Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

DIRITTO 
LE FIGURE DELL’AGENTE PROVOCATORE E DELL’INFILTRATO
20/10/2023

di Evangelista IPPOLITI
Dottore in giurisprudenza tirocinante presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Tivoli


Rilievi giuridici ed aspetti pratico-operativi, anche con riguardo alle attività di contrasto alle eco-mafie


Con il seguente lavoro si è cercato di riorganizzare, in maniera rapida e concisa, i contenuti e le idee relative ad un tema ampiamente dibattuto tanto sul piano teorico-dottrinale, quanto su quello giurisprudenziale. Partendo dal piano definitorio della questione, una volta presentata la disciplina normativa di riferimento, l’attenzione si soffermerà sull’enucleazione dei principali problemi interpretativi ed operativi, anche alla luce di importanti pronunce giurisprudenziali italiane e non. Il tutto con un taglio pratico ed un linguaggio semplice, utile e necessario per tutti i Carabinieri Forestali impegnati quotidianamente in tutto il territorio nazionale nel contrasto dei reati ambientali ed agroalimentari, estremamente dannosi e nocivi per l’ambiente e la salute Pubblica.    

With the following work we have attempted to reorganize, in a rapid and concise manner, the contents and ideas relating to a widely debated topic both on a theoretical-doctrinal and jurisprudential level. Starting from the definitional level of the issue, once the reference regulatory framework has been presented, attention will focus on the identification of the main interpretative and operational problems, also in light of important Italian and non-Italian jurisprudential rulings. All with a practical slant and simple language, useful and necessary for all the Forestry Carabinieri engaged daily throughout the national territory in the fight against environmental and agri-food crimes, which are extremely harmful to the environment and public health.
   
undercover-operations-largeDa tempo ormai si discute e ci si interroga riguardo il delicato tema, strettamente legato alle attività di indagine della Polizia Giudiziaria, delle operazioni sotto copertura e, conseguentemente, dei dubbi di legittimità formale e sostanziale delle stesse e dei suoi limiti applicativi. Lo scopo di questo breve contributo sarà, perciò, quello di tentare di offrire una panoramica semplice ma completa circa questo argomento, che risulta essere particolarmente caotico ed oscuro, soprattutto in relazione alle problematiche applicative ed interpretative che esso comporta.
Innanzitutto, al fine di inquadrare correttamente la disciplina in esame, con undercover operations, per utilizzare un termine della dottrina giuridica anglosassone ed internazionale, si intendono un complesso di attività investigativo-repressive caratterizzate dalla segretezza e copertura di cui godono i soggetti che materialmente svolgono tali operazioni; la peculiarità è pertanto la particolare situazione nella quale si trovano ad operare gli agenti o gli ufficiali di P.G., i quali devono agire segretando la loro vera identità, o dissimulando un diverso status sociale o comportamentale.
È essenziale, preliminarmente, iniziare da una distinzione portante: quella che intercorre tra agente sotto copertura (anche definito, spesso, con il termine di infiltrato) e agente provocatore. Questo binomio è alla base dell’intera disciplina delle undercover operations, ed è da ciò che trovano causa tutte le principali problematiche, non già di natura meramente teorico-definitoria, ma di natura più strettamente pratica ed operativa. Infatti, la differenza tra le due figure è legata principalmente all’attività posta in essere, potendo le due figure ben convergere simultaneamente in un solo individuo. Dal punto di vista definitorio, si intende per agente sotto copertura (cd infiltrato) un soggetto che, forte di linee guida operative ricevute dal corpo di appartenenza e dall’autorità giudiziaria, si inserisce, camuffandosi, all’interno di una realtà criminosa al fine di scoprirne i responsabili, le attività svolte o gli scopi. Questa è la classica attività svolta da chi, una volta entrato all’interno di precisi meccanismi criminali, passivamente osserva e controlla tutto ciò che accade. Per questo motivo, al fine di garantire la buona riuscita delle operazioni e l’esito positivo delle indagini, nonché la salvaguardia della sicurezza dell’infiltrato, è essenziale che egli sia totalmente immerso nella realtà criminosa, prevedendo per l’appunto anche la possibilità che egli possa partecipare alla commissione di reati, sempre all’interno dei limiti legali, per i quali egli non sia punibile in forza di una speciale scriminante. 
Al contrario, con agente provocatore si fa riferimento ad un appartenente della P.G. che, sempre mediante simulazione, determina o istiga qualcuno a commettere un reato. Un esempio può essere quello del finanziere che si reca in Comune per proporre al sindaco del denaro in cambio di un servizio, e verificare così la sua lealtà e correttezza; o ancora, il carabiniere che offre a qualcuno la possibilità di acquistare sostanze stupefacenti. Ne deriva che, l’attività dell’agente provocatore è essenziale e prodromica al verificarsi dell’evento delittuoso che, in mancanza, non si sarebbe verificato. Inoltre, a differenza dell’infiltrato che si limita a monitorare e nel caso a svelare un reato, inserendosi in un procedimento penale già aperto e conoscibile, l’attività dell’agente provocatore è invece funzionale all’acquisizione diretta di una nuova notitia criminis. Si tratta, perciò, di un vero e proprio strumento per saggiare e valutare la correttezza di una persona e la sua propensione ad esser parte di un reato. Per le ragioni su indicate questa figura è molto controversa, non godendo nemmeno di un richiamo normativo come invece accade per l’infiltrato, e aspramente criticata sia dalla dottrina maggioritaria sia dalla giurisprudenza più garantista ed attenta al rispetto dei diritti e dei principi penalistici alla base del nostro ordinamento costituzionale, che concludono circa l’illiceità di tale figura. 
A titolo informativo, un esempio a riguardo è offerto dalla sentenza Cass. terza sez. penale, n. 31415/2016 nella quale, in un procedimento di spaccio di stupefacenti, si analizzava il delicato confine tra attività sotto copertura e attività di vera provocazione/istigazione a commettere un reato. Nella sentenza si legge infatti quanto segue: “(…) l'attività del cosiddetto agente provocatore che, d'accordo con la polizia giudiziaria, propone ad uno spacciatore e realizza la compravendita di droga al fine di farlo arrestare, è del tutto fuori dalla sfera di operatività dell'art. 51 cod. pen., ossia dell'adempimento di un dovere di polizia giudiziaria (…), giacché è adempimento di un dovere perseguire i reati commessi, non già di suscitare azioni criminose al fine di arrestarne gli autori". L’essere fuori dalla sfera di operatività dell’art. 51 cp, come si vedrà, significa che l’agente provocatore non gode della causa di giustificazione prevista invece per l’agente sotto copertura (art. 9 lg. 146/2006), e che quindi la sua attività è, nel caso concreto, sicuramente punibile. Si legge ancora: “(…) ne consegue che, fuori dalla ipotesi di cui all'art. 97 (d.p.r. 309/1990), il cosiddetto agente provocatore, anche se appartenente alla polizia giudiziaria, non è punibile ex art. 51 cod. pen. soltanto se il suo intervento è indiretto e marginale nell'ideazione ed esecuzione del fatto, se cioè il suo intervento costituisce prevalentemente attività di controllo, osservazione e di contenimento dell'altrui illecita condotta. Egli è invece punibile, a titolo di concorso nel reato, se la sua condotta si inserisce con rilevanza causale rispetto al fatto commesso dal provocato, nel senso che l'evento delittuoso che si produce è riferibile anche alla condotta dell'agente provocatore". L’aver quindi tenuto un comportamento di controllo, osservazione e di contenimento, agendo perciò in qualità di agente sotto copertura, fa sì che a lui non si possa muovere alcun rimprovero, perché costituente un atteggiamento rispettoso della disciplina delle operazioni sotto copertura. Lo stesso, da quanto si evince, non può dirsi dell’agente provocatore vero e proprio il quale, dando causa all’azione criminosa, potrebbe risponderne a titolo di concorso.
Un altro spunto recante l’indirizzo preso dalla giurisprudenza di legittimità sul tema è quello contenuto nella sentenza Cass. sesta sez. penale, n 12204/2020. In un capo di questa pronuncia, relativo all’utilizzabilità degli elementi probatori acquisiti mediante operazioni sotto copertura, la corte stabilisce che: “(…) comportano, infatti, la responsabilità penale dell'agente infiltrato, e la conseguente inutilizzabilità della prova acquisita, le operazioni sotto copertura consistenti nell'incitamento o nell'induzione alla commissione di un reato da parte del soggetto indagato (…)”. La massima appare chiara e perentoria; avvalersi di un agente provocatore, non solo rende inutilizzabili le prove acquisite, ma ben potrebbe esporre l’agente stesso a procedimento penale in relazione alla sua condotta che, in quanto illecita, non è scriminata. Oltremodo, continuando, si legge: “(…) l'esclusione della punibilità per il "provocato", dunque, presuppone necessariamente la derivazione assoluta ed esclusiva della sua azione delittuosa dall'istigazione dell'infiltrato (…)”.
Ulteriormente a quanto già stabilito a più riprese dalla nostra Corte di Cassazione (gli esempi forniti sono solo alcune delle pronunce della Corte circa l’inammissibilità dell’istituto dell’agente provocatore), vanno menzionate anche alcune conclusioni a cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è giunta con riguardo allo stesso tema. 
Nel caso Kuzmina e altri c Russia, sentenza del 21/04/2021, i giudici di Strasburgo, sollevando una sostanziale violazione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, circa il diritto dell’individuo ad esser sottoposto ad un equo processo (nell’articolo viene evidenziata anche la necessità della fondatezza di ogni accusa penale), decretarono illecite le operazioni sotto copertura eseguite mediante l’ausilio di un agente provocatore; queste infatti risultano essere poco garantiste e soprattutto, in mancanza di una normativa specifica, estremamente arbitrarie. La pronuncia è così di nuovo tornata su un principio già più volte espresso: la Convenzione EDU non vieta agli Stati la possibilità di svolgere attività sotto copertura, ma impone loro che queste vengano svolte nel pieno rispetto delle garanzie della convenzione stessa. E queste garanzie non sono state rispettate dalle operazioni suddette perché si legge sia: “(trad. ing.) l’attività degli agenti non è consistita in un’attività sostanzialmente passiva volta ad acquisire elementi di prova, trasmodando in atteggiamenti provocatori (…)”, sia che “(...) le operazioni non risultano essere state disposte in presenza di concreti indizi di commissione di reato (…)”. Anche da ciò si evidenzia la differenza operata dalla Corte: l’attività del semplice agente sotto copertura da una parte (lecita, perché costituente in operazioni di controllo e monitoraggio passive), l’agente provocatore dall’altra (illegittimo).
Per concludere questa breve rassegna di giurisprudenza, italiana e non, mi preme citare, infine, una delle sentenze più importanti a riguardo. Si tratta della decisione della CEDU relativa al caso Teixeira de Castro c Portogallo del 09/06/1998. La Corte era stata chiamata a decidere su uno dei primi casi di “provocazione a delinquere”. Nel caso di specie, il ricorrente, cittadino incensurato e senza neanche una formale sottoposizione a procedimento penale, venne avvicinato da due agenti camuffati e convinto ad accettare di fare da mediatore in una compravendita di cocaina; immediatamente, una volta dato il consenso, gli agenti procedevano al suo arresto. Da tale vicenda la Corte ha iniziato a riflettere circa la legittimità di una tale pratica, arrivando alle conclusioni che oggi sono ampiamente condivise dalla CEDU e dalla giurisprudenza interna: si viola l’art. 6 Cedu nell’ipotesi in cui un soggetto dovesse subire una condanna per un reato che è stato materialmente provocato dalle forze dell’ordine.
Passando all’analisi della normativa italiana, la prima cosa che risalta è la quantità, raggiunta con gli anni, di leggi penali speciali che, nell’occuparsi delle materie più disparate (solo per citarne qualcuna, in materia di: sostanze stupefacenti, di pedopornografia, di reati contro la P.A.) hanno avuto modo di disciplinare le attività sotto copertura. 
Nella specifica materia ambientale, che ci riguarda più da vicino, le violazioni normative che sicuramente possono aver bisogno più di tale figura investigativa, sono tutte quelle legate al traffico illegale di rifiuti speciali ed in generale a tutti i danni ambientali che la criminalità organizzata può provocare all’intera popolazione. Il tutto con gravi danni alla salute pubblica ed al territorio. Si pensi per esempio alla “Terra dei Fuochi” ed a ciò che se ne è rilevato all’esito dibattimentale del processo in cui, anche con un giro di tangenti ai vari funzionari pubblici, si sono concesse autorizzazioni “farlocche” lì dove, le stesse, non potevano essere assolutamente rilasciate per una serie di vincoli paesaggistici ed idrogeologici. 
Il quel caso, la figura dell’agente infiltrato all’interno del sistema criminale è risultato essere di fondamentale importanza investigativa, appunto per mettere in luce il giro di tangenti che circolava fra i vari uffici pubblici. 
Ed ancora, in tema di lottizzazioni abusive o parzialmente tali, la figura del Carabiniere Forestale Ufficiale di P.G. che assume anche la funzione di agente infiltrato, può essere di fondamentale importanza nell’attività investigativa, laddove riesca per l’appunto a scoprire elargizioni di denaro assolutamente non dovute, per altrettante illegittime autorizzazioni concesse.
Alla luce di quanto sopra, sviando leggermente dal discorso portanto, vorrei soffermarmi sul recentissimo decreto legge n. 105 del 10 Agosto 2023, in relazione al contrasto dell’odioso reato di incendio boschivo ed in generale a tutti i reati ambientali, per le cui violazioni, sono state aumentate le pene previste con l’introduzione anche di alcune specifiche circostanze aggravanti del reato.   
In tale decreto, (precisamente nell’ art. 2 comma 4) oltre che ampliare ulteriormente il perimetro delle operazioni sotto copertura cosi come già disciplinate dall’ art. 9 legge 146/2006, si sono rafforzati, sul piano del diritto sostanziale, (precisamente negli art.li 6, 6 bis e 6 ter) i principi penalistici della tutela dell’ambiente nelle sue diverse componenti. Questo a dimostrazione di come sia di primaria e di notevole importanza la tutela e salvaguardia della natura e dell’ambiente in cui viviamo. 
Nello specifico, con tali nuove e recentissime norme, sono state aumentate le pene per tutti coloro i quali pongono in essere condotte antigiuridiche contro l’ambiente ed il territorio, dall’abbandono di rifiuti di qualsiasi tipo, sino all’inquinamento delle acque, al disastro ambientale e/o di qualsiasi condotta che possa compromettere e/o deteriorare l’ecosistema di un habitat naturale. Inoltre, si è tutelato ulteriormente l’Orso Bruno Marsicano dal pericolo di estinzione, ampliando ed aumentando le pene rispetto a quanto già previsto dall’ art. 30 comma 1 della legge 157/92.
In tutti tali aspetti, e quando ci si trovi a condotte estremamente violente e pericolose, in territori ostili ed omertosi, la figura dell’agente infiltrato, può risultare decisiva per la buona riuscita dell’attività investigativa.           
Comunque, come si è già avuto modo di accennare poc’anzi, ad oggi, la disciplina delle operazioni sotto copertura è disciplinata interamente all’art. 9 della Lg. 146/2006, che ha tentato di dare organicità e sistematicità alla materia.
Dal punto di vista procedurale, l’articolo in questione descrive copiosamente l’iter applicativo. Innanzitutto, si può dire, che il motore operativo dell’operazione deve essere un ufficiale di P.G che, incardinato nell’organico della Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri o Guardia di Finanza, riceve l’incarico dagli organi di vertice o dai responsabili di livello almeno provinciale, in base al corpo di appartenenza. Gli ufficiali di P.G., che conservano comunque la possibilità di nominare ausiliari o interposti (sia agenti di p.g., sia anche soggetti non appartenenti alle forze dell’ordine), devono possedere alcune conoscenze pratiche legate al reato per il quale si procede. Per tale motivo si richiede che l’ufficiale scelto faccia parte di determinati gruppi operativi o strutture specializzate, tali da far presumere il possesso di quelle specifiche e dettagliate conoscenze utili alla buona riuscita delle operazioni. A titolo di esempio, a seconda del reato, gli ufficiali di P.G. (Carabinieri, Poliziotti o Finanzieri) devono far parte, e da essi ulteriormente incaricati, della Direzione Investigativa Antimafia, piuttosto che degli organismi investigativi nella lotta al terrorismo e ad attività eversive, o della Direzione centrale dell’immigrazione e polizia delle frontiere o della Direzione anti-droga. 
Prima dell’inizio delle attività sotto copertura, gli organi competenti devono comunque comunicare il tutto all’autorità giudiziaria e, se richiesto, rivelare anche i nomi reali dei soggetti che materialmente procederanno al camuffamento. Sul tema, l’utilizzo del verbo “comunicare” ha creato e continua a creare non pochi problemi applicativi. Infatti questo presuppone il diritto delle varie Procure competenti di essere informate dell’avvio dell’attività sotto copertura ma, al contrario, sembrerebbe non normato il dovere del Corpo di attendere l’autorizzazione. Trattandosi di una semplice comunicazione si legittima la possibilità, in capo alle forze dell’ordine, di procedere, una volta effettuata la comunicazione, senza attendere un effettivo riscontro da parte del Pubblico Ministero competente. Risulta sicuramente più garantista la soluzione attuata dall’art. 14 della Lg 269/1998 (prostituzione minorile e pedopornografia) che, nel disporre attività sotto copertura, prevede una vera e propria autorizzazione da parte dell’Autorità giudiziaria competente, vista la delicatezza e pericolosa esposizione degli interessi tutelati. 
Per concludere, un breve accenno alla scriminante di cui godono questi soggetti. È ovvio che all’agente sotto copertura venga riconosciuta una causa di giustificazione specifica, e quindi l’impunità venendo meno l’antigiuridicità delle sue azioni, degli eventuali reati che egli potrebbe aver commesso. La disciplina prevede, infatti, che, posta comunque la sussistenza dell’articolo 51 c.p. (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere), non sono punibili gli ufficiali che “(…) danno rifugio o comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro  o altra utilità, armi, documenti, sostanze stupefacenti o  psicotrope, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto, prezzo o mezzo per commettere il reato o ne accettano  l'offerta o la promessa o altrimenti ostacolano l'individuazione della loro provenienza o ne consentono l'impiego ovvero corrispondono denaro o altra utilità  in esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri, promettono o danno denaro o altra utilità richiesti da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio o sollecitati come prezzo della mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o per remunerarlo o  compiono attività prodromiche e strumentali”. Per tutti i seguenti reati, tassativamente elencati, il soggetto non è, perciò, punibile. Inoltre, la scriminante trova applicazione anche nei confronti degli eventuali ausiliari che abbiano partecipato. 
Come si nota, la normativa non fa espresso riferimento alla distinzione tra agente sotto copertura ed agente provocatore ma, per la dottrina e per parte della giurisprudenza, è palese che questa si riferisca soltanto alla prima figura. Infatti, la necessità che le attività siano autorizzate e documentate, nonché finalizzate all’acquisizione di elementi probatori per procedimenti già aperti relativi a fattispecie criminose tassative, fa pensare che il tutto sia circoscritto all’interno di limiti stringenti, non ben definiti, tra i quali apparentemente sembrerebbe non rientrare l’attività di provocazione vera e propria. Dunque, affinché si possa godere della scriminante in questione, occorre che l’agente si sia mosso rispettando i limiti e le prescrizioni tassativamente imposte dal corpo di appartenenza, dall’Autorità giudiziaria e dalla legge.
In sostanza, la legge non vieta direttamente la possibilità di ricorrere all’attività di un agente provocatore, ma si limita a dettare delle linee d’intervento che, se non rispettate, potrebbero portare a sanzione. Bisogna quindi verificare, nel caso concreto, se un’attività sotto copertura ha oltrepassato i limiti suddetti, sfociando in attività di provocazione pura, comportando l’ascrizione di responsabilità di reato ad uno o più agenti. Diverse sono state le sentenze della Corte di Cassazione che hanno riconosciuto la responsabilità, per concorso, di alcuni agenti provocatori perché hanno apportato un contributo “concorsuale” al reato; tale contributo deve essere autonomo, slegato dall’attività criminosa per la quale si agisce e, interrompendo il nesso causale, del tutto idoneo a fungere da principio unico ed assoluto del reato. In questi termini, la Corte di Cassazione, sentenza n. 16163 del 17/04/2008, disponeva: “(…) nella ipotesi della presenza di un agente provocatore, l’esclusione della punibilità (da intendere riferita all’imputato) (…) presuppone necessariamente la derivazione assoluta ed esclusiva dell’azione delittuosa dalla istigazione di tale soggetto (…)”. In sostanza, l’attività dell’agente diventa provocatoria, e quindi illecita, quando è da sola riuscita a determinare il compiersi di una volontà criminosa non già esistente prima della provocazione. In tale ipotesi diverse potrebbero essere le conseguenze sul piano sia sostanziale (ascrizione di responsabilità in capo a provocato e provocatore, o addirittura non punibilità del provocato) sia sul piano processuale (non utilizzabilità degli elementi probatori acquisiti). Diversa è l’ipotesi, sempre enucleata dalla Cass. 2008, in cui un agente, pur provocando, istighi la commissione di un reato che era già nelle intenzioni del provocato, o che comunque avesse già ricevuto un diverso impulso criminoso tale da rendere la provocazione dell’agente non più assoluta e non da sola determinante. Così: “(…) l’esclusione della punibilità (riferita chiaramente sempre al provocato) (…) non può conseguentemente configurarsi quando l’azione del <soggetto> proviene anche da (…) soggetti diversi. In simili ipotesi, l’attività dell’agente provocatore, costituendo un fattore estrinseco (…), non esclude affatto che questa sia stata voluta e realizzata dal reo secondo impulsi e modalità concrete allo stesso autonomamente riconducibili”.
Concludendo, appare evidente come, data l’assenza di una normativa compiuta e chiara sulla materia, la presenza di dubbi ed incertezze a riguardo è più che comprensibile. Lodevole è stata la decisione presa dal legislatore del 2006 di tentare di raggruppare l’intera disciplina in questione all’interno della Legge n. 146, fornendo chiarimenti relativi alle procedure attuative ed autorizzative. Il nodo gordiano sulla questione, purtroppo, rimane circa i limiti e la portata delle attività, non meglio specificati, e che lasciano ancora apertissimo il tema relativo al binomio agente sotto copertura-agente provocatore, con evidenti criticità in termini di garanzia in relazione a quest’ultima figura. È per tale motivo che la questione circa la legittimità della figura dell’agente provocatore è rimessa al vaglio del giudice che, in ossequio del principio del libero convincimento, può di volta in volta decretare quando una pratica di questo tipo abbia ecceduto i limiti imposti e violato i principi del giusto processo e di colpevolezza, così come interpretati dalla CEDU.