Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

TECNOLOGIA 
NATURA E CULTURA: NON REALTÀ CONTRAPPOSTE, MA COMPONENTI DI UNA ECOLOGIA GENERALIZZATA
11/03/2015
di Marco Imperi, Sociologo - ENEA Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile 


Natura e Cultura: non realtà contrapposte, ma componenti di una ecologia generalizzata

In questo scorcio di inizio XXI secolo si è andata sempre più affermando nella coscienza anche dei comuni cittadini la consapevolezza che un rapporto più equilibrato (sostenibile) con il mondo della natura genericamente inteso costituisce una condizione imprescindibile per l’esistenza umana. Anzi, nelle sue estreme implicazioni, per l’esistenza stessa del genere umano.
A dirla così, sembra una evidente banalità.
Ma non è sempre stato così.
Al convincimento che Uomo ed Ambiente non possono essere entità distinte e contrapposte, che il territorio, l’ambiente naturale che lo costituisce e perfino il paesaggio non possano essere considerati qualcosa di esterno ed estraneo all’uomo ed al suo sviluppo non solo materiale, ma anche sociale e culturale, alla convinzione che non possano essere considerati qualcosa di statico, di immutabile,
inesauribile e con i quali non c’è alcuna necessità di entrare in una relazione consapevole, gli esseri umani nostri contemporanei sono arrivati molto lentamente, attraverso un lentissimo, faticoso e problematico processo di interiorizzazione il cui risultato può in realtà considerarsi una ri-conquista piuttosto che una conquista.
Al proposito vale la pena sottolineare che si tratta di una ri-conquista e non di una “scoperta” tutta originale del pensiero ecologista umano contemporaneo perché la ricerca di un equilibrio “sostenibile” ed il mantenimento di un rapporto rispettoso con l’ambiente naturale era già predicato e praticato dalle comunità monastiche di antica ascendenza benedettina lungo tutto il corso del medioevo!
Solo per fare un esempio tra i tanti che sarebbe possibile fare, ricordiamo che la cura e la salvaguardia del bosco, inteso come un habitat unicum, erano già contenuti, nella forma di un codice organicamente strutturato, all’interno della regola benedettina riformata che S. Romualdo, monaco ed asceta ravennate, pose nel 1013 a fondamento del ramo camaldolese all’interno della grande tradizione monastica benedettina, all’atto stesso di fondazione dell’omonimo monastero sulle montagne delle foreste Casentinesi. Questo codice, opera della sapienza dei monaci camaldolesi, ancora oggi racconta della grande conoscenza delle foreste di abeti e faggi presenti sulla dorsale tosco-emiliana dell’Appennino, ma soprattutto ancora insegna, dopo più di mille anni, non solo a rispettarle, ma a “sfruttarle” senza deturparle!

Eremo di Camaldoli e Foresta casentinese

Secondo il giudizio di studiosi dell’Osservatorio Foreste dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria che, dopo anni di ricerche, hanno presentato nel 2010 una edizione critica de Il Codice forestale camaldolese, quest’ultimo “non ha rappresentato soltanto la sintonia tra ricerca spirituale e cura della foresta, ma ha costituito una complessa serie di norme e disposizioni con le quali, per secoli, i monaci camaldolesi hanno gestito e tutelato le loro foreste”.
A tal punto, si potrebbe aggiungere, che alcune pagine sembrano essere scritte da ecologisti contemporanei tanto sono attuali, in modo così sorprendente e straordinario da poter essere ancora oggi studiato per pianificare la gestione del territorio “con grandissima cura et diligentia…” ad evitare “che i boschi non siano scemati, né diminuiti in niun modo, ma piuttosto allargati et accresciuti…” come ribadivano i monaci ancora nel 1520!
E’ dunque in questo preciso senso che la riflessione critica su un equilibrio sostenibile tra comunità umane ed ambiente naturale va considerata una “ri-conquista” da operarsi all’insegna di una modernissima morale rinnovata, nel senso di non dover essere più vincolata, per esprimere in tutte le sue implicazioni il senso di reciproca appartenenza dell’essere umano e dell’ambiente naturale in cui egli vive, ad una istanza religiosa sostenuta da una regola, ma dalla piena consapevolezza ed interiorizzazione da parte di singoli esseri umani e di intere comunità umane dell’importanza vitale di un uso “sostenibile” del territorio sia in relazione alle attività produttive che alla propria vita.

 
 

Sociologia e Ambiente

La riflessione sociologica sul rapporto uomo/ambiente per l’appunto, ha attraversato, possiamo anche dire molto faticosamente, fasi distinte.
In una prima fase, le cui origini si perdono indietro nel tempo confondendosi con le origini stesse del pensiero sociale, si è ragionato pressoché esclusivamente dell’influenza che i fattori legati alle caratteristiche dell’ambiente naturale sembravano avere sui più diversi fenomeni di coesistenza umana.

l’antropogeografia studia la distribuzione e lo sviluppo socio-economico dell'uomo in rapporto all'ambiente.

Solo a partire dalla metà del XIX secolo, di pari passo con lo sviluppo della scienza positivista, i primi antropogeografi (non è una brutta parola...),
utilizzando variabili come l’altitudine, la temperatura media, le precipitazioni medie annue, il tipo e l’andamento dei raccolti, le caratteristiche di flora e fauna, rilevate statisticamente, tentarono di scoprire una possibile correlazione, positiva o negativa che fosse, con il grado di sviluppo economico e sociale dei gruppi umani, tuttavia ancora còlto nelle sue dimensioni puramente materiali come la distribuzione e la densità della popolazione, la ripartizione delle razze umane, la diversità nelle colture, la diversità dei regimi di alimentazione e così via.
Solo in una seconda fase, o per meglio dire, in una fase molto avanzata del precedente approccio scientista, lo studio delle (allora ritenute soltanto possibili) influenze tra l’ambiente naturale e l’uomo cominciò ad essere proposto in una prospettiva completamente rovesciata rispetto alla precedente: più che all’influenza e al condizionamento che l’ambiente naturale sembrava avere sulle società umane, si cominciarono a studiare (quindi si cominciò a prenderne consapevolezza) gli effetti che un certo tipo di sviluppo delle società umane, quello industriale, poteva avere sull’ambiente naturale prendendo, diremmo finalmente, in esame l’impatto macroscopico delle moderne società umane sull’ambiente stesso sotto la forma di disboscamenti, estensione ed espansione delle terre coltivate, attività estrattive minerarie, costruzione di grandi vie di comunicazione terrestre, sbancamenti costieri, bonifiche territoriali e perfino della caccia o dell’addomesticamento di animali ecc.
Una terza o, se vogliamo, semplicemente l’ultima in ordine di tempo fase della riflessione sul rapporto tra società ed ambiente naturale, si sta invece svolgendo sotto il segno dell’ecologìa, cioè dello studio dei complessi rapporti che mettono in collegamento tra loro tutti i sistemi organici viventi, animali e vegetali, entro la biosfera (ecosistema). In un primo momento, situabile grosso modo nell’arco temporale degli ultimi 30 anni del XX secolo, ciò è avvenuto focalizzando l’attenzione su alcuni macroscopici aspetti del rapporto comunità umane/ambiente: da un lato fattori culturali veri e propri, come l’”ideologia di rapina” (la credenza cioè che le risorse naturali - acqua, aria, spazio - fossero infinite), dall’altro più specifici fattori strumentali allo sviluppo economico, come lo sviluppo del sistema industriale e perfino le esigenze della geopolitica.
E’ soltanto negli ultimi decenni, in particolare proprio in questo scorcio di inizio del XXI secolo, che il concetto di ambiente naturale è stato collegato piuttosto, nell’uso corrente come in quello degli esperti, a fenomeni critici di assai vasta portata come l’inquinamento, la sovrappopolazione, la carenza di risorse del pianeta, la mutata percezione del rischio tecnologico, i cambiamenti climatici ed altro ancora.
A questi suoi inizi, intorno agli ultimi anni del XX secolo, la teoria sociale dell’ambiente è quindi una teoria della crisi ambientale, costretta cioè, di fronte alle emergenze imposte dalla crisi ambientale nonché dall’affermarsi dell’ecologismo come movimento sociale sempre più esteso, a produrre un processo di ricostruzione teorica fondato su un cambiamento di paradigma, indispensabile per ripensare i rapporti dialettici tra società ed ambiente naturale.
L’interesse per l’ambiente, i suoi temi ed i suoi problemi nelle società avanzate (diremmo post-moderne) è cresciuto sensibilmente. Sono anche sorti movimenti sociali ed associazioni ecologiste che rivendicano la tutela delle risorse naturali e dei paesaggi come una delle vie qualificanti verso un possibile ulteriore sviluppo della società, sono stati predisposti vincoli legislativi (un esempio fra mille la riduzione/eliminazione dei gas CFC, HCFC e alcuni HFC, gas refrigeranti fluorurati che costituiscono la maggior parte dei fluidi utilizzati nelle applicazioni di refrigerazione e condizionamento dell’industria per contrastare l’ampliarsi del buco dell’ozono) e nuovi comportamenti collettivi stanno sviluppandosi un po’ ovunque per ridurre il degrado ambientale. La lotta allo smaltimento illecito ed indiscriminato dei rifiuti è stata potenziata, implementate le azioni di tutela e salvaguardia della biodiversità animale e vegetale.

 
 

Una definizione sociologica del concetto di ambiente

Ma al di là di tutti gli innumerevoli episodi specifici che attestano questa mutata ed enormemente accresciuta sensibilità ambientale, questo ripensamento ha preso le mosse da una radicale ri-definizione del concetto stesso di ambiente e di come esso possa ancora considerarsi un concetto di interesse sociologico.
Se si confronta la primigenia definizione sociale di ambiente: “l’ambiente naturale può essere definito come l’insieme dei fattori fisici, chimici e biologici da cui dipende l’esistenza dell’uomo in quanto organismo terrestre” con i tentativi di più avanzate definizioni prodotte a partire dagli anni ’90 del XX secolo, si percepisce il balzo in avanti concettuale che ha portato a definire l’ambiente, anche in ambito sociologico, in modo più ampio e globale, sinteticamente potremmo dire olistico, tale cioè da includere sia fenomeni fisici che aspetti funzionali e come tale da considerare anche in rapporto alla società.
Secondo lo studioso italiano Raimondo Strassoldo in generale l’ambiente può essere definito come “ciò che sta o va intorno, ciò di cui si è in mezzo” riconoscendo che, in effetti, quando si parla di ambiente si fa riferimento ad una nozione multidimensionale, caratterizzata per un’ampia polisemìa che porta inevitabilmente ad un certo imbarazzo interpretativo. Ne risulta quindi la necessità di individuare almeno 3 sorte di categorie ambientali: un ambiente naturale, un ambiente modificato ed un ambiente costruito. Lo Strassoldo riassume così in queste tre categorie intravedendo la possibilità di concettualizzare l’ambiente come l’insieme degli elementi bio-fisici (che siano naturali o costruiti) dell’intero sistema sociale.
Un approccio alla considerazione sociologica dell’ambiente molto più ampio e coinvolgente (olistico) dei precedenti, non è vero?

 

Verso una ecologìa generalizzata

La versione più avanzata e moderna di questa concettualizzazione, ovvero una interpretazione ulteriore della  nozione di ambiente, che ingloba le diverse dimensioni individuate sin qui, è una interpretazione ispirata ad approcci di tipo sistemico in cui l’ambiente è pensato come un sistema globale, costituito dall’intreccio di una serie di sottosistemi in interazione reciproca che costituiscono i presupposti e le determinanti anche dell’interazione sociale.
In questo senso, dalla fine del XX secolo ha cominciato ad affermarsi il concetto di una ecologìa generalizzata (Edgar Morin), fondata sul postulato della reciprocità delle relazioni natura/società. Lo studioso citato ha avviato l’idea di considerare l’ecosistema come una vera e propria “organizzazione” e non come un puro e semplice serbatoio di energia a buon mercato per i sistemi umani. La percezione della relazione uomo/ambiente da lui proposta è stata la prima a rinviare ad un’idea di equilibrio tra mondo naturale e mondo sociale. In questo equilibrio, il sociologo francese fu tra i primi a riconoscere alla natura un potere di interazione ed invitare perciò a non sottovalutare l’effetto di retroazione che il suo asservimento da parte dell’uomo produce sull’uomo stesso: il proprio asservimento!
Alla fin fine, lungo questo tormentato percorso, la teoria sociale dell’ambiente ha finito col diventare “quel complesso organico di proposte riguardanti la relazione di crisi che si è stabilita tra l’ambiente naturale e le società umane, tra natura e cultura” (Fulvio Beato 1998). Quindi una proposta per un ri-conquistato equilibrio eco-sostenibile, proprio come ricordavamo all’inizio, dettata dalla consapevolezza che il risultato delle azioni umane nello spazio e nel territorio sono in grado di porre seri problemi di sopravvivenza e pericolosità. Per questo l’accento è stato posto sulla reciprocità tra ambiente e società, a tutti i livelli di analisi. Paradossalmente proprio nelle società industriali avanzate la natura e l’ambiente fisico sono stati a tal punto “modellati” ai fini della società da aver prodotto una forma di dipendenza secondaria per la quale l’ecosistema non si preserva se non per opera dell’uomo stesso!
Natura e mondo sociale sono perciò coesistenti ed interdipendenti anche se siamo portati a pensarli come realtà separate.
Se, come abbiamo visto, la visione dualistica del mondo, che vedeva contrapporsi la Natura alla Cultura, ha radici molto lontane nel pensiero scientifico occidentale, in tutti i casi il mondo naturale ha fatto da specchio alla ricerca scientifica anche nel settore delle scienze dell’uomo, tanto che oggi si ritiene del tutto superata e riduttiva la disgiunzione radicale fra la natura  il mondo socio-culturale e si propende per una nuova visione pluralistica, che consideri i due poli in continuità evolutiva e in reciproco collegamento.
Questa prospettiva olistica, appunto, dovrebbe finalmente condurre a rigettare definitivamente l’idea di natura come campo di dominio e di sfruttamento dell’uomo per restituire ad essa un valore intrinseco.