Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

FAUNA 
IL LUPO, LA LINCE E L’ORSO NELLE ALPI CENTRO-ORIENTALI
01/10/2013
Di Daniele ZOVI, Dirigente Superiore del Corpo forestale dello Stato

L’incremento  fortissimo in questi anni di animali erbivori nei nostri territori non poteva non attrarre i loro predatori, i carnivori. Ed ecco che possiamo assistere in questi anni ad eventi  assolutamente memorabili e, una volta tanto termine può essere usato a proposito, di rilevanza “storica” un ritorno di orsi, lupi e linci nelle nostre contrade, da dove erano stati scacciati da un paio di secoli.

 
 

Riassunto
 
L’incremento  fortissimo in questi anni di animali erbivori nei nostri territori non poteva non attrarre i loro predatori, i carnivori. Ed ecco che possiamo assistere in questi anni ad eventi  assolutamente memorabili e, una volta tanto termine può essere usato a proposito, di rilevanza “storica” un ritorno di orsi, lupi e linci nelle nostre contrade, da dove erano stati scacciati da un paio di secoli.

Abstract

The strong increase in recent years of herbivorous animals in our area, could not prevent from attracting  their predators , carnivores . And now we can witness during these years such absolutely memorable  events, and for once that word can be used in the proper way, of " historic" return of bears, wolves and lynx in our land , where they had been driven away for two centuries.

 
 

 Ve ne sarete accorti: il paesaggio che ci sta intorno, quello che si presta ad essere rappresentato da una foto, da un quadro, in realtà è un film, è un’entità in continuo divenire. Cambia in continuazione, talvolta rapidamente, talaltro in modo quasi impercettibile. Perfino le situazioni più estreme, che si consideravano di scarso interesse per l’uomo e immutabili, come ad esempio i ghiacciai, si modificano; in questo periodo storico addirittura rimpiccioliscono fino a scomparire.
L’aumento negli ultimi decenni della compagine forestale è forse l’aspetto più rilevante del cambiamento del paesaggio ed è un fenomeno europeo. Nel nostro Paese è stato perfettamente rappresentato dal minuzioso lavoro del Corpo forestale dello Stato con l’inventario, anzi con il confronto di due inventari, l’ultimo realizzato a distanza di vent’anni dal primo.
Dunque i boschi sono aumentati in termini di superficie e in termini di biomassa e questo, tra l’altro, ha facilitato l’aumento delle popolazioni di erbivori, in particolare di ungulati, e anche il loro ritorno là dove erano scomparsi. Sull’altopiano del Cansiglio si  è passati da zero a duemila cervi negli ultimi dieci anni, in Cadore alla fine degli anni ’70 di cervi non ce n’erano più e oggi sono diffusi in ogni valle, sull’altopiano di Asiago i camosci, scomparsi alla fine degli anni ’40, ora sono più di 400. Il Gran Bosco di Salbeltrand, in Piemonte, è danneggiato dalla eccessiva densità degli ungulati, che brucano le piccole plantule delle specie forestali. In Lombardia e nell’arco alpino centro-orientale la consistenza delle popolazioni di capriolo è aumentata sensibilmente, fino a raggiungere una cifra indicativa di 113.000 capi (dati ISPRA).
Tutta questa abbondanza di erbivori non poteva non attrarre i loro predatori, i carnivori. Ed ecco che possiamo assistere in questi anni ad eventi assolutamente memorabili e, una volta tanto questo termine può essere usato a proposito, di rilevanza “storica”: un formidabile ritorno di orsi e lupi nelle nostre contrade, da dove erano stati scacciati da un paio di secoli.


 
Esemplare di lupo
Esemplare di lupo

Il lupo. Tentativi di un ritorno

 
Nelle Alpi centrali la presenza del lupo è ancora sporadica. Dopo le persecuzioni protrattesi per tutto il 1800, in Lombardia il lupo sembra essere sopravvissuto solo in Provincia di Pavia, dove l’ultimo esemplare è stato abbattuto nel 1947 in Val d’Aveto. La sua presenza ritorna a essere rilevata a partire dal 1983 nel territorio appenninico delle province di Pavia, Alessandria, Genova e Piacenza, all’inserzione del crinale principale con il crinale secondario diretto verso nord, tra Monte Buio, Monte Antola, Monte Carmo, Monte Chiappo e Monte Dego, a quote superiori a 800 metri. Con alterne vicende e con una forte pressione derivante dall’attività di bracconaggio, in quest’area la sua presenza sembra essersi attestata a due-tre branchi. Nella zona alpina, in provincia di Bergamo, nel Parco delle Orobie, dal 1999 al 2010 si sono susseguite segnalazioni di presenza di individui isolati, ai quali sono stati attribuiti 5 episodi di predazione su ovini. Ora pare accertata la costante presenza, però di consistenza modesta, in Valle Seriana, in Valchiavenna e in Valcamonica.
Nel 2008, dopo circa 150 anni di assenza, il lupo è riapparso in Trentino, o meglio è stata trovata da alcuni cacciatori una carcassa ormai decomposta, che da analisi accurate è risultata appartenere ad un lupo di origine balcanica. Dunque per arrivare da queste parti ha percorso qualche centinaio di chilometri, ma non provenendo dal Piemonte, come in fondo gli esperti si sarebbero aspettati, visto che in quella regione di branchi ce ne sono ben sedici, ma dalla Slovenia o dalla Croazia, dove la popolazione è ben rappresentata con qualche centinaio di individui.
Questa popolazione spinge emissari da qualche anno anche verso l’Austria, dove vanno aumentando gli avvistamenti sia in Carinzia che in Stiria. Qui si registra un incrocio sorprendente: analisi genetiche su campioni raccolti in corrispondenza di predazioni o avvistamenti hanno testimoniato il passaggio di lupi provenienti dal ceppo italico, da quello balcanico e anche da quello dei Carpazi polacchi. Una sorta di Unione Europea lupesca.
Una “Unione” a cui si aggiunge la Svizzera; infatti nell’aprile del 2010 il personale del Parco Nazionale Adamello Brenta accerta la presenza di un lupo che risulta di origine italiana, ma identificato già nel 2005 nel Canton Vallese e nel 2009 nei Grigioni e battezzato con la sigla M24.
Nel Veneto nel gennaio del 2012 una video-trappola del Servizio del Parco Naturale Regionale della Lessinia, nel territorio del comune di Bosco Chiesanuova (Verona), immortala un lupo solitario, dopo circa un secolo di assenza da questa regione. E pochi giorni dopo dai forestali sloveni giunge la notizia dell’arrivo in Italia “Slavc”. Questo è il nome che è stato dato ad uno dei cinque lupi catturati in Slovenia nel luglio del 2011 e liberati subito dopo averli dotati di radiocollare. Slavc a metà dicembre ha cominciato a spostarsi verso nord, è entrato in Austria e l’ha attraversata tutta da est a ovest, entrando in Italia tra San Candido e Dobbiaco, dove ha effettuato una predazione su un capriolo. Si è spostato poi in Val Badia, dove ha predato un altro capriolo e poi è entrato in Veneto dalle parti di Falcade e di seguito dentro al Parco delle Dolomiti Bellunesi. In meno di due mesi ha percorso 570 chilometri in linea d’aria, in pieno inverno, attraversando tutto il settore delle Alpi orientali. Nell’aprile del 2012 un forestale di Boscochiesanuova ne rileva le tracce sull’ultima nevicata, ma dietro di lui marcia sulla neve un altro lupo…e se fosse una lupa? La campagna di raccolta di escrementi e urina nella neve, che vengono inviati all’ISPRA per la determinazione genetica, per un bel po’ non da risultati interessanti, nel senso che i dati riportano sempre a Slavc. Poi finalmente la grande notizia: insieme al lupo sloveno c’è un altro lupo ed è femmina ed è appartenente al ceppo appenninico. Per la prima volta dopo qualche secolo le due popolazioni, quella balcanica e quella italica, si sono incontrate in territorio veronese e potrebbero metter su famiglia!
In Friuli-Venezia Giulia non si sono ancora insediati stabilmente branchi, ma i lupi nella zona del Carso transitano e predano ovini, per poi tornare in territorio sloveno. Appartengono verosimilmente a gruppi, che risiedono in quel territorio che va dall’Altopiano triestino alla zona di Fiume e tra il Carso e l’area interna del Monte Nevoso. Nel Tarvisiano si cominciano a rilevare tracce di passaggi sulla neve, in agosto 2012 tre giovani esemplari vengono fotografati vicino al confine tra Italia e Slovenia, e la notevole dinamicità delle popolazioni transfrontaliere induce a ritenere prossimo il ritorno del predatore.

 
 
Esemplare di orso
Esemplare di orso

L’orso. Un ripopolamento di successo

 
L’orso nelle Alpi non è mai scomparso del tutto. Fino al 1600 l’orso era ampiamente distribuito in tutti gli ambiti boscati di pianura e di montagna dell’Italia settentrionale e dell’arco alpino. In un trattato del 1500, opera di Jacopo da Porcia, si legge di orsi, lupi, cervi e caprioli nella pianura friulana e si sottolinea che alla caccia all’orso avrebbero dovuto dedicarsi solo “quegli uomini forti che col loro grande ed eccelso valore trasformano imprese difficilissime ed ardue in cose facili e leggere”.  Fino alla metà del 1800 la specie era ancora abbastanza ben rappresentata su gran parte dell’arco alpino. La persecuzione diretta da parte dell’uomo e, in misura minore, le modificazioni ambientali intervenute negli ultimi due secoli hanno ridotto l’originaria popolazione sulla soglia dell’estinzione. Nei successivi cento anni (1850-1950), l’orso scompare dalle Alpi italiane ad eccezione del Trentino occidentale e di poche altre aeree limitrofe. L’areale occupato dalla specie si riduce a circa 3750 km.q mentre non viene più segnalato nella fascia meridionale dell’area (Monte Baldo, Alto Garda e Valle Sabbia) e solo saltuariamente in Alto Adige, in Valcamonica e in Valtellina. Dopo il 1950 la popolazione non compie più spostamenti oltre i confini del Trentino.
Se all’inizio degli  anni ’60 si poteva si poteva ipotizzare una consistenza di circa 15 esemplari, negli anni ’90 la stima scende drasticamente a 3 – 5. Dopo la fine degli anni ’80 non si registrano più nuove nascite e la “popolazione” sembra inevitabilmente destinata ad una rapida estinzione. Gli ultimi esemplari sopravvissuti frequentano quasi esclusivamente l’area del Gruppo montuoso della Campa, nel Brenta nord-orientale  (Val di Non). Sono probabilmente vecchi e sterili.
Nel 1999, per scongiurare la scomparsa definitiva della specie dalle Alpi centrali, il Parco Adamello Brenta con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica, sostenuti da un finanziamento dell’Unione Europea, hanno dato avvio al progetto Life Ursus finalizzato alla ricostituzione di un nucleo vitale di orsi nelle Alpi Centrali tramite il rilascio di alcuni individui provenienti dalla Slovenia. Proprio quando tutto sembrava perduto è  invece iniziata, con questo progetto, la ripresa:  tra il 1999 ed il 2002 il rilascio di 10 orsi (3 maschi e 7 femmine) ha dato origine all’attuale popolazione. Questi capostipiti vengono chiamati per nome: Jurka, Daniza, Maja, Brenta, Kirka, Vida, Irma, Masun, Joze e Gasper. I loro figli e nipoti invece saranno indicati con una sigla formata da lettere, desunte dalle iniziali dei genitori, e da numeri progressivi.
Nascono ogni anno numerose cucciolate (nel 2012 sette con quindici cuccioli!), che portano la popolazione attuale, in un’area che comprende anche la Lombardia, il Veneto e l’Altoadige, ad un numero accertato di 43 individui e stimato di 48, considerando che nel frattempo alcuni sono morti e altri se ne sono andati in giro per l’Europa. Dunque la colonia è prolifica e il ritmo di crescita è decisamente positivo, con un tasso medio, dal 2002 al 2012 del 15,6%. Quando le condizioni ambientali sono favorevoli, come in questo caso, le femmine partoriscono un anno si e uno no. In genere i parti sono gemellari: due orsetti le femmine più giovani, anche tre quelle più vecchie. Nel 2010 è stato registrato in Trentino un parto con quattro cuccioli; è questo un evento eccezionale documentato per la prima volta in Italia.
Gli Agenti del Corpo forestale Trentino e le guardie del parco nei loro giri quando vedono tracce di orso le rilevano, misurano le orme, raccolgono escrementi e peli. Poi spediscono il tutto al laboratorio per le analisi genetiche, così con migliaia di reperti raccolti mano a mano che vengono trovati, tengono sotto stretto controllo la popolazione e sono in grado di capire da una traccia biologica se un orso appartiene alla colonia trentina.
(fonte: Provincia Autonoma di Trento – Servizio Foreste e Fauna – rapporto orso 2012)
Il 23 agosto del 2010, dopo numerosi appostamenti, un orso viene immortalato da fototrappole della Polizia provinciale in comune di Castellavazzo in provincia di Belluno. Le foto mettono il sigillo alle ipotesi fatte per mesi sulla sua presenza e ora si può ricostruire il suo viaggio. Probabilmente è arrivato dalla Val Noana, vicino a Primiero nel Trentino ed a marzo si sono cominciati a registrare i primi danni nel Bellunese: qui imperversa predando tre pecore, un pavone, venticinque conigli, tre anitre, ventuno colombi, due galline. Poi si interessa dei pollai,  delle arnie e dei conigli e, dalle parti di Pedavena, è molto attratto dal miele delle api del luogo. I primi di maggio lo vedono prima a Falcade, poi a San Vito di Cadore, poi a Sappada. Era da un secolo e mezzo che questi plantigradi non si facevano vedere in Veneto. Dal 2010 ad oggi la loro presenza è andata aumentando e  nell’estate del 2012 in questa regione gli orsi accertati sono stati cinque, quattro di provenienza trentina e uno di provenienza slovena. Non sappiamo con esattezza se tutti e cinque rimangono in questo territorio o se rientrano nelle terre di origine prima dell’inverno o nella stagione degli amori, però nel gennaio del 2013 i forestali che si avviavano sulle piste da sci di San Vito di Cadore, per iniziare il servizio, hanno rilevato escrementi e tracce di orso sulla neve appena battuta, quindi di un animale sicuramente in letargo da quelle parti, uscito dalla grotta a sgranchirsi le gambe.
Nel cuore dell’Europa in un’area di confine tra il Friuli Venezia Giulia e la Repubblica di Slovenia si incontrano e si mescolano culture diverse, ma anche regioni biogeografiche differenti, che generano ecosistemi ricchissimi, aree che rappresentano il principale corridoio di accesso di alcune importanti specie di grandi mammiferi verso l’arco alpino, tra cui i grandi carnivori.
Le prime segnalazioni di presenza di orsi in Fiuli-Venezia Giulia in epoca recente risalgono agli anni ’60 e si riferiscono ad avvistamenti nel Tarvisiano, nelle Prealpi Giulie e nelle Valli del Natisone. Dopo una certa fortuna espansiva, si ha una sensibile diminuzione di segnalazioni negli anni ’90, seguita da una forte ripresa dal 2004 ad oggi.
Nel 2007 si è dato avvio ad una ricerca complessa e transfrontaliera, frutto di un’intesa intercorsa tra la regione Friuli Venezia Giulia, l’Università di Udine, l’Istituto nazionale per la fauna selvatica, l’Università di Lubiana, la Lega dei cacciatori sloveni, il Servizio forestale sloveno e il comune di Pulfero. Sono stati catturati e radiocollarati quattro orsi, due in Italia (chiamati Bepi e Andrea) e due in Slovenia, e seguiti fino al 2008. Si è potuto così osservare che in maggio, all’approssimarsi del periodo riproduttivo, Andrea, orso di 200 kg e di circa otto anni, alla ricerca di una compagna ha ampliato il suo home range (spazio familiare) fino a 700 km quadrati, raggiungendo il Bosco Veneziano vicino a Pontebba. Il subadulto Bepi, nello stesso periodo e ingaggiato nella stessa ricerca, ha  lasciato la zona alpina e sconfinato in Slovenia verso la zona dinarica dei monti Rusica e Nanos, dove vivono stabilmente alcune femmine. Da queste parti vive un’orsa dal caratteristico collare bianco e, stando alle rilevazioni satellitari, pare che in quell’anno abbia accettato il corteggiamento sia di Bepi che dei due orsi sloveni radiocollarati. Sembra plausibile che tutti e tre i maschi si siano accoppiati con la medesima femmina del monte Hrusica, comportamento già osservato nella specie, con la conseguenza che spesso i piccoli nati dallo stesso parto possono essere figli di padri diversi. Al termine del periodo riproduttivo tutti e quattro i maschi si sono nuovamente spostati in direzione delle Alpi.
Nel 2011 il Corpo forestale dello Stato ha stipulato una convenzione con la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia per la realizzazione di un monitoraggio dell’orso bruno con tecniche non invasive mediante la predisposizione di trappole a pelo e l’invio di campioni al laboratorio di analisi dell’ISPRA.
Si stima la presenza di  un numero di plantigradi oscillante tra i quattro e i nove individui, dislocati e vaganti tra le Prealpi Giulie, le Prealpi Carniche e il Carso e la Slovenia. A questi vanno aggiunti quelli in transito verso est (Veneto) e verso nord (Austria). Le aree a maggior frequentazione sono le alte Valli del Natisone e del Torre, il Parco naturale regionale delle Prealpi Giulie, i monti Jof del Montasio e Fuart, l’area di Predil e Fusine, ma anche più a ovest la zona compresa tra Sauris e Forni di Sopra.

 
 

La lince. Il pericolo di estinzione

 
Fino al 1800 era presente su tutto l’arco alpino, ma le pesanti trasformazioni dell’ambiente, la caccia spietata e l’aumento del traffico stradale con i conseguenti frequenti investimenti ne hanno ridotto il numero a pochissimi esemplari. Talmente pochi che, paradossalmente, sono più numerose le linci “prigioniere” nei recinti dei parchi o nelle gabbie di qualche zoo, che quelle libere in natura.
A partire dal 1970 sono stati avviati progetti di reintroduzione che hanno dato origine a due popolazioni: una nel Nord ovest delle Alpi con il centro in Svizzera e diramazioni in Francia e in  Italia e l’altra nelle Alpi orientali, tra Slovenia, Austria e Italia.
Nell’area in esame la specie era probabilmente estinta agli inizi del secolo scorso. Lo SCALP, Status and Conservation of the Alpine Lynx Population, valuta un numero di individui oscillante da 10 a 15 in tutto l’arco alpino italiano, con alcune presenze nel Tarvisiano, nel Bellunese e in Trentino, numeri bassissimi che ne fanno temere la estinzione. Lo stesso organismo indica la consistenza in altri paesi alpini: 15-20 in Francia, 0-2 in Germania, 6-12 in Austria, 5-10 in Slovenia e ben 100-120 in Svizzera, dove nel recente passato si sono avviate iniziative di ripopolamento.
La lince e il suo habitat sono protetti da trattati internazionali e leggi nazionali, ma la tutela giuridica, pur fondamentale, non è sufficiente. Da una parte si conferma il ruolo fondamentale della comunicazione, dove si deve sottolineare la funzione regolatrice dei predatori, dall’altra la programmazione di interventi volti a salvaguardare le attività antropiche. L’obiettivo è armonizzare il ritorno dei grandi carnivori con la presenza umana nelle nostre montagne e la fruizione corretta del territorio alpino. E’ utile a questo riguardo citare il programma di intervento pianificato in territorio svizzero: si prevede di procedere a catture esemplari di lince in ambiti in cui supera una quota prestabilita e trasportarli in ambiti territoriali in cui la sua presenza è scarsa o nulla.
Conservazione e gestione devono procedere di pari passo nella direzione di salvaguardare le specie a rischio di estinzione e di alimentare, con programmi di controllo, una cultura dell’accoglienza in chi vive stabilmente in quei territori e percepisce il carnivoro come fonte di pericolo per sè o per gli allevamenti o, nel caso della attività venatoria, come fonte di concorrenza

 
 

Nel 1558 Georg Roesch von Geroldshausen fa un breve ma efficace elenco in poesia degli animali che abitavano le foreste del Tirolo, che allora comprendeva anche le Dolomiti.

 

“Wir wollen geschweigen der wilden Thier:
Fast allenthalben sich finden schier
Pern, Wildschwein, grab, weiss Hasen, Tier, Luex,
Woelf, Haerml, Maerder, Taex, Otter, Fuex!”

”Non parleremo della selvaggina:
quasi dovunque si trovano di sicuro
cinghiali, conigli, lepri bianche, cervi e linci,
lupi, ermellini, martore, tassi, lontre e volpi".



 
 

questo il “ritorno al futuro” a cui ci piace pensare.

Daniele Zovi