Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

FAUNA 
IL RITORNO DELLA LINCE SULLE ALPI
25/03/2024

di Maurizio MENICUCCI
Giornalista scientifico

 

Nell’ambito del progetto di rafforzamento della popolazione italiana della lince "ULyCA2" (Urgent Lynx Conservation Action),  i Carabinieri Forestali e gli esperti del “Progetto Lince Italia” dell’Università di Torino, con il sostegno del WWF e delle associazioni venatorie friulane e giuliane, stanno cercando di raggiungere l’obiettivo di consolidare la specie in un'area strategica, la Foresta di Tarvisio, ponte naturale tra le popolazioni dinariche e quelle alpine. Il sito scelto per il rilascio di Karlo, infatti, si trova proprio in una remota vallata a pochi passi dal confine con la Slovenia.

As part of the project to strengthen the Italian lynx population "ULyCA2" (Urgent Lynx Conservation Action), the Forestry Carabinieri and the experts of the "Italian Lynx Project" of the University of Turin, with the support of the WWF and the Friulian hunting associations and Juliana, are trying to achieve the objective of consolidating the species in a strategic area, the Tarvisio Forest, a natural bridge between the Dinaric and Alpine populations. The site chosen for Karlo's release, in fact, is located in a remote valley a few steps from the border with Slovenia.


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E’ lì, dentro il recinto, che si muove. Noi non la vediamo e lei non vede noi. O meglio, non dovrebbe, se fosse un animale qualsiasi. Ma è una lince. Come dicono i proverbi e conferma l’etimologia del nome “lynx”, la stessa di luce, i suoi occhi, specie al buio, sono acutissimi, certo, ma anche l’udito non è da meno. Nulla di strano, in fondo, per un superpredatore di una ventina di chili o poco più, che solo grazie alla perfezione dei suoi agguati riesce ad abbattere anche cervi adulti. Insomma, lei sa benissimo che siamo qui fuori, in tanti, inutilmente nascosti dietro due lunghi teli verdi che i Carabinieri Forestali del Raggruppamento Biodiversità hanno montato ai lati del recinto. E comunque non è per quello che non esce. A spaventarla molto più di noi è lo spazio che s’intravede al di là della grata. Una libertà che ha vissuto solo nei primi mesi di vita e di cui, ora, sembra non avere più memoria. La speranza, però, è proprio questa: che ricordi come si fa.

Foresta di Tarvisio, confine tra Italia, Austria e Slovenia. Giugno di quest’anno. Siamo partiti nel tardo pomeriggio, tra zanzare e scrosci di pioggia, ma sapevamo che ne sarebbe valsa la pena. Mezz’ora di sterrati per arrivare alla piccola valle che la ricercatrice svizzera, Anja Jobin, e il collega (e marito) italiano, Paolo Molinari, hanno individuato nel cuore del bosco, e ancora dieci minuti a piedi per arrivare qui. Adesso la porta è aperta, ma lei non vuole saperne. Un minuto, poi un altro, scanditi dal nostro silenzio. Alla fine è Paolo a entrare e a spingerla verso l’apertura. E’ un giovane maschio orfano. E’ stato chiamato Karlo. Come il nome del guardacaccia che, notate le mammelle turgide di una femmina investita in Croazia nel 2022, sulle Alpi Dinariche, si era messo subito a cercarne il cucciolo, e l’aveva ritrovato, dopo una settimana, mezzo morto di stenti, davanti alla tana. Salvato e rieducato a fare a meno dell’uomo nello zoo slovacco di Bojnice, si spera, adesso, che sia la fame a risvegliarne l’istinto predatorio impigrito dalla cattività: alla sua età, 11 mesi, i giovani, di solito due o tre, diventano indipendenti, ma, fino a quel momento, è dalla madre che hanno appreso le tecniche di caccia. 

 

Alla vista di Paolo, che avanza protetto da una spessa coperta militare, Karlo protesta, quindi si decide a uscire. Un attimo di incertezza: si ferma, guarda verso di noi, poi si allontana a balzi, senza fretta, tra le felci, portando con eleganza il vistoso Gps che permetterà di seguirne gli spostamenti. Bellissimo! Sì, va bene, è scorretto. “Bello”, di un animale, non si dovrebbe mai dire ad alta voce, specie quando se ne parla, o si vorrebbe, in termini di scienza. Perché, se ammettiamo che ci sono quelli “belli” - tra l’altro, sono quasi sempre tra i mammiferi a noi più vicini, capaci di scatenare l’effetto cub, che spinge l’adulto a proteggere qualsiasi cucciolo - dobbiamo, poi, accettare anche la categoria dei “brutti”. Con il corollario che i primi devono essere protetti, e gli altri, che non ci piacciono, possono estinguersi senza che ce ne diamo pena, anzi, non si vedeva l’ora. Il che, appunto, non è molto utile, visto come stiamo devastando la natura, dove ogni organismo è la rotella indispensabile di un enorme ingranaggio, del quale solo noi ci rifiutiamo testardamente di far parte.

Detto questo, però, si può mai mettere in dubbio la straordinaria bellezza di un felino? E tra i felini, si può negare che il più attraente sia la lince, quella lonza a la pelle dipinta che forse proprio per la sua sensuale avvenenza, più che per la sua non particolare prolificità, Dante elegge a simbolo di lussuria? Se avvistarla nella letteratura e nella storia è raro, ancor più lo è in natura, anche in passato, quando le “selve oscure” che sono l’habitat preferito, erano molto più estese. Per questo, a parte il mitico “lincurio”, una sorta di ambra - o pietra dura, o forse pianta - dai mille pregi, che si credeva derivasse dalla sua orina solidificata, la lince non ha lasciato negli antichi bestiari le stesse tracce dell’orso, o del lupo, con il quale veniva confusa nel Medioevo, come indica il sinonimo di Lupo Cerviero. Ora, però, potremmo davvero non vederla più, e non solo perché è elusiva: è di gran lunga il mammifero più raro d’Italia. Diffusa, un tempo in tutte le foreste europee, agli inizi del ‘900 era quasi estinta. Poi, il ripopolamento partito dal nucleo residuo dei Carpazi, negli anni ’70, ha avuto successo e ora vive stabilmente in Svizzera, in Francia e in Slovenia, compresa la foresta di Tarvisio e dunque l’Italia. Da noi, pur senza più riprodursi - tace luttuosamente, dal Trentino, il collare di B132, un maschio dalla biblica età di 15 anni, unico esemplare “residente” in Italia - ricompare sempre più spesso sull’intero arco alpino, anche se gli avvistamenti vanno presi con cautela. Da lontano, un gattone, soriano o selvatico che sia, non è cosi diverso da una lince, a parte la coda “mozza e i “ciuffi” alle orecchie. Gli psicologi lo chiamano “bias di aspettativa: vuoi dire che spesso vediamo quel che desideriamo. 

In realtà, negli ultimi anni, la popolazione complessiva del maggior felino europeo è di nuovo in flessione, a differenza della lince iberica, o pardina, specie a parte, di taglia minore, che invece viene segnalata in ripresa. Alle solite cause di morte, bracconieri e incidenti, s’è aggiunta la frammentazione degli habitat, che aumenta l’imbreeding, la riproduzione tra consanguinei, con minor fertilità e minor sopravvivenza degli individui. Oggi, nell’Europa centro meridionale, la lince si allinea su quattro nuclei sempre più isolati: le Alpi franco-svizzere, Austriache e Italo-slovene, più i Monti Dinarici della Slovenia e della Croazia. Secondo la comunità scientifica, vanno ricollegati, aprendo - ma vale per tutti i selvatici - corridoi naturali che ne favoriscano l’assortimento genetico. La liberazione di Karlo e nei tre mesi precedenti, di Jago e Talia dai Carpazi Rumeni e di Sofia e Margy, dal Giura svizzero, è il focus del “Progetto UlyCA2”, per il ritorno delle linci nelle Alpi Giulie italiane. Condotta dai Carabinieri Forestali e dagli esperti del “Progetto Lince Italia” dell’Università di Torino con il sostegno del WWF e delle associazioni venatorie friulane e giuliane, l’operazione rappresenta un tassello di questo grande programma europeo di riconnessione biologica. L’obiettivo è consolidare la specie in un'area strategica, la Foresta di Tarvisio, ponte naturale tra le popolazioni dinariche e quelle alpine, ma è tutt’altro che semplice. Al contrario di quanto si pensava pochi anni fa (questo spiega i numerosi fallimenti), la reimmissione di un selvatico, da sola, non è risolutiva. Deve essere accompagnata da un lungo percorso, scientifico e politico. Comporta complessi accordi per lo scambio di animali, e controlli di veterinari, esperti ed enti faunistici. Esige, soprattutto, il consenso convinto delle tante parti coinvolte: cacciatori, allevatori, agricoltori, enti turistici, associazioni ambientaliste, naturalisti, enti di tutela. 

Le preoccupazioni suscitate dal ritorno di un altro grande predatore sono diffuse, ma gli studiosi concordano sul fatto che la lince non è così “ingombrante” nel suo ambiente.  Certo, a differenza del lupo e dell’orso, è un carnivoro assoluto ma a parte i due mesi primaverili della riproduzione, è un animale solitario. Ogni individuo controlla un territorio molto ampio. Non fa danni pesanti agli allevatori e non entra realmente in competizione con i cacciatori. Anzi, elimina gli esemplari più deboli tra le prede del suo “menu”, che comprende ungulati, lagomorfi, e altre prede piccole. Piani di gestione accurati e allargati, intesi, come quello a cui si appoggia UlyCA2, non più “a favore di una sola specie”, offrono alle amministrazioni tutti gli elementi per decidere se e come proteggere i selvatici autoctoni - un obbligo per i paesi che hanno firmato la normativa europea Habitat Natura 2000 - e controllare che restino in equilibrio con le altre specie. L’uomo, tra queste, è la più pericolosa, perché l’unica dotata di pregiudizi radicati. Mentre scriviamo, arriva la notizia che Sofia, una delle cinque linci del progetto UlyCA2, è stata uccisa da un bracconiere a Villach, in Austria, poco distante dal punto dove era stata liberata. La Polizia federale lo ha già individuato e ad aiutarla sono stati proprio altri cacciatori, perché chi commette reati del genere è quasi sempre recidivo. La condanna per un gesto vigliacco come può esserlo la fucilata da un’altana, col binocolo, a duecento metri di distanza, che ha cancellato due anni di lavoro, si annuncia esemplare e particolarmente pesante: 17 mila euro di sanzione, il risarcimento dei danni causati e fino a tre anni di carcere. Ma il ripetersi di questi comportamenti distruttivi suggerisce che la strada più efficace per evitarli non è la legge, ma la cultura: la formazione di esperti, e attraverso gli esperti, l’informazione corretta, completa ed equilibrata, che contribuisca a una conoscenza reale, e non solo emotiva, della realtà naturale.

La meraviglia che si accompagna alla scoperta dei fenomeni è indubbiamente la porta principale, se non l’unica, della curiosità, che a sua volta è il motore della scienza. Ma da sola non basta: anche lo stupore, se diventa abitudine, tende a diventare la sua antitesi, che è la stupidità dei luoghi comuni. Perciò la scienza non si fonda sulle emozioni, ma sulle convinzioni. Alla lince, così come all’orso, al lupo, al castoro e a tante altre specie che si riaffacciano sui nostri ambienti si può dire sì, oppure no. Entrambe le risposte sono lecite, e nello stesso grado, ma l’esperienza dimostra che l’una e l’altra vanno meditate, motivate e soprattutto aggiornate: non valgono una volta e per sempre. Se, ad esempio, una specie che è stata protetta, perché era ridotta a pochi individui, poi si moltiplica con particolare successo, è ragionevole poterne rivedere la tutela, e se occorre ricorrere a misure più drastiche per allontanarla da luoghi e comportamenti critici. Eticamente non sarà una decisione esente da critiche, perché continua ad assegnare un diritto di vita e di morte alla nostra specie sulle altre, ma la questione cambia prospettiva se si pensa che un solo esemplare sacrificato può salvare un’intera popolazione: gli umori sono per definizione mutevoli e il consenso generale verso un animale selvatico che si rivela invadente ci mette un attimo a diventare minoranza, vanificando anni di lavoro e consegnando alla politica armi letali per l’ambiente non meno che per il buon senso. 

Il lupo è un caso di scuola. Da diabolico mangiatore di uomini (“mannaro” viene da “humanarius”, indica una particolare preferenza dietetica) è diventato, anche attraverso la letteratura, il simbolo del coraggio e della generosità. Ma se oltre ai cinghiali e ai caprioli, che oggi attirano i lupi verso le aree verdi metropolitane, questi ultimi rivolgessero le loro attenzioni anche a cani e gatti di casa, è probabile che anche il romantico entusiasmo dei cittadini, che del lupo sono i fans più entusiasti, scenderebbe di parecchi gradi. Come potrebbe dire un pastore, è facile fare l’amico del lupo con le pecore degli altri. Per questo motivo, ogni operazione, anche di solo rinforzo demografico e genetico come quello della lince, deve essere subito accompagnato da un piano di gestione. Da tempo si fa così, ma UlyCA2 cerca di andare oltre. E’ stato preparato con grande cura un “Piano di Gestione Interregionale per la Gestione della lince eurasiatica”, valutando tutto ciò che le nuove conoscenze sulla genetica, le dinamiche individuali e le interazioni della lince con le altre specie, quelle selvatiche e quelle domestiche, anche a largo raggio, mettevano a disposizione. Fondamentale è la cooperazione con altre regioni alpine, dove il felino conta popolazioni importanti ed esperienze tecniche, antropologiche e sociali più significative. La caratteristica saliente del progetto e quindi del piano di gestione è l’attenzione alle comunità e alle categorie economiche, culturali e sportive dei territori interessati, quelli dove la specie potrebbe riprendere consistenza. E’ stato individuato un percorso - per gli anglofili, una “road map” - che, attraverso una serie di incontri pubblici, illustri tutto quel che allo stato dell’arte si può dire sul tema e risponda alle domande e ai dubbi dell’opinione pubblica, creando il terreno ideale per un consenso, o un dissenso. 

Ovviamente, tutte le energie sono rivolte al primo obiettivo: che sia alla portata, lo dice la presenza (insieme al Wwf) delle principali associazioni venatorie, strategica, per almeno tre ragioni. Perché conferma che la passione per la natura, l’esperienza sul campo e la vigilanza attiva dei cacciatori sono fondamentali nelle iniziative di tutela della fauna. Poi, perché li porta a dialogare con gli ambientalisti, aiutando gli uni e gli altri a superare i rispettivi massimalismi ideologici. Infine, perché lancia un messaggio positivo ad altre sigle del mondo venatorio che, non soddisfatte di come vengono gestiti lupi e orsi, esitano a credere al minor impatto della lince sulle popolazioni di ungulati, quando invece, come già detto, la biologia e le modalità di caccia del felino minimizzano i danni sia per la caccia, sia per la zootecnia. Determinante, per il successo di UlyCA2, non sarà solo la capacità naturale della lince di rispondere alle sollecitazioni demografiche con le recenti reintroduzioni; sarà anche il grado di consapevolezza con cui la specie verrà accolta nel momento in cui il numero degli esemplari comincerà a renderla “visibile”, traguardo che, come abbiamo visto, per un animale così schivo, mobile e diffidente, non sembra, poi, così certo. Non di meno, UlyCA2 conta sull’aiuto di tutti. Più sarà ampio il tavolo della discussione, migliore sarà la gestione della lince, e anche degli altri selvatici, se il modello di partecipazione allargata funzionerà. 

Per una maggior efficacia dei contributi, gli organizzatori chiedono a chiunque sia interessato al dibattito, di far presenti le proprie osservazioni. Tra la necessità di costruire un solido, se non unanime, consenso su dati obiettivi e quella di verificare, sul campo e nel tempo, la compatibilità dei nostri habitat alpini con le esigenze biologiche della specie, l’obiettivo di avere di nuovo nuclei vitali, non è dietro l’angolo. Ma se, una notte o l’altra, sentiremo nei nostri boschi uno strano verso acuto, a metà tra l’abbaiare e il miagolio, non dovremo avere dubbi: è la lince che ringrazia. Ed è bene tenerlo a mente: lei vede meglio di noi, e molto più lontano.