Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

MONITORAGGIO DEL TERRITORIO
I PRIMI QUARANT'ANNI DI REGIONALIZZAZIONE DELLE FORESTE ITALIANE ​
11/11/2013
Di Francesco Vitariello Commissario Capo forestale

Il presente contributo non vuole e non può certo avere pretese di esaustività riguardo a tutte le...

 
 

Riassunto
 
Il presente articolo si propone di ripercorrere le fasi salienti di un processo iniziato oltre 40 anni fa, con l'attuazione dell'ordinamento regionale e che ha visto il passaggio di diverse competenze dallo Stato alle regioni, tra le quali quelle in materia di agricoltura e foreste, e che prende il nome di “regionalizzazione”.Si è trattato di un processo molto complesso e per certi versi travagliato che è tutt'oggi in evoluzione e che coinvolge evidentemente anche il Corpo forestale dello Stato. Si analizzeranno in parallelo sia gli eventi più salienti che hanno  riguardato la regionalizzazione delle foreste italiane sia gli effetti che tale passaggio di competenze ha prodotto nel rapporto tra le regioni ed il Corpo forestale dello Stato. Infine si lascia ai lettori la possibilità di formarsi un giudizio in merito all'efficacia di tale passaggio di competenze anche alla luce dei recenti “ripensamenti” che stanno avvenendo a livello politico in materia di riparto di competenze tra Stato e regioni.

Abstract
 
This article aims to go over the main steps of a process that began over 40 years ago, with the implementation of the regional regulation and that saw the passage of several responsibilities from the State to the regions, including those in agriculture and forests, and which takes the name of "regionalization". It was a very complex and somewhat troubled process that is still evolving and that involves obviously also the State Forestry Corps.
Either the most salient events which affected the regionalization of Italian forests and the effects that such a transfer of powers produced in the relationship between the regions and the State Forestry Corps will be analized in parallel. Finally, we let readers the chance to form an opinion on the effectiveness of the transfer of powers in the light of the recent "second thoughts" that are taking place at the political level on the division of powers between the State and the regions.

 
 

 

Il presente contributo non vuole e non può certo avere pretese di esaustività riguardo a tutte le problematiche ed agli aspetti collegati alla tematica del trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni in materia di agricoltura e foreste emersi nel corso di oltre 40 anni di storia. Si propone invece, di fare una breve cronistoria degli eventi più salienti di un processo che è tutt'oggi in evoluzione e che ha coinvolto evidentemente anche il Corpo forestale dello Stato.
Viene pertanto lasciata ai lettori la possibilità di formarsi un giudizio sull'efficacia o meno di tale passaggio di competenze, anche alla luce dei recentissimi (Ottobre 2012) “ripensamenti” che stanno avvenendo a livello politico in tema di riparto di competenze tra Stato e Regioni e che riguardano un disegno di legge di riforma costituzionale presentato dal Governo Monti che prevede una nuova riforma del Titolo V della Costituzione ad undici anni di distanza dalla prima riforma. 
 


 
 

La regionalizzazione delle foreste negli Anni 70

 
La disciplina normativa che si occupa della materia forestale si è caratterizza per la propria complessità e variabilità, fattori che sono connessi ad una visione del bosco che si è evoluta nel corso del tempo passando da una concezione prettamente produttiva o  monofunzionale dello stesso ad una multifunzionale, in quanto oltre alla funzione produttiva, quindi, il bosco svolge anche una funzione protettiva dell’assetto idrogeologico del suolo, una funzione paesaggistica, una funzione ricreativa, una funzione igienica (salubrità dell'aria e purificazione dell'acqua), una funzione di tutela della biodiversità e una funzione di carbon sink (serbatoio di carbonio).
L'ordinamento forestale italiano oltre ad aver avuto un'evoluzione diacronica è rientrato in quel processo che a partire dagli anni Settanta, va sotto il nome di regionalizzazione e che ha dato luogo ad una sempre maggiore attribuzione di poteri legislativi e funzioni amministrative alle Regioni attraverso un percorso lungo ed articolato che culminerà con la revisione del Titolo V della Costituzione avvenuto con la legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n.3 passando per le leggi Bassanini sulla semplificazione amministrativa a partire dal 1997.
L'attuazione dell'ordinamento regionale, cominciata con la legge di delega 16 maggio 1970, n.281, e con i decreti delegati del gennaio 1972, produceva tra i vari ambiti anche la regionalizzazione del settore forestale, essendo la materia “agricoltura e foreste” compresa fra quelle individuate dall'articolo 117 della Costituzione di competenza delle Regioni. Più esattamente è con il decreto presidenziale 15 gennaio 1972, n.11 che si verifica il trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di agricoltura e foreste, di caccia e di pesca (cdprima regionalizzazione”). Il decreto n.11, come del resto gli altri decreti presidenziali di trasferimento di funzioni nelle materie di competenza regionale, operava una serie di riserve in favore dello Stato che lasciarono insoddisfatte le Regioni, che sollevarono numerose censure di incostituzionalità presso la Corte Costituzionale per l'illegittimità dei diversi decreti delegati in quanto non rispettosi delle disposizioni della legge di delega, che secondo gli enti ricorrenti non avrebbero consentito ritagli di competenza in favore dello Stato. Tali ricorsi vennero respinti in toto dalla Corte; emblematica risulta la sentenza del 24.7.1972, n.142 in cui la Corte dichiarò non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei vari articoli impugnati[1]. In particolare la Corte Costituzionale nelle considerazioni in diritto riteneva che l'articolo 17 della legge delegante del 16.5.1970, n.281 avesse disposto «il trasferimento alle Regioni solo di quelle funzioni amministrative che, per una parte, risultino inerenti alle materie elencate nell'articolo 117 Costituzione, e siano contenute nel limite degli interventi connessi alle esigenze delle singole Regioni senza travalicare in quelli propri dello Stato e di altre Regioni, e per altra parte, esercitate all'atto del trasferimento da organi centrali e periferici dello Stato» e che dovessero «rimanere fuori dall'obbligo del trasferimento tanto le competenze non rientranti nella materia, obiettivamente considerate, quanto le altre che, se pure ad essa riconducibili, riguardassero interessi trascendenti la sfera regionale, e, infine, quelle estranee alla competenza dell'organizzazione diretta, centrale o periferica, dello Stato».
Come si è potuto vedere tale “prima regionalizzazione” passò positivamente il vaglio della Consulta che la ritenne legittima (Corte Costituzionale sentenza numero 142/1972) a patto che venisse introdotto il principio della collaborazione interistituzionale fra Stato e Regioni (cfr. C. Costituzionale sentenze numero 175/1976 e 72/1977).
A seguito di un'ampia e tenace azione condotta da Regioni e forze politiche che volevano assicurare loro un'ampia sfera di poteri normativi ed amministrativi a cinque anni di distanza dalla prima si arrivò ad una ulteriore legge di delegazione che venne emanata allo scopo di attuare la seconda fase del trasferimento di funzioni alle Regioni (cd “seconda regionalizzazione”[2]). Ci si riferisce in particolare alla legge 22 luglio 1975, n.382 con la quale il Governo venne delegato ad emanare, per le Regioni a statuto ordinario, uno o più decreti legislativi diretti «a completare il trasferimento delle funzioni amministrative, considerate per settori organici, inerenti alle materie indicate nell'articolo 117 Costituzione; ...a trasferire le funzioni inerenti alle materie indicate nell'articolo 117 Cost. esercitate da enti pubblici nazionali e interregionali, fatte salve, comunque, quelle già trasferite, nonché a trasferire i rispettivi uffici e beni...; a delegare, a norma dell'articolo 118, comma 2, Costituzione, le funzioni amministrative necessarie per rendere possibile l'esercizio organico da parte delle Regioni delle funzioni trasferite o già delegate»; ed a porre in essere un più articolato decentramento con l'attribuzione di funzioni amministrative a Province, Comuni e Comunità montane (articolo 1). All'articolo 1, 3°co., n.1, la citata legge così dispone: «l'identificazione delle materie dovrà essere realizzata per settori organici non in base alle competenze dei ministeri, degli organi periferici dello Stato e delle altre istituzioni pubbliche, ma in base a criteri oggettivi desumibili dal pieno significato che esse hanno e dalla stretta connessione esistente tra funzioni affini, strumentali e complementari, per modo che il trasferimento dovrà risultare completo ed essere finalizzato ad assicurare una disciplina ed una gestione sistematica e programmata delle attribuzioni costituzionalmente spettanti alle Regioni per il territorio e il corpo sociale».
In forza della delega di cui alla citata legge 22 luglio 1975, n.382 fu emanato il D.P.R. 24 luglio 1977, n.616 che, nell'intento di evitare le critiche di cui era stato oggetto il D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, nel capo VIII (articoli 66 e ss.) descrisse in primo luogo con la formulazione più ampia possibile l'oggetto delle funzioni amministrative nella materia «agricoltura e foreste», per poi specificare quali attività in particolare dovevano ritenersi comprese e passate alla competenza delle Regioni e circoscrivere l'ambito delle competenze rimaste allo Stato.
Con tale decreto presidenziale si completa il trasferimento alle Regioni, rispettivamente dei beni forestali demaniali, sopprimendo inoltre l'ente gestore e cioè l'Azienda di Stato per le Foreste Demaniali (A.S.F.D.), e delle funzioni amministrative relative ai territori montani, alle foreste ed alla conservazione del suolo comprensive del vincolo idrogeologico, rimanendo peraltro preclusa alle Regioni una diversa disciplina normativa del vincolo fino all'emanazione di una legge quadro al riguardo (legge n.183/1989).
Una particolare attenzione merita l'articolo 68 del D.P.R. n.616/1977 che come è noto ha decretato la soppressione dell' A.S.F.D. ed il passaggio delle funzioni e dei beni dallo Stato alle Regioni.
In realtà, il trasferimento dei beni in questione, e delle relative funzioni, era stato già disposto, in attuazione della legge 16 maggio 1970, n.281 (articoli 11 e 17), dal D.P.R. 15 gennaio 1972, n.11. Di fatto, però, il passaggio dei beni forestali alle Regioni si dimostrò soltanto parziale, giacché rimase complessivamente in proprietà dello Stato oltre un quarto dell'intero patrimonio forestale.
Pertanto la soppressione dell'Azienda non ha significato il venir meno del demanio forestale, non solo perché è residuato allo Stato ai sensi dell'articolo 68, comma 2, D.P.R. n. 616 del 1977 l'un per cento di terreni ed aree boscate, da destinare a scopi scientifici, sperimentali e didattici di interesse nazionale, ma soprattutto perché il suddetto decreto delegato, ha riconosciuto di proprietà statale le porzioni di foreste demaniali costituite in riserva (integrali, orientate, di luoghi naturali ecc.), che lo Stato ebbe ad istituire con vari decreti del Ministro dell'Agricoltura e foreste nel periodo intercorrente fra l'attuazione della legge delega del 16 maggio 1970, n.281, che aveva stabilito il passaggio alle Regioni dei beni forestali statali, e il decreto delegato, D.P.R. 15 gennaio 1972, n.11, destinato ad attuare il trasferimento dei beni medesimi e delle corrispondenti funzioni amministrative alle Regioni[3].
Perciò, come lo si voglia considerare, il 1977, segnò comunque l’anno della svolta, poiché con la soppressione dell’ A.S.F.D. in pratica fu trasferito ope legis alle Regioni gran parte del demanio, per circa 345.000 ettari; permanendo invece una gestione residuale su una proprietà non superiore all’1% di quella complessiva, da destinare a scopi scientifici, sperimentali e didattici di interesse nazionale. Furono escluse dal trasferimento alle Regioni a statuto ordinario le riserve naturali dello Stato ed altri ambiti protetti, le aree sperimentali di interesse nazionale, i terreni d’interesse militare, le caserme forestali, per una consistenza complessiva di oltre 76.500 ettari su cui a partire dal 1°gennaio 1978 iniziò la gestione ex  A.S.F.D. che durerà fino al 2004 con l'emanazione della legge 6 febbraio 2004, n.36 di riordino del Corpo forestale dello Stato.[4] Per mezzo di questa gestione si è in sostanza, ricostituito, o se si vuole conservato in capo allo Stato un demanio forestale che ha assunto connotati di tipo prevalentemente naturalistico e scientifico.
A questo punto dopo la regionalizzazione di gran parte del demanio forestale statale le Regioni vennero poste nella condizione di scegliere un proprio modello di gestione, che poteva diversificarsi secondo diverse tipologie, variando dalla costituzione di “aziende forestali regionali”, alla delega gestionale del demanio regionale agli enti locali. Occorre però fare un passo indietro e guardare al modo in cui si è realizzata la regionalizzazione del demanio forestale nell'ambito delle Regioni a statuto speciale. Ebbene mentre queste ultime optarono per un modello organizzativo che non si distingueva da quello dell'Azienda di Stato per le foreste demaniali, infatti si assistette alla previsione di enti dotati di personalità giuridica in cui l'individuazione e la composizione degli organi era analoga a quella dell'ente statale. Lo stesso non è avvenuto nelle Regioni a statuto ordinario che seguirono invece strade diverse.
Un primo orientamento, che ebbe anche maggior seguito, lo si ritrovò nella costituzione di una Azienda regionale dotata di personalità giuridica (sull'esempio delle Regioni a statuto speciale), ma priva, peraltro, dei poteri decisionali di maggior rilievo che facevano in genere capo al Consiglio regionale. Così, per esempio, spettava a quest'ultimo e non agli organi dell'Azienda, in quanto espressione della sua autonomia, come peraltro era possibile rilevare nella legislazione delle Regioni a statuto speciale, decidere l'acquisto o l'alienazione dei beni forestali.
Un secondo orientamento legislativo era quello rappresentato dalla delega dei beni agli enti locali (Province, Comuni, Comunità montane). Tale modello seppur rispettoso del dettato costituzionale (ex articolo 118, comma 3, della Costituzione ante riforma) a detta dei commentatori[5], mal si conciliava con una materia così “tecnica” e multiforme quale quella forestale che si esprime in una dimensione, quella degli ecosistemi naturali, che poco hanno a che fare con i distretti amministrativi di un limitato ambito territoriale. Si pensi solo all'importante ruolo svolto dalle foreste, riguardo all'aspetto della difesa idrica e geologica dei bacini fluviali, che va ben al di là del fatto locale, nel quale rischiava di essere assorbito l'esercizio della delega. Pertanto era da paventare che, in mancanza di un momento operativo di raccordo ossia di una “regia” a livello regionale, le singole gestioni dei beni potessero avvenire in funzione di particolari interessi locali e non, invece, in funzione dei più vasti interessi rilevabili in una dimensione regionale, che, evidentemente, abbracciano non soltanto l'aspetto produttivo, ma anche quello della difesa del suolo, paesaggistico e naturalistico.
Il terzo caso di gestione di beni demaniali ad opera delle Regioni a statuto ordinario, era rappresentato dalle Regioni che hanno provveduto, seppure in via interlocutoria, all'amministrazione dei beni mediante l'assessorato regionale, il quale ha ritenuto, talora, di affidare la gestione alla stessa Azienda di Stato per le foreste demaniali.[6]
Come si è avuto modo di vedere questo passaggio di competenze tra Stato e Regioni nel settore forestale ha generato una ricca normativa regionale che ha portato a svariate impostazioni di “politica forestale locale”[7]spesso con risvolti negativi, e ha determinato peraltro una forte disomogeneità di situazioni tra le diverse Regioni, con la conseguente attuazione di norme e strumenti di programmazione piuttosto differenziate nei diversi aspetti che riguardano la definizione di bosco, i rimboschimenti compensativi, la definizione di nuove finalità oltre a quelle produttive e protettive (ecologiche, paesaggistiche, culturali, miglioramento delle condizioni e della qualità della vita nelle aree montane, ecc), la valorizzazione della pianificazione forestale, l’ampliamento delle Prescrizioni di massima e di polizia forestale, la regolamentazione nella fruizione del bosco, il divieto del taglio a raso e la promozione del taglio colturale e l’incentivazione delle forme associative[8].

 
 
  1. 1)    Cfr. Emilio Romagnoli, 1987. Alla voce  agricoltura (nozione giuridica) del Digesto, www.leggiditaliaprofessionale.it.
  2. 2)    Cfr. Alberto Abrami, 2005. Manuale di diritto forestale e dell'ambiente territoriale. Giuffrè.
  3. 3)    Cfr. Alberto Abrami, 1987. Alla voce Boschi e Foreste del Digesto, www.leggiditaliaprofessionale.it.
  4. 4)    Cfr. Giorgio Corrado, 2005. La proprietà forestale. Silvae, anno I n°3.
  5. 5)    Vedi Alberto Abrami, 1987. Alla voce Boschi e Foreste del Digesto, www.leggiditaliaprofessionale.it.
  6. 6)    Cfr. Alberto Abrami, 1987. Op. Cit.
  7. 7)    Cfr. Antonio Postiglione, 1993. Lineamenti di politica e legislazione forestale ed ambientale in Italia e nella Comunità Economica Europea. 
  8.        Elea Press.
  9. 8)    Cfr. Programma quadro per il settore forestale, 2008.
 

Il Corpo forestale dello Stato e la regionalizzazione

 

Dopo aver esaminato gli effetti delle regionalizzazione degli anni 70 sulla materia forestale risulta di particolare interesse conoscere delle vicende che hanno riguardato il Corpo forestale dello Stato in quel periodo.
A seguito dei mutamenti istituzionali derivanti dalla fine del secondo conflitto mondiale  viene ripristinato il Real Corpo delle foreste e con il decreto legislativo 12 marzo 1948, n.804 viene ristrutturato il Corpo forestale dello Stato nella fisionomia di corpo armato dello Stato con funzioni tecniche e di polizia, di natura civile[1].
Al Corpo erano attribuiti dall'articolo 1 del decreto legislativo n.804/1948 i seguenti compiti: a) rimboschimenti, rinsaldamenti ed opere costruttive connesse; b) sistemazioni idraulico-forestali ed idraulico-agrarie dei bacini montani e sistemazione idraulico-forestale dei comprensori di bonifica e di bonifica montana; c) incoraggiamenti alla selvicoltura ed alla alpicoltura; d) tutela tecnica ed economica dei boschi; e) tutela tecnica ed economica dei beni silvo-pastorali dei comuni e degli enti pubblici; f) tutela e miglioramento dei pascoli montani; g) polizia forestale; h) addestramento del personale forestale; i) ricerche e applicazioni sperimentali forestali; l) statistica e catasto forestale; m) sorveglianza sulla pesca nelle acque interne, sulla caccia, sui tratturi e sulle trazzere; n) propaganda forestale; o) gestione tecnica ed amministrativa delle foreste demaniali ed ampliamento del demanio forestale dello Stato; p) quant'altro sia richiesto per la difesa e l'incremento delle foreste e, in genere, dell'economia montana.
Con l'attuazione della regionalizzazione avvenuta negli anni 70, le funzioni amministrative relative alle lettere a), b), c), d), e), f), ed m) sono state trasferite alle Regioni che ai sensi dell'articolo 11, ultimo comma, D.P.R. 15 gennaio 1972, n.11 e articolo 71 lett. g), D.P.R. 24 luglio 1977, n.616 impiegano il Corpo forestale dello Stato, salvo per le Regioni a statuto speciale Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta che in base ai loro statuti hanno istituito propri Corpi forestali regionali.
L'Azienda di Stato per le foreste demaniali di cui vi è cenno alla lettera o) come si è avuto modo di vedere in precedenza è stata soppressa.
Assume particolare rilievo la disamina dell'articolo 11 del D.P.R. n.11/1972 che mentre trasferiva alle Regioni gli Ispettorati regionali, ripartimentali e distrettuali delle foreste (lasciando allo Stato i Distaccamenti forestali e le Stazioni forestali), stabiliva altresì l'impiego del C.F.S., ferma restando la sua unitarietà di struttura, inquadramento e reclutamento, da parte delle singole Regioni, nell'ambito dei rispettivi territori, per l'esercizio delle funzioni trasferite.
Avverso il contenuto dell'ultimo comma del richiamato articolo 11 varie Regioni promossero ricorsi alla Corte Costituzionale per violazione delle norme costituzionali e per conflitto di competenza. La Corte Costituzionale, con sentenza n.142 del 24 luglio 1972 giustificò la riserva allo Stato del reclutamento e addestramento del Corpo forestale dello Stato e della Scuola istituita a tale scopo, in quanto attinenti non alla materia dell'agricoltura ma alla formazione culturale e professionale di un personale destinato all'assunzione di funzioni richiedenti una particolare specializzazione tecnica. L'esclusione dal trasferimento alle Regioni della materia riguardante l'inquadramento del predetto personale forestale e l'affidamento allo Stato dello stato giuridico degli appartenenti al C.F.S. trovava fondamento, sempre secondo la Corte Costituzionale, “nella natura delle funzioni ad esso assegnate che comprendono la polizia forestale, cioè una attività che sfugge alle Regioni (cui l'articolo 117 della Costituzione conferisce poteri solo per la polizia urbana e rurale) ed una serie di altri compiti, essi pure di esclusiva e prevalente competenza statale”. D'altra parte secondo la Corte, le Regioni, non avevano motivo di doglianza in quanto, come risulta dalla correlazione con l'articolo 11 ultimo comma del citato D.P.R.., dispongono dell'impiego del personale del C.F.S. il che importa alle stesse la titolarità di tutti i poteri di supremazia speciale, necessari ad assicurare la piena utilizzazione di tale personale e la fedele attuazione delle direttive di politica forestale nel quadro di quella nazionale.
Superato il vaglio costituzionale del D.P.R. n.11/1972, le problematiche più ostiche da affrontare si incontravano sul piano pratico ed operativo in quanto il Corpo forestale dello Stato veniva a trovarsi in una singolare posizione ossia un peculiarissimo, se non atipico, doppio regime[2], riguardante, l'uno il personale, e l'altro le funzioni e gli uffici; più nello specifico mentre da un lato conservava l'unitarietà di struttura, inquadramento e reclutamento del personale e le estreme diramazioni degli uffici periferici (distaccamenti e stazioni forestali), dall'altro perdeva viceversa gli uffici gerarchicamente intermedi a livello distrettuale, provinciale e regionale. I funzionari direttivi del C.F.S. già capi degli uffici trasferiti alle Regioni, si venivano a trovare nella particolare situazione di doversi coordinare da una parte le attività statali residue, e l'attività dei distaccamenti e stazioni forestali, e dall'altra ad essere responsabili, nei confronti delle Autorità regionali, dell'espletamento dei compiti forestali legati alle materie trasferite.
Anche il successivo D.P.R. n.616/1977 fece salva l'unitarietà strutturale del C.F.S. confermando la competenza statale in ordine al “reclutamento, addestramento ed inquadramento del Corpo forestale dello Stato il quale è impiegato anche dalle Regioni, secondo il disposto dell'articolo 11 del D.P.R. 15.1.1972 n.11” come recita la lettera g dell'articolo 71. Le novità introdotte da quest'ultimo riguardano unicamente l'accresciuto carico delle funzioni devolute alle Regioni in materia di polizia forestale, di difesa del suolo, di protezione dell'ambiente naturale e di lotta contro gli incendi, che ha persino reso più problematico il "doppio regime". Con l'inciso “anche” riferito all'impiego del Corpo da parte delle Regioni, il legislatore ha inteso accentuare una preminenza e comunque la rilevante presenza di quelle attività statali che il C.F.S. doveva assolvere. Perciò se da un lato infatti i compiti statali specie se connessi a funzioni ed attività di polizia, di protezione civile e di pubblico soccorso dovevano ritenersi comunque prioritari rispetto alle attività regionali, la supremazia speciale che, secondo la Corte Costituzionale sia l'articolo 11 D.P.R. n.11/1972, sia l'articolo 71 lettera g) del D.P.R.. n.616/1977 riconoscevano alle Regioni in ordine all'impiego del C.F.S. sembrava conferire alle stesse Regioni autonoma potestà di impiego del personale. Quindi l'impiego simultaneo del C.F.S. su due fronti (statale e regionale) poneva dei problemi di principio e difficoltà di rapporti sia all'interno del Corpo che tra Amministrazione forestale e Regioni; ma fintanto che le Regioni hanno mantenuto inalterato il modello di organizzazione amministrativa degli uffici forestali trasferiti, lo svolgimento delle funzioni statali e delle attività regionali è stato possibile senza gravi inconvenienti. Quando però, le Regioni hanno proceduto ad un riordinamento delle proprie strutture, attraverso una diversa organizzazione dei propri uffici regionali e provinciali o attraverso la delega agli Enti locali delle funzioni trasferite, non è stato più possibile mantenere un autonomo svolgimento del servizio del C.F.S. sia per conto dello Stato che delle Regioni. Ciò ha comportato anche notevoli inconvenienti di ordine amministrativo e gerarchico nel governo e nella disciplina del personale. Per trovare il bandolo della matassa l'Amministrazione forestale dopo la constatazione che eventuali soluzioni legislative o regolamentari avrebbero urtato contro insormontabili difficoltà e perplessità politiche, ha cercato di trovare soluzioni per così dire pragmatiche al problema. Infatti in un primo tempo era stata saggiata la possibilità di emanare con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, una direttiva che dettasse criteri unici per l'impiego del C.F.S. da recepirsi con singole convenzioni stipulate successivamente tra il Ministero dell'agricoltura e delle foreste e le singole Regioni. L'iniziativa purtroppo si arenò per l'opposizione di talune Regioni che vedevano nella “direttiva” un'ingerenza dello Stato nell'ordinamento e nelle attribuzioni regionali, ma al di là degli aspetti politico-costituzionali la strada della direttiva unica non risultò percorribile anche per la diversità degli ordinamenti e dell'organizzazione dei servizi tra regione e regione. Dopo un periodo transitorio fatto di verifiche, contatti, incontri, riunioni finalizzato a dirimere dubbi superare perplessità e reciproche diffidenze e le obiettive difficoltà della materia si pervenne alla convinzione che l'unica strada percorribile era quella della convenzione tra Ministero dell'agricoltura e delle foreste e ogni singola regione, avente natura di accordo politico-programmatico bilaterale, liberamente concordato ed accettato dalle parti[3].
La convenzione, come del resto ha anche puntualizzato la Corte Costituzionale nella sentenza del 7.7.1988, n.772, si rivela lo strumento più adatto per poter attuare al meglio il sistema del doppio regime frutto della regionalizzazione e per garantire il buon andamento dell'azione amministrativa, in quanto è frutto dell'attuazione di un pieno accordo e della leale collaborazione tra Ministero e Regioni per l’impiego del personale del C.F.S..
Successivamente il rapporto tra il C.F.S. e le Regioni seguirà andamenti altalenanti fino alla fine degli anni 90 con le cd leggi Bassanini ed in particolare la legge 15 marzo 1997, n°59 all'articolo 7, comma 1, prevede che, una volta individuate le funzioni da mantenere allo Stato e, per "sottrazione", quelle da conferire alle Regioni deve provvedersi, con appositi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, al trasferimento delle corrispondenti risorse finanziarie, organizzative, strumentali ed umane, in misura sufficiente a garantire, sia l’esercizio regionale delle funzioni conferite, sia l’efficace prosecuzione, da parte dello Stato, nello svolgimento delle funzioni da questo mantenute, o a questo riservate. Nella specifica materia dell’agricoltura e delle foreste, il riparto di funzioni e compiti è stato disciplinato (con le integrazioni desumibili dal decreto legislativo n.112/1998 e dal decreto legislativo n. 155/2001) dal decreto legislativo n.143/1997, che, all’articolo 4, comma 1, richiamando espressamente il procedimento previsto dall’articolo 7, della legge n.59/1997, demanda ad un apposito D.P.C.M. il compito di individuare le risorse da trasferire alle Regioni e quelle da mantenere allo Stato; in particolare si provvede alla individuazione dei beni e delle risorse finanziarie umane, strumentali e organizzative da trasferire alle Regioni, ivi compresi i beni e le risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative del Corpo forestale dello Stato, non necessari all'esercizio delle funzioni di competenza statale. Tale decreto costituirà il preludio del “famigerato” D.P.C.M. 11 maggio 2001 che ha comportato sostanzialmente lo “smembramento” del Corpo forestale in quanto, aveva previsto il trasferimento alle Regioni del 70% delle unità in servizio al 31 dicembre 1998 ed in via d’assunzione in forza di concorsi già banditi. Previsione che non avrà esito in quanto successivamente annullata dalla sentenza del TAR Lazio, Sez. I, 11 luglio 2002 n°6269.
Mentre per quanto riguarda la norma legislativa di riferimento ossia il decreto legislativo n.143/1997, l'inciso riguardante “il trasferimento alle Regioni dei beni e le risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative del Corpo forestale dello Stato”, sarà definitivamente soppresso dall'art. 5 comma 3 della legge 6 febbraio 2004, n.36 contenente il nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato[4].

 
  1. 1)    Sul punto vedi Cesare Cantelmo, 1989. Il Corpo forestale dello Stato. Alla voce Corpo Forestale dello Stato del Digesto,
  2.          www.leggiditaliaprofessionale.it. 
  3. 2)   Sic Corte Costituzionale sentenza del 7.7.1988 n.772.
  4. 3)   Da AA.VV., 1988. Il Corpo forestale dello Stato. A cura di Alfonso Alessandrini
  5. 4)   Sul punto si veda Davide De Laurentis, 2004. Il Corpo forestale dello Stato tra tradizione e innovazione 1999-2003.Collana verde del C.F.S. n. 105/2004 Invece per approfondimenti sulla legge n. 36/2004 si veda Alessandro Cerofolini, 2004. Il nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato. In rassegna giuridico-legislativa di interesse ambientale. Il Forestale n.20.
 

Bibliografia

 
  • Alberto Abrami, 1987. Alla voce Boschi e Foreste del Digesto,  www.leggiditaliaprofessionale.it.
  • Alberto Abrami, 1993. I territori forestali. Dal vincolo idrogeologico al vincolo ambientale. Edizioni medicea.
  • Alberto Abrami, 2005. Manuale di diritto forestale e dell'ambiente territoriale. Giuffrè.
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