Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

RIFIUTI E INQUINAMENTO
Inquinamento da plastiche e microplastiche nell’ambiente marino
11/05/2022
Dott. Chim. Antonio Tursi, PhD  
Ricercatore Post-Doc, Dipartimento di Chimica e Tecn. Chim. - Università della Calabria 
Segretario Società Chimica Italiana, Sez. Calabria
Esperto Chimico Incaricato – Direzione Ambiente, Energia e Territorio – Regione Piemonte

Abstract

Da quando la plastica è diventata un materiale di uso quotidiano, dopo la sua scoperta, a partire dagli anni '40 dello scorso secolo, la contaminazione da rifiuti plastici nei diversi comparti ambientali è risultato un problema crescente. La presenza di rifiuti e frammenti plastici nell'ambiente, infatti, desta notevole preoccupazione a causa dei processi di degradazione che possono intercorrere nei diversi ecosistemi e al conseguente rilascio di microparticelle che si diffondono nell’aria, nei mari, nei fiumi e nei suoli.
Uno degli aspetti più insidiosi dell’inquinamento da plastica, pertanto, è la formazione di frammenti piccoli abbastanza, le cosiddette microplastiche, da poter essere ingeriti dagli organismi viventi, giungendo all’uomo attraverso il consumo di alimenti contaminati. Molteplici studi scientifici hanno evidenziato che le microplastiche agiscono anche come vettori di inquinanti, contribuendo al bioaccumulo di sostanze nocive, in particolare negli ecosistemi marini, negli organismi e successivamente nelle reti alimentari. L'inevitabile esposizione della microplastica per l'uomo sottolinea la necessità di rivedere i potenziali effetti, le vie di esposizione e la tossicità delle microplastiche per la salute umana.
Nonostante rappresentino un'importante fonte di inquinamento da diversi decenni, esse hanno destato solo recentemente l'attenzione della comunità scientifica e delle agenzie governative preposte alla salvaguardia ambientale e della salute umana. Negli ultimi anni la comunità scientifica e governativa sta ricorrendo alla cosiddetta "strategia della plastica” avente lo scopo di modificare la progettazione, la realizzazione, l’uso e il riciclaggio dei prodotti plastici, oltre a limitarne l'uso quotidiano.

Abstract

Since plastic has become a material of daily use, after its discovery, starting from the 1940s, the contamination by plastic waste in the various environmental compartments has been a growing problem. The presence of waste and plastic fragments in the environment, in fact, raises considerable concern due to the degradation processes that may occur in the various ecosystems and the consequent release of microparticles that spread into the air, seas, rivers and soils.
One of the most insidious aspects of plastic pollution, therefore, is the formation of small enough fragments, the so-called microplastics, to be ingested by living organisms, reaching humans through the consumption of contaminated foods. Multiple scientific studies have shown that microplastics also act as vectors of pollutants, contributing to the bioaccumulation of harmful substances, particularly in marine ecosystems, organisms and subsequently in food webs. The inevitable exposure of microplastics to humans underscores the need to review the potential effects, routes of exposure and toxicity of microplastics to human health.
Although they have been an important source of pollution for several decades, microplastics, just now, attracted the attention of the scientific community and government agencies responsible for safeguarding the environment and human health. In recent years, the scientific and governmental community has been resorting to the so-called "plastic strategy" with the aim of changing the design, manufacture, use and recycling of plastic products, as well as limiting their daily use.


Negli ultimi decenni la produzione di rifiuti antropici è aumentata in modo esponenziale. Circa il 70% di essi è costituito da prodotti plastici [1]. Infatti, più della metà della plastica diventa rifiuto in meno di un anno dalla produzione e la maggior parte di essa non viene riciclata o riutilizzata. Dal 1950 al 2020 sono state prodotte più di 10 miliardi di tonnellate di rifiuti plastici e ogni anno il tasso di produzione aumenta significativamente: si è passati da circa 2 milioni di tonnellate nel 1950 a 367 milioni di tonnellate nel 2020 (circa lo 0,3 per cento in meno rispetto al 2019 a causa degli impatti dovuti al COVID-19 sui diversi settori industriali) [2]. Inoltre, si stima che la produzione aumenterà ulteriormente a circa 550 milioni di tonnellate entro il 2030 (Figura 1) [3]. La Cina è uno dei maggiori produttori di plastica al mondo, rappresentando oltre un quarto della produzione mondiale. Le esportazioni cinesi di plastica sono cresciute notevolmente nell'ultimo decennio raggiungendo un valore di esportazione di 48,3 miliardi di dollari entro il 2019 (nel 2009 era di 14,4 miliardi di dollari) [2].

 
Tursi microplasticheFig. (1) Produzione annua di plastica nel mondo dal 1950 al 2020 (in milioni di tonnellate)

L'incredibile versatilità di questa classe di materiali spiega la continua crescita della produzione anno dopo anno e l’aumento del loro valore di mercato. Di tutta la plastica prodotta, studi recenti hanno dimostrato che solo il 9-10% del totale viene riciclato, un altro 10-11% viene incenerito e circa il 30% è ancora in uso. Il restante 50% viene smaltito in discarica o disperso nell'ambiente [4]. Uno dei problemi maggiori, in questo caso, è proprio il fatto che gran parte della plastica dispersa nell'ambiente raggiunge facilmente fiumi e oceani. Secondo indagini recenti, i rifiuti di plastica entrano nell'oceano a una velocità di circa 11 milioni di tonnellate all'anno [5]. L'inquinamento macro e microplastico è particolarmente acuto negli estuari, indicando che l'immissione dagli ambienti continentali verso gli ambienti costieri e marini ha come vettore preferenziale i corsi d’acqua superficiali quali fiumi, torrenti, etc. [6].
Inoltre, la situazione pandemica dovuta al COVID-19 ha innescato un utilizzo globale stimato di 129 miliardi di mascherine e 65 miliardi di guanti ogni mese, generando un ulteriore rilascio di plastica nell'ambiente e quindi negli oceani [7].
Le macroplastiche sono il principale problema che interessa l'ambiente marino sia dal punto di vista estetico, turistico che ambientale con enormi ripercussioni sul biota marino. In effetti, l'ingestione di plastica e l'intrappolamento nei suoi detriti sono la principale causa di lesioni e morte di mammiferi, pesci, rettili e uccelli marini [8]. Inoltre, i rifiuti macroplastici influenzano fortemente l'ecosistema generando nuovi habitat sui detriti plastici galleggianti [9], opacizzando il fondale marino e creando una barriera che si interpone tra la superficie del mare e l'atmosfera con conseguente limitazione di scambio di gas tra i due ecosistemi [8-10].
Al giorno d'oggi, le maggiori segnalazioni di grandi quantità di rifiuti di plastica provengono principalmente da aree situate alle latitudini subtropicali, dove le concentrazioni di rifiuti di plastica, trasportate dalle correnti e dai venti, si accumulano sulla superficie del mare, formando vere e proprie isole oceaniche dette "garbage patch". Le concentrazioni di massa per km2 raggiungono centinaia di chilogrammi, contando fino a un milione di pezzi, per particelle con una dimensione > 500 µm.
I polimeri plastici più comuni presenti nell'ambiente sono polipropilene (PP), poli (etilentereftalato) (PET), polietilene (PE), polistirene (PS) e poli(vinilcloruro) (PVC) [11].
Negli ultimi decenni un crescente allarme ambientale, insieme al problema delle macroplastiche (detriti <5 mm di diametro) nell'ambiente marino, è stato suscitato dalla presenza di "microplastiche" derivanti da prodotti di uso quotidiano come gli scrubber nei cosmetici o da processi di sabbiatura e produzione industriale (fonti primarie) o generati dalla degradazione di macroplastiche (fonti secondarie) [1,8,12]. Il vero problema delle microplastiche è legato al fatto che le loro piccole dimensioni le rendono biodisponibili per gli organismi in tutta la catena alimentare. Carpenter e Smith (1972) [13], sono stati i primi a evidenziare la presenza di piccoli frammenti di plastica in mare aperto. Nei sistemi acquatici, le particelle microplastiche differiscono per forma, dimensione, composizione chimica e densità specifica [14]. Attualmente, la classificazione maggiormente adottata si basa sulla loro dimensione. In base a ciò, i detriti di plastica sono suddivisi in quattro categorie: microplastica (<0,5 cm), mesoplastica (0,5-5 cm), macroplastica (5-50 cm) e megaplastica (> 50 cm). Nel 2010, Andrady [15] ha introdotto il concetto di nanoplastiche, definendole come particelle con dimensioni comprese tra 200 nm e 2 μm. Nel 2015, Jambeck et al. [16], hanno fissato il limite superiore dimensionale delle nanoplastiche a 100 nm.
I detriti sono generati dalla frammentazione e dal degrado della plastica a causa di forze fisiche, come onde e correnti nei sistemi acquatici, e di condizioni ambientali e atmosferiche, come la radiazione solare, il pH e la temperatura. Anche le caratteristiche fisiche e chimiche della plastica svolgono un ruolo importante nei processi di frammentazione e degradazione [15,16].
Il problema delle microplastiche non riguarda solo l'ambiente marino, ma colpisce inevitabilmente l'uomo, principalmente attraverso l'ingestione o l'inalazione. Si stima che diversi milligrammi al giorno di particelle di MPs sono ingerite attraverso l'acqua potabile. Studi di biomonitoraggio forniscono prove dirette dell'esposizione alle MPs già in tenera età. Desta preoccupazione il fatto che MPs <20 μm possono attraversare le membrane biologiche ed entrare nel sistema circolatorio, nei tessuti e negli organi. Ciò può causare disordini metabolici e risposte subletali negli organismi con conseguenti disturbi endocrini, stress ossidativo, alterazioni dell'espressione genica e risposte immunitarie [5,9]
Inoltre, studi di laboratorio condotti in vivo per l'esposizione a MPs hanno evidenziato possibili correlazioni con la crescente prevalenza dell'obesità nel mondo, probabilmente a causa dell'interruzione dell'adipogenesi e del metabolismo lipidico [2].
Inoltre, le microplastiche destano maggiore preoccupazione rispetto alle macroplastiche anche per la loro elevata area superficiale e il loro carattere spiccatamente idrofobo, esse tendono ad assorbire varie classi di inquinanti come i metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e policlorobifenili (PCB), trasferendoli poi alla fauna marina ed entrando nella catena alimentare [16, 17].
Alla luce di queste importanti considerazioni, la pervasività dei rifiuti microplastici negli ecosistemi acquatici a causa dell'inquinamento antropico ha ricevuto l'attenzione scientifica mondiale: i metodi attualmente allo studio per la loro rimozione prevedono tecniche di assorbimento, filtrazione, processi di degradazione biologica e/o trattamenti chimici [11]. Accanto ai metodi sopra menzionati, negli ultimi decenni sono state continuamente richieste tecniche efficienti per la rimozione di MPs nelle acque reflue all'interno degli WWTPs (wastewater treatment plants) per aumentare la qualità degli effluenti finali. A tal fine, sono state sviluppate diverse tecnologie avanzate di trattamento dello stadio finale attraverso l'uso di bioreattori a membrana per il trattamento dell'effluente primario e varie tecnologie di trattamento terziario come filtri a disco, filtrazione rapida a sabbia e flottazione ad aria disciolta per la purificazione degli effluenti secondari [18].
Tuttavia, queste tecnologie ad hoc per la rimozione specifica delle microplastiche vengono impiegate raramente, poiché questi inquinanti sono presenti in abbondanza nell'ambiente solo da alcuni decenni rispetto agli WWTPs, già esistenti dagli anni '20 e raramente aggiornati [19]. 
Senza dubbio, le valutazioni numeriche forniscono alcune stime davvero drammatiche: 5,25 trilioni di macro e micro pezzi di plastica galleggiano nel nostro oceano con 46.000 pezzi in ogni miglio quadrato, con un peso fino a 269.000 tonnellate [3]. Alla luce di tali dati, nel corso degli ultimi decenni è emersa la consapevolezza e l’esigenza di ridurre l’impatto delle attività antropiche sulle acque marine, al fine di ripristinare e mantenere la biodiversità preservando la diversità e la vitalità di mari e oceani. Per tale motivo, il 17 Giugno 2008, nasce la Direttiva quadro 2008/56/CE sulla Strategia per l’ambiente marino, emanata dal Parlamento Europeo ed il Consiglio dell’Unione Europea, successivamente recepita in Italia con il D.Lgs. n. 190 del 13 ottobre 2010.
Da un punto di vista attuativo, rimuovere dai mari e dagli oceani i rifiuti plastici galleggianti risulterebbe un’impresa colossale, mentre eliminare le microplastiche sarebbe praticamente impossibile: bisognerebbe filtrare tutti gli oceani! Per tali motivazioni, combattere l’inquinamento da plastiche e microplastiche è responsabilità civile di ognuno di noi, riducendo al minimo il consumo e la dispersione di plastica nell’ambiente. A tal proposito, negli ultimi mesi del 2018, la Commissione Europea ha approvato una “strategia della plastica” avente lo scopo di modificare la progettazione, la realizzazione, l’uso e il riciclaggio dei prodotti plastici nell’UE. Lo scopo di questa strategia è favorire un’economia circolare della plastica, aumentando i tassi di riciclaggio e rendendo tutti gli imballaggi di origine plastica riutilizzabili o riciclabili entro il 2030. Oltre a tali obiettivi, lo stesso Parlamento Europeo ha emanato il divieto di aggiungere intenzionalmente microplastiche nei cosmetici, nei prodotti per la cura personale, nei detergenti e prodotti per la pulizia dal 1° Gennaio 2020 e sta lavorando all’introduzione di norme più severe per ridurre significativamente il rilascio involontario delle microplastiche dai tessuti sintetici, dagli pneumatici, dalle pitture e dai mozziconi di sigaretta.
La plastica è, senza dubbio, un materiale fondamentale per diversi comparti industriali e non solo, ma dovremmo tutti limitarne il consumo e attuare una gestione circolare e improntata sulla tutela ambientale, se vogliamo evitare di essere sommersi da un mare di plastiche!

[1] Derraik, J.G.B., 2002. The pollution of the marine environment by plastic debris: a review. Mar. Pollut. Bull. 44, 842e852. https://doi.org/10.1016/S0025-326X(02)00220-5.
[2] Kannan K. and Vimalkumar K. (2021) A Review of Human Exposure to Microplastics and Insights Into Microplastics as Obesogens. Front. Endocrinol. 12:724989. doi: 10.3389/fendo.2021.724989
[3] M. Cole, P. Lindeque, C. Halsband, T. S. Galloway, Microplastics as contaminants in the marine environment: A review, Marine Pollution Bulletin, 62 (12), 2011, 2588-2597, ISSN 0025-326X, https://doi.org/10.1016/j.marpolbul.2011.09.025.
[4] Geyer R, Jambeck JR, Law KL. Production, use, and fate of all plastics ever made. Sci. Adv., 3 (7), e1700782. doi: 10.1126/sciadv.1700782.
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[6] Gallagher, A., Rees, A., Rowe, R., Stevens, J., Wright, P., 2016. Microplastics in the Solent estuarine complex, UK: an initial assessment. Mar. Pollut. Bull. 102, 243e249. https://doi.org/10.1016/j.marpolbul.2015.04.002.
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[12] Thompson, R., Moore, C., Andrady, A., Gregory, M., Takada, H., Weisberg, S., 2005. New directions in plastic debris. Science 310, 1117.
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[15] Andrady, A.L., 2010. Measurement and Occurrence of Microplastics in the Environment. Presentation at the 2nd Research Workshop on Microplastic Debris. Tacoma, WA, Nov 5–6, 2010.
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[19] Li L, Xu G, Yu H, Xing J (2018b) Dynamic membrane for microparticle removal in wastewater treatment: performance and influencing factors. Sci Total Environ 627:332–340. https://doi.org/10.1016/j.scito tenv.2018.01.239