Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

INCENDI
BOSCHI, INCENDI E BIODIVERSITÀ
13/11/2017

di Francesco Petretti, Università degli Studi di Perugia


Un bosco percorso dalle fiamme tornerà ad essere bosco, ma sarà sicuramente diverso da quello originario e probabilmente meno ricco di biodiversità 


RIASSUNTO:

L’Europa meridionale accoglie i più importanti lembi di foresta vergine o seminaturale. Nonostante l’antica presenza umana, il pascolo intenso, l’erosione, gli incendi e il processo di desertificazione, i sistemi montuosi di questa parte del territorio hanno adeguatamente protetto alcune delle più belle foreste europee.

In Italia fenomeni devastanti come gli incendi boschivi che, quest’estate, hanno colpito piccole e grandi aree del nostro Paese, hanno determinato una perdita di biodiversità difficile da quantificare e soprattutto da recuperare. Occorrerebbe un’opera di rimboschimento caparbia e lungimirante difficile da realizzare oggi. 

ABSTRACT:

Woods, fires and biodiversity
Southern Europe hosts important parts of virgin or semi-natural forests. Notwithstanding ancient human presence, intense pasture, erosion, fires and desertification process, the mountainous systems of this part of the territory have adequately protected some of the most beautiful European forests.

In Italy devastating phenomena such as forest fires, that in the summer 2017 hit small and large areas of the country, have led to a loss of biodiversity hard to quantify and recover. Stubborn e farsighted reforestation is needed, although hard to achieve nowadays



FOTO CUn terzo dell'Europa è coperto da boschi, per circa 144 milio­ni di ettari (superficie pari a quasi cinque volte quella dell'Italia), ma le condizioni in cui versa questo patrimonio forestale ancora rag­guardevole non sono le migliori.

Qualsiasi bosco, anche il più antico e inaccessibile, ha infatti subito in un passato più o meno recente il taglio, l'incendio, il pa­scolo del bestiame, tanto che è diventato molto difficile trovare foreste vergini. 

Ma questo non significa che non esistano fo­reste che per le loro caratteristi­che di naturalità possano essere definite dei veri e propri monu­menti alla biodiversità, testimo­ni dell'antico splendore delle selve del nostro continente. 

L’in­ventario, lo studio e la protezio­ne di questi lembi di habitat na­turale, dall'estremo nord della Lapponia all’estremo sud dell'isola di Creta, sono gli obiettivi di molti progetti di conservazione nazionali e sovranazionali, ma è anzitutto importante definire i cri­teri per stabilire se un bosco è natu­rale e in quale misura.

Gli studiosi di biodiversità forestale  li condensano in otto parametri guida:

  • la presenza di una struttura complessa, con quattro strati vegetali: le erbe, i cespugli, gli alberi e le piante rampicanti;
  • la com­posizione e la distribuzione delle spe­cie, cioè l’aspetto floristico vero e pro­prio;
  • la presenza di alberi di età diffe­renziata: giovani, maturi e vecchi;
  • la presenza di alberi molto vecchi e grandi, giunti al limite del loro svi­luppo;
  • la presenza di uno strato di le­gname morto e marcescente sul terre­no;
  • la presenza di alberi secchi e de­perienti ancora in piedi;
  • la presenza di diverse successioni ecologiche, va­le a dire l'esistenza di uno stato dina­mico di evoluzione;
  • la presenza, infi­ne, degli indicatori biologici, quelle specie cioè che dipendono dalle con­dizioni di salute e di maturità degli ecosistemi forestali, in particolare gli invertebrati del legno morto (soprat­tutto coleotteri), i licheni, i funghi (soprattutto le Poliporacee che cre­scono sui tronchi), i muschi, i mollu­schi (chiocciole e lumache) e i picchi.

 

FOTO BNonostante lo sviluppo dell'agri­coltura e dei centri urbani, le attuali foreste europee rappresentano anco­ra il 70 per cento della superficie ori­ginaria. 

Sono tuttavia distribuite in modo diseguale, con un massimo nelle nazioni scandinave ed un mini­mo in alcuni paesi occidentali come l'Irlanda, la Danimarca, la Gran Bre­tagna e l'Olanda, dove il termine bosco viene ormai riservato a piccoli parchi, i cui alberi, si con­tano uno per uno.

Le foreste vergini e semi-naturali, generalmente localizzate nelle zone montane più inaccessibili, co­prono in totale 2.209.000 ettari, cioè l'1,5 per cento della superfi­cie forestale complessiva e il 2,2 per cento della copertura bo­schiva originaria. 

Per il resto si tratta di  aree di maggiore o minore interesse na­turalistico, ma tutte classificate fra le foreste secondarie o di so­stituzione: cioè manomesse, piantate, curate, tagliate o in ogni caso gestite dall'uomo che ne ha impedito l'evoluzione na­turale e spontanea.

L’Europa meridionale, in partico­lare la fascia mediterranea (Grecia, penisola iberica, Italia e Turchia), accoglie i più importanti lembi di foresta vergine o semi naturale. 

No­nostante l'antica presenza umana, il pascolo intenso di capre e di pecore, l'erosione, gli incendi e il conseguente processo di desertificazione, i sistemi montuosi di questa parte del territorio hanno adeguatamente protetto alcune delle più belle fore­ste europee. 

Per ritrovare le sensa­zioni provate dai primi uomini che abitarono l'Europa, bisognerebbe quindi fare un pellegrinaggio attra­verso i monumentali querceti della penisola iberica, le umide selvé di abete di Cefalonia dei monti della Grecia, le tenebrose abetine dell'Ap­pennino settentrionale E le fitte fag­gete della Turchia.

Ambienti unici, minacciati da fenomeni devastanti, come gli incendi boschivi che, nell’estate del 2017, hanno colpito piccole e grandi aree boscate del nostro Paese, determinando perdite di biodiversità difficili da quantificare e soprattutto da recuperare.

Il più delle volte la natura richiede tanto di quel tempo per riformare un manto vegetale di una certa maturità e complessità, che, di fatto, nel normale volgere della vita di un uomo quello che, gli occhi di un  bambino hanno visto andare in fiamme, difficilmente lo potranno vedere  tornato al primitivo splendore  una volta divenuti gli occhi  di un anziano.

Ciò è particolarmente valido nel caso delle formazioni di conifere, piante che muoiono anche se  toccate dal fuoco  in modo superficiale . Basta un fuoco di paglie alla base di pini secolari per decretarne la morte: questa avviene nel giro di una o più stagioni, spesso la pianta sembra dar prova di vigore e di aver superato l’insulto delle fiamme ma prima o poi, la chioma comincerà a ingiallire e l’albero sarà morto.

FOTO ALa corteccia, impregnata di resine e di sostanze altamente infiammabili,  non garantisce più protezione al tronco duro, solido ma pur sempre fragile.

Le grandi pinete di pino  delle pendici del Gargano e del Vesuvio, la selva di Castelfusano,  le formazioni a latifoglie e conifere del monte Morrone andate in fiamme nella scorsa estate  difficilmente torneranno così come le abbiamo viste nel passato.

Occorrerebbe un’opera di rimboschimento caparbia e lungimirante, quale è difficile realizzare oggi, e si dovrebbe combattere contro la natura stessa che vorrà un mantello di macchia mediterranea al posto dei pini che per tanto tempo con la loro ombra, le hanno negato spazio.

La successione vegetale che si instaura nei terreni percorsi dalle fiamme tende, infatti, a sostituire l’ammasso di tronchi anneriti e privi di vita dapprima con uno strato erbaceo di piante pioniere e tenaci, poi con una fascia di arbusti invadenti e adattabili, dalla ginestra al rovo, poi via via con una vegetazione più complessa di sclerofite, le piante sempreverdi dalle foglie coriacee, amanti del sole e tolleranti della siccità, che costituiscono la vegetazione più importante delle coste mediterranee rocciose e  dardeggiate dal sole, come quelle del Gargano esposte al mare.

Queste piante sono presenti in piccolo numero e in condizioni precarie anche in una lecceta e in una pineta ombrosa e aspettano solo un evento improvviso, come il fuoco, per farsi largo e sopraffare gli alberi caduti sotto i colpi delle fiamme.

Dalla loro base ben presto spuntano vigorosi polloni in grado di ripristinare, in tre o quattro anni, una macchia mediterranea compatta e alta alcuni metri che, nel suo grembo, comincerà ad allevare qualche leccio, qualche pino che poco a poco con grande fatica comincerà a liberarsi dall’abbraccio soffocante delle filliree e dei mirti.

La capacità di rigenerarsi della macchia mediterranea che ha evoluto meccanismi di difesa dalle fiamme rappresentati da radici sotterranee, da suberosità del tronco e dai rami, è eccezionale ma, un incendio comporta un regresso a condizioni embrionali della vegetazione dell’area e per sperare che il neonato possa crescere sano e robusto, come il suo genitore, prima delle fiamme bisogna che ci siano delle condizioni che oggi non sempre sono assicurate.

Ad esempio la capacità di piante e animali di colonizzare i terreni percorsi dalle fiamme. In un territorio sempre più parcellizzato, segmentato da strade e infrastrutture, non è detto che semi, propaguli vegetali e organismi animali siano in grado di raggiungere la zona incendiata per iniziare la ricostruzione di una biocenosi complessa.

Un bosco incendiato potrebbe non tornare più come era prima, come suggerisce il concetto ecologico della omeorresi.

Questa teoria, in opposizione a quella dell’omeostasi, cioè della tendenza dei sistemi a tornare alle condizioni iniziali di equlibrio in assenza di fattori di disturbo, sostiene che un ecosistema perturbato entrerà in un flusso di cambiamenti che lo porteranno a una nuova   condizione di equilibrio diversa da quella precedente al fenomeno perturbativo .

Nel caso di un incendio boschivo è evidente che il bosco tornerà ad essere bosco, ma sarà sicuramente diverso dal bosco originario e probabilmente peggiore dal punto di vista naturalistico, per la minore ricchezza di specie come: testuggini di terra, serpenti e mammiferi terricoli che non avranno più la possibilità di raggiungerlo e  di insediarvisi.

Gli ultimi anni ci hanno abituato a una serie sempre più serrata di eventi climatici gravi e irruenti, in particolare le alluvioni che erodono il territorio: uno di questi eventi subito dopo un incendio segnerebbe irrimediabilmente la fine delle possibilità di un territorio di riformare una adeguata copertura vegetale, perchè lo scheletro roccioso, portato a nudo dall’azione dilagante della pioggia, non sarà più in grado di sostenere lo sviluppo di piante a partire dai semi accidentalmente trasportati dal vento o dagli animali.

Non è detto quindi che un territorio incendiato, possa tornare a fiorire e possa offrire nel corso di questa sua trasformazione opportunità di vita a specie animali e vegetali: è un augurio e non una certezza.