Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

DIRITTO 
MADE IN ITALY AGROALIMENTARE: ATTI DI CONCORRENZA SLEALE E MODALITÀ DI TUTELA
15/11/2017

di Stefano Masini, professore associato di Diritto Agrario Università Tor Vergata



RIASSUNTO:

La formula riassuntiva Made in Italy è capace di esprimere l’idea del territorio come canone d’identità e di reputazione. Una carrellata delle norme adottate dal legislatore nazionale sul Made in Italy. I limiti della tutela offerta dalla disciplina di diritto civile anche quando ci si confronta con le soluzioni normative elaborate a livello europeo, ove il consumatore riceve espressa tutela sul piano amministrativo contro i vizi legati all’origine degli alimenti. 

ABSTRACT:

Made in Italy agribusiness unfair competition and legal protection
The formula Made in Italy is capable of expressing the idea of the territory as an identity and reputation.  A review of the rules adopted by the national legislator on Made in Italy. The limits of the protection provided by civil law even when confronted with the regulatory solutions developed at European level, where the consumer receives explicit administrative protection to guarantee food safety.

Le moderne modalità di organizzazione degli scambi commerciali a livello globale hanno profondamente influenzato il percorso di tutela del Made in Italy. Le riflessioni del giurista tedesco Carl Schmitt consegnateci nel 1962 sui futuri scenari rappresentati dall’apertura di grandi spazi e dal superamento dei confini nazionali nel processo di sviluppo industriale, si presentano quanto mai attuali per descrivere il fenomeno della delocalizzazione e le sue prassi applicative. Le forme organizzative dei gruppi di imprese o le opportunità di produzione su commissione hanno sollevato contrasti giurisprudenziali nel momento in cui si è trattato di individuare l’origine di prodotti fatti realizzare all’estero.

Cesenatico-8-Gli-spaghetti-ai-pomodorini-freschi-e-basilico-del-Bagno-Ferrara-un-must-di-ogni-estateDalle pronunce che riconoscono l’ingannevolezza del marchio italiano FIAT, apposto su autovetture importate da imprese jugoslave e polacche, alle decisioni che, al contrario, escludono il reato per la rilevanza riconosciuta alla funzione di origine imprenditoriale del marchio, la dottrina suggerisce di volgere l’attenzione alle considerazioni che i giudici riversano negli obiter dicta, per esprimere le ulteriori soluzioni che possono darsi in casi simili a quello deciso, in vista del superamento delle specificità della singola vicenda processuale. Si giunge, così, a riconoscere che per i prodotti industriali l’origine geografica riveste un’importanza diversa, comunque non essenziale, rispetto a quella che assume nel settore agroalimentare, perché una cosa è parlare del luogo di produzione di un’automobile e un’altra è parlare di arance della Sicilia o dei tartufi di Alba.

Tuttavia, nonostante le avvertenze di parte della giurisprudenza sulla necessità di operare le dovute distinzioni in materia di origine, le norme adottate dal legislatore nazionale sulla libera circolazione del marchio senza l’azienda e sulla subfornitura, finiscono per incoraggiare l’orientamento basato sulla rilevanza esclusiva dell’origine del prodotto, riferita all’imprenditore che assume la responsabilità economica, giuridica e tecnica della produzione, anche quando realizzata all’estero.

Neppure il processo di revisione condotto con la legge n. 350 del 2003 ha sortito l’effetto di restituire più ampi margini di tutela alla provenienza geografica attraverso la disciplina sulle false e fallaci indicazioni, a causa del frapporsi di nuovi approdi giurisprudenziali, basati sulla nozione di origine doganale di derivazione europea, ritenuta capace di attrarre nel concetto di Paese di ultima trasformazione sostanziale, anche i prodotti agroalimentari diversi da quelli fregiati da una denominazione di origine protetta (DOP) o da un’ indicazione geografica protetta (IGP).

La soluzione conduce, ancora una volta, a conseguenze che sfiorano il paradosso, attraverso la libera circolazione di pasta di grano duro presentata come italiana ma di provenienza turca e diretta in Africa per il tramite di una società con sede a Mali, che acquista la merce da una società francese.

Se non che, la decisione non sembra convincere i giudici di ultima istanza, che tornano a rivedere la posizione dichiarando fallace, ai sensi dell’art. 4, co. 49 della l. n. 350/2003, l’indicazione riportata sulle confezioni di pasta, perché idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione che si tratti di un prodotto di origine italiana piuttosto che turca.

forno-a-legnaIn ogni caso, il ricorso all’art. 517 cod. pen., per sanzionare i casi di falsa e fallace indicazione, trova un seguito limitato anche a causa della difficoltà di tenere separati i diversi scenari interpretativi ricavati dai commi 49 e 49 bis dell’art. 4, l. n. 350/2003, non che di distinguere, in particolare, tra illecito penale basato sull’inganno e illecito amministrativo, diretto a sanzionare il fraintendimento.

Si giunge, così, a cercare un percorso alternativo di tutela del Made in Italy attraverso il ricorso all’art. 515 cod. pen., che ha trovato applicazione, ad esempio, nel caso dell’etichettatura dei pistacchi venduti in confezioni recanti la dicitura sfiziosità siciliane-pistacchi sgusciati e l’indicazione, in caratteri difficilmente leggibili ad occhio nudo “ingredienti: pistacchi sgusc. Medit.” in quanto idonea a creare confusione circa l’effettiva origine del prodotto.

La scarsa applicazione delle fattispecie penali di cui agli artt. 515 e 517 cod. pen., essenzialmente dovuta all’ambito di tutela apprestato da tali disposizioni, limitato cioè alla lealtà degli scambi commerciali e all’ordine economico, suggerisce l’avvio di una riforma dei reati in materia agroalimentare, affidata ad una Commissione di studio istituita dal Ministro della Giustizia, Andrea Orlando e presieduta dal dott. Gian Carlo Caselli che individua un nuovo bene da tutelare nel contesto delle frodi, consistente nella fiducia del consumatore. Si prende atto, in sostanza, della necessità di enucleare una disciplina specifica in materia di alimenti per la rilevanza che assumono le caratteristiche intrinseche e l’origine degli stessi.

L’interesse del consumatore a non essere ingannato potrebbe trovare, così, più adeguata soddisfazione in ambito penale, considerati, d’altra parte, i limiti dei rimedi civilistici offerti in materia di garanzia per i vizi o per mancanza di qualità promesse o essenziali nella cosa venduta o, ancora, in materia di consegna di una cosa mobile diversa da quella pattuita nei casi di aliud pro alio, che legittimano l’acquirente a conseguire l’adempimento o la risoluzione del contratto, oltre al risarcimento del danno.

I limiti della tutela offerta dalla disciplina di diritto civile si riscontrano anche quando ci si confronti con le soluzioni normative elaborate a livello europeo, ove il consumatore riceve espressa tutela sul piano amministrativo contro i vizi legati all’origine degli alimenti.

Resta ferma, in ogni caso, la necessità di indagare la natura giuridica del Made in Italy, in quanto, formula riassuntiva capace di esprimere l’idea di territorio come canone di identità e di reputazione. Si ricorda, a tal proposito, l’orientamento della giurisprudenza, anche europea, volto a ricondurre la figura del made in nel contesto delle indicazioni geografiche semplici, in considerazione del suo carattere di bene non concorrenziale e non escludibile estraneo alla logica della titolarità e delle posizioni di monopolio che interessano i segni distintivi dell’imprenditore, il marchio individuale in particolare.

prodotti-italiani-made-in-italyAppare, allora, più efficace la tutela del made in secondo i principi della leale concorrenza, ai sensi dell’art. 2598 cod. civ., al fine di sanzionare le condotte dirette a sfruttare pregi e rinomanza da parte di chi opera in modo illecito, secondo schemi non espressamente tipizzati.

È possibile, quindi, individuare nella formula del made in tanto un interesse collettivo al regolare funzionamento del mercato, quanto un interesse privato del consumatore alla correttezza degli scambi, che si traduce in una tutela estesa contro le condotte di dumping e le offese ai diritti fondamentali del lavoro, della salute e dell’ambiente. Se così intesa la figura del made in, ben si comprende l’adeguatezza della proposta di riforma dei reati in materia agroalimentare, nonostante alcune considerazioni critiche dovute al rischio di una pseudo pan-penalizzazione che potrebbe condurre ad una eccessiva tutela del consumatore.

Sta di fatto che, mentre l’Italia è ancora alla ricerca di un equilibrio tra i diversi interessi in gioco, l’Australia, pur essendo uno dei Paesi più liberisti ha dotato i propri cittadini di uno strumento normativo basato su una sorta di rating del made in Australia, che agevola la lettura dell’etichettatura degli alimenti, consentendo di scoprire quanta parte del prodotto sia composto effettivamente da ingredienti del territorio.