Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

ENERGIE ALTERNATIVE
Il paradosso della carne a “chilometro zero” e del carbone a “chilometri diecimila”
01/12/2022
di Gianpiero ANDREATTA [1]


foto 1
Figura 1:  La “costruzione” della carbonaia richiedeva non comune perizia e specifica maestria da parte dei carbonai; si procedeva per successive fasi in cui si sovrapponevano con cura vari “strati” di tondelli incastrati al meglio tra loro per ridurre gli spazi vuoti . (Foto: Archivio Comando Regione Carabinieri Forestale “Marche” – Ancona)


L’Italia è stata interessata per secoli da una intensa e diffusa produzione di carbone vegetale. Detto materiale – unitamente alla legna – ha rappresentato per lungo tempo la principale fonte energetica, prioritariamente per il riscaldamento degli ambienti e in misura secondaria per la cottura dei cibi. Questo scenario si è profondamente modificato nel secondo dopoguerra per la relativa sostituzione con altre fonti energetiche (petrolio, gas, energia elettrica). Nei tempi attuali il carbone vegetale sta trovando un rinnovato massiccio impiego per la cottura dei cibi “alla griglia”. Seppure il nostro Paese sarebbe in grado di produrne una quantità tale da soddisfare la richiesta, la pressoché totalità del materiale proviene dall’estero e in gran parte dall’emisfero australe. Tale realtà rappresenta una situazione del tutto particolare – che si può ben definire “paradossale” – in quanto molto spesso ci si va a focalizzare sulla produzione della carne su base locale (identificata quale “a chilometro zero”) non curandosi del fatto che il carbone con cui la si cucina proviene in molti casi da ben oltre diecimila chilometri di distanza, con tutte le implicazioni di impatto ambientale conseguenti[2]

Italy has been affected for centuries by an intense and widespread production of charcoal. This material - together with wood - has been for a long time the main source of energy, primarily used for space heating and, to a secondary extent, for cooking food. This scenario has profoundly changed after the Second World War as different energy sources (oil, gas, electric energy) replaced charcoal. In present times charcoal is finding a renewed massive use for cooking "grilled" foods. Although Italy would be able to produce enough charcoal to meet the demand, almost all of the material comes from abroad and, for the  most part, from the southern hemisphere. This reality represents a very particular situation – which can be well defined "paradoxical" – as very often we go to focus on meat production on a local basis (identified as "zero kilometer") not paying attention to the fact that the charcoal used comes, in many cases, from well over ten thousand kilometers away, with all the consequent environmental impact implications. 


______________________________________________________________________


Fin dagli albori della propria storia ed evoluzione, l’umanità si è rivolta ai popolamenti forestali per ricavare sia le fonti alimentari – successivamente concentratesi su agricoltura e zootecnia – sia l’energia da cui ottenere riscaldamento e cottura dei cibi. In principio la raccolta della legna caduta a terra, successivamente quella procurata abbattendo gli alberi e infine la trasformazione della medesima in carbone vegetale hanno rappresentato per millenni la fonte energetica primaria su cui era basata la vita nelle campagne e anche nelle città.

Nel nostro Paese, anche in considerazione della tipologia dei soprassuoli boschivi presenti, la produzione del carbone vegetale (definito anche carbone di legna o carbonella) ha rappresentato – sicuramente per secoli, ma più probabilmente per millenni – un importante settore per la fornitura alla collettività di prodotti derivati dalla trasformazione del legno.

In particolare l’Appennino, e in misura minore le Prealpi, sono state le aree dove si è concentrata per lungo tempo la produzione del suddetto materiale.

La gran parte del carbone vegetale è stata in passato destinata a scopi energetici (riscaldamento degli ambienti) ed una quota parte decisamente minore, la quale si è andata sempre più riducendo a seguito della diffusione del gas contenuto dapprima nelle sole bombole, era utilizzata per la cottura dei cibi. Al giorno d’oggi se ne è persa in buona parte la testimonianza, ma va ricordato – e ben ne hanno memoria gli anziani – come l’utilizzo di detto materiale quale fonte energetica per il riscaldamento degli ambienti (privati e pubblici) abbia accompagnato la vita di intere generazioni per un arco temporale che ha avuto inizio nella notte dei tempi.

Questo quadro, rimasto pressoché immutato per un lunghissimo periodo, ha subito un evidente iniziale punto di flesso dell’utilizzo del carbone di legna a cavallo tra le due guerre mondiali del ventesimo secolo. Nel secondo dopoguerra detto impiego si è pressoché concluso definitivamente a seguito di un profondo quanto repentino cambiamento verificatosi in conseguenza dell’avvento dei prodotti petroliferi, del gas naturale e in misura minore anche dell’elettricità, quali esclusive fonti energetiche domestiche (e non).

L’utilizzo del carbone vegetale oggi

Osservando la realtà nazionale, si può constatare che, a seguito della diminuita richiesta di carbone vegetale, la produzione del medesimo ha subito una progressiva diminuzione sino quasi a scomparire del tutto.

Seppur in molti Stati del mondo la legna e il carbone vegetale rappresentino ancora la principale fonte energetica, per quanto riguarda il nostro Paese – come sopra accennato – l’utilizzo per finalità di riscaldamento degli ambienti del secondo materiale testé elencato si è già da tempo azzerato: è perdurato nel tempo pressoché in misura costante (e negli ultimi anni la tendenza si palesa in aumento) l’utilizzo della legna quale combustibile.

È rimasto in uso, in un primo tempo in maniera decisamente residuale e successivamente trovando nel corso degli anni un crescente mercato, l’impiego del carbone di legna per la cottura dei cibi “alla griglia”.

Tale tendenza si è sempre più consolidata anche grazie all’attenzione per l’alimentazione e la riscoperta di determinati sapori del passato.

Seppur non sia lontanamente paragonabile la quantità di carbone vegetale (prodotta e) utilizzata fino solamente a qualche decennio fa, si evidenzia come all’attualità vi sia una importante richiesta di materiale da destinare pressoché esclusivamente per scopi di cottura di qualità degli alimenti.

Non si trovano – o per meglio dire non sono stati reperiti nonostante ricerche effettuate su varie fonti (bibliografiche, “rete”) – molti dati sulla quantità di carbone di legna utilizzato annualmente nel nostro Paese, pressoché esclusivamente – e qui il dato è certo – per la cottura dei cibi “alla griglia”; analoga situazione di scarsità/assenza di dati vale per quanto riguarda la produzione messa in essere in ambito nazionale.

Gli unici dati che sono stati reperiti sono di fonte PEFC Italia[3] e presentano una importazione di carbone vegetale da parte del nostro Paese stimata mediamente in circa 60.000 tonnellate all’anno (anno di riferimento 2021). Sempre dalla stessa fonte si può trovare indicazione che, sulla base di dati FAO[4], il 17% del materiale legnoso prelevato dalle foreste a livello mondiale sia convertito in carbone e questo avviene per oltre il 56% negli Stati dell’Africa, con in alcuni casi problematiche documentate legate alla deforestazione.

foto 2
Figura 2: Una volta ultimata la “costruzione” della carbonaia, la stessa veniva ricoperta di terra reperita sul posto; si può notare l’inizio del ricoprimento sul lato sinistro osservando l’immagine. (Foto: Archivio Comando Regione Carabinieri Forestale “Marche” – Ancona)








Il “paradosso”
Concentrando l’attenzione su quello che accade all’attualità nel nostro Paese, si ritiene di poter affermare come la situazione di cui si sta qui disquisendo meriti una approfondita riflessione.

Come in precedenza fatta menzione, si sta assistendo a un sempre crescente impiego del carbone di legna per la cottura dei cibi. Nulla da obiettare su tale tendenza, la quale ben si sposa con l’attenzione che viene prestata alla moderna gastronomia e alle collegate tecniche/modalità di cottura degli alimenti.

Andando ad analizzare maggiormente nel dettaglio lo scenario, nella quasi totalità dei casi ci trova difronte a una realtà dicotomica: da una parte si può osservare una progressiva attenzione per la produzione di carne in ambito prevalentemente locale – cosiddetta a “chilometro zero” – evidenziando una particolare sensibilità verso gli aspetti alimentari e parimenti ambientali. Dall’altra, in maniera del tutto contraddittoria sia all’apparenza sia nella sostanza, non ci si cura minimamente di conoscere la provenienza del carbone vegetale utilizzato per la cottura; detto materiale proviene spesso dagli Stati meridionali dell’America Latina o dell’Africa sub-sahariana, a ben oltre diecimila chilometri di distanza.

La situazione che può a ragione essere definita “paradossale” consiste nel fatto che nell’Appennino e nelle Alpi vi sono numerosi contesti territoriali dove – anche impiegando modalità di lavorazione differenti rispetto al passato – sarebbe possibile produrre all’oggi carbone di legna, il quale (per gli aspetti quantitativi) potrebbe soddisfare a pieno la richiesta del mercato.

Aspetto da non sottovalutare è che si potrebbe trattare in più casi di materiale di ottima qualità in quanto prodotto da specie legnose che possiedono – oltre che un elevato rendimento in termini di durata della combustione e di quantità di calore sviluppato (temperature elevate per un prolungato periodo di tempo, condizioni ideali per la cottura dei cibi) – una notevole quantità di profumi e aromi particolari: l’esempio per eccellenza è rappresentato dal carbone prodotto con il legno della macchia mediterranea, di cui conserva odori e fragranze che possono conferire alla carne un ancor più gradevole sapore.

Il nostro Paese, come in precedenza evidenziato, è stato per secoli un produttore di carbone vegetale: questo in considerazione di due concomitanti fattori, vale a dire da un lato la totale assenza di giacimenti di carbone fossile e dall’altro l’elevata presenza di formazioni forestali che per composizione specifica e per struttura ben si prestavano ad essere sottoposte alla forma di governo a ceduo, la quale assicurava il materiale legnoso ideale per la successiva trasformazione in carbone.

Nei tempi attuali sono invece le navi, dopo aver attraversato in alcuni casi l’Oceano Atlantico, a scaricare sulle banchine dei porti italiani tonnellate di detto materiale che è stato prodotto per la gran parte nell’America del Sud, in prevalenza Argentina e Paraguay, oppure in alcuni Stati africani quali ad esempio la Namibia.

In altri casi, chiudendo il cerchio delle forniture, sono gli autotreni provenienti dell’area balcanica a varcare le frontiere delle Regioni del Nord-Est per trasportare il combustibile per le grigliate.

Per rendere ancor più comprensibile e documentabile la questione qui rappresentata, è stata effettuata una ricerca in 20 centri di vendita appartenenti alla cosiddetta “grande distribuzione organizzata (GDO)”: sono stati “campionati” 20 differenti marchi commerciali, focalizzando l’attenzione sulla tipologia di materiale venduto e sulla relativa indicazione di provenienza. La ricerca è stata condotta nel mese di maggio 2022, periodo in cui vi è la maggior presenza di materiale esposto in vendita per la concomitante abitudine di dare inizio alla cosiddette “grigliate” all’aperto.

I dati raccolti sono riportati nella Tabella 1, dove sono elencate le informazioni sulla provenienza del carbone vegetale così come indicata nelle etichette; i dati riportati tra parentesi si riferiscono a materiale trovato identico in due punti vendita (anche se di differenti marchi della GDO).

Tabella 1: Paesi/Aree di provenienza del carbone vegetale. 20 campioni individuati presso punti vendita di differenti marchi della GDO.

Indicazione degli Stati di produzione e numero di campioni

Paesi UE: 4

Paesi Extra UE: 3

Argentina: 2

Namibia: 2

Croazia: 2 (+1)

Paraguay: 1

Slovenia: 1

Paesi/Aree non dichiarati: 3 (+1)

Italia: 0



È stato affrontato inoltre un iniziale studio sul mercato presente in “rete”, ma si è riscontata la pressoché totale assenza della indicazione della provenienza del materiale; di conseguenza, per la scarsa significatività dei dati ricavabili dall’analisi di mercato, non sono stati considerate le informazioni ottenute. La ricerca condotta si è rivelata di un certo interesse per il materiale di produzione nazionale, di cui si tratterà più avanti. 

 

foto 3
Figura 3: La “costruzione” e la fase di combustione realizzazione della carbonaia avveniva in epoca passata spesso sotto il controllo dell’Amministrazione Forestale dello Stato. (Foto: Archivio Comando Regione Carabinieri Forestale “Marche” – Ancona).

 


I costi ambientali

I flussi commerciali sopra descritti e documentati in Tabella 1 trovano piena giustificazione nelle dinamiche dell’economia globale: le logiche di mercato fanno sì che ci sia convenienza a importare anche da Stati assai lontani il carbone vegetale invece che produrlo direttamente nelle nostre colline e/o montagne.

La convenienza economica non tiene però conto di una serie di potenziali criticità. Da una parte la dinamica in precedenza rappresentata va a stridere con considerazioni di buon senso, ma questo aspetto – come ben si sa – non fa mercato; inoltre ci sono degli elementi che vanno a riguardare sia la corretta e regolare gestione delle formazioni forestali secondo le indicazioni fornite dalla selvicoltura sia i principi che rientrano nel concetto lato sensu di tutela dell’ambiente.

Nello specifico, non vi è la certezza (per non dire che in alcuni casi vi può essere più che fondato sospetto) che nelle zone di origine del prodotto vengano attuate pratiche selvicolturali sostenibili e, parimenti, che vi siano garanzie sul corretto impiego (norme di sicurezza e aspetti stipendiali/contributivi) della manodopera che viene coinvolta nelle varie fasi di lavorazione e trasformazione della legna in carbone.

Dal punto di vista ambientale una riflessione risulta più che opportuna per quanto riguarda l’incidenza dell’incremento connesso al trasporto del materiale (via mare o via terra) sulle emissioni di carbonio derivanti dal consumo di carburante per il trasporto: questi parametri potrebbero essere inseriti in un bilancio non solo meramente economico, bensì di “convenienza ambientale”.

Questi aspetti, nel loro insieme, pongono dei seri interrogativi sui reali vantaggi (ambientali) dell’approvvigionamento del carbone vegetale derivante dalle utilizzazioni di popolamenti forestali dell’altro emisfero.

Un acquirente/consumatore attento alle problematiche dell’ambiente dovrebbe porre attenzione alle realtà nel loro complesso e non solamente a quelle parziali che sono rappresentate dalla ricerca di soli determinati prodotti su base locale.

Le argomentazioni sopra menzionate ben evidenziano il “paradosso”, ossia da una parte il focalizzare l’attenzione sulla provenienza su base locale delle carni e dall’altra il ricorrere all’acquisto e all’utilizzo di un prodotto che potrebbe essere normalmente reperibile in loco, facendolo invece giungere sui nostri mercati da Paesi assai lontani con in conseguenti “costi ambientali” in precedenza elencati.

Considerazioni conclusive

Quanto illustrato in precedenza evidenzia una serie di criticità e di apparenti contraddizioni sul piano sia logico sia pratico.

La situazione definita “paradossale” dell’attenzione prestata alla carne (e a tutti gli altri prodotti della filiera agroalimentare e zootecnica che riguardano complessivamente il cibo) definita “a chilometro zero” e della noncuranza verso il “carbone a chilometri diecimila” con cui la si cucina potrebbe essere risolta puntando su più fattori: la conoscenza della realtà, il buon senso, la coscienza ambientale ed etica dell’acquirente/consumatore.

Rendere edotte le persone sulla situazione esistente è un primo passo; si è potuto constatare infatti come la realtà qui rappresentata risulti ai più del tutto disconosciuta. Una attenzione verso un acquisto/consumo maggiormente attento da un punto di vista ambientale potrebbe motivare molti cittadini/e resi/e consapevoli a spendere cifre (solo leggermente) più elevate pur di acquistare un prodotto che sia ottenuto nel rispetto di una gestione sostenibile delle foreste, dell’ambiente e lavorato con maestranze “tutelate”.

Per poter avere un ulteriore parametro di riflessione, sui 20 campioni di cui si fatta in precedenza menzione è stata condotta una ulteriore analisi nei riguardi del prezzo di vendita del prodotto, ossia carbone vegetale o “bricchetti” (anche “bricchette”), vale a dire polvere di carbone ottenuto da legno duro e polvere di minerale refrattario uniti da un legante a base cellulosica, dove l'impasto viene semplicemente pressato per avere pezzi di forma sferoidale, i quali essendo omogenei garantiscono una distribuzione uniforme del calore nella griglia.

I dati che sono stati desunti sono riportati nella Tabella 2.

Tabella 2: prezzo medio del carbone di legna e dei bricchetti. 20 campioni individuati presso punti vendita di differenti marchi della GDO.

 

Prezzo Euro/Kg.
(carbone/bricchetti)
- 20 campioni –

 

Carbone

Prezzo medio: 1,48 euro/kg

(min. 1, 10 – max. 1,99)

 

Bricchetti

Prezzo medio: 1,97 euro/kg

(min. 1,32 – max. 3,45)

 

Come si evince dai dati sopra esposti e in considerazione del fatto che per una grigliata serve qualche etto di materiale, per l’acquirente/consumatore si tratterebbe di passare dagli attuali circa 1,5-2 euro per l’acquisto di un chilo di carbone di legna (importo leggermente superiore per i bricchetti) a cifre che, anche se raddoppiate o triplicate – come si può evincere dai prezzi di mercato del poco materiale prodotto integralmente in Italia – non costituiscono certamente somme di notevole entità. Da una ricerca condotta in “rete” (di cui in precedenza si è fatta menzione) è emerso infatti che anche il carbone vegetale prodotto nel nostro Paese attraverso tecniche sia artigianali sia industriali (di maggiore convenienza economica, ma – come risulta in bibliografia – di qualità leggermente inferiore rispetto a quello prodotto con metodi tradizionali), abbia un prezzo di vendita nell’ordine di qualche euro al chilogrammo. Detto prezzo si presenta sempre superiore rispetto a quello che è stato “campionato” nei centri vendita della GDO: si va dal doppio al quadruplo rispetto al valore medio di quello importato.

Un altro aspetto, da porre nella dovuta evidenza, è quello che la produzione, la commercializzazione e il consumo di carbone vegetale prodotto nel nostro Paese utilizzando il legno dei popolamenti forestali nazionali, andrebbe a creare una filiera che potrebbe dare origine anche a interessanti realtà occupazionali: al momento il principale fattore limitante la produzione nazionale è dovuto ai mancati sbocchi di mercato, mercato che attualmente, per esclusive regole di economicità economica, preferisce i prodotti di importazione.

Quale considerazione finale – dopo quanto esposto riguardo la specifica argomentazione qui trattata – vale il discorso che il presupposto di un comportamento virtuoso nei confronti dell’ambiente richiede alla base una corretta educazione al consumo, una profonda sensibilità alla tutela ambientale e una corretta informazione sulla gestione forestale sostenibile, aspetti sui quali c’è ancora molto da lavorare.



[1] Generale di Brigata – Comandante delle Regione Carabinieri Forestale “Marche” – Ancona.

[2] Contributo orale presentato al XIII Congresso Nazionale della SISEF (Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale): “Alberi-Foreste-Biodiversità dal New Green Deal alla Farm to Fork Strategy”; Orvieto (TR), 30 maggio-02 giugno 2022.

 

[3] Il PEFC Italia è un'associazione senza fini di lucro che costituisce l'organo di governo nazionale del sistema di certificazione PEFC (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes), cioè il Programma di Valutazione degli schemi di certificazione forestale.

[4] FAO (Food and Agriculture Organization) è l’Istituzione tecnica specializzata delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura.