Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

STORIA 
“ARCHEOLOGIA FORESTALE” NEI BOSCHI DELLE ALPI
10/02/2025

di Gianpiero ANDREATTA
Generale di Brigata CC RFI- Comandante Scuola Forestale Carabinieri


Nel corso degli ultimi decenni, in particolar modo a partire dagli anni seguenti il secondo conflitto bellico mondiale, nel nostro Paese le modalità di esecuzione di molti interventi selvicolturali sono profondamente cambiate. In determinati contesti delle foreste alpine è comunque ancora possibile notare i ‘segni’ che hanno caratterizzato per secoli particolari tipologie di operazioni e lavorazioni condotte in bosco. Nel presente lavoro si fa riferimento alle testimonianze di due attività legate al passato, le quali nel corso del tempo si sono fortemente rarefatte e in determinati ambiti sono del tutto scomparse. Si tratta in particolare dei segni del ‘raschietto/graffietto forestale’ riportati prevalentemente sulla corteccia dell’abete rosso, effettuati a seguito della esecuzione delle operazioni di cavallettamento totale del soprassuolo boschivo e dei fori per l’estrazione della resina realizzati alla base dei tronchi dalle piante di larice. Queste ‘impronte antropiche’ sugli alberi dei boschi delle Alpi rappresentano delle testimonianze che a ragione possono venir considerate far parte di una recente “archeologia forestale”.

Over the last few decades, expecially since the years following the second world war, in our country the methods of carrying out many silvicultural interventions have changed profoundly. In certain contexts of the alpine forests it is however still possible to notice ‘sings’ that have characterized for centuries particular types of operations and works carried out in the forest. In this work we refer to the evidence of two activities linked to the past, which over time have become greatly rarefied and in certain areas have completely disappeared. In particular these are sings of the ‘forest craped/scribe’ reported mainly on the bark of the spruce, made following the execution of the total treelisting operations of the forest topsoil and the holes for the extraction of resin made at the base of the trunks of larch plants. These anthropic footprints on the trees of the alpine forests represent evidence that can rightly be considered part of “recent forest archeology”.


Introduzione

Nel corso del tempo, le modalità di esecuzione degli interventi selvicolturali e di quelli connessi alla gestione dei popolamenti forestali del nostro Paese sono profondamente mutate. Focalizzando l’attenzione sulle foreste alpine, gestite nella pressoché totalità della loro estensione attraverso la forma di governo ad altofusto (tranne qualche realtà, in particolar modo nelle Prealpi, governata a ceduo), si può evidenziare – in considerazione anche del fatto che nelle Alpi non si riscontrano estesi contesti di soprassuoli forestali in condizioni di abbandono – come la maggior differenza rispetto a un passato durato secoli sia rappresentata dalla cessazione dell’esecuzione dei tagli a raso su ampie superfici all’interno delle fustaie coetanee. Com’è ben noto dallo studio della selvicoltura, i boschi governati ad altofusto, puri o in composizione mista, vengono gestiti attraverso le modalità di trattamento a taglio raso o a tagli successivi, se coetanei, oppure attraverso il trattamento a taglio saltuario, se disetanei. Come in precedenza accennato, il taglio raso su ampie superfici non viene più attuato quale modalità di trattamento ed è stato sostituito nel tempo da differenti tipologie di intervento quali – per citarne alcune tra le più praticate –  i tagli marginali, i tagli a buche, i tagli a strisce. Questa evoluzione rappresenta comunque una continuità con le epoche trascorse.

Esistono invece delle realtà collegate alla gestione delle formazioni forestali alpine che rappresentano testimonianze legate a un passato che ha interrotto la sua continuità con il presente a seguito di variazioni e/o cambiamenti intervenuti nel tempo.

I ‘segni’ del cavallettamento totale

Una persona che frequenti i boschi alpini – in particolar modo quelli coetanei tendenzialmente puri di conifere, in gran parte di abete rosso (Picea abies Karst.), i quali costituiscono la maggior parte dei soprassuoli forestali delle Alpi – può essere colpita nell’interesse dall’osservazione di particolari segni che in parte vanno a intaccare la corteccia degli alberi di abete rosso. Si tratta di uno o a volte più segni sul tronco, all’altezza di circa un metro e mezzo da terra e presenti sempre e solamente nella parte del fusto rivolta ‘a monte’.

Questi segni, un tempo frequenti e che ora stanno via via scomparendo, rappresentano la testimonianza di un’attività del passato, la quale per un lungo periodo ha costituito l’unica modalità attraverso cui veniva determinata la massa legnosa presente all’interno della particella forestale, ovvero la superficie di soprassuolo che per caratteristiche di omogeneità costituisce l’unità territoriale di base per la gestione assestamentale dei complessi boscati; oltre alla massa legnosa venivano individuati altri importanti dati e parametri riguardanti il popolamento forestale, in primis il numero di alberi presenti e l’appartenenza a diverse specie.

FOTO 1
Foto 1: Segni del raschietto/graffietto sulla corteccia di un abete rosso: si può notare un segno più recente (con i margini più vicini tra loro) e uno più datato, il quale si riferisce a una precedente – 10 anni prima – operazione di cavallettamento totale. (Foto G. Andreatta)

Questa particolare attività era rappresentata da una specifica operazione tecnica che viene definita ‘cavallettamento totale’, la quale interessava tutti gli alberi presenti nella particella forestale. Nella pratica, il cavallettamento totale veniva effettuato da una ‘squadra’ di addetti, alcuni dei quali (di norma due o tre) misuravano il diametro di ogni singolo albero all’altezza di un metro e trenta dal terreno (misurato stando a monte) mediante un particolare strumento chiamato ‘cavalletto dendrometrico’ (essenzialmente un grosso calibro, un tempo di legno e nei tempi più recenti in alluminio) da cui la denominazione di ‘cavallettatori’ con la quale  venivano indicati gli operatori addetti al cavallettamento. Un altro componente della squadra annotava i dati che gli venivano comunicati dai cavallettatori su di uno specifico foglio, chiamato ‘tessera’ (da cui il nome di ‘capotessera’ riservato alla persona che registrava i dati), sul quale venivano annotati gli alberi censiti, prendendo nota della specie e della classe diametrica di appartenenza. In tal modo, al termine delle operazioni, si poteva avere l’esatta indicazione di quali e quanti fossero gli alberi presenti all’interno della particella forestale e quale fosse la rispettiva distribuzione in riferimento alle classi diametriche. Questi dati erano sufficienti per determinare la massa legnosa (definita ‘provvigione’) presente all’interno della particella forestale utilizzando a tal fine le ‘tavole di cubatura a una entrata’. Mediante la rilevazione di altri parametri (altezza di un determinato numero di piante) era possibile, in maniera maggiormente dettagliata, pervenire alla determinazione della massa legnosa della particella mediante l’impiego delle ‘tavole di cubatura a doppia entrata’.

Ad oggi, dopo una progressiva diminuzione dell’impiego della metodologia sopra descritta, questo tipo di misurazione di dettaglio dei popolamenti forestali – andato avanti per secoli – non è più in uso, a causa essenzialmente degli elevati costi della manodopera (cavallettatori e capotessera) impiegata nelle operazioni in bosco, le quali, su estese superfici, potevano durare anche per mesi. All’attualità, la determinazione dei parametri riguardanti la massa legnosa presente all’interno di un popolamento forestale viene effettuata attraverso metodi più speditivi, quali le aree di saggio oppure l’impiego delle tecnologie informatiche legate al telerilevamento. La ripetizione delle operazioni di cavallettamento a intervalli di tempo regolari – solitamente per la gestione assestamentale delle foreste alpine coetanee di abete rosso era di dieci anni – consentiva di conoscere e monitorare l’accrescimento (in massa legnosa) del soprassuolo boschivo e conseguentemente valutarne lo stato di salute ecologia e impostare le attività selvicolturali.Tornando all’ipotetica (ma molto spesso reale) persona che percorre ai giorni nostri le foreste alpine, come in precedenza accennato, la stessa può in qualche caso osservare sul tronco degli alberi di più grandi dimensioni dei particolari segni, i quali a un primo e sommario sguardo possono apparire come dei graffi o degli sfregi, oramai cicatrizzati da tempo.

Una più attenta e competente visione permette di evidenziare che in effetti si tratta di leggere incisioni sulla corteccia, le quali sono state operate mediante uno specifico attrezzo denominato ‘raschietto/graffietto forestale’ utilizzato dai cavallettatori per indicare l’avvenuta misurazione del diametro dell’albero in modo tale da non tornare a censire lo stesso una seconda volta nel corso della medesima operazione di rilevamento dendrometrico della particella forestale.


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Foto 2: Il ‘raschietto/graffietto forestale’, attrezzo utilizzato dai cavallettatori per indicare l’avvenuta misurazione del diametro dell’albero. Lunghezza totale dello strumento: 21 centimetri. (Foto: Archivio della Scuola Forestale Carabinieri – Cittaducale).

  

L’incisione veniva eseguita superficialmente, quasi sempre in senso obliquo rispetto alla verticalità del fusto per comodità di azione del cavallettatore nell’usare il raschietto/graffietto forestale: la corteccia dell’albero, crescendo, poco dopo faceva in parte non distinguere più nitidamente l’incisione, la quale si trasformava in una modificazione obliqua della scorza. Questi particolari ‘segni’ sono sempre più rari all’interno dei boschi in quanto – come sopra menzionato – la modalità del cavallettamento totale non viene oramai da anni più praticata. Inoltre, un ulteriore motivo della progressiva rarefazione della loro presenza è dovuta al fatto che quando un bosco viene tagliato, con esso scompaiono anche le tracce lasciate nel passato.

La Tempesta Vaia, dell’ottobre 2018, e i successivi attacchi di bostrico (Ips typographus L.) – coleottero che porta a morte gli alberi adulti di abete rosso – hanno notevolmente accelerato l’atterramento e l’abbattimento di molti soprassuoli forestali nelle Alpi orientali, facendo divenire in tale ambito territoriale ancor più rari i segni del raschietto/graffietto forestale.

Sic stantibus rebus, si può affermare con certezza che quando si ha ancora la possibilità di osservare i segni dell’avvenuto cavallettamento totale sugli alberi della particella forestale, si deve avere la consapevolezza che si sta osservando una realtà che appartiene al passato, a un passato che quasi sicuramente non tornerà più. Questi segni possono essere pertanto considerati a ragione quali testimonianze presenti e ancora visibili di una recente “archeologia forestale”, le cui tracce con il passare del tempo diverranno sempre più labili sino a scomparire del tutto.

 

I ‘segni’ del prelievo della resina del larice

Sempre più raramente  – anche in considerazione della minor diffusione del larice (Larix decidua Mill.) rispetto all’abete rosso – può accadere a una persona che frequenti i boschi alpini di poter osservare i segni del prelievo della resina del larice.

La resina è una particolare sostanza prodotta dalla pianta che a livello fisiologico ha la funzione di difesa naturale da attacchi parassitari e/o di insetti oppure di cicatrizzazione delle ferite sempre nell’ottica di protezione dei tessuti vegetali. L’attività di estrazione della resina dagli alberi adulti di larice era un tempo assai diffusa in gran parte dell’Arco alpino, in particolar modo nelle Alpi orientali, dove la presenza del larice è maggiormente diffusa. Venivano interessati alla raccolta gli alberi di larice che avevano raggiunto la soglia dei 35-40 centimetri di diametro a ‘petto d’uomo’, ovvero a un metro e trenta dal livello del terreno. In questi alberi veniva per la prima volta iniziata la raccolta che sarebbe poi proseguita per decenni, quando gli stessi avrebbero raggiunto diametri ragguardevoli, anche vicini o superiori al metro.

L’estrazione della resina avveniva secondo due modalità: la prima, quella maggiormente diffusa, consisteva nel realizzare un foro (con andamento tendenzialmente pressoché orizzontale o minimamente inclinato verso terra) in prossimità della base del tronco, avente alcuni centimetri di diametro (mediamente attorno ai tre) e della profondità iniziale di 15-20 centimetri, che in seguito aumentava di lunghezza conseguentemente alla crescita e al connesso incremento diametrico della pianta. Veniva praticato un solo foro per albero, che serviva per tutta la vita del larice a estrarre la resina, utilizzando uno strumento simile a una trivella azionata con la forza delle braccia; il foro veniva tappato con un cilindro di legno sia per impedire la fuoriuscita della resina sia l’ingresso di corpi estranei, i quali avrebbero intaccato la purezza del prodotto.



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Foto 3: Foro per l’estrazione della resina alla base del tronco in una pianta adulta di larice: l’assenza del tappo in legno denota la cessata esecuzione della lavorazione. (Foto: G. Andreatta)

 

L’estrazione della resina si effettuava utilizzando un apposito attrezzo denominato ‘sgorbia’ che la raccoglieva dal foro (allo stato gelatinoso) per poi depositarla in un contenitore. La seconda modalità – molto meno attuata rispetto alla precedente e che si può considerare del tutto marginale – consisteva nel togliere la corteccia dell’albero sino al legno; praticare poi una doppia serie di incisioni (utilizzando uno scalpello con lama ricurva) in senso obliquo facendole confluire in un canale centrale ad andamento verticale alla base del quale veniva posto un recipiente dove si depositava la resina. Periodicamente le incisioni andavano ‘rinvigorite’ con una nuova azione dello scalpello e ne venivano incise delle nuove nella porzione superiore dello spazio appositamente predisposto togliendo la corteccia. Tale metodologia era quella utilizzata anche per la pratica della ‘resinazione’ dei pini.

Nelle piante più giovani l’estrazione della resina dal foro veniva praticata con cadenza biennale; l’intervallo di tempo andava via via ad ampliarsi in quanto i larici invecchiando producevano molta meno resina e pertanto negli alberi ultrasecolari potevano passare anche otto-dieci anni tra una estrazione e la successiva. La norma pratica della raccolta prevedeva che la stessa avvenisse nei mesi estivi, da giugno a settembre. L’utilizzo della resina del larice – nota come ‘trementina veneziana’ per il fatto che nella città lagunare vi era ai tempi della Serenissima un fiorente mercato che interessava la gran parte dei Paesi del Mediterraneo – era prevalentemente legato a scopi medicamentosi; veniva infatti impiegata per la disinfezione delle ferite e quale antisettico per curare le infiammazioni delle vie respiratorie.  Un’ulteriore funzione pratica della resina del larice era quella di facilitare l’uscita delle spine di legno che si conficcavano soprattutto nelle mani e/o negli arti superiori quando i lavori in campagna e in bosco era quelli maggiormente eseguiti.

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Foto 4: La ‘sgorbia’, attrezzo che veniva utilizzato per l’estrazione della resina inserendolo nel foro praticato alla base del tronco dei larici: la forma particolare consentiva di raccogliere la resina all’interno della sagomatura della sgorbia per poi venir riversata in contenitori generici. Lunghezza totale dello strumento: 73 centimetri; diametro 2,5 centimetri. (Foto: G. Andreatta)

Successivamente, con l’avvento dei prodotti di sintesi, il suo uso farmacologico è andato progressivamente scemando, mentre si è mantenuto per un certo periodo quello legato all’industria delle vernici; dalla distillazione della resina di larice è possibile ottenere infatti l’essenza di trementina, nota anche come ‘acquaragia’, usata quale solvente per le vernici e anche per altri usi. Anche in questo caso i diluenti prodotti per sintesi hanno in pratica fatto venir meno la necessità di utilizzare la resina di larice quale base di partenza per la preparazione di particolari sostanze.

Ai giorni nostri, eccezion fatta per qualche nostalgico delle tradizioni di un tempo, per lo più molto anziano, il quale continua a praticare l’estrazione della resina del larice per autoconsumo interessando pochi alberi, questa particolare lavorazione si può considerare più che rarefatta, del tutto scomparsa, mentre nel passato era questa un’attività che nei paesi di montagna si tramandava di padre in figlio.

Il poter osservare sui tronchi di larici di notevoli dimensioni e di sicura età avanzata il foro alla base del tronco – segno inequivocabile di una passata attività di estrazione della resina – rappresenta un evento oramai molto raro, mentre un tempo era realtà diffusa. Anche in questo caso ci si trova difronte a una situazione legata al passato, la quale di certo non si ripresenterà in un futuro prossimo e che, analogamente a quanto rappresentato in precedenza relativamente ai segni del cavallettamento totale sui tronchi degli alberi nei boschi di altofusto, può essere considerata una testimonianza di una recente “archeologia forestale” destinata a scomparire dapprima progressivamente e poi definitivamente.


Considerazioni conclusive


La conoscenza delle vicende storiche che in un passato sia remoto sia prossimo hanno interessato le formazioni forestali sono di fondamentale importanza per poter comprendere come le stesse si presentano all’attualità nella loro composizione specifica, nella loro struttura orizzontale e verticale, nelle loro condizioni di stabilità biologica e meccanica, nel loro stato di evoluzione ecosistemica, nella situazione relativa alla loro biodiversità, biocomplessità e biofunzionalità.

Nel corso del lungo tragitto che ha caratterizzato l’evoluzione del rapporto tra umanità e foreste sono stati molteplici i momenti in cui è stata lasciata una ‘impronta antropica’ permanente all’interno dei complessi boscati. Per quanto attiene ai boschi d’alto fusto, l’impronta maggiormente evidente è rappresentata dalle modalità di trattamento cui gli stessi sono stati sottoposti per ottimizzare la funzione attribuita loro in quel preciso momento storico.

I cambiamenti intervenuti in particolar modo nel secondo dopoguerra del secolo scorso, che hanno interessato sia le modalità di esecuzione dei lavori in bosco sia l’utilizzo della materia prima legno (in gran parte sostituita da cemento, ferro e plastica negli usi sia strutturali sia per la produzione di manufatti), hanno fatto sì che alcune specifiche tipologie di operazioni e di lavorazioni – un tempo frequenti e rimaste in essere per un lungo arco temporale – caratteristiche di determinati soprassuoli forestali presenti nell’Arco alpino siano pressoché del tutto scomparse.

Utilizzando l’espressione di recente “archeologia forestale” – la quale si può presentare come un ossimoro, bensì è stata volutamente impiegata per voler sottolineare l’aspetto della relativa vicinanza delle testimonianze – si sono volute presentare due particolari realtà che si possono considerare legate ad attività del passato e oggi quasi completamente svanite: la prima è rappresentata dai segni del cavallettamento totale eseguito nelle fustaie in particolar modo di conifere, mentre la seconda si riferisce alla estrazione della resina degli alberi adulti di larice.

Saper individuare e conoscere questi segni permette a coloro che li osservano di avere una visione del passato, delle modalità di attuazione dei lavori selvicolturali e delle condizioni socio-economiche in cui hanno vissuto molte popolazioni dell’Arco alpino.

Conoscere è cultura e non conoscere è oblio: questa affermazione è ancor più attuale se rapportata al momento di profonde modificazioni che interessano da un lato il rapporto tra società e foreste e dall’altro le condizioni di vita delle varie componenti della società.

 

 

Ringraziamenti

Un sentito ringraziamento va al Signor Nicolò Dellagiacoma di Predazzo per aver messo a disposizione la ‘sgorbia’, attrezzo con il quale – come specificato nell’articolo – si procedeva alla raccolta della resina dal foro praticato alla base degli alberi adulti di larice.