Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

MONITORAGGIO DEL TERRITORIO
FILIERA LEGNO E RISCHIO ILLEGALITA’
30/10/2013
Di Angelo MARIANO Vice questore aggiunto forestale

Benché il traffico di prodotti forestali d’origine illecita rappresenti una delle maggiori minacce...

 
 

Riassunto:
 
La produzione di legno illegale, insieme alla deforestazione, agli incendi ed ai mutamenti climatici, costituisce una delle più gravi minacce  per la sopravvivenza e la gestione sostenibile delle risorse forestali del pianeta e in particolare, di quelle tropicali. Nell’ultimo ventennio, questo fenomeno, universalmente noto come “illegal logging”, è stato oggetto di particolare attenzione da parte dell’opinione pubblica, dei movimenti ambientalisti e delle Organizzazioni internazionali che si occupano, a vario titolo, di questioni forestali e socio-economiche, di diritti umani, di pianificazione territoriale e conservazione della natura. Ciò ha portato l’Unione europea all’individuazione di specifiche misure per combattere l’illegal logging, contrastando il commercio dei prodotti ad esso correlati. Nel presente articolo si illustrano sinteticamente la portata del fenomeno, a scala globale e nazionale, e i principi di base dei regolamenti comunitari volti a minimizzare il rischio di illegalità nella filiera legno.

Abstract:
 
The production of illegal timber, along with deforestation, wild fire and climate change, is one of the most serious threats to the survival and sustainable management of the global forest resources and in particular, those in the tropics. During the last two decades, this phenomenon, known worldwide as "illegal logging", has been the subject of special attention from the public, the environmental movement and International Organizations that deal with forest and socio-economic issues, human rights, land use planning and nature conservation. This has led the European Union to the identification of specific measures to indirectly combat illegal logging by limiting the sale of illegal wood  products. The present article offers an overview of the phenomenon, at global and national level, and describes the basic principles of the EU regulations designed to minimize the risk of illegality in the timber sector.

 
 

Legno illegale definizione e consistenza del fenomeno a livello globale

 
Benché il traffico di prodotti forestali d’origine illecita rappresenti una delle maggiori minacce per la tutela della biosfera, una precisa definizione di legno legale (e per converso di legno illegale), operativa a livello globale, di fatto non esiste. Il concetto di legalità è piuttosto rimandato al rispetto delle norme vigenti nei paesi d’origine in materia di proprietà e diritto alla gestione delle risorse forestali, commercializzazione, esportazione e fiscalità dei prodotti.
La generalità di questo concetto fa sì che l’illegalità possa manifestarsi in qualsiasi passaggio della catena di approvvigionamento dei prodotti forestali che inizia nel bosco e termina con la vendita al dettaglio. Comunque, le più frequenti violazioni nei paesi a rischio (per lo più produttori di legnami tropicali) consistono nella mancata autorizzazione al prelievo legnoso e nella corruzione adoperata per poter tagliare determinati lotti boschivi ubicati in riserve naturali o costituiti da specie protette, in base a norme nazionali o internazionali (ad es. la Convenzione di Washington sul commercio internazionale di specie minacciate d’estinzione - CITES). Altri casi tipici di illegalità riguardano l’asportazione di legname oltre i limiti autorizzati, il mancato rispetto delle prescrizioni selvicolturali localmente vigenti (ad esempio il divieto di taglio raso), l’evasione fiscale, la falsificazione dei documenti di trasporto, le dichiarazioni doganali mendaci e ogni altra violazione di norme inerenti il settore foresta-legno.
Gli effetti più tangibili del commercio illegale consistono in un continuo decremento delle risorse forestali d’origine naturale (secondo la FAO pari a 13 milioni di ettari per anno)1, in  pesanti alterazioni degli equilibri socioeconomici delle nazioni più afflitte da deforestazione clandestina  e in considerevoli turbative degli scambi commerciali nei paesi volontariamente o involontariamente recettori di legno illegale. In termini finanziari, UNEP (United Nations Environmental Programme) e INTERPOL2 (International Criminal Police Organization) stimano la portata globale del fenomeno nell’ordine di 30-100 miliardi di dollari USA, pari ad una quota del 15-30% dell’intera produzione mondiale di legname. Se questi numeri rappresentano la media generale, va sottolineato che in alcuni paesi africani, asiatici o sud-americani, la quota di legno prodotto illegalmente può rappresentare addirittura il 90% del totale nazionale. Secondo la Banca mondiale3 10-15 miliardi di dollari sarebbero i proventi annui per le organizzazione criminali coinvolte a vario titolo nell’illegal logging, fenomeno che penalizza le economie dei paesi maggiori produttori di legni tropicali anche in termini di mancati introiti conseguenti all’evasione di tributi e dazi di esportazione. Questo spesso avviene con la complicità delle amministrazioni pubbliche preposte al controllo ed alla tutela del territorio, prone alla corruzione esercitata da operatori forestali ed esportatori senza scrupoli, obbedienti a logiche proprie della criminalità ambientale organizzata. Anche per questo motivo le fonti informative ufficiali di livello locale non sono in genere attendibili, tendendo a sottostimare radicalmente il fenomeno dell’illegalità forestale.

 
 

La situazione nazionale

 
Il nostro paese è contraddistinto da un importante settore di trasformazione del legno che si colloca al secondo posto dell’industria manifatturiera nazionale con un volume d’affari annuale di circa 33 miliardi di euro4. La scarsa attitudine a produrre legname di qualità dei nostri boschi si contrappone ad una fiorente industria di trasformazione che richiede ingenti quantità di materia prima adeguata. Pertanto il nostro paese rappresenta un tipico “importatore netto” di legno e prodotti derivati. Se la produzione annua ufficiale della selvicoltura nazionale è stimata intorno agli 8 milioni di metri cubi (di cui circa il 70% legna da ardere che non rientra nelle filiere industriali), l’importazione di legno e derivati (carta inclusa) è almeno pari al triplo5. Ciò determina un disavanzo netto tra importazioni ed esportazioni superiore a 18 milioni di metri cubi.
Considerata la netta dipendenza dall’estero e i notevoli volumi importati, il rischio di immissione di legno e derivati d’origine illegale nella filiera produttiva nazionale, risulta molto alto per l’Italia. In mancanza di dati certi, è ragionevole stimare che la quota “illegale” di tali merci nel nostro paese oscilli tra il 10 e il 20% del totale importato, il che rappresenterebbe un ammontare annuo orientativo variabile da circa uno a più di due miliardi di euro6. A tale proposito, va comunque evidenziato che la stima del danno socio-ambientale complessivamente arrecato nei paesi d’origine,  per mobilizzare legname illegale, va ben aldilà del suindicato valore finale di mercato ed è, in particolare per questo motivo, che il commercio dei prodotti derivati è attualmente contrastato da appositi strumenti legislativi comunitari.
Sebbene l’importazione sia sicuramente prioritaria al fine di tratteggiare la complessa questione dell’illegalità del legno nel nostro paese, non vanno comunque sottaciuti alcuni aspetti problematici propriamente nazionali; tra questi in particolare la legna da ardere che, come accennato, rappresenta il 70% del prodotto della selvicoltura italiana. Negli ultimi anni, l’uso di prodotti legnosi a scopi energetici sta prendendo sempre più piede a causa del contingente aumento dei prezzi degli idrocarburi, della migliorata efficienza dei dispositivi di combustione e riscaldamento domestico e dell’incentivazione delle fonti rinnovabili di energia elettrica che sta stimolando la diffusione di centrali “a biomasse” di varia grandezza. Queste, che dovrebbero idealmente impiegare residui legnosi non altrimenti utilizzabili dall’industria dei pannelli o della carta, finiscono spesso per bruciare legname dirottato, a causa di distorsioni di mercato o di vere e proprie attività illegali, verso questo uso improprio e riduttivo. Dai tecnici del settore, le biomasse (da cui attualmente si produce circa il 13% dell’energia rinnovabile totale)7 sono ritenute tra le più promettenti alternative del prossimo futuro, ma purtroppo rappresentano anche delle opportunità di “sviluppo” per la criminalità organizzata, specializzata nel traffico di rifiuti tossici o speciali (smaltibili illegalmente mediante combustione) e come si teme, nella commercializzazione di prodotti legnosi di origine dubbia o illegale. A questo proposito, va segnalata la potenzialmente correlata attività malavitosa, consistente nell’accaparramento di concessioni di taglio boschivo (nel corso di aste pubbliche) che consente allo stesso tempo il riciclaggio dei proventi di altri affari illeciti, la diffusione di manodopera irregolare nei cantieri forestali e un controllo del mercato locale della legna da ardere da vendere al dettaglio (magari in nero) o da fornire alle suddette centrali. Tra l’altro il settore dei combustibili legnosi è contraddistinto da una serie di incertezze specifiche. Basti pensare che alcune indagini campionarie  stimano il solo consumo annuale di materiali legnosi combustibili a livello domestico in circa 20 milioni di tonnellate, a fronte di una produzione interna globale di 4,3 milioni di tonnellate. Se si considera che l’importazione ufficiale ammonta a circa 1,7 milioni di tonnellate e che l’esportazione è trascurabile in termini quantitativi, resta da chiarire l’origine dell’enorme discrepanza tra il suddetto consumo reale e quello teorico apparente8. Questo disavanzo, pari a circa 14 milioni di tonnellate - più del triplo dell’intera produzione nazionale di legna da ardere prodotta nei boschi italiani - è molto difficile da spiegare. Ragionevolmente, una minima quota di questo enorme totale proverrebbe da fonti non forestali (potature di siepi, frutteti e alberature, riciclaggio di legname usato, residui di lavorazione dell’industria del legno, ecc.), mentre la massima parte deriverebbe da importazioni non registrate (per esempio dovute all’assenza di dogane interne alla UE) ed utilizzazioni boschive che sfuggono alle rilevazioni statistiche correnti, spesso a causa dei limiti operativi delle stesse. A tal proposito, si ricorda che il sistema attualmente in uso, pur mirando ad un ideale censimento delle cosiddette “tagliate boschive”, è affetto da varie problematiche metodologiche, non ultima la disomogeneità dei procedimenti autorizzativi adottati dalle Regioni e dalle Provincie autonome che, come noto, sono andati viepiù differenziandosi negli ultimi decenni.
Da tempo la sottostima delle utilizzazioni forestali (dati ufficialmente raccolti dalle Regioni e compilati dall’Istat a scala nazionale)  è motivo di preoccupazione per molti addetti al settore ed è stata confermata sia dalle stime dell’Inventario forestale nazionale del 2005, sia da un’indagine sperimentale basata sull’incrocio di dati amministrativi (inerenti le autorizzazioni di taglio) con immagini satellitari delle tagliate dei cedui di alcune regioni dell’Italia centro-meridionale9. Questi confronti dimostrerebbero, ancorché in modo prudenziale, che il prelievo legnoso ufficiale (legna da ardere in particolare) rischia di essere sottostimato fino alla soglia del 40%.
Appare fin troppo ovvio che il sistema forestale nazionale, contraddistinto da simili incertezze e controversie, rappresenti un potenziale terreno fertile per attività illegali, fino ad ora autolimitate dall’intrinseca bassa redditività della selvicoltura tradizionale, ma che prossimamente potrebbero venire incoraggiate da mutati scenari congiunturali di natura socioeconomica quali quello energetico già descritto e/o le possibili speculazioni legate alla compravendita di crediti di carbonio forestale. Inoltre un’importante quota delle risorse forestali nazionali potrebbe diventare oggetto d’interesse qualora i redditi ritraibili da una loro utilizzazione fossero di qualche utilità per ripianare criticità finanziarie o difficoltà di bilancio sopraggiunte a carico di proprietari privati o di enti pubblici. Basti pensare al ruolo di riserva strategica che rivestono alcuni  boschi comunali (consistenti in oltre 2 milioni ha) e al rischio che in un momento di grave difficoltà, quale quello attuale,  potrebbero divenire oggetto di scelte gestionali non sostenibili, quando non completamente legali, derivanti da interpretazioni viziate della legislazione vigente o addirittura effettuate in sua palese violazione. Purtroppo diversi casi concreti di questo genere sono già noti e ciò è testimoniato dal cospicuo numero di illeciti accertati negli ultimi anni dal Corpo Forestale dello Stato in materia di utilizzazioni boschive e furti di piante che, soltanto nelle 15 Regioni a statuto ordinario, ammontano complessivamente a circa 5.500 casi all’anno.

 

Normativa vigente e relativa attuazione

 

La prima iniziativa a scala globale per porre un freno, anche al commercio illegale di legno o derivati di specie a rischio è riconducibile alla citata Convenzione di Washington del 1973 che si prefigge l’obiettivo ben più ampio di salvaguardare entità genetiche animali e vegetali, viventi nei più disparati ambienti della biosfera, ma comunque minacciate d’estinzione. E’ comunque negli anni ‘90 che la coscienza ambientalista iniziò a porre in modo più pressante l’esigenza di accordi internazionali miranti in primo luogo a contrastare il taglio indiscriminato delle foreste tropicali. Va citato, in particolare, il Programma d’azione forestale approvato dai Ministri degli Esteri dei Paesi G8 nel 1998. In seguito la Banca Mondiale iniziò (nel 2001) a finanziare processi regionali per incrementare  il rispetto delle leggi forestali vigenti nei paesi e la governance nei relativi settori produttivi. Un altro momento fondamentale (2002) è rappresentato dal vertice delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg nel quale la Commissione europea (CE) dichiarò il fermo intento di  sviluppare delle strategie proprie per combattere la deforestazione e il commercio di legname illegale. Ciò si concretizzò nell’elaborazione del Piano d’azione FLEGT (Forest Law Enforcement and Trade) del 2003 e, nel 2005, nella promulgazione dell’omonimo regolamento (CE n. 2173/2005)11 che istituisce un sistema di “licenze” per le importazioni di legname nell’UE.
Le licenze FLEGT rappresentano i documenti originali che attestano la conformità di determinate partite di legname (cinque categorie commerciali obbligatorie: legno grezzo, traverse e altro legname squadrato, segati, fogli da impiallacciatura e pannelli compensati) alle prescrizioni normative vigenti nei Paesi d'origine. Il suddetto sistema si basa su accordi volontari di partenariato di tipo bilaterale (VPA), concordati tra l'Unione europea e gli Stati produttori di che desiderano porre un freno al taglio illegale e facilitare l'accesso di propri prodotti legnosi legali sul mercato comunitario. I Paesi con i quali la CE ha già perfezionato dei VPA e dai quali potrebbero arrivare a breve legname FLEGT sono sei (Camerun, Repubblica Centrafricana, Ghana, Indonesia, Liberia, Repubblica del Congo), mentre altri venti Stati sono in fase di trattative più o meno avanzate con L’UE per la predisposizione di accordi VPA.
Per quanto riguarda gli aspetti applicativi,  il regolamento impone agli Stati membri di verificare le licenze FLEGT, documenti standard verificabili e non falsificabili che accompagneranno ogni carico di legname conforme alle prescrizioni e che verranno rilasciate dalle Autorità di gestione dei paese esportatori. A tal fine gli Stati membri UE hanno designato delle proprie Autorità competenti, tenute a determinare un sistema di sanzioni “effettive, proporzionate e dissuasive” e ad inviare informazioni alla Commissione europea circa i quantitativi di legname FLEGT importato ed il numero delle licenze verificate per ogni paese partner.
Il regolamento, già vigente dal 2005, entrerà di fatto in piena attuazione all’arrivo del primo carico accompagnato da licenza FLEGT presso la dogana di uno degli Stati membri della UE e ovviamente, rappresenterà un considerevole freno all’entrata nel mercato comunitario di legno illegale, in quanto i sei Paesi firmatari di VPA sono storicamente tra quelli a più alto rischio.
La necessità di estendere disposizioni simili a quelle previste dal FLEGT a tutte le altre possibili provenienze geografiche di prodotti forestali illeciti ha  portato la EU nel 2010 alla promulgazione di un altro strumento legislativo noto con l’acronimo EUTR (European Union Timber Regulation)12, oppure come regolamento sulla “dovuta diligenza”. Questa norma si applica a tutti i prodotti a base di legno, importati da qualsiasi parte del mondo (inclusi i 28 Stati membri dell’Unione) e commercializzati sul mercato comunitario. Il regolamento - in attuazione dal 3 marzo 2013 - interessa quasi tutti i prodotti derivati dal legno (dai tronchi ai mobili, fino ai prodotti dell’industria cartaria) ad esclusione dei rifiuti legnosi, disciplinati da un’apposita direttiva settoriale.
In sintesi, il regolamento prevede che:

 
  • i prodotti immessi sul mercato provengano da legno raccolto legalmente;
  • gli operatori che immettono sul mercato legno e prodotti da esso derivati debbano ricorrere a un sistema di “dovuta diligenza” finalizzato a ridurre al minimo il rischio della presenza di legno illegale nella catena di approvvigionamento;
  • gli operatori debbano essere in grado di fornire una serie definita di informazioni sul legno e sui derivati immessi sul mercato e che debbano effettuare un’analisi del rischio onde evitare la commercializzazione di merci di provenienza illegale;
  • i commercianti debbano garantire la tracciabilità della filiera conservando, per almeno cinque anni, nei propri registri, le generalità dei loro fornitori e dei loro clienti, salvo che questi non rappresentino gli utenti finali dei prodotti (acquirenti al dettaglio).

 
Per far questo viene offerta agli operatori la possibilità di applicare sistemi di dovuta diligenza elaborati da appositi “Organismi di controllo” dotati delle esperienze e delle capacità d’analisi necessarie per assistere i loro associati nell’adeguarsi alle nuove regole commerciali introdotte dall’EUTR. 
Il sistema di dovuta diligenza si articola nelle tre fasi salienti sotto esplicitate: informazione, valutazione e attenuazione del rischio. Quest’ultima non è richiesta se il rischio di illegalità, in base alla fase precedente, risulta trascurabile e quindi le merci sono direttamente collocabili sul mercato.

  • Nella prima fase l’operatore o l’Organismo di controllo da questi delegato, raccoglierà una serie di informazioni documentali codificate dal regolamento e inerenti la descrizione commerciale della partita merceologica, il paese d’origine del legno, la regione di provenienza, la concessione di taglio, la conformità con la legislazione applicabile nel paese d’origine, la specie botanica, la quantità, il fornitore e il commerciante destinatario.
  • Il rischio di illegalità verrà valutato fondamentalmente in base alla provenienza geografica (ossia alla affidabilità del paese d’origine del legno: ad esempio rispetto al livello di corruzione, alla presenza di conflitti armati, alla presenza/assenza di sanzioni ONU) e alla complessità del prodotto e della relativa catena di approvvigionamento (tenendo a mente che una filiera lunga, comportando molti passaggi di mano delle merci, è più soggetta ad una penetrazione di chi a qualsiasi titolo violi i principi della EUTR). Il legno corredato di licenza FLEGT o certificato CITES è esentato dalla valutazione di rischio e direttamente collocabile in libera pratica.
  • Qualora, il rischio fosse valutato “non trascurabile”, si richiederebbe la terza fase del processo e cioè l’acquisizione di informazioni e documentazioni supplementari o eventualmente di certificazioni di “parti terze” miranti ad attenuarlo dimostrandone l’oggettiva trascurabilità. Se nonostante questi sforzi il rischio permanesse, l’operatore dovrebbe evitare di commercializzare quella determinata partita merceologica, pena il rischio di incorrere nelle sanzioni previste.

 
Come nel caso del FLEGT, responsabili per l’attuazione del regolamento a livello nazionale sono le Autorità competenti designate da ogni Stato membro e riconosciute dalla CE. Tramite esse, gli Stati membri dovranno disporre appositi controlli  - in base ad un’attenta analisi del rischio -  onde vigilare sul comportamento degli “operatori” (che immettono per la prima volta sul mercato comunitario una determinata partita di legno o di prodotti derivati), degli “Organismi di controllo” e dei “commercianti” (che vendono o acquistano legno o prodotti derivati già immessi sul mercato interno da un operatore).
Va notato che nonostante il citato termine del 3 marzo 2013 sia ormai trascorso, l’implementazione dell’EUTR negli Stati membri procede con una certa lentezza. Ad oggi, soltanto sei paesi (Regno Unito, Danimarca, Germania, Paesi bassi e Bulgaria) si sono già dotati di norme nazionali d’attuazione recanti l’architettura istituzionale e operativa delle strutture che si occuperanno dei  controlli e un appropriato regime sanzionatorio da applicare ai contravventori. 
A questo proposito si ricorda che le sanzioni previste dal regolamento possono avere natura amministrativa o penale, in funzione della gravità delle inosservanze commesse dagli operatori e devono essere commisurate al danno ambientale, al valore del legno o dei prodotti da esso derivati, alle perdite fiscali ed al danno economico derivante dalla violazione. Tra queste rientrano anche il sequestro delle merci e la sospensione dell’autorizzazione ad esercitare l’attività commerciale.
La situazione italiana è in linea con quella della maggior parte degli altri Stati membri. Nel nostro paese l’iter legislativo della norma d’attuazione segna il passo anche a causa delle incertezze derivanti dal contingente quadro governativo. Comunque l’Autorità competente in materia di EUTR e FLEGT è stata designata per tempo e individuata nel MiPAAF che si avvarrà del Corpo Forestale dello Stato per l’effettuazione dei controlli previsti dai due suddetti regolamenti. Considerate le similitudini concettuali che accomunano la CITES (da decenni oggetto prioritario d’intervento per il CFS) l’EUTR e il FLEGT, nonché la storica attività in materia di prevenzione e lotta ai crimini ambientali, il Corpo Forestale saprà individuare e mettere in atto le più opportune strategie e tecniche operative per garantire anche il rispetto dei due nuovi regolamenti comunitari e contrastare la diffusione di legno e prodotti derivati illegali di provenienza estera o nazionale.

 

Bibliografia