La disciplina normativa che si occupa della materia forestale si è caratterizza per la propria complessità e variabilità, fattori che sono connessi ad una visione del bosco che si è evoluta nel corso del tempo passando da una concezione prettamente produttiva o monofunzionale dello stesso ad una multifunzionale, in quanto oltre alla funzione produttiva, quindi, il bosco svolge anche una funzione protettiva dell’assetto idrogeologico del suolo, una funzione paesaggistica, una funzione ricreativa, una funzione igienica (salubrità dell'aria e purificazione dell'acqua), una funzione di tutela della biodiversità e una funzione di carbon sink (serbatoio di carbonio).
L'ordinamento forestale italiano oltre ad aver avuto un'evoluzione diacronica è rientrato in quel processo che a partire dagli anni Settanta, va sotto il nome di regionalizzazione e che ha dato luogo ad una sempre maggiore attribuzione di poteri legislativi e funzioni amministrative alle Regioni attraverso un percorso lungo ed articolato che culminerà con la revisione del Titolo V della Costituzione avvenuto con la legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n.3 passando per le leggi Bassanini sulla semplificazione amministrativa a partire dal 1997.
L'attuazione dell'ordinamento regionale, cominciata con la legge di delega 16 maggio 1970, n.281, e con i decreti delegati del gennaio 1972, produceva tra i vari ambiti anche la regionalizzazione del settore forestale, essendo la materia “agricoltura e foreste” compresa fra quelle individuate dall'articolo 117 della Costituzione di competenza delle Regioni. Più esattamente è con il decreto presidenziale 15 gennaio 1972, n.11 che si verifica il trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di agricoltura e foreste, di caccia e di pesca (cd “prima regionalizzazione”). Il decreto n.11, come del resto gli altri decreti presidenziali di trasferimento di funzioni nelle materie di competenza regionale, operava una serie di riserve in favore dello Stato che lasciarono insoddisfatte le Regioni, che sollevarono numerose censure di incostituzionalità presso la Corte Costituzionale per l'illegittimità dei diversi decreti delegati in quanto non rispettosi delle disposizioni della legge di delega, che secondo gli enti ricorrenti non avrebbero consentito ritagli di competenza in favore dello Stato. Tali ricorsi vennero respinti in toto dalla Corte; emblematica risulta la sentenza del 24.7.1972, n.142 in cui la Corte dichiarò non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei vari articoli impugnati. In particolare la Corte Costituzionale nelle considerazioni in diritto riteneva che l'articolo 17 della legge delegante del 16.5.1970, n.281 avesse disposto «il trasferimento alle Regioni solo di quelle funzioni amministrative che, per una parte, risultino inerenti alle materie elencate nell'articolo 117 Costituzione, e siano contenute nel limite degli interventi connessi alle esigenze delle singole Regioni senza travalicare in quelli propri dello Stato e di altre Regioni, e per altra parte, esercitate all'atto del trasferimento da organi centrali e periferici dello Stato» e che dovessero «rimanere fuori dall'obbligo del trasferimento tanto le competenze non rientranti nella materia, obiettivamente considerate, quanto le altre che, se pure ad essa riconducibili, riguardassero interessi trascendenti la sfera regionale, e, infine, quelle estranee alla competenza dell'organizzazione diretta, centrale o periferica, dello Stato».
Come si è potuto vedere tale “prima regionalizzazione” passò positivamente il vaglio della Consulta che la ritenne legittima (Corte Costituzionale sentenza numero 142/1972) a patto che venisse introdotto il principio della collaborazione interistituzionale fra Stato e Regioni (cfr. C. Costituzionale sentenze numero 175/1976 e 72/1977).
A seguito di un'ampia e tenace azione condotta da Regioni e forze politiche che volevano assicurare loro un'ampia sfera di poteri normativi ed amministrativi a cinque anni di distanza dalla prima si arrivò ad una ulteriore legge di delegazione che venne emanata allo scopo di attuare la seconda fase del trasferimento di funzioni alle Regioni (cd “seconda regionalizzazione”). Ci si riferisce in particolare alla legge 22 luglio 1975, n.382 con la quale il Governo venne delegato ad emanare, per le Regioni a statuto ordinario, uno o più decreti legislativi diretti «a completare il trasferimento delle funzioni amministrative, considerate per settori organici, inerenti alle materie indicate nell'articolo 117 Costituzione; ...a trasferire le funzioni inerenti alle materie indicate nell'articolo 117 Cost. esercitate da enti pubblici nazionali e interregionali, fatte salve, comunque, quelle già trasferite, nonché a trasferire i rispettivi uffici e beni...; a delegare, a norma dell'articolo 118, comma 2, Costituzione, le funzioni amministrative necessarie per rendere possibile l'esercizio organico da parte delle Regioni delle funzioni trasferite o già delegate»; ed a porre in essere un più articolato decentramento con l'attribuzione di funzioni amministrative a Province, Comuni e Comunità montane (articolo 1). All'articolo 1, 3°co., n.1, la citata legge così dispone: «l'identificazione delle materie dovrà essere realizzata per settori organici non in base alle competenze dei ministeri, degli organi periferici dello Stato e delle altre istituzioni pubbliche, ma in base a criteri oggettivi desumibili dal pieno significato che esse hanno e dalla stretta connessione esistente tra funzioni affini, strumentali e complementari, per modo che il trasferimento dovrà risultare completo ed essere finalizzato ad assicurare una disciplina ed una gestione sistematica e programmata delle attribuzioni costituzionalmente spettanti alle Regioni per il territorio e il corpo sociale».
In forza della delega di cui alla citata legge 22 luglio 1975, n.382 fu emanato il D.P.R. 24 luglio 1977, n.616 che, nell'intento di evitare le critiche di cui era stato oggetto il D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, nel capo VIII (articoli 66 e ss.) descrisse in primo luogo con la formulazione più ampia possibile l'oggetto delle funzioni amministrative nella materia «agricoltura e foreste», per poi specificare quali attività in particolare dovevano ritenersi comprese e passate alla competenza delle Regioni e circoscrivere l'ambito delle competenze rimaste allo Stato.
Con tale decreto presidenziale si completa il trasferimento alle Regioni, rispettivamente dei beni forestali demaniali, sopprimendo inoltre l'ente gestore e cioè l'Azienda di Stato per le Foreste Demaniali (A.S.F.D.), e delle funzioni amministrative relative ai territori montani, alle foreste ed alla conservazione del suolo comprensive del vincolo idrogeologico, rimanendo peraltro preclusa alle Regioni una diversa disciplina normativa del vincolo fino all'emanazione di una legge quadro al riguardo (legge n.183/1989).
Una particolare attenzione merita l'articolo 68 del D.P.R. n.616/1977 che come è noto ha decretato la soppressione dell' A.S.F.D. ed il passaggio delle funzioni e dei beni dallo Stato alle Regioni.
In realtà, il trasferimento dei beni in questione, e delle relative funzioni, era stato già disposto, in attuazione della legge 16 maggio 1970, n.281 (articoli 11 e 17), dal D.P.R. 15 gennaio 1972, n.11. Di fatto, però, il passaggio dei beni forestali alle Regioni si dimostrò soltanto parziale, giacché rimase complessivamente in proprietà dello Stato oltre un quarto dell'intero patrimonio forestale.
Pertanto la soppressione dell'Azienda non ha significato il venir meno del demanio forestale, non solo perché è residuato allo Stato ai sensi dell'articolo 68, comma 2, D.P.R. n. 616 del 1977 l'un per cento di terreni ed aree boscate, da destinare a scopi scientifici, sperimentali e didattici di interesse nazionale, ma soprattutto perché il suddetto decreto delegato, ha riconosciuto di proprietà statale le porzioni di foreste demaniali costituite in riserva (integrali, orientate, di luoghi naturali ecc.), che lo Stato ebbe ad istituire con vari decreti del Ministro dell'Agricoltura e foreste nel periodo intercorrente fra l'attuazione della legge delega del 16 maggio 1970, n.281, che aveva stabilito il passaggio alle Regioni dei beni forestali statali, e il decreto delegato, D.P.R. 15 gennaio 1972, n.11, destinato ad attuare il trasferimento dei beni medesimi e delle corrispondenti funzioni amministrative alle Regioni.
Perciò, come lo si voglia considerare, il 1977, segnò comunque l’anno della svolta, poiché con la soppressione dell’ A.S.F.D. in pratica fu trasferito ope legis alle Regioni gran parte del demanio, per circa 345.000 ettari; permanendo invece una gestione residuale su una proprietà non superiore all’1% di quella complessiva, da destinare a scopi scientifici, sperimentali e didattici di interesse nazionale. Furono escluse dal trasferimento alle Regioni a statuto ordinario le riserve naturali dello Stato ed altri ambiti protetti, le aree sperimentali di interesse nazionale, i terreni d’interesse militare, le caserme forestali, per una consistenza complessiva di oltre 76.500 ettari su cui a partire dal 1°gennaio 1978 iniziò la gestione ex A.S.F.D. che durerà fino al 2004 con l'emanazione della legge 6 febbraio 2004, n.36 di riordino del Corpo forestale dello Stato. Per mezzo di questa gestione si è in sostanza, ricostituito, o se si vuole conservato in capo allo Stato un demanio forestale che ha assunto connotati di tipo prevalentemente naturalistico e scientifico.
A questo punto dopo la regionalizzazione di gran parte del demanio forestale statale le Regioni vennero poste nella condizione di scegliere un proprio modello di gestione, che poteva diversificarsi secondo diverse tipologie, variando dalla costituzione di “aziende forestali regionali”, alla delega gestionale del demanio regionale agli enti locali. Occorre però fare un passo indietro e guardare al modo in cui si è realizzata la regionalizzazione del demanio forestale nell'ambito delle Regioni a statuto speciale. Ebbene mentre queste ultime optarono per un modello organizzativo che non si distingueva da quello dell'Azienda di Stato per le foreste demaniali, infatti si assistette alla previsione di enti dotati di personalità giuridica in cui l'individuazione e la composizione degli organi era analoga a quella dell'ente statale. Lo stesso non è avvenuto nelle Regioni a statuto ordinario che seguirono invece strade diverse.
Un primo orientamento, che ebbe anche maggior seguito, lo si ritrovò nella costituzione di una Azienda regionale dotata di personalità giuridica (sull'esempio delle Regioni a statuto speciale), ma priva, peraltro, dei poteri decisionali di maggior rilievo che facevano in genere capo al Consiglio regionale. Così, per esempio, spettava a quest'ultimo e non agli organi dell'Azienda, in quanto espressione della sua autonomia, come peraltro era possibile rilevare nella legislazione delle Regioni a statuto speciale, decidere l'acquisto o l'alienazione dei beni forestali.
Un secondo orientamento legislativo era quello rappresentato dalla delega dei beni agli enti locali (Province, Comuni, Comunità montane). Tale modello seppur rispettoso del dettato costituzionale (ex articolo 118, comma 3, della Costituzione ante riforma) a detta dei commentatori, mal si conciliava con una materia così “tecnica” e multiforme quale quella forestale che si esprime in una dimensione, quella degli ecosistemi naturali, che poco hanno a che fare con i distretti amministrativi di un limitato ambito territoriale. Si pensi solo all'importante ruolo svolto dalle foreste, riguardo all'aspetto della difesa idrica e geologica dei bacini fluviali, che va ben al di là del fatto locale, nel quale rischiava di essere assorbito l'esercizio della delega. Pertanto era da paventare che, in mancanza di un momento operativo di raccordo ossia di una “regia” a livello regionale, le singole gestioni dei beni potessero avvenire in funzione di particolari interessi locali e non, invece, in funzione dei più vasti interessi rilevabili in una dimensione regionale, che, evidentemente, abbracciano non soltanto l'aspetto produttivo, ma anche quello della difesa del suolo, paesaggistico e naturalistico.
Il terzo caso di gestione di beni demaniali ad opera delle Regioni a statuto ordinario, era rappresentato dalle Regioni che hanno provveduto, seppure in via interlocutoria, all'amministrazione dei beni mediante l'assessorato regionale, il quale ha ritenuto, talora, di affidare la gestione alla stessa Azienda di Stato per le foreste demaniali.
Come si è avuto modo di vedere questo passaggio di competenze tra Stato e Regioni nel settore forestale ha generato una ricca normativa regionale che ha portato a svariate impostazioni di “politica forestale locale”spesso con risvolti negativi, e ha determinato peraltro una forte disomogeneità di situazioni tra le diverse Regioni, con la conseguente attuazione di norme e strumenti di programmazione piuttosto differenziate nei diversi aspetti che riguardano la definizione di bosco, i rimboschimenti compensativi, la definizione di nuove finalità oltre a quelle produttive e protettive (ecologiche, paesaggistiche, culturali, miglioramento delle condizioni e della qualità della vita nelle aree montane, ecc), la valorizzazione della pianificazione forestale, l’ampliamento delle Prescrizioni di massima e di polizia forestale, la regolamentazione nella fruizione del bosco, il divieto del taglio a raso e la promozione del taglio colturale e l’incentivazione delle forme associative.