Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

FAUNA 
IL BRACCONAGGIO ITTICO SUL FIUME PO
07/11/2022
di Federico SACCARELLO

UN FENOMENO PREDATORIO IN CONTINUA EVOLUZIONE CHE MINACCIA LA STABILITA’ DELL’ECOSISTEMA FLUVIALE

Il fiume Po, lungo la sua intera estensione, nell’ultimo secolo è stato oggetto di impatti antropici esercitati, ad esempio, dallo sviluppo urbano ed industriale nei centri abitati che sorgono lungo le sue rive. Queste alterazioni hanno causato una modificazione degli habitat fluviali, compromettendo la stabilità di diverse popolazioni ittiche autoctone.

Nell’ultimo decennio, il bracconaggio ittico si è aggiunto ai fattori di stress esistenti in un contesto ambientale già fortemente compromesso. La pratica della pesca illegale è un fenomeno complesso e in continua evoluzione che, dalla sua prima comparsa nelle zona del delta del Po ad oggi, si è estesa a tutto il corso del fiume e a molti dei suoi tributari.

Le organizzazioni criminali, attraverso l’utilizzo di tecniche e attrezzi da pesca non consentiti, hanno contribuito direttamente al degrado ambientale, minacciando la biodiversità dell’ecosistema fluviale.

Per arginare il dilagare degli episodi di bracconaggio, le Istituzioni hanno dovuto sviluppare una normativa ad hoc e modalità d’intervento operativo efficaci. La complessità dell’azione di contrasto richiede un approccio integrato, con accordi e strategie condivise tra le forze di polizia e gli enti pubblici dell’area geografica interessata.

 ABSTRACT

The Po river, along its entire course, has been subject to severe anthropic impacts such as urban and industrial development of towns located in close proximity to its banks. Such alterations have resulted in the degradation of the riverine habitats, compromising the stability of several autochthonous teleost populations.

Over the last decade, fish poaching has contributed, as a stress factor, to compromising an already impacted environment. While originally limited solely to the river delta, poaching is now a complex phenomenon that has been deeply evolving in forms, methods and geographical extension.

By means of illegal fishing techniques and equipment, criminal organizations have directly aggravated the environmental deterioration status, threatening the biodiversity of the river ecosystem.

To put poaching activities under control, local and national Institutions were forced to develop dedicated legislations and effective operational procedures. The complexity of interventions requires an integrated approach following the establishment of strategic agreements between law enforcement agencies and local administrations of the areas affected.

Il fiume Po rappresenta un’asse strategico fondamentale che garantisce la connettività degli habitat e gli spostamenti della fauna ittica migratoria nell'intero bacino della Valle Padana; tuttavia, nel corso degli anni, ha subìto forti pressioni antropiche che hanno determinato un’alterazione degli ecosistemi acquatici.

La forte modificazione degli habitat fluviali ha inoltre contribuito ad un impoverimento della biodiversità ittiogenica seguita da una conseguente rarefazione di talune specie autoctone, facilitando indirettamente l’invasione e lo stabilimento di specie alloctone.

Un ulteriore fattore perturbativo degli ambienti acquatici del fiume Po è stato, infatti, il progressivo aumento di specie ittiche aliene, introdotte nei corpi idrici italiani nel corso degli ultimi decenni, molte delle quali importate per motivi economico/commerciali o per semplici scopi ludico ricreativi, come accaduto per la carpa macrocefala (Hypophthalmichthys nobilis), il siluro (Silurus glanis) e il pesce gatto (Ameiurus melas).

Da quanto emerso da diversi studi scientifici di settore, delle circa 40 specie aliene registrate, quasi la metà sono da considerarsi invasive. Le pressioni ecosistemiche esercitate da questi esemplari esotici sui taxa autoctoni del Fiume Po, in termini di competizione (alimentare e territoriale) e di predazione (sia di individui a diversi stadi di sviluppo che di uova), stanno portando ad una graduale perdita della biodiversità negli ecosistemi del bacino Padano. Questo impoverimento di biodiversità ittiologica ha condotto ad una drastica diminuzione di alcune di quelle specie simbolo del fiume Po che, da sempre, rappresentano un’importante fonte di guadagno per il comparto della pesca artigianale locale in acque interne, che principalmente si rivolge allo storione cobice e all’anguilla.

È in un tale contesto, così altamente alterato e compromesso, che sul fiume Po si inserisce, come ulteriore fattore di stress ambientale, il fenomeno della pesca illegale. I primi casi di bracconaggio ittico in acque interne sono stati segnalati circa una decina di anni fa, in una forma allora sconosciuta per l’Italia.

Gli eventi erano infatti caratterizzati da una ferocia predatoria senza pari per mezzo di metodi di pesca massivi ed irregolari. Questa attività era perpetrata da pescatori irregolari che catturavano ingenti quantità di pesce utilizzando chilometri di reti a tramaglio, fissate o manovrate a strascico, combinate all’impiego di elettrostorditori e sostanze chimiche di varia natura (ad esempio fertilizzanti agricoli), questi ultimi impiegati per stordire o mettere in fuga il pesce verso trappole disseminate appositamente in luoghi strategici del fiume, come insenature o lanche.

Gli interventi eseguiti a partire dalle prime segnalazioni hanno permesso l’identificazione di diversi soggetti, nella maggior parte dei casi di nazionalità est Europea.

Da una più approfondita analisi del fenomeno criminale, si è appreso che i fattori predisponenti ad una tale esplosione della pesca illegale nelle acque interne italiane erano da ricercarsi in una serie di eventi che avevano interessato una remota regione del Delta del fiume Danubio. Nel 2012, il governo Romeno intraprese una serie di azioni finalizzate a proteggere il Delta del Danubio, Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, colpito per decenni dal bracconaggio ittico ad opera di una etnia locale, quella lipovena. A tutela di questo sito, vennero adottate una serie di misure coercitive, come la creazione di una task force destinata a contrastare i pescatori illegali; il costo delle licenze professionali venne aumentato e il numero dei rilasci delle stesse venne contingentato.

In pochi mesi il problema del bracconaggio fu del tutto debellato nell’area[2].

Dal momento successivo all’entrata in vigore delle suddette restrizioni si è osservato, in maniera quasi simmetrica, un’iniziale intensificazione del fenomeno nelle acque del Delta del Po.

L’abbondanza di specie ittiche in queste acque, che per caratteristiche biotiche e abiotiche possono essere considerate simili a quelle del Danubio, richiamarono, infatti, in breve tempo un numero sempre maggiore di pescatori illegali provenienti prevalentemente dall'Est Europa (Romania e Albania). I suddetti provvedevano ad alimentare e rifornire i mercati ittici nei loro luoghi d’origine, sfruttando clandestinamente le regolari rotte commerciali.

Inizialmente si presentava come un’attività esercitata da gruppi organizzati sia in alveo che a terra, coordinati tra loro con precisi ed idonei punti di attracco per i natanti, che permettevano un agile sbarco delle reti e degli elettrostorditori.

Le bande criminali erano composte da persone spesso violente e gravate da precedenti penali secondo i codici dei Paesi di provenienza; la struttura organizzativa molto spesso ricalcava quella di clan familiari con un’organizzazione piramidale.

Le condotte illecite si concretizzavano, inoltre, nell' intimidazione dei pescatori sportivi che frequentavano le sponde e soprattutto dei pescatori di professione che lavorano lecitamente nelle acque interne.

La presenza diffusa di tali individui iniziò a generare preoccupazione e allarme sociale tra le cittadine rivierasche; numerosi furono i casi di furti di motori e imbarcazioni a danno dei privati, e sempre più frequenti gli atti intimidatori e vandalici a danno di coloro che provavano a contrastare quest'attività illegale.

Con il passare del tempo queste condotte illecite si diffusero non solo sull’asta fluviale del Po, ma altresì nei suoi tributari naturali e nella connessa rete di bonifica irrigua.

Il primo impegno delle Istituzioni per il contrasto di questa attività illecita si concretizza con l’approvazione in Commissione in Agricoltura di un emendamento al collegato agricolo che introduce con l’art. 40 della Legge 154/2016 il reato di bracconaggio ittico, fornendo per la prima volta la definizione di pesca illegale[3] e individuando tutte quelle condotte di pesca vietate nelle acque interne[4].

I nuovi strumenti normativi che prevedevano la confisca degli attrezzi da pesca, del pescato e dei mezzi di traporto hanno permesso ai nuclei di Polizia Giudiziaria costituiti appositamente per l’esigenza e composti da personale dell’Arma Forestale addestrato e formato per affrontare attività complesse in contesti ambientali sfavorevoli, di condurre significative operazioni.

Queste attività hanno portato all’individuazione di soggetti stranieri di nazionalità Romena, Moldava, Albanese e Ungherese coinvolti in illecite attività alieutiche, supportati dall’uso di automezzi, natanti (imbarcazioni in vetroresina e gommoni gonfiabili), elettrostorditori e reti per la pesca professionale irregolari per lunghezza e dimensioni delle maglie. Alla localizzazione dei pescatori abusivi, lungo le vaste zone golenali e fluviali, ha contribuito l’instaurarsi di proficui rapporti con la componente dei pescatori sportivi (in particolare quelli praticanti il carpfishing anche durante le ore notturne) e delle guardie volontarie.

Unico elemento positivo di nota è che molte delle specie ittiche target di tali pescatori illegali risultano inserite negli elenchi delle specie aliene invasive. Ad oggi, tuttavia, ad essere minacciate da queste metodiche di pesca, non sono le specie ittiche oggetto di interesse per il mercato dell’est Europa e dannose per i nostri ecosistemi fluviali, ma ad essere gravemente minacciata è l’ittiofauna autoctona, i crostacei e i molluschi che rientrano nel così detto by-catch o che rimangono uccisi da questi metodi di pesca estremante letali e per nulla selettivi.

In seguito, alcuni approfondimenti hanno permesso di delineare il modus operandi di tali squadre di bracconieri ittici, le quali si spostavano lungo il corso del fiume (dalle province del Po di Rovigo/Ferrara fino a quelle dell’entroterra) privilegiando le zone a maggior presenza di prede, ma soprattutto quelle aree nelle quali era più difficile attuare un’efficace azione di contrasto.

Tuttavia, la metodicità con cui questi gruppi operavano ha permesso alle varie forze di polizia di produrre una mappatura dei siti e un tracciamento degli spostamenti sul territorio. Tali strumenti hanno permesso di portare avanti con successo diverse operazioni di Polizia, che hanno visto in prima linea l’Arma dei Carabinieri nella provincia di Rovigo e nel Mantovano.

Ad un miglioramento dell’efficacia dell’azione repressiva nel corso degli anni è corrisposto un mutamento delle modalità d’azione dei bracconieri.

Dalle ultime analisi sul fenomeno criminale è emerso che le organizzazioni sembrerebbero aver cambiato le proprie modalità d’azione, scegliendo i siti di prelievo illegale in maniera apparentemente casuale e rendendo, di fatto, i propri spostamenti meno prevedibili e contrastabili.

Al fine di ridurre al minimo gli spostamenti su strada, in diverse circostanze, è stato riscontrato che le bande criminali utilizzino vecchi casolari abbandonati come luoghi sicuri in cui trasportare ed effettuare le prime operazioni di lavorazione sul pescato, una volta sbarcato.

SACCARELLO 1Figura 1: Carico di pesce catturato illegalmente e trasportato all'interno di un furgone. Il pescato è stato posto sotto sequestro dai Carabinieri Forestali del Nucleo CITES di Torino a seguito di un controllo.

Questa rete di siti, ubicati sul territorio in posizioni strategiche, limita fortemente la possibilità che i furgoni, a pieno carico, possano essere fermarti su strada per eventuali controlli.

In alcuni casi è stato inoltre riscontrato che i soggetti che gestiscono tale attività illecita preferiscono dotarsi di mezzi a noleggio, in quanto più difficili da porre sotto il vincolo del sequestro se intercettati dalle forze di polizia. In altri contesti è stato osservato che il pesce, spesso già eviscerato e sfilettato, viene trasportato a bordo di furgoni intestati a soggetti stranieri in possesso di regolare licenza di pesca professionale, per seguire poi le rotte dell’est Europa, sfruttano clandestinamente le legali reti commerciali.

Le organizzazioni prevedono, inoltre, una folta schiera di avvocati che prestano la propria assistenza legale ai loro clienti una volta colti in flagranza, dimostrandosi reperibili anche nelle ore notturne.

Tra i mutamenti più significativi vi è una progressiva migrazione dell’attività delle consorterie criminali lungo l’intera asta fluviale del Po e quello che sembrava inizialmente un fenomeno circoscritto alla zona del delta del fiume si è trasformata in una problematica transregionale che ha coinvolto tutti i territori compresi nel suo bacino idrografico. Ne sono un esempio le operazioni eseguite dal Gruppo Carabinieri Forestale Torino nell’alto corso del Po.  

SACCARELLO 2Figura 2: attività antibracconaggio eseguita in Piemonte dal Nucleo Cites di Torino

Questa nuova dimensione del fenomeno ha reso necessario adottare strategie di contrasto condivise, con piani d’intervento operativo coordinati a diversi livelli. Per questa nuova esigenza il 15 giugno 2017 è stata istituita, dai sottoscrittori del Protocollo d’Intesa del 25 febbraio 2016, la Consulta interregionale per la gestione sostenibile della pesca e la tutela del patrimonio ittico nel fiume Po (denominata “Consulta pesca Po”).

La Consulta pesca Po, nell’incontro del 29 marzo 2018, ha condiviso la necessità di promuovere un accordo finalizzato ad attuare un’azione precisa e coordinata in cui gli enti collaborino insieme per dare una risposta adeguata al problema del bracconaggio, che sta mettendo a rischio il patrimonio ittico del fiume Po e sta compromettendo le prospettive di sviluppo turistico e di fruizione del fiume.

È su queste premesse che il 29 giugno 2018 ad Isola Serafini (PC) presso l’opera di deframmentazione fluviale realizzata con il progetto LIFE Connessione Fluviale Fiume Po, nasce il “Protocollo d’intesa Triennale per il controllo della pesca illegale nel Bacino del Fiume Po” siglato dalle Prefetture di Torino, Milano, Bologna, Venezia, Regione Piemonte, Regione Lombardia, Regione Emilia-Romagna, Regione Veneto e l’autorità di Bacino Del Fiume Po. Il Protocollo d’Intesa è stato di recente rinnovato per il prossimo triennio, così da dare continuità a quanto intrapreso nell’ambito del contrasto alla pesca illegale; di questo accordo i Carabinieri Forestali sono una parte integrante in quanto organo di polizia deputato al controllo e al monitoraggio del bacino del fiume Po.

Il loro impegno ha contribuito in maniera sostanziale ad una riduzione degli episodi di bracconaggio, permettendo una ripresa, seppur graduale, dei delicati ambienti fluviali del bacino padano.

 

                                                                                                         Si ringraziano i colleghi del Nucleo Cites di Torino per aver fornito le foto.

 

 

 

 

 

 

                                      



[1] Comandante del N.I.P.A.A.F. Parma

[2] Il bracconaggio ittico nelle acque italiane. Un’associazione a delinquere che opera quasi indisturbata nelle acque italiane – F.I.O.P.S. (Federazione Italiana Operatori Pesca Sportiva).

[3] Al fine di contrastare la PESCA ILLEGALE nelle acque interne dello Stato, è considerata esercizio illegale della pesca nelle medesime acque ogni azione tesa alla cattura o al prelievo di specie ittiche e di altri organismi acquatici con materiale, mezzi e attrezzature vietati dalla legge.  È altresì' considerato ESERCIZIO ILLEGALE DELLA PESCA nelle acque interne ogni azione di cattura e di prelievo con materiali e mezzi autorizzati effettuata con modalità vietate dalla legge e dai regolamenti in materia di pesca emanati dagli enti territoriali competenti.  Ai fini della presente legge, sono considerati ACQUE INTERNE i fiumi, i laghi, le acque dolci, salse o salmastre delimitati rispetto al mare dalla linea congiungente i punti più foranei degli sbocchi dei bacini, dei canali e dei fiumi.

 

[4]    a) pescare, detenere, trasbordare, sbarcare, trasportare e commercializzare le specie di cui sia vietata la cattura in qualunque stadio di crescita, in violazione della normativa vigente; b) stordire, uccidere e catturare la fauna ittica con materiali esplosivi di qualsiasi tipo, con la corrente elettrica o con il versamento di sostanze tossiche o anestetiche nelle acque; c) omissis…