Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

DIRITTO 
LA TUTELA GIURIDICA DEGLI ANIMALI DA AFFEZIONE
01/11/2014
di Olga Fontana Commissario Capo del Corpo forestale dello Stato del Comando Provinciale di Avellino

Il presente contributo si propone di illustrare sinteticamente gli aspetti sostanziali e procedurali della copiosa normativa posta a tutela degli animali, particolarmente di quelli cd. “di affezione”, rendendo così immediatamente individuabili i compiti e le responsabilità attribuiti dall’ordinamento a ciascuna Istituzione pubblica, nonché i doveri incombenti ai proprietari. Il contrasto agli illeciti contro gli animali costituisce una specifica competenza del Corpo forestale dello Stato, quale Forza di Polizia specializzata nella tutela dell’ambiente e dell’ecosistema: la L. n. 36/2004 ( “Nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato”), all’art. 2 gli attribuisce espressamente funzioni di prevenzione e repressione (anche) delle violazioni compiute in danno del patrimonio faunistico. Ai sensi del Decreto del Ministro degli Interni del 23 marzo 2007, inoltre, le attività di prevenzione dei reati contro gli animali sono demandate in via prioritaria al C.F.S

Oggetto della tutela

 

Il 25 ottobre 1978, a Parigi, veniva approvata dall’U.N.E.S.C.O. la “Dichiarazione Universale dei diritti degli animali”, nella quale si prevede che:

 

“Considerato che ogni animale ha dei diritti  … e che il rispetto degli animali da parte degli uomini è connesso al rispetto degli uomini tra loro

si proclama che:

 

ogni animale ha diritto al rispetto (art.2).
Nessun animale dovrà essere sottoposto a maltrattamenti o atti crudeli, e la soppressione di un animale, se necessaria, deve essere istantanea, senza dolore né angoscia (art.3).
Ogni animale che l’uomo abbia scelto per compagno ha diritto ad una durata della vita conforme alla sua naturale longevità. L’abbandono di un animale è un atto crudele e degradante (art. 6).
Ogni atto che comporti l’uccisione di un animale senza necessità è un biocidio, cioè un delitto contro la vita (art. 11).
I diritti degli animali devono essere difesi dalla legge come i diritti dell’uomo (art. 14).”

 

In realtà, dire che gli animali siano degli esseri senzienti appare un’ovvietà, almeno per il senso comune; sotto il profilo giuridico, viceversa, soltanto in tempi recenti, ossia con la legge  n. 189 del 20 luglio 2004 (“Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”), la loro tutela ha fatto un sostanziale passo in avanti, mediante l’introduzione nel codice penale del titolo IX bis, intitolato “Dei delitti contro il sentimento per gli animali”.
In tal modo, è cambiato il presupposto giuridico della tutela, fino ad allora offerta solo dall’art. 727 c.p. (che prevedeva un reato contravvenzionale, già rubricato come “maltrattamento”), e dall’art. 638 c.p. (“uccisione o danneggiamento di animali altrui”: delitto perseguibile a querela contro il patrimonio, cioè contro la proprietà privata dell’animale). Dal 2004 l’animale viene, a tutti gli effetti, considerato quale essere senziente, in grado di percepire dolore e sofferenza - anche psicologica.
Il legislatore recepisce così una mutata sensibilità sociale per il fenomeno de quo: il bene giuridico tutelato, per l’appunto, è il “sentimento” di pietà che la comunità prova per gli animali.
A seguito della riforma, il maltrattamento diventa un delitto, con tutte le conseguenze del caso - l’aggravamento delle pene, l’allungamento del periodo di prescrizione, l’impossibilità di estinguere il reato mediante oblazione, nonchè la necessità dell’elemento psicologico del dolo. L’art. 727 c.p. viene quindi a trattare, separatamene, l’abbandono degli animali (I comma) e la loro detenzione in condizioni incompatibili con la loro natura (II comma). I soggetti passivi delle nuove fattispecie criminose individuate dal codice penale sono tutti gli esseri viventi appartenenti al genere Animalia, senza alcuna distinzione tra i cd. animali di affezione, o da compagnia, e quelli che non lo sono, tra vertebrati ed invertebrati.

 

Le singole figure delittuose

Per la prima volta, con la l. 189/2004, viene sanzionata l’uccisione di un animale in sé, sulla falsariga del delitto di omicidio ( “ Chiunque cagiona la morte di un uomo…”).

 

Art. 544 bis c.p. (“Uccisione di animali”, cd. animalicidio): “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale, è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni” ( la sanzione, originariamente compresa tra i tre ed i diciotto mesi di reclusione, è stata inasprita dalla L. 201/2010).
La condotta incriminata può essere di tipo commissivo o omissivo, potendo consistere anche in un non facere (ad esempio, non alimentare il proprio animale lasciandolo morire di inedia). L’uccisione non è punita in ogni caso, ma solo se non necessaria o “crudele”: il reato sussiste quindi anche se l’uccisione, seppur giustificata (ad es., a scopo alimentare), è stata effettuata in maniera efferata. Per crudeltà, secondo  un consolidato orientamento giurisprudenziale, deve intendersi la volontaria inflizione di sofferenze, anche a causa di una
mera insensibilità dell’agente; non è dunque necessario lo scopo specifico della malvagità,  ovvero un truce “compiacimento” nell’infierire sull’animale.
Soggetto passivo / oggetto materiale del reato, come si è detto, sono tutti gli animali, senza distinzione tra domestici e selvatici, vertebrati e non: così, se qualcuno uccide per divertimento anche solo una lumaca, commette un reato ( la giurisprudenza ha ritenuto sussistere a carico di un ristoratore il reato di “maltrattamento” di aragoste, ex art. 544 ter di cui subito si dirà, perché detenute vive sul ghiaccio).

 

Art. 544 ter c.p. (“Maltrattamento di animali”): “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesionea un animale, ovvero lo sottopone a sevizie, o a comportamenti, lavori o fatiche insopportabili per le sue caratteristiche etologiche, è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi, o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.
La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate, ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.
La pena è aumentata della metà se dal fatto deriva la morte dell’animale.”
La norma punisce chiunque, per crudeltà o senza necessità, con condotta attiva o omissiva, cagiona una lesione ad un animale, ovvero una diminuzione della sua integrità psico-fisica. La Cassazione, con diverse pronunce, ha chiarito come la lesione non debba necessariamente essere fisica, potendo consistere anche in meri patimenti - che dovranno essere provati da specifici accertamenti tecnico-scientifici ad opera di medici veterinari.
Per sevizie, devono intendersi  invece delle torture (la sevizia è caratterizzata dalla particolare brutalità dell’azione).
Infine, sono previsti i lavori o “comportamenti” insostenibili per le caratteristiche etologiche dell’animale:si nota qui la continuità con la fattispecie prevista dal II comma del (riformato) art. 727 c.p., reato contravvenzionale costituito dalla detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze.
La Cassazione ha ravvisato tale ipotesi criminosa, ad es., nel comportamento di chi tenga chiuso un animale per un apprezzabile lasso di tempo in un ambiente particolarmente angusto.
Analogamente all’ipotesi di uccisione di animali, il maltrattamento ricorre anche a fronte di una condotta omissiva, ossia un non facere: non sarà necessario, ad es., percuotere l’animale, essendo sufficiente lasciarlo soffrire per mancanza di cibo o di cure mediche.
Si segnala, in tema di maltrattamento, come da tempo la Suprema Corte abbia stigmatizzato l’utilizzo sui cani dei collari antiabbaio elettrici (ex multis: Cass. Pen., sez. III, 13.04.2007, n. 15061). Il principio di portata generale statuito dalla S. C. è che “ il collare antiabbaio elettrico provoca inutili sofferenze ai cani, e dunque costituisce reato. (…) Non è infatti giustificata la sofferenza dell’animale quando si tratti soltanto della convenienza e della opportunità di reprimere comportamenti eventualmente molesti dell’animale, che possono trovare adeguata correzione in trattamenti educativi etologicamente informati, e quindi privi di ogni forma di violenza e accanimento.”

 

Altre fattispecie delittuose introdotte nel corpo del codice penale dalla L. 189/04 :

 

art. 544 quinquies (“Divieto di combattimento tra animali”). Punisce l’organizzazione o la direzione di combattimenti tra animali, nonché di competizioni non autorizzate che possono comprometterne l’integrità fisica, con la reclusione fino a tre anni  e con la multa fino a 160.0000 Euro; l’allevamento o l’addestramento di animali destinati a combattimenti o competizioni non autorizzate sono invece puniti  con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a 30.0000 euro, che si applica anche al proprietario / detentore dell’animale allevato o addestrato a tal fine, se consenziente.  Tale sanzione si applica anche a chi organizzi o effettui scommesse su combattimenti o competizioni non autorizzate.
Tutti i casi di cui agli artt. 544 bis e segg. c. p. integrano ipotesi di reato perseguibili d’ufficio; alla condanna segue, come pena accessoria, la confisca dell’animale. Ai sensi dell’art. 19 quater delle disposizioni di coord. e trans. al c.p., gli animali confiscati, o sequestrati  dalla Polizia Giudiziaria, sono affidati ad associazioni od enti individuati con Decreto del Ministro della Salute che ne facciano richiesta.
Si evidenzia, inoltre, come ai sensi dell’art.19 ter disp. coord. e trans. c.p., la disciplina del Titolo IX bis non si applichi ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, allevamento, trasporto, macellazione, sperimentazione scientifica, zoo, circhi e da altre leggi speciali in materia di animali, nonchè alle manifestazioni storiche e culturali autorizzate dalle Regioni. Numerose sono dunque le eccezioni alla disciplina testè esposta: in tutte le fattispecie disciplinate dalle leggi speciali, ad ogni modo, troverà applicazione il divieto  previsto dal II comma dell’art. 727 c.p. ( “Detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura”), fattispecie di carattere contravvenzionale che, pertanto, non richiede nemmeno l’elemento psicologico del dolo, essendo sufficiente una condotta colposa.

 

Norme specifiche per gli animali “di affezione”

Procediamo ora ad una breve rassegna delle principali norme poste a difesa degli animali cd. “da compagnia”, che vanno quindi a rafforzare la tutela, fin qui sinteticamente esposta, prevista per tutti gli animali, indistintamente.

L.189/04, art. 2.  La legge che ha introdotto nel codice penale il titolo IX bis vieta espressamente l’utilizzo di cani o gatti per la produzione di pelli o capi di abbigliamento, nonché l’introduzione e la commercializzazione nel territorio nazionale di tali prodotti.

Art. 727, comma I, c.p. (“Abbandono di animali”). Punisce“chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività” con l’arresto fino ad un anno, o
con la multa da 1.000 a 10.000 Euro. Soggetti passivi sono gli animali domestici, ovvero sel-vatici od esotici che abbiano perso l’attitudine alla sopravvivenza propria degli animali liberi. A titolo esemplificativo, si ricorda coma la Cassazione ( Sez. III, sent. n. 3969/2006 ) abbia condannato per il reato di abbandono un uomo che aveva lasciato in un canile pubblico, di nascosto, la propria cagnetta ferita; la decisione è stata motivata anche con la sofferenza patita dall’animale per il distacco dall’ambiente affettivo cui era abituato.

D.P.R. n. 320/54( Regolamento di Polizia veterinaria), art. 84. I Comuni devono provvedere al servizio di cattura dei cani, e tenere in esercizio un canile per la custodia dei cani catturati.

 

Legge n. 281 del 14 agosto 1991 (Legge Quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo).
Il principio generale enunciato da tale fondamentale legge è che “ lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali d’affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, il maltrattamento e il loro abbandono al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente.

 

La legge, nel demandare alle Regioni il compito di attuare le previsioni ivi contenute con propri provvedimenti, attribuisce specifici compiti alle diverse Istituzioni ed Autorità di controllo, nonché ai proprietari degli animali. Dovendone, in questa sede, illustrare soltanto i punti salienti, si evidenzia che i cani vaganti ritrovati o catturati sul territorio comunale non possono essere soppressi - a meno che siano gravemente malati, incurabili o di comprovata pericolosità, in modo esclusivamente eutanasico ad opera di medici veterinari - né destinati alla sperimentazione; essi devono essere identificati e registrati nell’anagrafe canina tramite il Servizio Veterinario pubblico.
Le Regioni disciplinano con propria legge l’istituzione dell’anagrafe canina presso i Comuni o le A.S.L., le modalità per l’iscrizione alla stessa e per il rilascio al proprietario della sigla di riconoscimento del cane, da imprimersi mediante tatuaggio indolore (oggi: microchip);   esse inoltre provvedono con propria legge a determinare i criteri per il risanamento dei canili comunali esistenti e per la costruzione di rifugi per cani. Tali strutture devono garantire “buone condizioni di vita e il rispetto delle norme igienico-sanitarie”, e sono sottoposte al controllo sanitario dei servizi veterinari delle A.S.L.
A titolo meramente esemplificativo, si cita la legge delle Regione Campania, n. 16 del 24 novembre 2001 (“Tutela degli animali di affezione e prevenzione del randagismo”).
Essa prevede, all’art. 7 ( “Rifugi municipali per cani e ricoveri”), che la Regione, d’intesa con le Province e i Comuni, promuova la riqualificazione dei rifugi già esistenti e la realizzazione di nuovi, secondo i seguenti criteri: i box per i singoli soggetti devono prevedere una zona coperta ed una scoperta, con un’area totale di 2 mq per ogni cane di pic-cola taglia, 3,5 mq per taglie medie, 4,5 mq per taglie grandi e 6 mq per taglie giganti.
I recinti comuni a più soggetti devono rispettare le misure su indicate, a seconda del numero di cani che andrà a costituire il gruppo. I box o recinti devono essere facilmente lavabili e disinfettabili, avere un adeguato sistema di drenaggio di acque e liquami, ed essere realizzati tenendo in considerazione le condizioni climatiche della zona. E’ obbligatorio un reparto contumaciale per la quarantena dei cani in arrivo e l’isolamento di quelli ammalati, in due zone distinte, ed ulteriori box con annesso locale infermeria per la custodia dei cuccioli.
Quanto previsioni di tal genere siano lontane da una concreta attuazione è, purtroppo, noto a chiunque abbia avuto modo di fare visita ad un “rifugio” per cani (la locuzione  “canile” deve ritenersi desueta. Sic!).
I Comuni, in forma singola od associata, devono quindi provvedere, sulla base dei criteri stabiliti dalla Regioni, al risanamento dei rifugi esistenti e alla costruzione di nuovi; questi possono essere gestiti da enti ed associazioni protezioniste, sotto il controllo dei servizi veterinari della A.S.L. competente per territorio.
La L. 281/91 prevede specifici doveri anche per i proprietari: in caso di omessa iscrizione all’anagrafe canina, ovvero mancata applicazione del microchip, è prevista una sanzione amministrativa pari a 77 Euro. Tutti i possessori di cani, inoltre, sono tenuti al pagamento di un’imposta comunale annuale  pari a 12,91 Euro, eccezion fatta per i cani adibiti alla guida dei ciechi ovvero a servizi di pubblica sicurezza.
Per quanto riguarda i gatti che “vivono in libertà”, è fatto divieto a chiunque di maltrattarli; essi devono essere sterilizzati dalla A.S.L. competente per territorio e riammessi al loro gruppo (un’anagrafe “felina” non è prevista), e possono essere soppressi soltanto se gravemente malati o incurabili.

 

D. M. del Ministro della Salute, n. 10 del 13 gennaio 2007 (“Tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani”). Vieta l’addestramento inteso ad esaltare l’aggressività dei cani, nonché qualsiasi operazione di selezione o incrocio tra razze con lo scopo di svilupparne l’aggressività. Vieta altresì la sottoposizione di cani a doping (come definito dalla L. 376/2000), e gli interventi chirurgici, non curativi, destinati a modificarne l’aspetto, quali il taglio della coda o delle orecchie. Prevede espressamente che l’uso di collari elettrici, o altri congegni destinati a determinare scosse o impulsi elettrici sui cani, si configura come maltrattamento perseguibile ai sensi della L. 189/04.
Prevede inoltre l’obbligo per i proprietari e i detentori di cani di applicare la museruola o il guinzaglio quando li conducono nelle vie o in altro luogo aperto al pubblico, e di applicare entrambi quando li conducono in un locale pubblico o su un pubblico mezzo di trasporto, ovvero si tratti di esemplari di una razza “a rischio di aggressività” di cui all’elenco allegato (ad es, per citarne alcune delle più diffuse: bulldog, rottweiler, pit bull, dogo argentino). I possessori di cani di una delle razze suddette devono anche stipulare una polizza assicurativa per la responsabilità civile contro eventuali danni a terzi.

 

Legge n. 201 del 4 novembre 2010 (Ratifica della “Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia”, fatta a Strasburgo il 13/11/1987). Oltre ad inasprire le pene già previste dagli artt. 544 bis e e segg. del c.p., all’art. 4 introduce il delitto di “Traffico illecito di animali da compagnia. Questo si configura a carico di chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, reiteratamente o tramite attività organizzate introduce nel territorio nazionale cani o gatti privi di sistema di identificazione individuale o delle necessarie certificazioni sanitarie, e non munito di passaporto individuale  ove previsto.
La pena prevista è la reclusione da tre mesi ad un anno e la multa da 3.000 a 5.000 Euro, e si applica anche a chi trasporta, cede o riceve a qualsiasi titolo - anche gratuito - animali da compagnia introdotti illegalmente nel territorio nazionale. Circostanza aggravante è che gli animali siano di età accertata inferiore alla dodici settimane, di qui la locuzione comune  (ma impropria) di “traffico di cuccioli” per indicare il reato de quo.
Si badi che il traffico illecito di animali da compagnia alimenta un mercato illegale pari a circa 300 milioni di Euro all’anno, del quale sono vittima non solo cani (o gatti) strappati troppo presto alla madre e costretti a sostenere viaggi lunghissimi, principalmente dai Paesi dell’Est europeo, in condizioni che ne compromettono in molti casi la stessa sopravvivenza, ma anche tante famiglie che li acquistano in buona fede.
Si tratta, in effetti, di uno dei filoni più redditizi per la cd. Zoo mafia; questo neologismo (ufficialmente introdotto nel 2008 nel dizionario italiano della Zanichelli, lo Zingarelli) indica lo sfruttamento degli animali per ragioni economiche da parte di persone associate o organizzazioni criminali di tipo mafioso, con particolare riferimento al fenomeno dei combattimenti tra animali, delle competizioni clandestine (corse di cavalli) e, per l’appunto, al traffico illecito di cuccioli.  

 

Codice della Strada (D. Lgs. 285/92), art. 189, comma 9 bis (introdotto dalla L. 120/2010):  prevede la cd.”omissione di soccorso” a danno degli animali. L’utente della strada, in caso di incidente ricollegabile a qualsiasi titolo al suo comportamento da cui sia derivato un danno ad uno o più animali di affezione, da reddito o protetti (ad es., fauna selvatica omeoterma - mammiferi ed uccelli – tutelata dalla L.157/92, cd. legge sulla caccia), ha l’obbligo di fermarsi e porre in atto ogni misura idonea ad assicurare un tempestivo intervento di soccorso per l’animale che abbia subito il danno. In caso di inottemperanza è prevista una sanzione amministrativa da 410 a 1.643 Euro. Per le persone coinvolte nell’incidente, che non si adoperino per assicurare un tempestivo soccorso, la sanzione prevista va da 82 a 328 Euro.

 

Ordinanza del Ministero della Salute del 10 febbraio 2012 (“Norme sul divieto di utilizzo e di detenzione di esche o di bocconi avvelenati”). Vieta a chiunque di “preparare, miscelare e abbandonare esche o bocconi avvelenati o contenenti sostanze tossiche o nocive, compresi vetri, plastiche e metalli”. Il proprietario o il responsabile dell’animale deceduto a causa di esche o bocconi avvelenati deve darne comunicazione alle Autorità competenti. Il medico
veterinario, ove emetta una diagnosi o venga a conoscenza di un caso di avvelenamento, de-ve darne immediata comunicazione al Sindaco e alla A.S.L. territorialmente competente, e in caso di decesso inviare le spoglie all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale. Il Sindaco, ricevuta una segnalazione di sospetto avvelenamento, dispone l’apertura di un’indagine e attiva le iniziative necessarie alla bonifica dell’area interessata, da segnalare anche con apposita cartellonistica. Presso la Prefettura, infine, è prevista l’attivazione di un “tavolo di coordinamento” per la gestione degli interventi da effettuare e per il monitoraggio del fenomeno.

 

Ruolo del CFS

Il Corpo forestale dello Stato, anche in virtù delle specifiche competenze di legge, opera in maniera continuativa nel contrasto dei reati contro gli animali quali, come si è visto, il maltrattamento, l’abbandono, il traffico illecito e l’impiego in combattimenti clandestini. A tale scopo, nel 2007 è stato istituito formalmente il  Nucleo Investigativo per i Reati in Danno agli Animali  (N.I.R.D.A), che opera in sinergia con le strutture territoriali del CFS, prime tra tutte i Nuclei Investigativi Provinciali di Polizia Ambientale e Forestale, i Comandi Stazione ed il Servizio C.I.T.E.S ( preposto peculiarmente alla tutela delle specie a rischio di estinzione).
Come si accennava nell’introduzione al presente lavoro, il 23 marzo 2007 il Ministro degli Interni ha firmato, ai sensi della L.189/04, il “decreto di coordinamento delle Forze di Polizia per la prevenzione e la repressione dei reati contro gli animali”.Esso stabilisce chele attività di prevenzione sono demandate in via prioritaria al CFS e, nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza, ai Corpi di polizia municipale e  provinciale, ferme restando le funzioni di polizia giudiziaria che la legge rimette a ciascuna Forza di Polizia”. I Prefetti, anche previa consultazione dei Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica, individuano le modalità del concorso dell’Arma dei Carabinieri e della Polizia di Stato, nonché della Guardia di Finanza, nelle medesime attività di prevenzione.
Ovviamente, il riconoscimento al CFS di una priorità in tema di prevenzione dei reati contro gli animali, non comporta una competenza riservata ed esclusiva per la  loro repressione: gli illeciti in esame sono infatti reati comuni, perseguibili d’ufficio, e come tali di competenza di qualsiasi organo di p. g., che non potrà rifiutare di intervenire o di prestare la propria opera in caso di denuncia, o di semplice segnalazione - costituendo un eventuale rifiuto omissione di atti d’ufficio, perseguibile ai sensi dell’art. 328 c.p.
Nel corso del tempo si sono poste le basi per importanti collaborazioni tra il Corpo forestale ed altri Enti, che hanno messo a disposizione risorse preziose, anche in termini di informazioni e professionalità. Proprio nei giorni scorsi, il 18 settembre 2014, è stato stipulato un Protocollo d’Intesa, “in tema di maltrattamento di animali, investigazioni scientifiche e video documentali, violenza interpersonale, devianza, crimine e persecuzioni”, con la Associazione di Professionisti LINK-ITALIA (APS),  avente ad oggetto l’istituzione di una forma di collaborazione tra il CFS e la predetta associazione, finalizzata a monitorare e contrastare ogni forma di abuso e crudeltà sugli animali, avuto altresì riguardo alla stretta correlazione (“link”, per l’appunto) intercorrente tra maltrattamento di animali e fenomeni di violenza interpersonale, devianza e crimine.
La crudeltà fisica sugli animali è stata infatti inserita ufficialmente dalla comunità scientifica internazionale fra i sintomi del “Disturbo della condotta”, ed è statisticamente riconosciuta quale indicatore di pericolosità sociale, nonché di potenziale violenza su donne e/o minori.

 

Conclusioni

Senza alcuna pretesa di completezza, si è inteso offrire una panoramica delle principali norme poste a tutela degli animali, con particolare riguardo a quelli “da compagnia”. Concludendo, si vuol sottolineare che tante “prassi”, assai diffuse in tempi non lontani e anche ai giorni nostri, specie in taluni contesti come ad esempio quello rurale, integrino un approccio con il mondo animale non solo scorretto, ma soprattutto rilevante sul piano penale.
Compito precipuo del Corpo forestale non è soltanto la repressione di tali condotte, ma anche una costante opera di informazione e sensibilizzazione sulle tematiche in oggetto, in un’ottica di prevenzione che si rivela sempre premiante nell’attività di contrasto agli illeciti; infatti, per quanto - come è noto - l’ignoranza delle legge non sia una scusante, si ha modo di ritenere che non sempre la popolazione abbia piena contezza delle possibili conseguenze sul piano giuridico del proprio operato, specie in settori come quello oggetto della presente trattazione.
I primi doveri, in effetti, incombono proprio sui proprietari e su quanti abbiano la responsabilità degli animali, perché è fatto divieto a chiunque, innanzitutto, di “maltrattarli” (nelle diverse accezioni del termine) o di abbandonarli. Le Istituzioni (Ministero della Salute, Regioni, Comuni, A.S.L.) hanno anch’esse specifici compiti e responsabilità; come Corpo forestale, noi possiamo solo auspicare che il dettato normativo trovi una sempre più ampia attuazione, e continuare a profondere in tal senso il nostro impegno.