
Foto 1. Brigata di starne: una specie indice di buona qualità dell’ambiente agricolo.
Una data storica per la salvaguardia dell’ambiente in Italia è sicuramente il 18 agosto 2024, quando il Regolamento UE 2024/1991 sulla Nature Restoration Law è entrato in vigore anche nel nostro Paese.
L’iter per la sua approvazione è stato alquanto complesso e articolato in quanto il Parlamento Europeo era riuscito ad approvare il testo già a febbraio del 2024. Il passaggio successivo, per la definitiva approvazione avrebbe dovuto essere una formalità al Consiglio UE, in quanto il testo era già stato negoziato con il Parlamento, ma così non è stato e il voto previsto a marzo 2024 è stato rinviato a causa del mancato appoggio di diversi Stati come Ungheria, Svezia, Polonia, Finlandia, Paesi Bassi, Belgio, Austria e Italia. Con il rinnovo del Parlamento previsto dopo pochi mesi, le previsioni di approvazione in tempi realistici erano poche ed era presumibile che sarebbe stata incombenza del nuovo Parlamento europeo, quindi con slittamento ulteriore dei tempi.
A giugno invece, l’Austria a sorpresa ha appoggiato il provvedimento permettendo di raggiungere una maggioranza qualificata al Consiglio UE con 20 Paesi favorevoli che rappresentavano il 66% della popolazione comunitaria (minimo richiesto 65%).
Il Regolamento sul restauro della natura (Nature Restoration Law) 2024/1991 è stato così pubblicato in Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea il 29 luglio 2024 e dopo 20 giorni è entrato in vigore in tutti gli Stati membri, Italia compresa.
Si tratta di una normativa fondamentale ed un passo decisivo nell’ambito del Green Deal europeo in quanto definisce obiettivi precisi per il ripristino degli ecosistemi degradati dell’Unione Europea e allo stesso tempo è una risposta chiara alla crisi ambientale a livello globale.
La situazione a livello mondiale è infatti critica su molti fronti della conservazione della natura. Secondo molti autori è in corso la sesta estinzione di massa a livello globale (R. Cowie et al., 2021) in quanto negli ultimi 500 anni si sono estinte nel nostro pianeta dal 7,5 al 13% di tutte le specie selvatiche conosciute. Si tratta di una cifra enorme in quanto dei 2 milioni di specie viventi conosciute, un numero compreso tra 150.000 e 260.000 non esiste più sul nostro pianeta per cause riconducibili all’uomo attraverso la sua azione diretta e soprattutto indiretta di utilizzo e trasformazione del territorio.

Foto 2. La convivenza tra le aree agricole e la fauna superiore può essere facilitata attraverso il ripristino di habitat ed il relativo aumento di biodiversità.
Tale situazione è andata accentuandosi negli ultimi decenni a causa della crescita esponenziale della popolazione umana a livello mondiale e quindi del suo sempre più elevato impatto sul pianeta. Numerose sono infatti le popolazioni selvatiche ed i relativi
habitat di specie in drastico calo negli ultimi 50 anni. Un recente studio della Società Zoologica di Londra (2024) ha infatti analizzato 34.836 popolazioni di 5.495 specie diverse di vertebrati in tutto il pianeta dal 1970 al 2020 e quel che è emerso, sono stati cali drastici di tali popolazioni in tutti i continenti e con particolare criticità degli ambienti lacustri di acqua dolce (-85%), seguiti da quelli terrestri (-69%) e infine quelli marini (-56%).
Con queste prospettive e soprattutto con la consapevolezza che se non si cambia il paradigma nella gestione delle risorse naturali a rischio è la stessa sopravvivenza dell'uomo, nasce la Nature Restoration Law: una ambiziosa norma che rappresenta una svolta epocale in quanto non si limita a proteggere le aree naturali esistenti ma si prefigge di recuperare le aree degradate al fine di ripristinare i servizi ecosistemici che questi ambienti forniscono all’umanità. Lo scopo, quindi, è quello di ripristinare una natura ricca in biodiversità e di resilienza al fine di rispondere anche agli obiettivi comunitari e impegni internazionali in termini di cambiamenti climatici e di adattamento ai medesimi.
Obiettivo principale del Regolamento è quello di recuperare almeno il 90% degli habitat terrestri e marini degradati in ogni Stato membro entro il 2050 in modo graduale e con obiettivi intermedi per raggiungere il 30% di ripristino di aree degradate entro il 2030 e il 60% entro il 2040. Gli habitat interessati al ripristino, indicati in allegati alla norma, sono molteplici e rappresentano un complesso sistema di ambienti terrestri e marini ritenuti importanti per la Comunità europea.
Gli interventi previsti non sono mirati solo al recupero degli habitat degradati, ma chiaramente anche alla conservazione e miglioramento di quelli esistenti.
Una particolare attenzione viene posta alle aree umide di acqua dolce in quanto ambienti per loro natura di elevata biodiversità e allo stesso tempo di complessa e delicata gestione. Vi è infatti un riferimento specifico nella norma per il ripristino della connettività naturale dei fiumi e delle funzionalità naturali delle relative aree alluvionali di pianura.
Ogni Stato membro dovrà perseguire la rinaturalizzazione dei propri corsi d'acqua, provvedendo a ripristinare una adeguata connettività, tra gli stessi e il resto del territorio, anche eliminando le barriere artificiali esistenti.
Per quanto riguarda gli ambienti agrari, invece, sono previste tutte quelle azioni che prevedono un rafforzamento della biodiversità. Per raggiungere e misurare questi ripristini sono previsti degli indicatori che valuteranno l’aumento delle popolazioni degli insetti impollinatori (farfalle in particolare); l’aumento dello stock di carbonio organico nel suolo e la percentuale di elementi caratteristici del paesaggio agrario raggiunto. Altro obiettivo sarà l’incremento della biodiversità ornitica attraverso la valutazione dell'indice dell’avifauna comune in ambiente agricolo (denominato Bird Index Farm) che per l'Italia a partire dal 2025 dovrà mediamente incrementare almeno del 30% entro il 2050.
Per quanto riguarda le superfici boscate invece si tratta di rafforzare la biodiversità del complesso ecosistema forestale attraverso interventi che ne aumentino la resilienza, la stabilità e la naturalità. Sono previste quindi misure e indicatori per il rilascio di alberi morti (sia in piedi sia a terra), per interventi per aumentarne la complessità strutturale (es. disetaneità, composizione autoctona, stratificazione) e per la connettività con il resto dell’ambiente circostante.
La Comunità Europea ha previsto inoltre anche la realizzazione di nuovi boschi e più specificatamente della messa a dimora di almeno 3 miliardi di alberi entro il 2030. A tal riguardo ogni Stato dovrà individuare aree e modalità di riforestazione privilegiando le azioni di connettività tra i boschi e le aree verdi urbane. Su quest'ultimo aspetto il Regolamento prevede anche azioni specifiche di conservazione e incremento di queste ultime.
Realizzare tutto ciò è chiaramente complesso anche se la norma fornisce specifiche tempistiche e indicatori di valutazione. Il primo passo per ogni Stato membro sarà quello di redigere uno specifico Piano Nazionale di Ripristino con validità fino al 2050, ma con scadenze intermedie al 2030 e 2040. Tale Piano si baserà sulle caratteristiche e priorità di ogni Stato membro e dovrà inizialmente individuare e quantificare la superficie da ripristinare del proprio territorio, distinguendo i vari habitat e il loro livello di degrado. Non sarà facile, e sarà necessario un puntuale monitoraggio del territorio, effettuare una qualificazione dei livelli di habitat e soprattutto determinare il livello di ripristino necessario per raggiungere gli obiettivi di conservazione da ritenersi soddisfacenti.
Il Piano inoltre dovrà contemplare tutte le azioni previste dalla norma, dare una priorità in base alla prima scadenza del 2030 per il raggiungimento del 30% di ripristino nelle aree interne a Rete Natura 2000 e soprattutto trovare sinergie con le pratiche già previste da altri strumenti comunitari (es. Piano Strategico della PAC, misure di conservazione per siti di Rete Natura 2000, ecc.).

Foto 3. Esempio di area agricola abbandonata in fase di ripristino.
Il Piano infine dovrà essere esecutivo e dovrà quindi contenere nel dettaglio le misure di ripristino previste, la quantificazione dettagliata degli interventi e gli indicatori previsti per la loro valutazione. Dovrà inoltre contemplare anche gli
habitat non degradati dando prescrizioni per la loro conservazione e soprattutto dovrà essere in linea con le azioni finalizzate alla mitigazione dei cambiamenti climatici e al loro adattamento. Tale documento dovrà essere redatto e consegnato alla Commissione di validazione europea entro settembre 2026.
Per quanto riguarda i finanziamenti la Commissione Europea ha annunciato che saranno ingenti, in quanto la Nature Restoration Law è strettamente legata al Green Deal Europeo che mobilita fino a 1.000 miliardi di euro entro il 2030. Saranno inoltre incentivate le partecipazioni del settore privato, in quanto è risaputo che investire nell’ambiente avrà un ritorno economico diretto anche nelle imprese private.
Non va dimenticato infatti che la perdita di biodiversità è ritenuta uno dei principali fattori di rischio per l’economia globale nel medio e lungo periodo. Incrementare il valore degli ecosistemi naturali è inoltre fondamentale e necessario per assicurare la qualità della vita e del benessere nostro e soprattutto delle future generazioni.
Si auspica pertanto che il nostro Paese, sebbene inizialmente critico con questa norma, possa invece vedere nella Nature Restoration Law una incredibile opportunità di crescita e di sviluppo. Si spera inoltre che tutte le molteplici Istituzioni coinvolte e tutti i portatori di interesse siano uniti negli intenti e nella collaborazione per mettere in atto tutti gli interventi previsti per salvaguardare l’incredibile patrimonio naturale nazionale di cui godiamo.