
Il cambiamento climatico sta spingendo sempre più persone in tutto il mondo a dotarsi di sistemi di raffrescamento e condizionamento dell’aria. Entro il 2050, si stima che due terzi delle famiglie globali avranno un condizionatore, con un aumento del 250% rispetto a oggi. Tuttavia, questo fenomeno ha un risvolto ambientale critico: il crescente uso dei gas fluorurati (F-gas), fondamentali per il funzionamento degli impianti di refrigerazione e climatizzazione.
Gli F-gas sono composti chimici sintetici con alta stabilità termica e inerzia chimica, caratteristiche che li rendono adatti come fluidi refrigeranti o estinguenti. I principali F-gas includono gli HFC (idrofluorocarburi), i PFC (perfluorocarburi), il SF₆ (esafluoruro di zolfo) e il NF₃ (trifluoruro di azoto). Queste sostanze, pur non danneggiando direttamente lo strato di ozono, hanno un effetto serra molto elevato: alcuni HFC hanno un Global Warming Potential (GWP) fino a 23.000 volte superiore a quello della CO₂ (anidride carbonica) e una permanenza nell’atmosfera che può durare anche migliaia di anni.
Introdotti massicciamente negli anni ’90 come sostituti degli ozono-lesivi vietati dal Protocollo di Montreal, oggi gli F-gas rappresentano una delle principali sfide ambientali globali. A fronte della loro utilità industriale, il loro impatto ambientale non può più essere ignorato. La crescente domanda di refrigerazione, alimentata dal riscaldamento globale e dall’aumento del tenore di vita in molti Paesi in via di sviluppo, rischia di aggravare ulteriormente il problema.
In Europa, nonostante le misure adottate, la riduzione effettiva delle emissioni da F-gas procede lentamente. In Italia, tra il 1990 e il 2018, le emissioni di HFC sono aumentate di oltre il 4.000%, arrivando a rappresentare il 4,4% delle emissioni totali di gas serra. L’Italia detiene inoltre il primato europeo per le emissioni da refrigerazione commerciale, pari al 26% del totale UE e per le emissioni totali da refrigerazione e condizionamento (17%).
Nel marzo 2024 è entrato in vigore il nuovo Regolamento UE 2024/573, che ha sostituito la normativa precedente del 2014. Questo regolamento prevede un'accelerazione del “phase down” degli HFC, con tappe precise e obblighi stringenti per ridurre progressivamente il consumo e l’immissione sul mercato dei refrigeranti più climalteranti. Il provvedimento mira a incentivare l’adozione di alternative più sostenibili e a promuovere una transizione industriale in linea con il Green Deal europeo.
Tra le principali alternative agli HFC troviamo i refrigeranti naturali, come l’anidride carbonica (CO₂), l’ammoniaca (NH₃), gli idrocarburi (propano, isobutano), l’aria e l’acqua. Questi gas hanno un GWP prossimo allo zero e non presentano rischi significativi per l’ambiente, ma pongono alcune sfide tecniche: l’ammoniaca, ad esempio, è tossica; i gas infiammabili richiedono progettazioni sicure; la CO₂ richiede impianti ad alta pressione. Tuttavia, con un’adeguata formazione tecnica e aggiornamento normativo, queste barriere possono essere superate.
L’efficienza energetica degli impianti è un ulteriore nodo cruciale. I dispositivi portatili o economici, spesso preferiti per il loro costo contenuto, consumano più energia e risultano meno performanti sul piano ambientale. Introdurre etichette energetiche più trasparenti che includano il GWP del refrigerante utilizzato può orientare i consumatori verso scelte più consapevoli, premiando i prodotti più sostenibili e penalizzando quelli più inquinanti.
Il quadro si complica ulteriormente a causa del mercato illegale degli F-gas. L’aumento dei prezzi dovuto alle restrizioni normative ha favorito la diffusione del traffico illecito di refrigeranti, spesso importati senza controlli o contraffatti. Negli ultimi anni, il C.U.F.A. (Comando Unità Forestali Ambientali e Agroalimentari) dell’Arma dei Carabinieri, su impulso del Ministero dell’Ambiente, ha condotto, tramite le proprie articolazioni (Comando Tutela Forestale e Parchi e Comando Tutela Ambientale), numerose operazioni di controllo, con il sequestro di ingenti quantità di gas illegali e l’applicazione di sanzioni pecuniarie.
Dagli esiti delle campagne svolte nel periodo compreso tra il 2022 e il 2024 e dalle informazioni che continuano ad arrivare dai sequestri effettuati, si riscontra un aumento rilevante della quota di gas refrigeranti illegali presenti nel mercato. È stato possibile accertare la presenza di almeno due canali di rifornimento: uno che prevede l’importazione diretta dalla Cina, occultando la reale qualità delle merci importate o falsificando i dati sulle quote di importazione possedute; un secondo che prevede la fornitura tramite aziende di copertura con sede in paesi dell’est Europa, che a loro volta non sono in possesso di quote di importazione.
Sono inoltre emerse evidenze di violazione di varie normative in materia di sicurezza dei prodotti chimici CLP (Classification, Labelling and Packaging) e REACH (Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals - Reg. EU 1272/2008 e Reg. 1907/2006) per quanto riguarda sia l’etichettatura che le schede di sicurezza dei prodotti forniti agli utilizzatori finali. Questo aspetto è di particolare rilevanza in quanto riguarda il rischio che questi prodotti non siano conformi per composizione o qualità a quanto dichiarato in etichetta, con il pericolo che l’utilizzo degli stessi possa provocare gravi danni ai macchinari con possibili conseguenze anche sulla salute degli operatori addetti, oltre a un danno all’ambiente per l’utilizzo di gas con GWP molto più elevato di quello ammesso.
Ultimo aspetto, scaturito sempre dalla campagna condotta dalle articolazioni dell’Arma dei Carabinieri, non meno rilevante, riguarda l’immissione in commercio di prodotti contraffatti, in particolare per quanto riguarda i gas di ultima generazione protetti da brevetto industriale, con conseguente danno economico per i titolari dei brevetti stessi. Una situazione del genere consente di vendere prodotti a prezzi decisamente fuori mercato, distorcendo di fatto la libera concorrenza e causando un danno rilevante sia alle aziende legali che allo Stato e all’Unione Europea per quanto riguarda l’evasione I.V.A. e dei diritti legati alle quote di importazione.
Sulla scia dei risultati ottenuti dalla collaborazione instaurata tra C.U.F.A. e il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (M.A.S.E.), preso atto della complessità e della vastità del fenomeno che ha una dimensione sovranazionale, è stata constatata la necessità di una cabina di regia nazionale in grado di gestire efficacemente le informazioni provenienti dagli enti direttamente coinvolti e dai soggetti economici danneggiati. Successivamente, con il coinvolgimento dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (A.D.M.), soggetto preposto alla vigilanza sul rispetto delle quote di importazione, si è dato inizio a un percorso virtuoso di collaborazione anche per il controllo delle fonti di approvvigionamento esterne all’Unione Europea. A seguito di queste collaborazioni, si è arrivati all’attivazione di un “tavolo tecnico” con lo sviluppo di un protocollo di intesa tra M.A.S.E., C.U.F.A. e A.D.M., attualmente in fase di approvazione dai vertici dei soggetti coinvolti, con lo scopo di condividere le informazioni e sviluppare attività di intelligence comune che consenta di affrontare efficacemente un fenomeno criminale, che ha ormai raggiunto dimensioni preoccupanti.
La dimensione raggiunta dal mercato illegale, infatti, mette seriamente a rischio gli attori economici onesti, producendo una profonda distorsione del mercato a tutto vantaggio di soggetti criminali. Le attività svolte finora hanno dimostrato quanto possa essere rilevante un rapido scambio di informazioni, non solo a livello nazionale, ma anche la necessità di coinvolgere sempre di più efficacemente l’Ufficio Europeo Antifrode (O.L.A.F.), oltre a Europol e Interpol, per contrastare un fenomeno che ha sempre più una dimensione internazionale. Al momento, pur in assenza di effettivi riscontri, non si esclude che questo traffico possa essere in mano a gruppi criminali organizzati di origine nazionale ed estera, data anche la complessità dei sistemi di copertura adottati per nascondere la reale origine dei prodotti e in considerazione dell’importante flusso di denaro che questo commercio illegale produce.
Parallelamente alle attività di repressione, il ruolo della formazione professionale è determinante. Tecnici installatori e manutentori devono essere aggiornati sulle nuove normative, sui rischi derivanti dalla gestione dei gas refrigeranti e sulle migliori pratiche per la riduzione dell’impatto che gli stessi gas hanno sull’ambiente. Una mancanza di competenze tecniche può infatti vanificare le politiche ambientali più ambiziose. Ma anche perché a fronte di un risparmio immediato sul costo del gas, ci possono essere conseguenze economiche disastrose in caso di danni agli impianti.
Anche la ricerca scientifica ha un ruolo chiave. È necessario sostenere studi sugli HFO (idrofluoroolefine), nuove miscele con GWP molto basso, ma di cui ancora non si conoscono appieno gli impatti a lungo termine su salute e ambiente. Alcuni studi suggeriscono che i prodotti di degradazione degli HFO potrebbero essere persistenti o tossici; pertanto, occorre cautela prima di una loro adozione diffusa.
Legambiente, tra le principali organizzazioni ambientali italiane, ha proposto una serie di misure concrete per ridurre l’impatto degli F-gas, tra cui:
• campagne di sensibilizzazione per cittadini e imprese;
• incentivi economici per la sostituzione e lo smaltimento degli impianti più inquinanti;
• obbligo di formazione certificata per l’uso dei gas naturali;
• controlli e sanzioni più severi verso chi commercializza illegalmente F-gas;
• sostegno alla ricerca su refrigeranti alternativi e impianti innovativi;
• creazione di consorzi per la raccolta, rigenerazione e riutilizzo dei gas;
• integrazione dei criteri ambientali nei bandi pubblici (Green Public Procurement).
In questo contesto, l’Italia ha un’opportunità strategica: diventare leader nella produzione e diffusione di tecnologie refrigeranti pulite, promuovendo l’innovazione industriale e contribuendo alla creazione di posti di lavoro qualificati in un settore in forte espansione. La riconversione della filiera può essere un volano per l’economia, oltre che una leva per la decarbonizzazione.
Serve però un impegno concreto e coordinato tra istituzioni, industria, comunità scientifica e cittadini. Solo agendo insieme sarà possibile ridurre drasticamente le emissioni climalteranti associate agli F-gas e costruire un futuro più sostenibile, resiliente e in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.