di 1.400 metri cubi al secondo, ma tale portata non fu mai raggiunta e attualmente, considerato il conseguente interramento, non può far defluire più di 400 metri cubi al secondo.
Nel canale confluiscono alcuni corsi d'acqua dell'entroterra pisano e livornese, come il torrente Tora (nelle vicinanze di Mortaiolo), il Fosso Reale e nell'ultimo tratto, poco prima di sfociare nel Mar Ligure, il Canale dei Navicelli.

 
 

#2.5	Le Casse di espansione  sul Panaro e Secchia2.5 Le Casse di espansione sul Panaro e Secchia

Le alluvioni della pianura modenese, dovute soprattutto a rotte e tracimazioni dei fiumi Secchia e Panaro, hanno interessato nel Novecento oltre 37.000 ettari di territorio. Al fine di limitare tali eventi  sono state realizzate casse di espansione delle piene che permettono di immagazzinare volumi e limitare i colmi di piena a valle.

 
 
 

Principali eventi alluvionali in Italia

Nel corso degli ultimi 100 anni il territorio nazionale è stato più volte colpito da eventi calamitosi, tra questi si ricordano:

 
               DATA
               LUOGO
               DINAMICA
1 Dicembre 1923
Torrente Povo in Val di Scalve (Bergamo)
Collasso parziale Diga Gleno.
22 ottobre 1951
Da Catanzaro a Reggio Calabria
Alluvione di torrenti che inondano vari centri del litorale ionico.
14 novembre 1951
Rovigo
Il fiume Po rompe gli argini.
26 ottobre 1954
Salerno e costiera Amalfitana
Esondazione di molti torrenti.
9 ottobre 1963
Longarone (Belluno)
Tracimazione diga Vajont.
4 novembre 1966
Firenze
Piena Arno.
2 novembre 1968
Biella, Asti
Il fiume Tanaro sommerge la periferia  di Asti, e Biella.

7, 8,  9 settembre 1970
Genova
Piena fiumi Leira, Polcevere e Bisagno.
19 luglio 1985
Val di Fiemme (Trentino Alto Adige)
Cede  un invaso di decantazione. La piena travolge i comuni di Stava e Prestavel.
18 luglio 1987
Morignone, S. Antonimo  (Lombardia)
Piena dell'Adda. Morignone e S. Antonio vengono cancellati  dalla frana del monte Coppetto.
2 settembre 1992
Genova
Piena torrente Leira.
6 novembre 1994
Piemonte (Cuneo, Asti, Alessandria)
Piena fiumi Tanaro, Covetta, Bovina.
5 maggio 1997
Sarno, Quindici (Campania)
Valanga di fango travolge Sarno e Quindici.
10 settembre 2000
Soverato (Calabria)
Esondazione torrente Beltrame.
13 - 16 ottobre 2000
Valle Aosta, Piemonte Liguria
Bacino Po e Liguria.
1 ottobre 2009
Messina e provincia
Piena torrenti e Frane.
30 ottobre 2010
Veneto
Esondazione Bacchiglione.
25 - 26 ottobre 2011
La Spezia
Piene dei Corsi Cinque Terre.
4 novembre 2011
Genova
Alluvione torrente Fereggiano.
18 novembre
Sardegna
Alluvione Olbia e Arzachena.
 

#3.1	Le Piene del Po3.1 Le Piene del Po

Il periodo in cui temere maggiormente il Po è compreso tra ottobre e novembre.
Il bacino idrografico Padano è caratterizzata da due massimi di precipitazione, uno primaverile e l'altro autunnale; è proprio in concomitanza di quest'ultimo in cui storicamente si sono verificati più frequentemente gli eventi estremiche hanno dato vita alle grandi piene del fiume.
Si ricordano dall’Unità d’Italia le piene del 1868, 1872,1907, 1914, 1917 , 1926, 1928, 1937 1947 e 1949 ; le piene maggiori dell’ultimo secolo si sono registrate nel 1951, nel 1994 e nell’anno 2000.

 

#3.1.1	L3.1.1 L'alluvione del 14 Novembre 1951

Foto 6: Piena del Po del 14 Novembre 1951 a Rovigo

Questo fu un evento traumatico che segnò le genti e le tenne lontane dalle loro case per mesi.  Le precipitazioni interessarono pressoché tutto il bacino del Po nel periodo precedente il14 Novembre , giorno in cui si è verificata l’altezza idrometrica massima a Pontelagoscuro di 4,80 m.  (valore estrapolato tenuto conto delle rotte); una rotta si sviluppò dal 14/11/1951 (giorno della "falla del Torrione" sull'argine del torrente Crostolo), successivamente vi fu una decisa ripresa delle precipitazioni, le quali produssero una seconda ondata di piena con la quota idrometrica di 6,80 m all'Idrometro di Boretto alle ore 22:00 del 23/11/1951.
Nei giorni del 12,13 e nelle prime ore del 14 novembre l’onda di piena transitò nel mantovano senza il verificarsi di irreparabili esondazioni, grazie anche alla tempestiva e massiccia realizzazione di interventi di contenimento, durante il passaggio della stessa tra le province di Ferrara, a sud, e Rovigo, a nord, avvenne l’irreparabile.
L'alluvione del Polesine del novembre 1951 fu un evento catastrofico che colpì gran parte del territorio della provincia di Rovigo e parte di quello della provincia di Venezia (Cavarzerano), causando 84 vittime e più di 180.000 senzatetto, con molte conseguenze sociali ed economiche.

 
 

#3.1.2	La piena del 9 Novembre 19943.1.2 La piena del 9 Novembre 1994

Dall'alluvione del 1951 altre piene interessarono il bacino del Po, ma solo nel Novembre 1994 il grande fiume nuovamente si gonfiò oltre la quota di 8 m all'idrometro di Boretto.
Nei primi giorni di Novembre di quell'anno, un forte anticiclone si formò sulla regione scandinava e provocò la genesi di una saccatura con depressione sul Mediterraneo.
Una situazione poco evolutiva, con le correnti sciroccali cariche di umidità e l'orografia ad incentivare le precipitazioni.
Le precipitazioni furono particolarmente abbondanti sul bacino occidentale del Po, mentre per quanto riguarda l'Emilia Romagna, queste furono piuttosto contenute.
Questa fu un'importante differenza con l'episodio del 1951 e gli argini poterono affrontare l'onda di piena.
Nel frattempo l'acqua crebbe e pur sapendo che gli argini furono alzati di ben un metro dal 1951 nei punti più critici, il timore dei fontanazzi, piccole infiltrazioni che se non rapidamente tamponate possono minare la stabilità dell'argine, fu più vivo che mai.
In ogni modo la proiezione dei profili di piena diedero la probabilità di quote similari a quelle dal 1951 , fu pertanto emesso un appello dalla protezione civile alla popolazione, in cui si chiese l'aiuto per il rinforzo degli argini con sacchetti di sabbia, nonché per la sorveglianza contro i fontanazzi.
Dopo una preoccupata attesa arrivò l'onda di piena, un onda non con un elevato picco (grazie alla laminazione dovuta all'allagamento delle golene del fiume) ma molto lunga.
Nelle ore antelucane del 9 Novembre 1994 venne raggiunto il colmo della piena all'Idrometro di Boretto, il quale segnò 8.43 m sopra lo zero idrometrico. Tutto parve sotto controllo, ma poche ore dopo cedette, per quanto difeso, l'argine di protezione della piccola frazione brescellese (dentro golena) di Ghiarole.
A parte la sventura di Ghiarole, la piena venne controllata con margini di relativa tranquillità ed una volta passata, oltre al logico sollievo, vi fu la spinta per un nuovo riordino degli argini.
Difatti la presa d'atto del cambio negli anni della natura del regime pluviometrico (cioè episodi meno frequenti ma più intensi), suggerì di tutelarsi nell'evenienza di altri eventi simili.

 

#3.1.3	Anno 2000: la piena del secolo3.1.3 Anno 2000: la piena del secolo

Il giorno 11 Ottobre una profonda depressione (con minimo al suolo di 964 h Pa) si attestò sul Regno Unito e a causa della sua grande estensione meridiana, iniziò ad interessare il Nord-Ovest d'Italia con il bordo orientale della saccatura.
Nel corso della giornata un sistema frontale annesso alla depressione abbordò le Alpi, generando l'inizio delle precipitazioni.
L'affondo del fronte produsse una discesa d'aria fredda sulla Spagna e, come reazione, la nascita di un robusto promontorio anticiclonico sull'Europa orientale.
Il promontorio promosse un'intensificazione del flusso caldo umido verso l'Italia e impedì l'evoluzione verso Est del sistema, così si innescò una situazione di stallo.
Il giorno 13/10 si ebbe un calo pressorio sul mediterraneo occidentale ed un ulteriore rinforzo del promontorio anticiclonico. L'effetto netto fu di un'ulteriore rinforzo delle correnti sciroccali dovuto all'aumentato gradiente barico (e termico).
Il mare Mediterraneo ancora caldo (temperature prossime ai 24 °C sulle coste Africane e circa 20°C sul Mar Ligure), trasferì alla massa d'aria calda un'enorme quantità d'umidità. L'evidente innalzamento dello zero termico da circa 2900 m a 3500 m fu un segnale inequivocabile dell'evolvere della situazione.
Sul Piemonte si ebbero precipitazioni con valori medi prossimi a 20 mm/h e punte sino a circa 40 mm/h.
Il giorno seguente le pesanti precipitazioni non diedero tregua poiché, dopo il colmamento del succitato minimo di pressione, un nuovo minimo si formò sul Nord Africa e mosse verso Nord.
Si attestò al largo della Francia e li subì un rapido approfondimento, rimanendo di poco sopra i 1000 h Pa.
In seguito la depressione continuò la sua corsa verso Nord  in direzione del confine Spagnolo e questo favorì l'arrivo di aria più fredda sul Nord Italia. Si innescarono fenomeni temporaleschi anche intensi, ma le precipitazioni assunsero carattere più irregolare, pur realizzando punte prossime ai 30 mm/h, e l'umidità dell'aria calò sensibilmente.
Il 16/10 la situazione migliorò ulteriormente.
Nell’evento si sono avuti valori cumulati con valori sul Piemonte che toccarono i 250 e aree con picchi che sfiorarono la soglia dei 600mm.
La portata misurata a Torino del Po risultò circa doppia rispetto a quella del 1994.
Il livello del Po salì inesorabilmente e con esso anche la paura nelle genti della bassa.
A distanza di pochi anni ecco realizzarsi un nuovo e più grave pericolo e per quanto le notizie diffuse fossero pacate, in realtà trasudarono la verità,ovvero che ci si sarebbe trovati a gestire un evento di cui nessuno avesse memoria.
Il 19 Ottobre venne registrato il colmo dell'onda di piena tra le 9 e 10 di mattina con 9.06 m sullo zero idrometrico dell'idrometro di Boretto.
Dunque la piena passò nel reggiano e si propagò verso il Polesine portando conse il carico di paure. In particolare il ponte ferroviario di Pontelagoscuro venne sollevato di circa 30 cm. attraverso 8 martinetti idraulici con una portata di 120 tonnellate cadauno, che innalzarono la campata centrale  essendoci il timore che il ponte potesse essere travolto dalla piena e causare un "effetto tappo"con ostruzione al deflusso.

 

#3.2	Le Piene del Tevere 3.2 Le Piene del Tevere

Le principali piene che hanno interessato il fiume Tevere dopo l’Unità d’Italia si sono verificate nel 1870, nel 1900, nel 1915, nel 1928, nel 1937 e nel 1965.
In seguito alla grande inondazione di Roma del 29 dicembre 1870 (con una portata al colmo stimata in circa 3300 m3/s) fu istituito ad opera del Ministero dei Lavori Pubblici un servizio di piena per misurare i livelli di piena nella città di Roma e a valle della stessa, in un certo numero di idrometri disposti nei ponti più importanti; tra questi vi era ovviamente anche l’idrometro di Ripetta, installato già dal 1821 che fu poi sostituito durante la costruzione dei muraglioni nel 1893 da quello tuttora esistente situato in riva sinistra sui gradini subito a monte di Ponte Cavour.
I maggiori mutamenti all’interno del bacino avvenuti nel periodo 1871-1920 riguardano la città di Roma. Infatti nel periodo 1880 – 1890 sono stati costruiti i “muraglioni” nel tratto tra ponte Margherita e ponte Palatino, che sono stati poi completati in tutto il tratto urbano nel 1925; mentre contemporaneamente tra il 1870 e il 1890 venivano realizzati i due grandi collettori fognari paralleli al corso del Tevere in destra e in sinistra idrografica per lo smaltimento delle acque reflue. I due collettori scaricando nel Tevere all’altezza dell’attuale Grande Raccordo Anulare a sud di Roma, hanno definitivamente risolto il problema degli allagamenti della città per rigurgito dalle fogne.
In particolare per la piena del 29 dicembre 1870 è stata calcolata una portata al colmo di circa 3300 m3/s, per la piena 2 dicembre 1900 una portata al colmo di circa 3100 m3/s ed infine per la piena del 15 febbraio 1915 una portata al colmo di circa 2900 m3/s.
La maggiore piena dell’ultimo secolo a Roma risale al dicembre 1937 con un’altezza idrometrica a Ripetta di 16,84 m, a cui corrisponde una portata al colmo di circa 2750 m3/s; in tale evento comunque si sono avuti soltanto limitati allagamenti in alcuni punti della città (come a monte di Ponte Milvio, all’isola Tiberina e nel Lungotevere Ripa all’altezza del San Michele).
Tra le piene recenti quella del settembre 1965 è l’unica che ha superato la portata“naturale” di 2000 m3/s.
Dalla piena del 1937  le “difese” di Roma sono migliorate soprattutto per la costruzione del drizzagno di Spinaceto nel 1940 ,dalla costruzione delle dighe di San Liberato sul fiume Nera nel 1953, di Posticciola sul fiume Salto nel 1940, del Turano sull’omonimo fiume nel 1940 e in particolare dalla costruzione del serbatoio di Corbara ultimato nel 1963 che ha un notevole effetto di laminazione delle piene di tutto l’alto bacino umbro-toscano.
La costruzione delle altre dighe di Alviano nel 1964 , di Montedoglio nel 1992 e la diga di Casanuova sul fiume Chiascio nel 1992 hanno contribuito sempre più alla laminazione delle piene sull’asta principale del fiume Tevere.

 
Foto 7: Piena del Tevere a Roma del 17 Dicembre 1937
 
 

#3.3	La Piena dell’Arno del 4 Novembre 19663.3 La Piena dell’Arno del 4 Novembre 1966

Gli ultimi giorni di ottobre ed i primi del novembre 1966 erano stati caratterizzati da violente ed intense precipitazioni, interrotte solo da brevi schiarite nel giorno di Ognissanti. Le piogge erano aumentate di intensità nella giornata del 3 novembre; si calcola che la quantità d'acqua caduta nelle 24 ore fra il 3 e il 4 novembre fu di circa 180/200 mm sull’intero bacino idrografico.
Alla piena dell’Arno contribuirono con deflussi eccezionali tutti i vari affluenti; in particolare tra gli apporti più cospicui si ricordano quelli della Sieve, dell’Elsa e dell’Era. Quella avvenuta tra il 3 e il 4 Novembre fu la più spaventosa e terribile di tutte le alluvioni dell’Arno e  colpì non solo il centro storico della città ma tutto il bacino a monte ed a valle della città. Esondazioni si verificarono a Firenze e nei centri di Montevarchi, Incisa, Signa, Empoli; le campagne furono allagate per giorni dopo il disastro e molti comuni minori isolati e danneggiati gravemente. Nell'alluvione del 4 novembre1966 il livello dell'Arno raggiunse all’idrometro di Acciaioli 8,57 mt superiore di 1,61 mt a quella massima registrata nel 1944.
A Firenze e nei dintorni ci si preparava a trascorrere in casa il 4 novembre, Anniversario della Vittoria nella Grande Guerra, allora festa nazionale. Le vittime dell'alluvione furono relativamente poche anche per questa casualità: nessuno può dire cosa sarebbe accaduto se le acque avessero sorpreso i fiorentini che andavano al lavoro o i contadini all'opera nei campi in un giorno feriale.

Foto 8: Alluvione di Firenze del 4 Novembre 1966
 

Come risulta evidente dalla tabella sopra riportata gli eventi si presentano con maggior frequenza nella stagione autunnale quandole depressioni provenienti da occidente o dalle coste africane sicaricano di umidità al contatto con le acque calde del Mediterraneo.
Queste masse d’aria calde ed umide incontrando catene montuose continue come gli Appennini ole Alpi sono costrette a salire di quota; la ascesa forzata determina il raffreddamento per espansione, condizioni favorevoli per raggiungere la saturazione e la condensazione in nubi con precipitazione intensa del vapore saturo. Inoltre conl’inizio della stagione autunnale queste masse d’aria caldo umida possono venire a contatto con fronti freddi che anch’essi determinano l’ascesa forzata in blocco della massa d’aria calda con il raffreddamento e la conseguente condensazione del vapore.
In particolare temperature superficiali del mare particolarmente elevate e che si protraggono anche nei mesi di Settembre e Ottobre sono da temere quale preludi o di eventi di precipitazione eccezionali nella stagione autunnale.

 

#Gestione del territorioGestione del territorio

Oggi grazie a sistemi di monitoraggio sempre più precisi e di tecnologia avanzata e grazie a sistemi di comunicazione telematica sempre più efficienti e distribuiti è possibile acquisire informazioni in tempo reale sui fenomeni meteorologici e idrologici che si verificano sul nostro territorio e attuare la prevenzione attiva attraverso piani di emergenza.
Peraltro è da evidenziare che tali sistemi di monitoraggio mentre hanno una efficacia sui bacini idrografici medio-grandi superiori ai 1000 Kmq (Po, Tevere , Adige,Arno) dove il tempo di corrivazionedell’evento di piena permette l’allertamento degli organi di protezione civile, non sono altrettanto validi nei bacini medio-piccoli dove i tempi di attivazione dell’allerta sono superiori a quelli dei fenomeni naturali.
Questo fatto risulta anche evidente dal maggior numero di vittimeche si verifica per eventi concentrati in piccoli bacini dove è impossibile effettuare un corretto sistema di allertamento.
In tali casi e necessario poter contare anche sullaprevisione meteorologica-quantitativa con almeno 6-12 ore di preannuncio, su piani di emergenza efficienti e collaudati e su idonee opere di difesa idraulica passiva quali difese arginali e/o casse d’espansione e aree golenali destinate alla esondazione controllata e/o sbarramenti con capacità per la laminazione delle piene.
La conoscenza meteo-idrologica è fondamentale per lo studio della evoluzione di un evento di piena ma sicuramente non è sufficiente in quanto la risposta del territorio è una variabile dipendente da molteplici fattori e il più delle volte a caratteristiche di afflusso simili si hanno risposte di deflusso completamente differenti.
Tali differenze sulla risposta sono imputabili in parte a fattori naturali (caratteristiche geolitologiche dei suoli, permeabilità del terreno) e in parte alla antropizzazione del territorio, all’uso del suolo, alla realizzazione di opere idrauliche che influenzano il deflusso (canali diversivi, dighe) e in particolare allo stato di manutenzione dei corsi d’acqua.
Negli ultimi anni si è assistito a un abbandono dei territori di collina, ad una sempre minore manutenzione e pulizia dei corsi d’acqua, ad una sempre maggiore urbanizzazione e cementificazione dei suoli e allapresenza di strutture abusive anche non permanenti in aree destinate alla libera esondazione dei corsi d’acqua.
Negli ultimi eventi calamitosi che hanno colpito il nostro Paese in molti casi si è avuta la formazione lungo l’alveo di sbarramenti temporanei dovuti al trascinamento distrutture, di alberi secchi, di baracche presenti nelle aree destinate alla libera esondazione che trasportati dalla piena in alveo hanno determinato la formazione di tappi e di invasi temporanei in corrispondenza di pontidove la occlusione è facilitata dalla ridotta sezione.
Questi invasie/o laghi temporanei, a seguito del successivo e improvviso cedimento della struttura di contenimento, provocano la formazione di onde di piena artificiali non prevedibili da alcun modello idrologico afflussi-deflussi con picchi di piena eccezionali non compatibili né con le precipitazioni né con le caratteristichefisiche del bacino idrografico.
E’ quindi fondamentale che le risorse economiche disponibili per la difesa del suolo vengano destinate in primo luogo alla manutenzione delle opere idrauliche esistenti, alla corretta manutenzione e pulizia dei corsi d’acqua perassicurare le condizioni naturali per il deflusso delle piene; è inoltre auspicabile che vengano salvaguardate le aree per la libera esondazione dei corsi d’acqua e in tali aree non venga autorizzata la realizzazione di manufatti neanche temporanei.
Da una indagine condotta nel 2003 dal Commissario europeo per la Ricerca Philippe Busquin è risultato che l’Italia si colloca al primo posto per il numero diinondazioni e delle alluvioni in Europa.
Negli ultimi dieci anni l'Unione Europea ha lanciato circa 50 progetti di ricerca in questo campo spendendo 58 milioni di euro.
Da questa indagine risulta che l’Italia è un Paese particolarmente esposto al rischio alluvioni e quindi è necessario mantenere alto il livello di attenzione sull’uso del territorio, sulla manutenzione dei corsi d’acqua edelle opere idrauliche; inoltre rimane assolutamente necessaria la conoscenza storica dei fenomeni di piena verificatasi nel passato e in tal senso è necessario dare continuità al lavoro di rilevamento e pubblicazione di dati, memorie sulle piene e sulle alluvioni e mantenere efficienti e funzionanti le reti di rilevamento al fine di non disperdere quel grande patrimonio di cui primo artefice è stato il Servizio Idrografico Nazionale
Il territorio ha caratteri di dinamicità che impongono un continuo aggiornamento dei quadri diagnostici e previsionali anche rispetto al rischio idraulico. Diventa quindi essenziale ancorare il governo delle acque da un lato ad una adeguata "cultura del dato idrologico" e dall’altro a norme e prescrizioni di tipo pianificatorio in grado di orientare gli interventi sul territorio in "modo virtuoso" e superare la logica dell’intervento di emergenza per affrontare le cause che possono determinare queste situazioni.