Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

FAUNA 
IL RITORNO DEL LUPO
25/09/2015
 di Sandro D'Alessandro Commissario Capo del Comando Provinciale di Taranto del Corpo forestale dello Stato


 
 

Riassunto

In tempi recenti il Lupo ha fatto la sua ricomparsa nei territori del Tarantino ad opera di esemplari provenienti con ogni probabilità dalla Basilicata. La nuova situazione venutasi così a determinare può apparire complessa e di difficile gestione, ma potrebbe però risolversi a favore sia degli abitanti del territorio che dello stesso Lupo, i cui nuclei tarantini costituiscono, è bene evidenziarlo,  l’estremo limite orientale delle popolazioni italiane della specie.

Abstract

The wolf is coming back
Recently the Wolf made his reappearance in the territories of Tarantino thanks to specimens coming probably from nearby Basilicata. The new situation may perhaps appear complex and difficult, but, if wisely managed, could, be resolved  in favor both of the inhabitants and of the same Wolf, that has in Taranto the extreme eastern limit of Italian population of the species.

 
Fig. 1 – Lupo (Canis lupus) da SPAGNESI e DE MARINIS, “Mammiferi d’Italia”, op. cit.





La recente diffusione del Canis lupus nel Tarantino offre lo spunto

per una ricerca su alcune caratteristiche forse poco dibattute del

grande Canide dell’emisfero boreale e delle sue relazioni con altri organismi

 
 

Introduzione

È cosa recente la diffusione del Lupo (Canis lupus) nei territori pugliesi del Tarantino. Non si tratta di uno o di pochi avvistamenti sporadici avvenuti nella provincia, ma di una presenza effettiva, con diversi casi documentati di aggressione al bestiame allevato, un dato di fatto conclamato, quindi, di cui i cittadini pugliesi che abitano nelle campagne hanno dovuto prendere atto. In Italia avremmo a che fare con il cd. Canis lupus italicus (tale è il nome scientifico con cui viene indicata da taluni la popolazione, qui elevata al rango di sottospecie); sembrerebbe comunque, a detta di alcuni, che le peculiarità evidenziate mediante analisi genetiche effettuate non permettano di ricondurre la varietà italica ad una vera e propria sottospecie.
Da un punto di vista ecologico il Lupo si configura come un predatore di I e di II livello, potendosi la specie cibare sia di Erbivori  che di Carnivori (come ad es. la Volpe), configurandosi in quest’ultimo caso come superpredatore.
Si tratta infatti di un predatore situato ai vertici della catena alimentare e che, insieme con la rarissima Lince (Lynx lynx) e con l’estremamente localizzato Orso bruno (Ursus arctos), si colloca fra i grandi Mammiferi carnivori terrestri italiani ed europei.
La sua recente espansione del Lupo in territori come la provincia di Taranto è con ogni probabilità una diretta conseguenza della rapida espansione nella zona del Cinghiale (Sus scrofa), un Suide selvatico che in condizioni ordinarie rappresenta una potenziale preda del Lupo e che si sta attualmente diffondendo in diversi territori pugliesi, determinando in alcuni di essi le condizioni per l’ingresso del più tipico dei suoi predatori. Apro a questo punto una parentesi per anticipare che il Cinghiale attualmente presente in Italia è una entità tassonomica differente da quello presente in autoctonia nel nostro Paese, il quale ha assunto progressivamente le caratteristiche della subspecie centro-europea in conseguenza delle ripetute introduzioni di questa varietà che, appartenendo alla stessa specie del Cinghiale nostrano, è con questo interfertile (e, aggiungo, inevitabilmente competitore). La conseguenza è che allo standard  del Cinghiale italico si è andato volta per volta sostituendo quello del Cinghiale centro europeo, con tutto quanto ciò comporta. A questo fattore ed alle conseguenti strategie predatorie da parte del Lupo sono dedicati vari paragrafi di questo lavoro.
La recente ricomparsa del Lupo in territori come quello del Tarantino ha comportato una serie di problematiche, com’è naturale in un sistema fortemente antropizzato che in tempi recenti non si era mai trovato a dover  fronteggiare l’impatto con predatori di livello.
La questione è, evidentemente, molto complessa e si presta ad essere esaminata sotto diverse sfaccettature che non è possibile tralasciare pena una valutazione parziale della situazione, come si cercherà di  evidenziare di seguito.
In sintesi, il Lupo, già in passato presente in passato in molti territori italiani, vi è ora a tutti gli effetti tornato dopo un lungo periodo di assenza provocato dallo sterminio che nel corso dei decenni l’Uomo ha perpetrato ai suoi danni. Questa azione, che l’Uomo ha rivolto direttamente contro il grande predatore dell’emisfero boreale, non è stata però l’unica: ad essa si sono accompagnate altre cause  che hanno portato a situazioni di fatto incompatibili con la presenza del Lupo nei territori pugliesi. Ad un’azione di contrasto rivolta direttamente nei confronti del grande Canide si è accompagnata infatti la riduzione degli spazi disponibili per la specie e, di pari passo, la perdita di continuità degli habitat, la diminuzione delle prede, la crescente antropizzazione, ecc., in un complesso di fattori che hanno avuto come risultato quello di allontanare il Lupo da quei territori nei quali esso era in passato ben presente. In poche parole, a determinare la scomparsa del Canis lupus da molti ambiti geografici del nostro Paese, fra i quali appunto quello della provincia tarantina, è stata sì la lotta senza quartiere che nei decenni passati l’Uomo ha intrapreso contro la specie, ma a ciò hanno concorso in maniera sostanziale anche le mutate condizioni ambientali, che hanno reso il territorio per lungo tempo non idoneo alla sopravvivenza del Lupo.
Analizzando appena più a fondo la questione, in un territorio come quello pugliese (e quello salentino in particolare) caratterizzato com’è dall’assenza di formazioni orografiche di rilievo, si presta in maniera molto spiccata ad una antropizzazione diffusa, il che apre inevitabilmente la strada alla possibilità di una modificazione capillare del territorio. E in un periodo in cui si prestava molta attenzione alla vocazione produttiva del territorio e nessuna alle necessità di salvaguardare l’ambiente naturale (salvaguardia che non era visto come invece all’attualità fonte essa stessa di reddito), le modificazioni da parte dell’uomo si sono spinte fino ad un punto critico per molte specie, fra cui appunto il Lupo. Si ritiene a tale proposito che l’ultimo Lupo del Salento sia stato abbattuto nel XIX Secolo all’interno dell’area boschiva di Rauccio, a pochi chilometri a Lecce (città in cui non a caso esistono molteplici riferimenti al Lupo sia nello stemma che nelle tradizioni e nello stesso nome).
Per la Puglia è possibile immaginare una situazione pregressa in cui la vastità delle foreste presenti, unita ad una disponibilità di risorse alimentari offerte dai diversi grandi Ungulati che popolavano il territorio, abbiano offerto ad un predatore come il Lupo le risorse adatte per proliferare; prove indirette della situazione ora delineata possono essere fornite dai graffiti rinvenuti nella grotta cd. dei Cervi di Porto Badisco (LE), in cui si vedono azioni di caccia a carico di Cervidi, o lo stesso nome della città di Brindisi, che deriva dal termine Brunda che era usato per indicare il Cervo. Ora che questa fauna antica è diventata meno che un ricordo, è stata la rinnovata presenza del Cinghiale a fare scattare la molla per la nuova diffusione del Lupo nella regione.
Le condizioni venutesi recentemente a creare in Puglia hanno determinato da parte del Lupo una risposta della specie variegata e degna di nota, che ha visto l’animale nuovamente in grado di sfruttare le variate condizioni ambientali per riprendere possesso dei territori che erano una volta suo “dominio” incontrastato da un punto di vista ecologico. Un’analisi appena accurata di questa risposta ci permette di restituire al Lupo quella sua meravigliosa complessità, che sarebbe inevitabilmente sminuita dall’attribuzione del processo di diffusione del Lupo attualmente in atto come legato ad una semplice questione meccanica di causa ed effetto. 
Le cose, come spesso avviene, si rivelano molto più complesse di come possono apparire ad uno sguardo poco attento: non si tratta della conseguenza univoca di un’azione a cui corrisponde necessariamente un’unica reazione possibile e già prevedibile in partenza. Qui abbiamo a che fare con una risposta sfaccettata e ricca di implicazioni quale può essere quella che solo una specie molto strutturata può dare, il che rende conto da un lato della complessità della specie stessa e dall’altro della nostra inadeguatezza a spiegare le cose dell’ambiente naturale sulla base di congetture che tengono conto di ipotesi fatte a propri e poco, o nessun conto, dell’osservazione diretta dell’ambiente. Il che purtroppo avviene molto spesso.
Proprio a trattare questi aspetti nella vita del Lupo sono rivolte le pagine che seguono, in cui si cercherà di curare le sfaccettature connesse alla diffusione “di ritorno” della specie nel Tarantino ed in Italia in generale, con particolare riferimento ad aspetti forse poco noti e poco dibattuti della complessa biologia di questa meravigliosa specie.


 

1. Specie Canis lupus

Si tralascia di elencare le caratteristiche anatomico-morfologico della specie, oggigiorno facilmente reperibili da chiunque voglia approfondire questo aspetto, per focalizzare l’attenzione su altre caratteristiche – a volte ben note, altre volte meno note – dell’animale.

Foto n° 1 – Lupo appenninico - da “Juzaphoto” ( www.juzaphoto.com ) - per gentile concessione di Anna Agostini
 

Esistono specie che sono in possesso di grandi capacità adattative ed altre specie la cui esistenza è strettamente legata ad un determinato ambiente, in cui i componenti biotici ed abiotici possono variare entro ambiti ben definiti e mai troppo vasti. Alle prime specie si dà il nome di “generaliste”, alle seconde quello di “specialiste”; esse sono riconoscibili, ad un primo approccio, dal fatto che le prime sono in grado di trarre vantaggio dalle variazioni ambienti, mentre le seconde restano per così dire “arretrate” a quelle che erano le condizioni naturali prima che la modifica, o le modifiche, sostanziali avessero avuto luogo.
Senza andare troppo lontano, è possibile ravvisare esempi di tali diverse potenzialità degli animali molto vicino al Lupo, nella stessa Famiglia dei Canidi: così, un tipico esempio degli animali del secondo tipo è l’affine Volpe (Vulpes vulpes), cui sarà fatto un accenno nel corso della presente trattazione; per quanto riguarda invece animali del secondo tipo, alla luce del recente arretramento della specie, potremmo essere tentati di attribuire il Lupo a questa categoria, ma secondo il mio punto di vista l’animale è in possesso di una notevole capacità di adeguare il proprio comportamento – anche sociale - al variare delle mutate condizioni ambientali, il che fa in modo che le cose non stiano esattamente così.
Un animale che non è in grado di rispondere positivamente a variate condizioni ambientali è di norma poco diversificato a livello biologico, non possedendo nel suo genoma le informazioni che lo rendono in grado di adottare altri comportamenti, altre strategie e finanche altri ruoli all’interno dell’ambiente.
Nel caso del Lupo il discorso è esattamente l’opposto, risultando la specie in grado di manifestare numerosi modelli comportamentali a seconda dell’ambiente, delle prede disponibili, delle condizioni ambientali, ecc. Neanche a farlo apposta, è proprio la recente diffusione della specie nel Tarantino che può essere presa a spunto per dimostrarne le grandi potenzialità, essendo essa stata determinata da cambiamenti di segno opposto nelle condizioni ambientali, condizioni che, dopo aver subito da parte dell’uomo variazioni significativamente negative, si sono recentemente volte verso situazioni ben più favorevoli al grande carnivoro.
L’uomo, che ha impresso al territorio rilevanti tracce della sua presenza determinandone una forte antropizzazione, ha ora operato delle scelte che hanno inaspettatamente ripristinato delle condizioni favorevoli per la presenza del grande Canide che, attirato dalle nuove fonti alimentari a disposizione, ha iniziato un progressivo ripopolamento della zona.
Vi è ritornato in un primo momento quasi in sordina, silenzioso e in punta di piedi, o… di zampa, come si addice ad un Carnivoro che fa della strategia di avvicinamento alla preda una delle carte vincenti che ne hanno permesso la diffusione su gran parte delle terre emerse. Salvo poi emergere prepotentemente allo scoperto in seguito, come documentano le aggressioni compiute ai danni delle specie di bestiame allevate nella provincia pugliese.
La notizia provoca emozioni di differente natura, che vanno dall’ovvio entusiasmo per la ritrovata presenza di un predatore, spesso indicato come un indice dell’integrità di un territorio, all’altrettanto comprensibile preoccupazione da parte degli allevatori, che si trovano ora ad avere a che fare con un problema imprevisto e, se considerato nel breve periodo, inedito, contro il quale non avevano previsto alcun sistema di protezione.
Sono infatti molteplici nel Tarantino i casi documentati di attacchi da parte del grande Canide alle greggi, e nella provincia pugliese si avverte, da parte di coloro che sono più da vicino interessati al fenomeno, una sensazione di inadeguatezza che cede il passo spesso all’inquietudine per la mancanza di difese efficaci contro un predatore con il quale nel secolo in corso ed in quello precedente nessuno aveva avuto prima d’ora a che fare, e che  non era stato neanche previsto.
Questo dato di fatto ed i suoi elementi caratterizzanti - in primo luogo l’improvvisa e del tutto inattesa comparsa del fenomeno e pertanto l’impreparazione della popolazione a prendere i dovuti provvedimenti - hanno portato ad una situazione che ricorda quella che spinse un Dante Alighieri ad individuare nel Lupo, con la Lonza (probabilmente la Lince) e il Leone, la bestia più idonea per rappresentare, al di là di ogni altro significato più prettamente esoterico, le insidie che celava quella “selva oscura”. O un Perrault a scrivere quella favola “Cappuccetto Rosso”, ritenuta forse istruttiva per l’epoca, che altro non fece, in realtà, che ribadire un supposto carattere infido della specie.
Le cose ovviamente, non si prestano ad una così eccessiva semplificazione, in cui è sempre ben netta la separazione fra ciò che è “buono” e ciò che è “cattivo”: come sempre, fra il nero e il bianco esiste un’infinità di tonalità di altri colori, e le sfaccettature di ogni cosa sono tante e tali che prescindere dalla loro complessità non porta di sicuro alla risoluzione del problema, ma ne crea semmai un altro, forse di più difficile risoluzione, perché induce nella mente delle persone un falso assunto e pertanto ne vizia in modo difficilmente sanabile l’approccio.
Parafrasando un concetto che entrò in auge nel periodo delle cosiddette “piogge acide” (il progressivo inacidimento delle acque di precipitazione – sia pioggia, che nebbia, che rugiada – dovuto alla presenza degli ioni idrogeno prodotti dalla dissociazione degli acidi, per lo più nitrico e solforico, la cui presenza in atmosfera veniva provocata dall’attività umana), si potrebbe fare un paragone non del tutto fuori luogo con quei “danni di nuovo tipo” dei quali tutti dovettero, all’epoca, prendere atto. E, al pari di quanto avvenne nel caso delle piogge acide (che furono risolte non già diminuendo le immissioni di tali composti nell’atmosfera, ma con il progressivo apporto di sostanze ammoniacali dalla reazione basica, i cui prodotti di dissociazione neutralizzarono l’acidità prodotta dai primi), la risposta possibile, l’unica che potrà dare risultati positivi, sarà quella che risulterà efficace nel contemperare la presenza di questo magnifico animale con le attività umane.
E l’unica risposta che avrà risultati apprezzabili sarà quella di valorizzare la specie, considerandone la rinnovata presenza nel Tarantino un “valore aggiunto” per la provincia, creando in tal modo presupposti per tutti conseguenti benefici che a cascata si riverseranno sul territorio.
Nelle righe che seguono saranno esaminati i molteplici spunti offerti dall’evento che si sta verificando nella più occidentale delle province pugliesi, cercando di privilegiare quelli che sembrano più attinenti al caso e di non tralasciare aspetti importanti della questione, che appare a mio parere estremamente complessa.
Se si può tralasciare l’elencazione delle caratteristiche morfologiche dell’animale (per queste, in tempi di Internet, è sufficiente quel “clic” che permette di fare uno di quei fin troppo facili e spesso poco corretti copia/incolla, che non aggiungerebbe d’altra parte niente a queste pagine), non si può ovviamente prescindere da una trattazione delle caratteristiche ecologiche ed etologiche del Lupo: è da queste, più che da una catalogazione delle prime, che si possono ricavare le informazioni più utili per comporre il quadro in tutta la sua complessità.

 

1.a - Il lupo un sommario inquadramento sistematico ed ecologico

La specie “Lupo” è una specie di Mammifero selvatico appartenente alla Famiglia dei Canidi, autoctona nel territorio nazionale e ben presente fino ai secoli scorsi nella maggioranza del territorio italiano. Pur nel suo status di animale carnivoro e ben caratterizzato nelle sue caratteristiche ecologiche, si tratta di una specie relativamente ubiquitaria in tema di ambienti e di spettro alimentare, potendo essa vivere sia in montagna che in pianura, sia in zone a clima oceanico che in zone a clima continentale ed essendo in grado di cacciare sia erbivori che altri carnivori (configurandosi in ciò come superpredatore).
Un organismo dalla valenza molteplice, quindi, che occupa un vastissimo territorio dalle caratteristiche anche molto diverse e che appare molto variegato in termini di scelta delle prede, spettro alimentare, organizzazione sociale, diversità intraspecifica (per quanto non affiancata, questa, ad un’altrettanto evidente differenziazione a livello somatico fra i diversi componenti, che non appaiono da un punto di vista morfologico tanto diversificati quanto ci si potrebbe aspettare in una specie così complessa).
Da un punto di vista sistematico, la famiglia di appartenenza è rappresentata nel nostro Paese da due generi: il genere Vulpes, monospecifico in Italia in quanto rappresentato dalla sola Volpe comune (Vulpes vulpes), e dal genere Canis, rappresentato dal Lupo (Canis lupus), dal Cane (Canis familiaris) e dallo Sciacallo dorato (Canis aureus) proveniente dalla Carnia e di recente espansione in Italia. Dei rapporti fra i tre rappresentanti del genere Canis si parlerà più dettagliatamente più avanti.

 

1.b - La collocazione del lupo nella catena alimentare

Come noto, in ecologia gli organismi viventi si inseriscono all’interno di due distinte catene alimentari: la cd. “catena di pascolo” e la cd. “catena di detrito” (categoria, quest’ultima, che parte dagli organismi morti e dalla loro decomposizione, per cui sarebbe a vista dello scrivente considerabile come l’estremo esito della catena di pascolo).
La catena di pascolo inizia con l’energia prodotta dal sole e si sviluppa attraverso la fotosintesi effettuata dalle piante, fotosintesi che permette la produzione di sostanza organica (zuccheri) e di ossigeno. Grazie alla sostanza organica prodotta si sviluppano a partire dalle piante le catene alimentari, che vedono la presenza di erbivori (consumatori primari), di carnivori che si nutrono di erbivori (consumatori  secondari) e di carnivori che si nutrono sia di erbivori che di altri carnivori (consumatori terziari).
E’ in quest’ultima categoria che si colloca il Lupo.
Tale organismo può infatti potenzialmente cibarsi, come si è prima brevemente accennato, sia di erbivori come Roditori (Arvicole, Topi, Ratti, ecc.), Insettivori (Toporagno, Talpa, ecc.), Lagomorfi (Coniglio e Lepre spp.), Cervidi (Cervo, Daino, Capriolo), Bovidi (Camoscio, Stambecco), configurandosi in questo come consumatore secondario.
Il Lupo può all’occorrenza altresì cibarsi di altri Carnivori, come ad es. i Mustelidi di ogni specie (Donnola, Faina, Martora, Puzzola, Lontra, Tasso, Ermellino), della Volpe e, all’occorrenza, del Gatto selvatico; in questa sua attività di predazione a carico di altri Carnivori il Lupo si configura come consumatore terziario.
Ad un livello intermedio la specie si ciba anche di animali onnivori, come è classicamente il Cinghiale; è proprio in tale casistica che si inquadra in gran parte la diffusione del Lupo in diversi territori del nostro Paese. E’ infatti la straordinaria diffusione che il Cinghiale sta avendo negli ultimi anni in diverse zone d’Italia una delle cause più probabili dell’attuale espansione del Lupo.

 

1.c - Differenze ecologiche fra il lupo e gli altri grandi carnivori terrestri

 
Foto n°2 Un esemplare di Orso bruno (Ursus arctos) nel Parco Nazionale d'Abruzzo
 
 

Insieme ai rappresentanti degli altri due generi Lynx e Ursus (quelli cui appartengono rispettivamente la Lince e l’Orso) il Lupo costituisce nell’accezione comune il gruppo cosiddetto dei “Grandi Carnivori”, dizione che senza nessuna ulteriore specificazione dovrebbe, a parere di chi scrive, spettare in primo luogo e forse più appropriatamente ai ben più grandi Carnivori marini, rappresentati nelle nostre zone da organismi quali i grandi Cetacei Odontoceti come i Capodogli e le Orche, che si nutrono di Pesci, Cefalopodi e talvolta di Mammiferi marini.(1)
Quella del genere Canis, e più in generale l’intera Famiglia dei Canidi, è una categoria sistematica in cui sono raggruppati organismi che occupano una nicchia ecologica ben caratterizzata e distinta da quella occupata dagli altri grandi Carnivori terrestri.

Fig. 2 – Orso bruno (Ursus arctos) da SPAGNESI e DE MARINIS, “Mammiferi d’Italia”, op. cit.

La Famiglia degli Ursidi, cui appartiene l’Orso bruno (Ursus arctos), presente in Italia nella forma tipica che vive sulle Alpi e nella sottospecie cd. marsicana (Ursus arctos marsicanus, esclusiva dei territori oggi racchiusi nel Parco Nazionale d’Abruzzo), costituisce un caso a sé, essendo i suoi rappresentanti contraddistinti da un’alimentazione non prettamente carnivora e più votata – sembra soprattutto nel caso dell’Orso bruno marsicano - verso l’alimentazione onnivora. Per quanto non sia corretto affermare che le due specie del Lupo e dell’Orso non interferiscano l’una con l’altra, in quanto esse si pongono inevitabilmente come competitori alimentari, è possibile dire che le differenti metodologie per procacciare il cibo ne fanno degli organismi abbastanza differenziati nella distribuzione territoriale, nello spettro trofico e nelle tecniche predatorie. Basti qui dire che, a differenza dell’Orso bruno, il Lupo si caratterizza per la sua spiccata propensione a compiere lunghi spostamenti e per le sue possibilità di raggiungere velocità relativamente elevate oltre, soprattutto, di essere in grado di mantenerle per lunghi tratti.

 

Per quanto riguarda invece la Famiglia dei Felidi – rappresentata in Italia da Lince, Gatto selvatico e Gatto selvatico sardo 2) -, essa è caratterizzata, a differenza del Lupo ed in generale dei Canidi, da uno scatto bruciante destinato ad esaurirsi in breve tempo ed alla fine di una breve rincorsa. La Famiglia dei Canidi può invece braccare le prede per lunghi tratti, con tattiche diversificate che possono concretizzarsi in inseguimenti anche molto prolungati. Ancora, la tattica di caccia del Lupo è eminentemente una caccia di gruppo, in cui ogni componente ha un suo ruolo ed una sua precisa funzione nell’inseguire e nell’assalire la preda, mentre quella dei Felidi europei è una caccia solitamente d’appostamento e solitaria.

 

1) - il discorso può in realtà essere esteso  a tutte le specie di Cetacei, nessuna delle quali è né piccola né vegetariana: nel caso dei Delfini e delle Balene l’alimentazione si basa su Pesci e sul Krill, entrambi appartenenti al Regno animale. Per quanto riguarda l’Italia, poi, l’inclusione nei cd. il discorso può in realtà essere esteso  a tutte le specie di Cetacei, nessuna delle quali è né piccola né vegetariana: nel caso dei Delfini e delle Balene l’alimentazione si basa su Pesci e sul Krill, entrambi appartenenti al Regno animale. Per quanto riguarda l’Italia, poi, l’inclusione nei cd. “Grandi Carnivori” non può tralasciare, anche per la sua grande valenza da un punto di vista ecologico, la Foca monaca (Monachus monachus).

(2) - In base ad una recente revisione della sistematica, che prevedeva precedentemente la classificazione del Gatto selvatico sardo in una specie a sé (Felis libyca, distinta dal Gatto selvatico, Felis sylvestris), si considera ora il Gatto selvatico sardo una sottospecie del Gatto selvatico. Le specie di Felidi presenti in Italia sono pertanto ora due e non più tre: si distinguono, oltre alla Lince (Lynx lynx), il Gatto selvatico (Felis sylvestris) ed il Gatto selvatico sardo (Felis sylvestris subsp. libyca), sottospecie di quest’ultimo.


 

1.d - Sovrapposizione di areali ed interrelazioni fra il lupo e gli altri grandi carnivori terrestri

Accanto all’esame dello spettro trofico delle varie specie e conseguentemente della ripartizione sul territorio delle disponibilità alimentari, la conoscenza della loro etologia e della loro valenza in termini adattativi, di mobilità sul terreno, di potenzialità riproduttive ecc., è fondamentale ai fini della comprensione del loro maggiore o minore successo sul territorio. E, conseguentemente, della comprensione dei perché delle loro distribuzioni, delle loro densità, delle strutture delle loro popolazioni, ecc.
Il Lupo è una specie rivelatasi molto plastica, in possesso com’è di una grandissima propensione all’occupazione di territori anche molto differenti e lontani sia da un punto di vista geografico che ecologico. E ciò può essere possibile solo se la componente biologica è supportata da un’almeno altrettanto equivalente componente a livello delle potenzialità che la specie è in grado di assicurare in termini adattativi, che consistono essenzialmente nella capacità di modificare all’occorrenza le strategie a seconda delle situazioni, con  modifiche  del  comportamento,  dello  spettro  trofico  e  finanche  del  tasso  riproduttivo  e  delle  cure parentali che vengono assicurate alla prole.
Ciò permette di rendere conto delle distribuzioni molto variegate e composite di questa specie, che non è limitata a territori spiccatamente forestali, montani e/o poco antropizzati come invece la Lince e l’Orso e, in misura minore, il Gatto selvatico.
Esiste un altro Carnivoro, il Tasso (Meles meles), un Mustelide di medie dimensioni che da un punto di vista ecologico si potrebbe essere messo in relazione con l’Orso. Il Tasso ad una prima analisi, se ci si basa sull’ampio spettro trofico di cui l’animale è in possesso, sembrerebbe avere le carte in regola per prosperare in un ambiente degradato come quello attuale, ma che invece è presente con popolazioni non eccessivamente floride.

 
Foto n° 3 – Dopo aver predato un Capriolo, un Lupo lo ha trascinato su una piccola altura per potersene cibare e tenere contemporaneamente sotto controllo i dintorni, mentre una Volpe, nella speranza di poter trafugare del cibo, non esita a sfidare il pericolo e ad avvicinarsi guardinga - da “Juzaphoto” ( www.juzaphoto.com ) - per gentile concessione del Sig. Battista Gai.
 
 

Ben diversa è la situazione per la Volpe, animale opportunista come non mai, che ha saputo volgere a proprio favore le modifiche apportate dall’Uomo fino ad arrivare a rappresentare il Mammifero carnivoro di gran lunga più diffuso e più abbondante nel nostro Paese.
Un discorso analogo può essere fatto per lo Sciacallo dorato, in Italia estremamente localizzato, che risulta però invadente nel Paesi di provenienza.
Esiste un tratto differenziale che differenzia in maniera rigorosa tutti questi animali dal Lupo: l’attitudine a cacciare in branco. Esistono, è vero, casi in cui due o più individui delle specie sopra indicate possono collaborare nell’attività di caccia, ma in nessuno di questi animali è presente quella tendenza alla struttura sociale ed alla suddivisione dei compiti che sembra connaturata nel Lupo.
In un ambiente integro, pertanto, è possibile affermare che con molte probabilità la contemporanea presenza di cinque delle specie sopra indicate (si esclude qui lo Sciacallo dorato unicamente per fatti legati alla sua estrema localizzazione a livello geografico sul territorio italiano) nello stesso territorio sia resa possibile dalle marcate differenze che a livello ecologico, oltre che di “stazza”, le differenziano e che rendono possibile per il Lupo l’approccio a prede di dimensioni ben maggiori di quelle a cui possono pensare di arrivare le altre specie. Con l’eccezione del solo Orso, la cui corpulenza non lo rende peraltro in grado di mantenere velocità di rilievo su lunghe distanze, nessuno degli altri predatori terrestri italiani sembrerebbe infatti in  grado di aver ragione dei grandi Ungulati presenti sul territorio nazionale.
È quasi sicuramente per questo motivo che su uno stesso territorio possono insistere sia la Lince, che il Gatto selvatico, che l’Orso, che il Tasso che, inevitabilmente, la Volpe.

 
Foto n° 4 Un esemplare di Lynx lynx nella Foresta di Tarvisio
 
 

La Lince è un “fantasma” rarissimo, gli effetti del cui “prelievo” venatorio possono essere del tutto irrilevanti dal punto di vista della concorrenza esercitata nei confronti del Lupo, se visti alla luce della sua densità che, già estremamente bassa da un punto di vista ecologico, è per i territori italiani prossima allo zero a causa dell’impatto antropico sulla specie. Altre interazioni ecologiche con il Lupo sono probabilmente parimenti assenti, dato che appare ben difficile che le due specie possano arrivare a confrontarsi direttamente: difficile pensare  che un Lupo si possa trovare nelle condizioni di aggredire una Lince, e meno che meno il contrario. Un qualche impatto potrebbe essere apprezzabile a carico dell’eventuale predazione a livello dei piccoli, indifferentemente di Lupo o di Lince, che potrebbe essere fatta dall’una sull’altra specie, ma anche in questo caso per il territorio italiano si potrebbe pensare ad un’evenienza fortuita e poco significativa.

Fig. 3 – Lince (Lynx lynx) da SPAGNESI e DE MARINIS, “Mammiferi d’Italia”, op. cit.

Per il Gatto selvatico valgono gli stessi discorsi fatti a proposito della Lince, per quanto, trattandosi di un organismo dalle dimensioni più contenute rispetto a questa, esso non possa configurarsi come un potenziale predatore dei cuccioli di Lupo (semmai, in piccola misura, competitore, per quanto riguarda la caccia ai Mammiferi di piccole dimensioni); parimenti, la sua maggiore diffusione rispetto all’altro Felide selvatico, ne accrescono indubbiamente rispetto alla Lince le probabilità di incontro con il Lupo, ma la capacità del Gatto selvatico di trovare all’occorrenza rifugio  sugli alberi fanno probabilmente quest’animale una preda solo potenziale del Lupo.
Anche a causa della sua stazza, ben maggiore di quella delle due specie precedenti, L’Orso è invece un animale che caratterizza maggiormente il territorio e che vi imprime la traccia della propria presenza in maniera ben più evidente. In questo caso gli episodi di interazione con il Lupo sono presenti ed anche documentati. Se possono esservi dei comprensibili fenomeni di competizione interspecifica, appare arduo ritenere che una specie si configuri come predatrice dell’altra, almeno quando entrambe sono in età adulta. Le cose possono essere ben diverse in fase giovanile, con possibili predazioni degli orsacchiotti da parte del Lupo o dei lupacchiotti da parte dell’Orso. Da un lato, il Lupo potrebbe sembrare essere destinato ad avere la meglio in virtù della sua poliedricità e della sua abitudine di cacciare prede di grosse dimensioni quando è in branchi organizzati; dall’altro lato, appare evidente che un’Orsa non è certo l’animale più mansueto di questo mondo, specie se si tratta di difendere i propri piccoli!

 
 

2 - Alcune considerazioni sulle enormi potenzialità del lupo

 

Le interrelazioni fra il Lupo e gli altri animali, e fra il Lupo e l’Uomo, sono molte e complesse, come può addirsi solo ad una specie estremamente complessa.

 

Dalla metodologia di caccia del Lupo, che prevede gruppi ben strutturati, all’interno dei quali c’è una ottimale ripartizione dei compiti fra i vari individui, si può rilevare la necessità che l’animale ha di darsi una struttura sociale articolata. La specie è infatti in possesso di una complessa organizzazione, in cui ogni individuo ha un suo ruolo ed una sua posizione all’interno della struttura sociale che caratterizza i branchi di questo animale. Ma la complessità deve cedere ovviamente il posto ad una semplificazione quando questa viene resa necessaria da contingenza ambientali tali da non permettere la esistenza o la sussistenza di branchi organizzati. E il Lupo si dimostra in grado di sopravvivere anche con pochi esemplari, rimodulando e modificando all’occorrenza le sue strategie di caccia, le sue prede abituali e le sue abitudini in generale.
In questo quadro si inserisce e si rende manifesta la notevole capacità della specie di adattarsi alle varie situazioni, capacità che la rende in grado di popolare i terreni di pianura come le montagne, i boschi come le macchie, le zone poco o per niente interessate dalle attività antropiche come quelle a ridosso degli stanziamenti umani.
Alla possibilità ad adattarsi da un punto di vista biologico a territori ecologicamente molto diversi fa da riscontro una superba potenzialità a livello etologico (o, se mi si consente, “intellettivo”), che l’animale ha dato prova di possedere sia nella forma tipica selvatica del Canis lupus che allo stato domestico, nella forma di Canis (lupus) familiaris: basti pensare che, a comprova di ciò, non esiste proprietario di Cane che non decanti le sorprendenti doti in tal senso del proprio Cane, a qualsiasi razza esso appartenga.
E questa sua notevole plasticità risultante dalla doppiamente privilegiata posizione di specie in possesso di ampio spettro ecologico e di notevoli capacità sia di apprendimento che di messa frutto di quanto ha appreso nelle vare situazioni in cui si è venuto a trovare (in una parola: di intelligenza) ha permesso alla specie di prosperare in numerosi ambienti. Essa si configura infatti come specie pressoché ubiquitaria e cosmopolita, con la sua presenza tanto in Europa, quanto in Asia, quanto in America, continenti nei quali le caratteristiche sono talmente differenti che non appare il caso di soffermarsi più di tanto.

 
In questo la specie Canis lupus appare strettamente correlata alla specie della famiglia degli Ursidi che allo stesso modo popola i tre continenti suddetti: l’Ursus arctos, che si ritrova con varie sottospecie sulle montagne centro- e sud- (in Abruzzo) europee, nei territori dell’Hymalaya (Ursus arctos isabellinus) ed in quelli del Nord America con il famoso Grizzly (Ursus arctos horribilis).
 

2.a - Un richiamo ad una poco manifesta complessità biologica

E’ questo un interessante caso in cui specie che occupano nicchie (e, in virtù del loro eclettismo, porzioni di nicchie) ecologiche adiacenti si dimostrano essere in grado di vivere in territori molto distanti geograficamente, ecologicamente oltre che irrimediabilmente separati da distanze e confini tali da non permettere alcuno scambio di informazioni genetiche.
Quanto sopra è un incontrovertibile indice della grande complessità a livello delle informazioni contenute nel genoma delle specie, in assenza delle quali non sarebbe possibile fornire la risposta adatta ad ognuna delle diverse condizioni del territorio. Il tutto, è il caso di rimarcarlo, senza eccessive differenze di spicco a livello della conformazione esteriore, per quanto a tale carenza di manifestazioni esteriori a livello naturale abbia fatto da contraltare un’inaspettata capacità di originare forme e propensioni diverse come risultante di operazioni selettive mirate condotte dall’Uomo; è questo un punto su cui sarà il caso di soffermarsi più approfonditamente in seguito.

 

2.b - Dal lupo al cane: i probabili passaggi della domesticazione

Una specie complessa, quindi, una specie in possesso di una notevole intelligenza, la cui spiccata propensione ad occupare territori e situazioni nuove e sconosciute sarebbe stata la molla scatenante del suo avvicinamento agli accampamenti umani al fine di nutrirsi degli inevitabili rifiuti che da sempre hanno accompagnato la nostra specie. Questa potrebbe aver rappresentato la causa della domesticazione.
Da un lato il Lupo, forse qualche suo esemplare tracciatore, preposto a scoprire opportunità alimentari o d’altro tipo, o forse anche, al contrario, un individuo ai margini della comunità, forse perché anziano o comunque non in grado di cacciare con efficienza, si sarebbe avvicinato ai villaggi umani e qui avrebbe preso sempre più familiarità con gli Uomini. I quali, dopo un primo momento di comprensibile timore e di iniziale diffidenza, avrebbero intravisto gli oggettivi vantaggi dell’allearsi con un essere intelligente e temibile come il Lupo.
Dal canto suo, questo una volta visti i vantaggi offerti dall’Uomo, avrebbe volta per volta allentato la guardia, fino a permettere alla nostra specie di entrare in stretto contatto con lui a livello individuale, e poi, a livello via via maggiore, con la sua prole e, a cascata, con la sua “società”. In ciò è possibile distinguere una duplicità di comportamento da parte dei Lupi, che hanno visto la coesistenza di individui che si sono avvicinati fino ad integrarsi sempre più nelle società dell’Uomo, divenendone a vario titolo “collaboratori”, e di individui che hanno continuato a vivere la loro esistenza di animali selvatici, del tutto estranei alle popolazioni umane o, all’estremo opposto, decisi competitori dell’Homo sapiens.
Le relazioni fra il Canide e l’Uomo non possono essere ridotte a relazioni univoche, in cui i ruoli sono ben definiti e schematicamente immutabili: il tipo di approccio che l’Uomo ha avuto nei confronti del Lupo si presenta infatti molto vario, oltre che dipendente dalla località e dall’epoca storica in cui esso ha avuto luogo.
Così, nell’episodio (o, più probabilmente, nei distinti episodi) che hanno portato alla domesticazione si è assistito probabilmente ad un “intreccio” di due eventi convergenti, l’uno legato ad un progressivo avvicinamento del Lupo alle abitazioni umane e l’altro al progressivo allentamento delle diffidenze reciproche da parte di entrambe le specie; per quanto questi due processi possano sembrare intimamente connessi e conseguenti, le modalità con cui il secondo potrebbe aver avuto luogo possono essere differenti.
E, se le modalità del primo approccio sono abbastanza intuitive, reiterate peraltro al giorno d’oggi da svariate specie (una delle quali, la Volpe, per giunta abbastanza vicina sistematicamente al Canis lupus), sul secondo processo ipotizzato si possono invece fare alcune ipotesi.

Fig. 4 - Volpe ( Vulpes vulpes ) - illustrazione tratta da A. SPAGNESI, A. M. DE MARINIS - < mammiferi="" d'italia="">>, op.cit.

In un primo caso, si potrebbe immaginare un certo contingente di Lupi che, oramai abituatisi alla vicinanza con gli esseri umani, abbia iniziato a ridurre le riserve nei confronti della nostra specie, fino a permettere la sua vicinanza anche nei momenti più delicati, come la nascita, l’allevamento e lo svezzamento dei cuccioli; in un secondo caso si potrebbe presupporre la cattura da parte dell’Uomo di alcuni esemplari, esemplari che si sarebbero riprodotti in cattività. Le due modalità, che non si escludono evidentemente a vicenda, potrebbero essere avvenute entrambe separatamente, o anche contemporaneamente (individuazione e cattura degli esemplari rivelatisi più inclini ad avvicinarsi all’Uomo).
Di indubbia importanza in questo processo devono essere stati due momenti, uno dei quali legato all’approccio diretto Cane-Lupo e l’altro legato alla trasmissione delle informazioni fra Lupi.
Il primo atto che permette di riconoscere l’Uomo come una specie “amica” è quello legato direttamente alla sussistenza; questo carattere, legato alla somministrazione volontaria o involontaria di cibo da parte dell’Uomo, si è rivelato in tutta la sua importanza proprio con il Lupo, il cui analogo domestico, il Cane, conserva, probabilmente amplificandola,  la spiccata propensione ad associare la mano che dà il nutrimento alla mano di un essere del quale “ci si può fidare”. Se non proprio tutti, in molti abbiamo infatti verificato di persona come un Cane aggressivo possa essere ridotto a ben più miti consigli se gli si dà del cibo; l’allocuzione “farselo amico” relativa alla riduzione dell’aggressività di un Cane randagio mediante la somministrazione di alimenti è entrata addirittura nel frasario comune.
A questo approccio iniziale nel Lupo può essere seguito, trattandosi di animale gregario, lo scambio di informazioni fra i vari componenti della colonia, in modo che anche gli individui che non sono stati direttamente avvantaggiati dalla somministrazione di cibo abbiano potuto associare all’Uomo non solo il “nemico”, ma anche l’eventuale fonte di cibo. Come sono sicuramente seguite, in maniera indubbiamente più efficace, la trasmissione di tali informazioni nell’ambiti dei rapporti parentali che legano i genitori ai figli prima dello svezzamento.
Il periodo cosiddetto di apprendimento è quel fondamentale periodo in cui organismi animali in possesso di buone capacità cognitive ricevono dai loro genitori le informazioni che costituiranno le basi per la loro esistenza futura; va da sé che i genitori appartenenti a specie complesse impartiranno ai propri piccoli informazioni ben differenti a seconda degli ambienti in cui vivono, ambienti che potranno differenziarsi per le risorse alimentari, i pericoli, i competitori/predatori, ecc. Nel caso di Lupi che hanno imparato a trarre sostentamento direttamente dalle mani dell’Uomo (e non dalle disponibilità alimentari rese, suo malgrado, disponibili dall’Uomo presso le sedi delle sue attività), nei riguardi dell’approccio da tenere nei confronti della nostra specie, il tipo di informazioni che questi avranno trasmesso ai loro cuccioli saranno state ben diverse da quelle trasmesse da altri Lupi il cui rapporto con l’Uomo si è sviluppato in situazioni di estrema conflittualità.
Accadrà così che, generazione dopo generazione, i cuccioli del Canis lupus saranno via via sempre più docili nei confronti dell’Uomo, fino a perdere quelle caratteristiche di diffidenza e di aggressività tipiche della forma tipica (cioè la specie selvatica), sancendo nel contempo il progressivo passaggio da Canis lupus a “Canis familiaris” (ved. “Dal Canis lupus al Canis familiaris al Canis dingo: tre nomi diversi per tre specie diverse ?”).
Non si può non tornare poi alla derivazione del Cane domestico (Canis familiaris) dal Lupo, specie con cui il primo si ibrida con produzione di ibridi fecondi. Si tratta di un carattere molto particolare se lo si esamina in base ad una delle correnti e più accreditate definizioni di “specie”, quella di Dobzansky e Mayr, che la definisce infatti come rappresentata da quegli individui i quali, incrociandosi tra loro, generano potenzialmente una prole illimitatamente feconda. Sulla base di tale definizione, Cane e Lupo, animali che, per quanto morfologicamente, etologicamente e socialmente estremamente differenti sono in grado di dare vita ad ibridi indefinitamente sterili, non dovrebbero essere considerati  a rigore specie diverse.

 
 
DAL CANIS LUPUS AL CANIS FAMILIARIS AL CANIS DINGO: TRE NOMI DIVERSI PER TRE SPECIE DIVERSE ?
La cosa assume una particolare rilevanza, in quanto permette di rilevare lo strettissimo legame intercorrente fra il Lupo ed il Cane comune, derivando a tutti gli effetti il secondo dal primo, con cui presenta una stretta analogia a livello genetico. Per quanto la cosa possa apparire impossibile se si considera l’estrema variabilità morfologica, dimensionale ed etologica delle varie razze di Cani, la variazione fra il Lupo, specie originaria, ed il Cane, entità derivata, è avvenuta esclusivamente per impoverimento genetico avvenuto nel corso di una selezione guidata dall’uomo al fine di selezionare le caratteristiche desiderate volta per volta per fini legati alla pastorizia, alla guardia, alla difesa, all’attività venatoria e, per ultimo, al desiderio di avere un animale da affezione.
Niente è stato pertanto aggiunto, ma solo levato (la selezione è consistita nel far riprodurre gi individui in possesso di determinate caratteristiche, tenendone la discendenza preservata dall’incrocio con altri individui in possesso di caratteri indesiderati, i quali non sono pertanto chiamati a concorrere, in termini di apporto genico, alla formazione della razza finale del Cane domestico.
Anche se è possibile che in questo modo alcune razze di Cane sia impossibile l’“ibridazione” con il Lupo, il processo sopra brevemente delineato non è sufficiente a determinare la formazione di una nuova specie, in quanto tutto quello che è presente nella seconda forma (il cane) era già presente nella prima (il Lupo), in cui si ritrova pertanto tutta la complessità iniziale che le operazioni umane hanno teso a limitare.
In una parola, anche mettendo insieme tutte le razze di Cani e lasciandole libere di “ibridarsi” reciprocamente, ben difficilmente si otterrà il Lupo originario, perché è più che probabile che qualche componente nel genoma del Lupo sia stata volutamente tralasciata perché non funzionale ai fini umani.
E’ infatti sbagliato pensare che, lasciando i Cani liberi di accoppiarsi gli uni con gli altri per “n” generazioni, si ottenga il Lupo di partenza. Un esempio di questa impossibilità può essere data dal Dingo, il Cane selvatico australiano, di derivazione diretta dai Cani dei primi colonizzatori dell’Australia, Cani che, accoppiandosi fra di loro, hanno dato origine ad individui che hanno oggi un loro standard che è ben diverso dal quello del Lupo originario.
Anche se dal nome scientifico comunemente impiegato per indicarli si rileverebbe la loro appartenenza a tre specie diverse, di fatto la differenziazione è avvenuta per impoverimento genetico prima (dal Lupo al Cane), e per messa in compartecipazione delle informazioni residuali (da Cani variamente “meticciati” a Dingo). Se non fosse avvenuta una segregazione di alcune informazioni, l’organismo iniziale e quello terminale dovrebbe essere identico, ma così non è, come dimostrano le differenze esistenti fra Lupo e Dingo.
 

Un caso molto particolare è senza dubbio quello del cd. “Lupo rosso” (Canis rufus), che, qualora fosse verificata l’ipotesi fatta da alcuni zoologi in merito alla sua reale provenienza, avrebbe tutte le carte in regola per lasciare del tutto sconcertati.
Se l’animale fosse una specie “buona” a tutti gli effetti, come molti Autori – probabilmente la maggioranza - sono concordi nell’affermare, ciò non darebbe adito a nessuna controversia e non ci sarebbe motivo di farne un caso a parte.
Ma secondo altri ricercatori così non è, e l’animale in questione sarebbe un incrocio fra il Lupo ed il Coyote ! La cosa, se suffragata da studi specifici, sarebbe oltremodo interessante, in quanto permetterebbe di individuare un’eccezione nella definizione di “specie” formulata da Dobzhansky e Mayr, di seguito enunciata, o al contrario intendere il Lupo (Canis lupus) ed il Coyote (Canis latrans) come appartenenti ad un’unica, grande specie collettiva.
Si tratta di un’ipotesi al momento non supportata da nessuna evidenza inoppugnabile, che però non apparirebbe forse troppo illogica, stante la straordinariamente grande complessità, di cui il Lupo appare essere in possesso e che il presente lavoro vuole cercare di sottolineare.
La straordinaria diversità delle varie razze canine non può non lasciare come minimo un comprensibile stupore, considerando che si tratta di una categoria sistematica di animali appartenenti tutti alla medesima specie!

 
ESSERI UMANI E ANIMALI SELVATICI
Ciò è stato effettuato in diverse occasioni da parte di ricercatori o anche da “semplici” appassionati che si sono progressivamente avvicinati sempre di più alle popolazioni di animali selvaggi oggetto del loro interesse. La documentazione raccolta è impressionante e va da improbabili “amicizie” con Squali bianchi a pericolose familiarità con Draghi di Komodo e Serpenti, fino a passare ad approcci con grandi animali selvatici a sangue caldo, in massima parte Mammiferi, dei cui contatti con gli esseri umani esiste una ricca documentazione filmata e fotografica.
Esistono molte prove documentate di come ciò sia possibile con i grandi Mammiferi predatori e no (ma non per questo meno temibili) che vivono nei diversi continenti. In alcuni casi la stretta vicinanza a cui agli esseri umani è stato permesso di avvicinarsi alle società si è trasformata in un’accettazione quasi illimitata che ha consentito nel recentissimo passato a ricercatrici come Jane Goddall e la compianta Diane Fossey di essere accolte praticamente come membri del gruppo, nel primo caso di Scimpanzé e nel secondo di Gorilla, anche nei momenti più delicati nella vita della comunità, come ad esempio la nascita dei piccoli e le prime cure parentali a questi tributate.
Per andare su animali più prossimi al Lupo, esistono attualmente dei filmati che dimostrano come sia stato possibile da parte di alcune persone guadagnarsi la fiducia di specie comunemente (e giustamente) considerate molto pericolose, come i grandi Felini delle savane africane.
Per quanto riguarda più direttamente il Canis lupus, anche la storia ci ha lasciato traccia di svariate interrelazioni fra uomini e Lupi, che vanno dal famosissima vicenda di San Francesco e dell’animale noto come il “Lupo di Gubbio”(3) alle svariate documentazioni relative ad essere umani che sarebbero stati addirittura allevati dai Lupi; di queste persone è rimasta qualche testimonianza che fa riferimento a strane storie in cui il Lupo, anziché considerare, come ci si sarebbe potuti aspettare, il giovane essere umano come una preda, lo avrebbe preso sotto la sua tutela e ne avrebbe stranamente curato lo sviluppo, proteggendolo, nutrendolo e trattandolo alla stregua dei piccoli Lupi.
 

3) - A mio parere, è possibile che quello che è passato alla storia come il “Lupo di Gubbio” non fosse un Lupo vero e proprio, ma forse più probabilmente un “ibrido Cane-Lupo” che se da un lato aveva imparato dai suoi genitori a non avere paura dell’Uomo e pertanto a non rifuggirlo, dall’altro, in quanto predatore, non mancava di avere atteggiamenti aggressivi anche nei confronti dello stesso Uomo, nei pressi dei cui villaggi era solito aggirarsi. La storia, inoltre, non ci racconta della presenza di altri Lupi con cui il Lupo di Gubbio era imbrancato: benché ai tempi di San Francesco non ci fossero certo problemi di conservazione del Lupo, all’epoca una specie ben abbondante, ci è stata tramandata la storia di un individuo che era in possesso di un’aggressività sorprendente e che agiva in perfetta solitudine, il che non si addice ad un animale dall’incole spiccatamente gregaria come appunto il Lupo. La dualità di comportamenti (di aggressività/docilità) manifestati dall’individuo in esame permetterebbe di suffragare ulteriormente l’ipotesi in questione, in quanto, se l’indole predatoria di un grande Mammifero selvatico carnivoro permette di rendere conto degli attacchi ai danni di esseri umani, e l’estrema intelligenza ed adattabilità è del tutto compatibile con la presenza dell’animale nei pressi delle abitazioni umane, non se ne spiega in alcun modo l’improvvisa docilità, caratteristica che non doveva essere del tutto estranea alla natura del Lupo di Gubbio e che ne ha, nell’episodio che lo ha reso famoso, preso il sopravvento.


 

3 - Dallo status di " specie nociva" alla tutela accordata ai massimi livelli

 

Curiose concordanze fra la considerazione per il Lupo nel corso dei secoli e la sua consistenza numerica nel nostro Paese.

 

Dal punto di vista della protezione, ai sensi della normativa in tutela della fauna selvatica omeoterma, la legge italiana così si comporta nei confronti dei Canidi. Si tralascia a tale proposito per la differente considerazione a livello normativo la varietà domestica, il Canis lupus familiaris, che è assoggettato ad un altro corpus legislativo che ne prevede una tutela più in quanto ‘esemplare’ che in quanto ‘specie’: non ha infatti senso parlare di Cane come di “Specie protetta”, in quanto esso è tutelato dalle normative che ne sanciscono il divieto di maltrattamento e da tutta una serie di specifiche regolamentazioni che vanno dall’obbligo delle vaccinazioni, della registrazione all’anagrafe canina, alla normativa in materia di randagismo, ecc., tutte norme che hanno ad oggetto l’animale (in quanto appartenente ad una data specie) più che la specie in sé (che nel caso della fauna protetta, fra cui il Lupo, viene tutelata mediante una tutela di altro tipo accordata ai suoi singoli esemplari).
Ai sensi della normativa nazionale, la Norma in tutela della fauna selvatica e per il prelievo venatorio, la L. 157/92, prevede per i Canidi selvatici un regime differente. Mentre la Volpe è infatti considerata una specie cacciabile, il Lupo e lo Sciacallo dorato sono considerati entrambi particolarmente protetti. Per il Lupo tale regime di tutela in Italia l’espressione di leggi e regolamenti esteri ed internazionali, a differenza dello Sciacallo dorato, per il quale non esiste una simile protezione nei Paesi vicini, in cui essendo è esso considerato analogamente a quanto il Lupo veniva considerato fino a pochi anni fa in Italia, ossia una specie “nociva”.
Da un punto di vista della normativa internazionale, il Lupo è tutelato da una molteplicità di norme, di seguito brevemente elencate.

 

3.a - Il lupo e la tutela europea : dalla convenzione di Washington alla direttiva habitat, passando per Berna

La Convenzione di Washington (CITES), nel Regolamento (UE) n. 1158/2012 della Commissione del 27 novembre 2012 che modifica il regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio, pubblicato sulla G.U. n° 12 dell’11 febbraio 2013, oltre a confermare l’inserimento della specie nell’Allegato A (e nell’Allegato B, limitatamente ad alcune popolazioni di provenienza spagnola). La regolamentazione imposta dalla Convenzione di Washington è rigorosissima, proibendone la cattura, l’uccisione, il disturbo, la detenzione, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione.

 
Allegato A
Allegato B
Canis lupus (I/II)
(Tutte le popolazioni ad eccezione di quelle della Spagna a nord del Duero e della Grecia a nord del 39° parallelo. Le popolazioni di Bhutan, India, Nepal e Pakistan figurano nell’appendice I; tutte lealtre popolazioni figurano nell’appendice II. Esclude la forma addomesticata e il dingo, denominati Canis lupus familiaris e Canis lupus dingo)
Canis lupus (II)
(Popolazioni della Spagna a nord del Duero e della Grecia a nord del 39° parallelo. Esclude la forma addomesticata e il dingo, denominati Canis lupus familiaris e Canis lupus dingo)
 

Inserto 1 – Diverso status dei Lupi a seconda della loro provenienza geografica ai sensi della Convenzione di Washington.

 

Come si vede, il disposto riporta un’interessantissima visione dal punto di vista sistematico, riconoscendo una individualità solo in quanto addomesticato, e non in quanto facente parte di una specie differente, al Cane domestico, che viene annesso a tutti gli effetti alla specie Canis lupus.
La Direttiva Habitat  (92/43/CEE), recepita dall’Italia con D.P.R.  n° 357 dell’8 settembre 1997, inserisce il Lupo nell’allegato D (specie di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa), vietandone la cattura, l’uccisione, il disturbo, la detenzione, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione.
La Convenzione di Berna relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa, inserisce il Lupo nell’Allegato II (specie strettamente protette) proibendone la cattura, l’uccisione, la detenzione ed il commercio. La Convenzione di Berna è stata ratificata dall’Italia con la Legge 503 del 5 agosto 1981.

 

3.b - Il lupo in Italia

In origine presente in una moltitudine di regioni italiane, l’areale e la consistenza numerica del Lupo hanno subito una drastica riduzione, fino a portare la specie sull’orlo della scomparsa nel nostro Paese.
Di seguito riporto due carte relative alla distribuzione del Canide in Italia. Non è evidenziato in detta cartografia, che illustra la situazione ad inizio del 1900 e quella nel 1973, il recente ritorno della specie sulle Alpi, catena sulla quale essa è stata protagonista di una nuova diffusione dopo la scomparsa; la porzione occidentale occidentale del Tarantino, che nella cartina di sinistra nel 1900 appare interessato dalla presenza della specie, è quello in cui anche oggi i Lupi fanno la loro comparsa, spingendo tuttavia la loro presenza più a oriente.
La situazione è recentemente variata a favore dell’espansione del Lupo, che ha seguito gli spostamenti e la diffusione di una delle sue prede classiche il Cinghiale, riappropriandosi di territorio in cui il Canide era un tempo diffuso.
Le variazioni nella distribuzione, nella tipologia e nelle relative consistenze numeriche delle specie faunistiche abituali prede del Lupo, e del Suide in particolare, hanno però fatto sì che, dopo il suo arrivo nella zona al seguito del Cinghiale, il predatore si concentrasse maggiormente sulle disponibilità alimentari offerta dall’Uomo che sulle risorse naturali.
È così che, accanto alle zone più a diretto contatto con gli Appennini, la specie ha frequentato i settori in cui maggiore era la possibilità di entrare in contatto con greggi di ovicaprini, mandrie di bovini, equini, ecc. E’ così avvenuto che il Lupo è stato l’autore di svariati attacchi ad animali di allevamento del Tarantino ad es. nella zona di Martina Franca, situata decisamente più a oriente rispetto a quanto indicato dalla delimitazione dell’areale del 1900 ed a stretto contatto con l’adiacente provincia di Brindisi, in cui gli avvistamenti si registrano in numero sempre maggiore.

Fig. 5 – Areale del Lupo in Italia nel 1900 e nel 1973 (da Bocedi R., Bracchi P.G., op. cit)
 
 

3.c - Aumento della tutela, della coscienza ecologica e incremento della specie

Negli anni prima del 1968 e fino al 1971, chiunque ed a qualsiasi titolo poteva abbattere un esemplare di Lupo; era anzi istituito un premio per chi consegnasse la prova certa di aver ucciso un esemplare della specie. L’abbattimento poteva a volte non essere neanche percepito dall’autore, il quale si limitava a volte, con poco spreco di energie, a rilasciare dei cibi avvelenati destinati ad uccidere inevitabilmente qualunque animale se ne fosse nutrito.
In una seconda fase furono varati il decreto cd. “Marcora”, che vietò l’impiego dei bocconi avvelenati, e la legge n° 968, che sancì espressamente e definitivamente la protezione del Lupo, disposta nell’articolo 2 che si riporta integralmente di seguito.

 

Art. 2.
Oggetto della tutela

 
Fanno parte della fauna selvatica, oggetto della tutela della presente legge, i mammiferi e gli uccelli dei quali esistono popolazioni viventi, stabilmente o temporaneamente, in stato di naturale liberta', nel territorio nazionale. Sono particolarmente protette le seguenti specie: aquile, vulturidi, gufi reali, cicogne, gru, fenicotteri, cigni, lupi, orsi, foche monache, stambecchi, camosci d'Abruzzo e altri ungulati di cui le regioni ai sensi del successivo articolo 12 vietino l'abbattimento. La tutela non si estende alle talpe, ai ratti, ai topi propriamente detti e alle arvicole.
 

Inserto n° 2: L. 689/81 art 2, che elenca  le specie classificate come “particolarmente protette” (grassetto e sottolineatura dell’autore)

 

Tale legge prevedeva tuttavia esclusivamente una sanzione amministrativa per chi avesse abbattuto un esemplare di specie “particolarmente protetta”, come stabiliva il comma “d” del successivo articolo 31:

 

Art. 31.
Sanzioni

Per la violazione delle disposizioni della presente legge e delle leggi regionali sulla caccia, fatta salva l'applicazione delle pene previste per la violazione della legislazione sulle armi, si applicano le seguenti sanzioni(….)

d) la sanzione amministrativa da L. 500.000 a lire tre milioni e la revoca della licenza per chi esercita la caccia su specie di uccelli o mammiferi particolarmente protetti, di cui al precedente articolo 2;
 

Inserto n° 3: L. 689/81 art 31, che riporta le sanzioni per chi abbatte un esemplare appartenente a specie elencate nell’articolo 2.

 

Perché nell’abbattimento di un esemplare di specie protetta si configuri come reato occorrerà attendere la normativa attuale, sancita dalla L. 157/92, che conferma l’inserimento del Lupo fra le specie particolarmente protette elencate nell’articolo 2:

 

Art. 2.
(Oggetto della tutela)

1. Fanno parte della fauna selvatica oggetto della tutela della presente legge le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale. Sono particolarmente protette, anche sotto il profilo sanzionatorio, le seguenti specie:

a) mammiferi: lupo (Canis lupus), sciacallo dorato (Canis aureus), orso (Ursus arctos), martora (Martes martes), puzzola (Mustela putorius), lontra (Lutra lutra), gatto selvatico (Felis sylvestris), lince (Lynx lynx), foca monaca (Monachus monachus), tutte le specie di cetacei (Cetacea), cervo sardo (Cervus elaphus corsicanus), camoscio d'Abruzzo (Rupicapra pyrenaica);

b) uccelli: marangone minore (Phalacrocorax pigmeus), marangone dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis), tutte le specie di pellicani (Pelecanidae), tarabuso (Botaurus stellaris), tutte le specie di cicogne (Ciconiidae), spatola (Platalea leucorodia), mignattaio (Plegadis falcinellus), fenicottero (Phoenicopterus ruber), cigno reale (Cygnus olor), cigno selvatico (Cygnus cygnus), volpoca (Tadorna tadorna), fistione turco (Netta rufina), gobbo rugginoso (Oxyura leucocephala), tutte le specie di rapaci diurni (Accipitriformes e falconiformes), pollo sultano (Porphyrio porphyrio), otarda (Otis tarda), gallina prataiola (Tetrax tetrax), gru (Grus grus), piviere tortolino (Eudromias morinellus), avocetta (Recurvirostra avosetta), cavaliere d'Italia (Himantopus himantopus), occhione (Burhinus oedicnemus), pernice di mare (Glareola pratincola), gabbiano corso (Larus audouinii), gabbiano corallino (Larus melanocephalus), gabbiano roseo (Larus genei), sterna zampenere (Gelochelidon nilotica), sterna maggiore (Sterna caspia), tutte le specie di rapaci notturni (Strigiformes), ghiandaia marina (Coracias garrulus), tutte le specie di picchi (Picidae), gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax);

c) tutte le altre specie che direttive comunitarie o convenzioni internazionali o apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri indicano come minacciate di estinzione.
 

Inserto n° 4: art. 2 della L. 157/92, che elenca le specie classificate come “particolarmente protette” (grassetto e corsivo dell’autore)

 
Fig. 6 - Sciacallo dorato ( Canis aureus ) - illustrazione tratta da A. SPAGNESI, A. M. DE MARINIS - < mammiferi="" d'italia="">>, op.cit. )






La Legge 157/92 commina per l’abbattimento, la cattura o la detenzione di uno degli animali delle suddette  specie – fra cui ovviamente il Lupo – sanzioni che prevedono anche l’arresto, come cita testualmente l’art. 30 al suo comma b:


 
 

Art. 30.  
Sanzioni penali

Per le violazioni delle disposizioni della presente legge e delle leggi regionali si applicano le seguenti sanzioni: (….)

b) l'arresto da due a otto mesi o l'ammenda da lire 1.500.000 a lire 4.000.000 per chi abbatte, cattura o detiene mammiferi o uccelli compresi nell'elenco di cui all'articolo 2;
 

Inserto n° 5: art. 30 della L. 157/92, che indica le sanzioni penali previste per chi abbatte, cattura o detiene Mammiferi o Uccelli classificati come “particolarmente protetti”.

 

3.d. - Norme in tutela della specie e consistenza numerica dal Canis lupus in Italia

Anche alla luce della molteplicità di fattori che concorrono nel determinare il successo o l’insuccesso di una specie in un dato territorio, fattori che si complicano nel caso in cui la specie sia, come si è visto nel caso del Lupo, particolarmente eclettica, è forse riduttivo mettere in relazione l’andamento della consistenza numerica del Lupo esclusivamente con la situazione normativa in tutela della specie. Se nella stragrande maggioranza dei casi si semplifica eccessivamente nel ricondurre una determinata condizione ecologica ad un unico fattore, lo si fa a maggior ragione se si tratta di una situazione di fatto così variegata e complessa come quella del Lupo. Tuttavia, l’aumento della protezione accordata al Lupo e dall’inasprimento delle sanzioni contro chi ne abbatta esemplari non può che, a parità di ogni altro fattore (habitat, disponibilità alimentari, di territorio, ecc.), favorirne l’aumento. Ed i numeri non sono opinioni.
Non è probabilmente fuori luogo fare un parallelismo fra il panorama normativo italiano (e, conseguentemente, la variata considerazione della popolazione nei confronti della specie) e la consistenza numerica del Lupo, come risulta dalla seguente tabella costruita in base ai dati ufficiali sulla consistenza numerica della specie.

 
ANNO
CONSISTENZA
NUMERICA
VARIAZIONE
NUMERICA
VARIAZIONE
PERCENTUALE
CONSIDERAZIONI E RACCORDO CON IL PANORAMA NORMATIVO
1968
300
---
---
Il Lupo è una delle specie dichiarate nocive e per le quali è consentita la caccia con ogni mezzo
1971
200
- 100
- 40 %
Il Decreto Ministeriale (Natali) del luglio 1971, toglie il Lupo dall'elenco degli animali “nocivi”, ne proibisce la caccia e vieta l'uso dei bocconi avvelenati
1976
105
- 95
- 63 %
Il Decreto Ministeriale (Marcora) del 22/11/1976, decreta la protezione integrale del Lupo
1982
200
+ 95
+ 63 %
Con la Legge 27 dicembre 1977, numero 968 ("Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia") al cui articolo 2 il lupo è entrato nel novero delle specie particolarmente protette.
1986
250
+ 50
+ 22 %
 
1990
400
+ 150
+ 46 %
 
1995
500
+ 100
+ 22 %
1992: viene emanata la “Legge in tutela della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” che, confermando il Lupo tra le specie particolarmente protette, decreta la sanzione penale per l’abbattimento
2000
600
+ 100
+ 18 %
D.P.R. 357/97 attuazione della Direttiva Habitat
2010
1000
+ 400
+ 50 %
 
2013
1300
+ 300
+ 26 %
 
 

Tab. 1 -  La situazione numerica del Lupo appenninico – i dati numerici per anno, ricavati da Wikipedia, sono stati interpolati dall’autore, ricavandone la variazione in termini assoluti e percentuali (i valori percentuali sono stati ricavati dividendo la differenza per i valori medi del periodo di riferimento). Esistono delle corrispondenze abbastanza significative fra il regime di tutela accordato alla specie e gli incrementi numerici della stessa.

 

4 - Verso una nuova collocazione del lupo

 

Aspetti della biologia del grande Canide alla luce della nuova coscienza ecologica e delle nuove caratteristiche ecologiche del nostro Paese.

 

Nello status di acquisizione relativamente recente, di specie protetta – anzi, superprotetta -, il complesso delle relazioni fra il Lupo e la nostra specie si arricchisce di nuovi risvolti, annoverando sia aspetti relativi alla tutela doverosa da accordare alla specie che aspetti di altro tipo, relativi alla salvaguardia degli interessi umani primari.
Alla problematicità delle interrelazioni che ha da sempre accompagnato la coesistenza dell’Uomo e del Lupo in dato periodo storico su un dato territorio si è infatti venuta ad aggiungere quella, di nuova acquisizione, relativa alla stringente tutela di cui la specie selvatica è ora destinataria. E non si tratta assolutamente di un aspetto da prendere, come si dice, sottogamba o da subordinare rispetto a quelle che sono le esigenze dell’uomo.
La situazione attuale è nel Tarantino una situazione in cui vengono a coesistere ed a confliggere una moltitudine di aspetti, che sono la conseguenza diretta e indiretta dell’ubicazione geografica, della storia passata e del tipo di ambiente naturale che caratterizza la zona, oltre che della sua gestione da parte dell’Uomo e del locale sviluppo demografico della società umana. Se i punti di partenza sono vari e complessi, quelli di arrivo sono di difficile ipotizzazione, implicando di sicuro numerose problematiche.
Si parte da un territorio che ha caratterizzato anche notevolmente le popolazioni umane ivi insediatesi, un territorio in cui i continui scambi commerciali e culturali con le popolazioni venute da Oltreadriatico ha portato all’importazione ed all’insediamento di specie che per il nostro Paese sono alloctone: con riferimento all’intero Salento(4)  cito, per ricordare solo le più notevoli, il Fragno (Quercus macedonica), la Vallonea (Quercus macrolepis Kotsch.), il Geco di Kotschy (Cyrtodactylus kotschyi), il Camaleonte (Chamaeleo chamaeleon, Ch. spp.)(5) .
A questa importazione molto probabilmente volontaria di nuove specie da parte dell’Uomo si è accompagnata, a causa della facilità con cui il territorio (pianeggiante e privo di difficoltà di sorta) si prestava ad essere antropizzato, tutta una serie di azioni a sfavore della stragrande maggioranza delle specie di fauna autoctona, che ha subito in gran parte un notevole depauperamento sia a livello di numero di specie presenti che di individui all’interno di ogni specie.
Si tratta pertanto di un territorio estremamente caratterizzato, quasi un’isola, in termini di diversità specifica, nel panorama naturalistico del nostro Paese.
Com’è ovvio, ad un processo da parte dell’uomo corrisponde una o una serie di risposte da parte dell’ambiente naturale e degli organismi che in esso vivono, ed è così avvenuto che specie obiettivamente svantaggiate dall’azione umana si sono accompagnate altre specie che hanno tratto dalle nuove condizioni apportate dall’Uomo i presupposti ideali per proliferare; si tratta sia di organismi autoctoni  (la Gazza, la Volpe, il Passero domestico, ecc.) che alloctoni (il Topo comune, il Ratto, più recenti la Tartaruga cosiddetta dalle guance rosse, ecc.).
In questo territorio caratterizzato da conflitti fra le innegabili potenzialità naturalistiche e la massiccia presenza antropica si è nuovamente inserito in tempi molto recenti il grande Canide selvatico, venendo a determinare, in un quadro già molto complesso, una situazione di difficile risoluzione, in quanto le sue esigenze di grande animale predatore si trovano inevitabilmente a confliggere con gli interessi umani.

 

4) ved. “Oriundi d’Oriente” – in: SILVAE – anno III n° 8 – maggio-agosto 2007
5)  Le specie elencate non si riferiscono tutte – almeno attualmente - al territorio del Tarantino, ma esistono delle relazioni molto interessanti. Mentre gli areali del Geco di Kotschy e del Fragno annettono in maniera significativa il territorio del Tarantino all’interno del rispettivo areale, la Vallonea, ben presente in passato, è stata interessata da un irrefrenabile regresso, fino all’attuale presenza di un solo esemplare accertato; per quanto riguarda il Camaleonte,  non esistono in merito  documentazioni significative, ma la relativa vicinanza con il territorio di Nardò, in cui sono stati rinvenuti nel recente passato molteplici esemplari rende del tutto lecito ipotizzare un ruolo di qualche tipo nel porto di Taranto nell’importazione.


 

4.a - Uomini e lupi

Il Lupo è infatti un animale che da sempre si deve confrontare con l’Uomo, interferendo con le attività antropiche in virtù della sua collocazione ecologica che a livello naturale  lo porta ad essere stato e ad essere in contrasto (per quanto forse non in  netta antitesi) con la nostra specie per tutta una serie di ragioni, come dimostrano d’altronde le vicissitudini che hanno determinato la drastica riduzione della specie fin quasi alla sua scomparsa.
Nei paragrafi che seguono sono esaminati diversi approcci, legati ad epoche diverse, che l’Uomo ha avuto, ha o potrebbe avere nei confronti del Lupo. Si tratta di interazioni fra le due specie legate ad epoche e territori differenti. Non indifferente è l’impatto del Lupo su economie basate sul piccolo-medio allevamento; tuttavia, ad uno sviluppo successivo, esso potrebbe variare la sua condizione a seconda della diversa considerazione da parte dell’Uomo, fino ad arrivare, nell’ultimo dei punti esaminati, ad essere addirittura una risorsa per il territorio in cui vive.
Così, nel primo caso la situazione che si verifica è conflittuale, quasi una “guerra fra specie” in cui la principale fonte di sopravvivenza della popolazione umana è messa a dura prova dalla presenza di branchi di Lupi organizzati che contendono all’Uomo le prede. Nel secondo caso il danno è per così dire “localizzato”, nuocendo forse ancora in misura anche consistente agli allevatori ma non pregiudicando la società umana, che ha altre fonti di approvvigionamento di cibo. Nel terzo caso, infine, la presenza del Lupo acquisisce una connotazione favorevole, conferendo un valore al territorio con la sua stessa presenza.

Il Lupo come competitore alimentare - Trattandosi di un grande carnivoro, il Lupo si è trovato nella posizione di competitore dell’Uomo in quanto cacciatore di prede di interesse “venatorio”, quando non un rischio per la stessa popolazione; tale carattere non è comunque esclusivamente il retaggio di epoche arcaiche, ma è perdurato fino ad epoche recenti, in cui il Lupo era considerato come “animale pericoloso” e soggetto ad abbattimento sistematico e generalizzato, la cui uccisione documentata dava addirittura luogo ad una ricompensa monetaria.
Poiché la valenza della caccia come mezzo per procurarsi fonte di cibo e pertanto come mezzo di approvvigionamento di fonti di sussistenza è definitivamente tramontata per lasciare spazio ad una nuova visione della caccia - che viene oggi considerata un’attività tipicamente sportiva e svincolata dal procacciamento di fonti di cibo – il Lupo non è più un concorrente dell’Uomo per l’approvvigionamento alimentare. Il Lupo non può essere classificato come competitore neanche nei confronti dell’eventuale cacciatore dedito alla vendita delle proprie prede, in quanto l’attuale normativa in materia, che fa espresso divieto di vendita della selvaggina, non prevede tale figura. Ciò estromette il Lupo in maniera definitiva dal ruolo di competitore nei confronti dell’Uomo.

Il Lupo e gli animali da allevamento - Se di competizione vogliamo parlare, questa viene esercitata dal Lupo in termini di danno economico che l’animale è in grado di determinare nell’allevatore, il quale si vede in vari modi danneggiato dall’attività predatrice che del Lupo: in casi di assenza o di limitata disponibilità di prede naturali, il grade carnivoro tende infatti a indirizzare la propria predazione nei riguardi di animali allevati.
Il che è indubbiamente più facile, in quanto gli animali domestici, oltre ad essere in possesso di costituzioni ben meno idonee a correre ed a difendersi rispetto ai Mammiferi selvatici, sono inoltre abituati alla presenza di altri animali molto simili ai Lupi – i Cani da pastore – che essi non avvertono come potenziali predatori.
A ciò si aggiunge il fatto che gli animali da allevamento sono spesso in greggi, mandrie, ecc., il che permette al Lupo - o più frequentemente, come risulta dalle testimonianze degli allevatori pugliesi, ai Lupi imbrancati - un gioco facile nel predarne simultaneamente anche più di uno.
In aggiunta a quanto sopra, contro il Lupo non può essere adottato nessun mezzo di difesa attiva: il suo status di specie superprotetta vieta infatti a chiunque di organizzare battute di caccia al Lupo; d’altro canto, l’impiego di dissuasori meccanici, sonori, ecc. non parrebbe in grado di assicurare un adeguato livello di affidabilità.
Non mancano, è vero, delle soluzioni che sembrerebbero essere più idonee come provvedimenti da prendere nel lungo termine piuttosto che per fronteggiare un pericolo immediato; fra questi, una protezione delle stalle con muri di cinta, cancelli ecc., ma questa soluzione, oltre ad essere notevolmente dispendiosa, potrebbe rivelarsi  non del tutto idonea a garantire la sicurezza degli animali allevati nei confronti del Lupo, con in più il paradossale risultato che il Lupo entrato nella stalla si troverebbe davanti a prede costrette entro spazi angusti, prede delle quali sarebbe in grado di avere più facilmente ragione.
Un mezzo che invece potrebbe essere percorso con efficacia è quello di fare ricorso a Cani da pastore  di una certa stazza, in grado sia di dirigere il gregge che di tenere a bada i Lupi; a tale proposito si potrebbe ricorrere ai Pastori maremmano-abruzzesi, magari dotati di collari idonei a proteggere il collo dagli assalti dei Lupi, che per loro mole sono stati in più occasione validamente impiegati a tale scopo.

Il Lupo come risorsa - Nelle pagine che precedono si è sottolineato più volte il nuovo status del Lupo come specie “particolarmente protetta” ai sensi di normative italiane e comunitarie. Tale nuova caratterizzazione della specie potrebbe, grazie ad una gestione oculata della situazione, rendere le problematiche legate all’attività predatoria del Lupo subordinate, rispetto ai vantaggi di avere il Lupo fra le specie presenti nella zona.
Sotto questo punto di vista il Canis lupus potrebbe essere destinato a divenire fonte di reddito, in quanto specie particolarmente protetta, quindi rara e pertanto elemento caratterizzante di un territorio che la sua stessa presenza - di specie legata ad ambienti il più delle volte caratterizzati da requisiti di integrità - permette di definire, con un termine che oggi viene impiegato soprattutto negli spot pubblicitari, “incontaminato”, con inevitabili ricadute positive in termini anche economici.
Un territorio in cui il grande carnivoro del continente boreale ha fatto la sua ricomparsa non può che essere preso ad esempio in quanto zona le cui ritrovate caratteristiche di naturalità hanno reso possibile il ritorno inatteso. E, dal canto suo, il Lupo che è tornato a popolarla non può che essere quell’indicatore ecologico che ne attesta inconfutabilmente la ritrovata salubrità.
Per conciliare la presenza del Carnivoro con le attività produttive umane si potrebbe pensare anche alla gestione di carnai, in modo non dissimile da quello che si fa in territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo con l’Orso marsicano. Tutto ciò permetterebbe di superare i contrasti legati alla presenza di una specie carnivora di grandi dimensioni in un territorio che fa della sua vocazione agropastorale, oltre che industriale, una delle sue principali fonti di reddito. Detti carnai sarebbero però da gestire in maniera assidua e scevra dai limiti imposti a quelli abruzzesi dal fatto di ricadere in zona a Parco e quindi rigorosamente vincolata: bisognerebbe prestare la massima attenzione, cioè, a che le fonti di cibo da essi costituite non vengano sfruttate dalle Volpi o da altri predatori ben più opportunisti del Lupo (non escluso neanche il Surmolotto, Rattus norvegicus, che, estremamente abbondante nel Tarantino come in ogni parte d’Italia, per quanto roditore non disdegna di nutrirsi di alimenti di origine animale).
Un discorso come quello che precede, per quanto ineccepibile sotto molti punti di vista, è però in contrasto con gli interessi immediati degli allevatori, i quali si trovano quotidianamente a dover fare i conti con questo predatore di cui non avevano mai avuto ragione di doversi preoccupare solo fino a pochi anni fa. Immediati perché, in attesa che l’ipotetica apposizione di marchi di origine protetta che riportino nel logo – perché no ? – l’immagine del Lupo abbia luogo e vada a regime, gli attacchi dei Lupi nei riguardi degli animali di allevamento proseguirebbero, e con essi i danni ed i mancati redditi a carico degli allevatori locali. Questo ben chiaro, ma il non prevedere nessuna forma di provvedimento non farebbe altro che prolungare i tempi di attesa, peggiorando ulteriormente le situazione. E questo è proprio ciò che si vorrebbe evitare.

 

4. b - Alcune considerazioni sulle complesse interazioni tra il lupo e le sue prede nell'Italia del XXI secolo

Alla luce di quanto finora rilevato, si riscontra una apparente inadeguatezza di un ambiente naturale come quello del Tarantino a fornire il substrato idoneo per la sopravvivenza della specie Canis lupus. Per quanto ammetta nella sua dieta alimenti anche di origine vegetale, i quali hanno però una funzione unicamente integrativa, il grande Canide si configura infatti principalmente come un predatore di Mammiferi, per la cui caccia appare in possesso di una discreta specializzazione.
Se la sua resistenza nella corsa per lunghi tragitti ha infatti una ragione di essere nella caccia a Mammiferi ungulati in grado di mantenere elevate velocità per rilevanti tratti, questa caratteristica non serve evidentemente a niente quando il Lupo si rivolge ad animali di altre categorie.
Così, il Lupo può predare ad es. Uccelli, che possono essere catturati in fase giovanile o di cova se si tratta di animali che nidificano a terra, o in seguito a fortuiti agguati, entrambe tecniche che non richiedono evidentemente quelle capacità di resistenza nella corsa che il Lupo ha in massimo grado. Allo stesso modo, non serve essere in grado di mantenere elevate velocità nella predazione di Anfibi o Rettili, che pure occasionalmente rientrano fra la prede del Lupo.
Il discorso è evidentemente diverso quando la specie rivolge i suoi interessi predatori nei confronti dei Mammiferi, molti dei quali ripongono nella fuga le loro possibilità di salvezza: è qui che si rivelano in tutta la loro utilità quelle tecniche di caccia in cui il predatore si avvalga della capacità di mantenere a lungo delle velocità rilevanti. E, se pure organismi come Roditori, Insettivori, Lagomorfi, Mustelidi e – perché no? – altri Canidi possono costituire preda della specie, la vera fonte di sussistenza per i branchi di Lupo è costituita dagli Ungulati, la cui difesa nei riguardi dei predatori naturali è di tipo passivo, affidata in isura preponderante, per non dire esclusiva, alla fuga (la maggiore eccezione a questa strategia difensiva è rappresentata proprio dal Cinghiale, che non esita ad attaccare, con conseguenze anche rilevanti).
In Italia gli Ungulati selvatici sono rappresentati da Bovidi, Cervidi e Suidi. Nel primo caso, quello dei Bovidi, i rappresentanti selvatici della Famiglia sono il Camoscio e lo Stambecco (ed eventualmente la Capra selvatica, che oggi vive a Montecristo), nessuno dei quali vive nel territorio in esame; esistono però anche Bovidi domestici, come i Bovini di allevamento, gli Ovini ed i Caprini, tutti ben rappresentati nella provincia di Taranto. Nel secondo gruppo, quello costituito dai Cervidi, nella penisola italiana vivono il Cervo, il Daino ed il Capriolo; per quanto sia il Daino che il Capriolo vivano nei territori garganici, nessuno di questi animali può costituire nel Tarantino fonte di sussistenza per il Lupo.
Ben diversa è la situazione per quanto attiene ai Suidi, rappresentati in Italia sia nella forma selvatica che in quella domestica da una sola specie: il Sus scrofa, nome scientifico con cui, a differenza di quanto si è scelto di fare per il Lupo, si indica sia la forma selvatica (Cinghiale) che la forma domestica (Maiale) derivata.
Si tratta di animali con la cui presenza da poco il Tarantino sta facendo i conti, in quanto essi si stanno diffondendo sul territorio in una maniera determinando una situazione che appare non priva di criticità, oltre che difficilmente controllabile. Di probabile provenienza dai territori appenninici, quando proprio non legati ad introduzione effettuate nel Tarantino per motivi venatori, tali animali vi stanno determinando, come in altre parti d’Italia, problematiche di vario genere, legate anche alla loro estrema tendenza alla diffusione, oltre che al loro temperamento oltremodo fiero, alle loro dimensioni, ecc.

 

“CANIS  LUPUS  ITALICUS” E…. SUS  SCROFA  “ITALICUS ?
Si rende a questo punto opportuna una digressione per approfondire l’argomento.
Il Cinghiale presente attualmente sul territorio nazionale deriva dalle ripetute introduzioni di esemplari provenienti dal Centro Europa, esemplari che, pur appartenenti alla stessa specie del Cinghiale autoctono, sono in grado di raggiungere dimensioni molto maggiori di questo, oltre che, prevedibilmente, di esercitare sul territorio una forte pressione in virtù della loro maggiore competitività in termini ecologici, dei loro maggiori tasso ed efficienza riproduttiva, ecc.
In termini dimensionali, siamo passati dai circa 50-70 kg del Cinghiale un tempo presente in Italia agli attuali 180 e passa kg che sono in grado di raggiungere gli esemplari di maggiori dimensioni. La specie è provvista di 6 mammelle, il che permette di allattare fino a 6 piccoli alla volta; questo numero, che tende a scendere in condizioni di penuria alimentare a causa di limitata efficienza riproduttiva o di morìa in fase giovanile, è a volte attualmente superato, con la nascita, la sopravvivenza e lo sviluppo di più di 6 piccoli a cucciolata e vere e proprie proliferazioni di questi grossi Suidi che mettono in difficoltà l’agricoltura delle zone in cui si assiste alla loro diffusione. Si tratta pertanto di animali la cui configurazione ecologica è cambiata sensibilmente in direzione di una loro maggior incisività sull’ambiente, del quale sfruttano in maniera indiscriminata tutte le risorse che esso è in grado di offrire anche grazie al loro esteso spettro trofico, che porta il Suide selvatico a configurarsi come consumatore primario e secondario – essendo tendenzialmente anche carnivoro ed in grado di predare organismi animali di dimensioni non indifferenti  -.
Analizzando la questione ne deriva quindi che, per quanto il Cinghiale attualmente circolante in Italia sia, come si è detto, appartenente alla medesima specie autoctona, si tratta di un’entità ben differente rispetto a quella che viveva nel nostro Paese fino a qualche decennio fa, un’entità che oltre a procurare danni all’agricoltura, alla selvicoltura ed all’integrità degli ecosistemi forestali, richiede delle strategie di caccia ben più complesse da parte dei predatori potenziali della specie. A tale proposito, si consideri la grande variabilità di forme, colorazioni, dimensioni, ecc. presente nei Maiali domestici e si consideri che questa specie, il Cinghiale italico ed il Cinghiale centro-europeo sono organismi che appartengono ad una stessa specie: ne deriva pertanto che si tratta di una specie in possesso di un grado di variabilità molto elevato; siamo ben lontani, è vero, dalla diversità manifestata dal Lupo, ma si tratta pur sempre di una complessità che non può essere minimizzata, dicendo che “l’uno vale l’altro”, perché ciò non è vero.
A questo si aggiunge il fatto che in determinate condizioni l’attuale Cinghiale tende ad essere aggressivo con effetti ben più “efficaci” del Cinghiale originario; in particolare nel corso del periodo riproduttivo, che ha luogo in primavera, si registra un aumento nell’aggressività delle femmine che hanno partorito, le quali arrivano ad attaccare qualsiasi intruso al fine di tutelare i propri piccoli. Ed il periodo riproduttivo, e con esso la necessità di disporre di cibo per lo svezzamento dei cuccioli, coincide in gran parte con quello del Lupo.
Un’osservazione che sorge a questo punto è che le attualmente relazioni Cinghiale-Lupo sembrano essersi ribaltate a partire dall’epoca precedente all’introduzione di questi grossi Suidi centro-europei. Mentre in passato era infatti presente in Italia un numero tutto sommato limitato di Cinghiali di medio-piccole dimensioni che si relazionava con una popolazione florida di Canis lupus in grado di organizzarsi in branchi di molti individui, il tutto in linea con la più classica delle interazioni preda/predatore, sono ora presenti branchi anche molto numerosi di Cinghiali di grandi e grandissime dimensioni a fronte di una sparuta popolazione di Lupi che non appare più, nella maggior parte dei casi, in grado di organizzarsi in branchi efficienti per la caccia a specie di Ungulati di grosse dimensioni.


 

4.c - Lupi e cinghiali tarantini: due dinamiche di popolazioni complesse e imprevedibili

Se è molto probabile che la presenza del Lupo nel Tarantino sia ascrivibile alla presenza nello stesso territorio di floride popolazioni di Cinghiali, al seguito delle quali il Canide si sarebbe reimpossessato del territorio della provincia pugliese, va da sé che un animale in possesso delle dimensioni e del comportamento del Cinghiale che si sta attualmente diffondendo in Italia non rappresenta – non più - la preda ideale per permettere il sostentamento di un predatore che, come il Lupo, richiede, ai fini di un’efficace azione predatoria contro una preda con tali caratteristiche, la possibilità di costituire branchi organizzati.
Davanti ad animali di tali dimensioni e con un tale temperamento, oltre che molto spesso raggruppati in branchi anche cospicui, va da sé che, in primo luogo, le strategie predatorie del carnivoro hanno bisogno di un affinamento. In poche parole, se si escludono casi fortuiti, è ben difficile, a parere dello scrivente, che un Lupo isolato abbia ragione di un Cinghiale adulto. Anche perché, mentre il Lupo, per quanto in ripresa numerica, è un animale raro, il Cinghiale è un animale abbondante ed in costante espansione.
Ben diversa è ovviamente la situazione quando il grande Cinghiale sia davanti a branchi di Lupi organizzati ed in possesso di una ben definita struttura sociale, come quelli che le aggregazioni di questi animali tendono a darsi nei luoghi in cui il territorio e le fonti di approvvigionamento alimentare lo consentono. Ma, affinché ciò possa avvenire, è necessaria la disponibilità continuativa di rilevanti fonti alimentari, tali da permettere la presenza e la continuità nel tempo di branchi di Lupi nel territorio. In poche parole, tali da permettere ai Lupi di organizzarsi in strutture sociali idonee per permettere loro di attuare strategie venatorie efficaci nella caccia ai Cinghiali, che sarebbe altrimenti impossibile.
Ma le disponibilità alimentari e, a livello più generale, le caratteristiche del territorio tarantino, non sono tali da permettere la presenza indefinita di grandi branchi di Lupi, ed è per questo motivo che la disponibilità alimentare rappresentata dai Cinghiali, se da un lato ha permesso al Lupo di tornare nella zona, dall’altro non può essere sufficiente, da sola, a garantirne la sopravvivenza. Ecco quindi che il Lupo ha sviluppato, a parere dello scrivente, un complesso meccanismo che prevede una variazione periodica delle prede a seconda del ciclo riproduttivo del Suide selvatico.

 

4.d - Una " Vicarianza stagionale" fra il cinghiale e il bestiame d'allevamento?

Nel paragrafo precedente sono state messe a confronto due grandezze connesse: da un lato la consistenza numerica dei Cinghiali del Tarantino – preda che apparirebbe, come si è visto, non del tutto ottimale a fornire l’elemento principale per la sopravvivenza del Lupo – e dall’altra l’entità della popolazione di Lupi nella provincia, Lupi che potrebbero essere o meno nelle condizioni di formare branchi ben strutturati ed in grado di avere ragione di prede così impegnative.
Il Cinghiale, la prima di dette specie, è in continuo aumento ed è difficilmente controllabile per via di fattori di varia natura, non ultimi i vincoli a cui sono assoggettate molte delle zone in cui tali animali vivono e le più elementari norme per il rispetto della sicurezza (come ad es. nei boschi e nelle macchie a stretto contatto delle abitazioni all’interno dei villaggi turistici, in cui questi Suidi selvatici hanno fatto la loro comparsa).
La seconda specie, il Lupo, da un lato non può sopravvivere unicamente grazie ai Cinghiali per i motivi di cui si è detto e dall’altro non è in grado di seguire le varie fasi nel calendario riproduttivo degli stessi, in una specie di “polmone” in cui le consistenze numeriche del Canide si gonfiano e si sgonfiano a seconda che nel periodo in questione siano presenti o meno le cucciolate dei Cinghiali.
Non è infatti possibile che il Lupo si adatti ad una sorta di vere e proprie “migrazioni” da e verso gli Appennini nel corso delle varie epoche dell’anno, modulate sulle nascite del Sus scrofa; ciò che potrebbe apparire tipico di altri predatori ben meno generalisti e più prettamente specializzati nella cattura di una ben determinata specie non sembra infatti rientrare nella biologia del Lupo, il cui variegato spettro alimentare testimonia tutt’altro che una dipendenza dello splendido Canide da una o da poche specie.
È proprio questo il cardine del problema che il Canide arreca agli allevatori: venendo meno la disponibilità o la facilità nel reperimento di una risorsa discontinua oltre che periodica, le sue popolazioni non decrescono in attesa di periodi più favorevoli: a meno che le condizioni del territorio non diventino del tutto inadeguate a garantire la sua sopravvivenza, esso rivolge infatti, in caso di minore disponibilità del nutrimento offerto dai Cinghiali, le sue attenzioni predatorie nei riguardi di altri animali. E quelli di gran lunga più disponibili e richiedenti fra l’altro minore impegno nella cattura sono proprio gli animali di allevamento.
D’altra parte, che il Lupo non disdegni di cacciare i Cinghiali nel periodo della loro riproduzione è attestato dal fatto che, in base alle segnalazioni avvenute, si può affermare che nel Tarantino, in concomitanza con la presenza dei cuccioli del Suide, si verifica una drastica riduzione degli attacchi effettuati dai Lupi sul bestiame d’allevamento ! E’ questo un aspetto molto importante, in quanto consente di rilevare come il Lupo non attacchi preferibilmente il bestiame allevato, ma lo faccia soprattutto quando non esistono disponibilità alimentari di altro tipo ed afferenti alla fauna selvatica.
In questo aspetto è forse possibile postulare una sorta di “apprendimento” dei Lupi delle generazioni attuali rispetto ai Lupi dei secoli scorsi, i quali si limitavano ad accertare la minore difficoltà nella predazione degli animali allevati dall’Uomo nell’indirizzare verso questi la scelta delle prede di cui nutrirsi. Ora, a distanza di tempo e con l’intervallo di circa un secolo dal termine della precedente diffusione in zona, i Lupi che vi si stanno nuovamente diffondendo, discendenti di quelli che si sono salvati dagli eccidi compiuti fino a non troppo tempo fa, sembrerebbero avere un’arma in più: evitare per quanto possibile di porsi in aperto contrasto con le attività umane.
Sorge a questo punto un interrogativo legittimo. Che cioè i Lupi scampati allo sterminio dei decenni scorsi siano sopravvissuti proprio perché in possesso di un’indole che li ha resi molto attenti nella valutazione del pericolo rappresentato dall’Uomo e molto scaltri nell’evitare situazioni che tali da indurre l’Uomo a compiere stragi indiscriminate dei Lupi al fine di salvare il bestiame dalle loro grinfie. E di questo meccanismo i redivivi Lupi potrebbero aver fatto tesoro, in quello che sembrerebbe un loro tentativo di “limitare i danni” a carico degli allevatori rivolgendo la loro attività predatoria verso il Cinghiale nel periodo in cui esso è più facilmente attaccabile.

 

Conclusioni

Che il Lupo sia una specie oltremodo intelligente, in grado di far tesoro sia dell’esperienza diretta che di quella tramandata nel corso dell’apprendimento, è fuori di dubbio; che sia poi in grado di trarne le dovute conseguenze al punto da adeguare la propria strategia, la propria etologia, il proprio comportamento sociale, ecc., a seconda delle mutate situazioni è un dato di fatto, dimostrato fra l’altro anche dal suo imbrancarsi in piccoli gruppi o addirittura nell’adattarsi a cacciare da solo quando le contingenze lo impongono.
E questo, insieme a tutte le altre straordinarie capacità della specie, fa del Lupo ben più che un animale predatore dal quale guardarsi: ne fa uno fra gli animali più intelligenti in assoluto, in grado di modificare i suoi modelli comportamentali al sopraggiungere di nuove necessità che, rivelatesi incompatibili con gli schemi tramandati per generazioni, richiedono un pronto e idoneo adattamento a quelle che sono le nuove possibilità di sopravvivenza.
Le modifiche indotte dall’Uomo all’ambiente naturale sono caratterizzate da estrema velocità: gli organismi che si rivelano in grado di trarne le debite conseguenze e di modificare di concerto le loro attitudini ecologiche ed i propri schemi comportamentali sono in grado di sopravvivere, mentre gli altri sono destinati ad un lento, inevitabile declino. Al di là del fatto che il Lupo è una specie “ingombrante” per le sue dimensioni, la sua ubiquitarietà e le sua potenzialità, tutti elementi che non depongono a favore della sua diffusione in un ambiente estremamente antropizzato come quello attuale, esso si rivela tuttavia in grado di offrire sorprendenti “risposte” che con la loro rapidità e la loro rispondenza alle mutate condizioni ambientali si rivelano essere un idoneo lasciapassare per la sopravvivenza della specie.
Forse ben più di quanto si ammetta comunemente, le relazioni fra il Lupo e l’Uomo sono molto strette, non solo perché il Lupo si identifica come un possibile “nemico” dell’Uomo, ma anche perché i rispettivi caratteri ecologici rendono Uomo e Lupo due specie per certi versi affini. Sono infatti organismi molto diversi, ma anche molto vicini per svariati caratteri: la loro socialità, la loro intelligenza, il loro essere stati in grado di occupare praticamente tutte le terre emerse dell’emisfero boreale grazie all’estrema ubiquitarietà in fatto di ambienti e climi, ecc.; tutto ciò che ha fatto sì che le due specie abbiano convissuto a stretto contatto per tempi immemorabili.
E, alla luce della nuova coscienza dell’Uomo nei riguardi del grande carnivoro, è possibile che tale convivenza continui molto a lungo. Ce ne sono tutti i presupposti.”

 

Bibliografia

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