Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

DIRITTO 
LA "MATERIA" AMBIENTALE TRA STATO E REGIONI DOPO LA RIFORMA DEL TITOLO V, PARTE II, DELLA COSTITUZIONE: LE PROSPETTIVE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
01/05/2015
di Alfonso Scimia Commissario Capo del Corpo forestale dello Stato del Comando  Provinciale di Ravenna

1. Il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni dopo la riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione e la “materia” ambientale.
2. La giurisprudenza della Corte costituzionale e l'art. 117, comma 2, lett. s) all'indomani della riforma del Titolo V, tra “smaterializzazione” e “trasversalità”.
3. Le sentenze n. 367 del 2007 e n. 378 del 2007 della Corte costituzionale: verso la “rimaterializzazione” dell'ambiente ed una progressiva riaffermazione del primato “gerarchico” della legge statale nella disciplina dell'ambiente come sistema.
4. Gli attuali orientamenti della Corte costituzionale in “materia” ambientale e la legislazione statale e regionale: un “complesso bilanciamento di interessi”.
5. Solo per tentare una conclusione: profili di criticità e problematiche ancora aperte relativamente alla tutela dell'ambiente e dell’ecosistema

1. Il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni dopo la riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione con particolare riferimento alla “materia” ambientale.

La “materia” ambientale è stata esplicitamente introdotta nella Costituzione italiana solo nel 2001 con la riforma del Titolo V, Parte II, all'art. 117, comma 2, lett. s)(1) .
Il testo costituzionale, infatti, nella sua versione originaria, non si riferiva espressamente alla tutela del valori ambientali(2); tuttavia, alcune disposizioni quali l'art. 9 Cost., dedicato al paesaggio ed ai beni culturali, oppure l'art. 32 Cost., che invece disciplina il diritto alla salute della persona, potevano già essere ricondotte ad ambiti strettamente connessi con la problematica dell'ambiente naturale.
L'assenza di indicazioni di portata sostanziale rispetto alla dimensione ambientale si era però tradotta, di fatto, in una lunga contesa tra Stato e Regioni circa i presupposti delle rispettive prerogative: significativo, allora, è stato il ruolo svolto dalla Corte costituzionale che ha contribuito a delineare un modello di governo ambientale che aveva tra i suoi principali pilastri quello per cui il sistema di riparto delle competenze tra i vari enti territoriali doveva informarsi a logiche di tipo sussidiario basate, cioè, sul criterio della dimensione territoriale dell'interesse e sull'individuazione del livello ottimale di allocazione delle diverse funzioni.
Del resto, non solo la giurisprudenza costituzionale, ma anche la legislazione ordinaria, evidenziavano costantemente due ineliminabili esigenze destinate a fronteggiarsi nel governo ambientale e che trovavano sintesi nei due principi che esprimono proprio la logica della sussidiarietà c.d. verticale nel campo della tutela dell'ambiente: il principio di azione unitario del livello territoriale superiore ed il principio della tutela più rigorosa del livello territoriale inferiore.(3).

 
1) F. RESCIGNO, Equilibrismi giurisprudenziali ed equilibrio ambientale, in Giur. cost., 2013, p. 2754 precisa che “la riforma del Titolo V non definisce espressamente un ‘diritto all’ambiente’ ma si limita a riferirsi ad esso nell’ambito del riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni (art. 117, secondo comma lett. s) e terzo comma)”. Per uno studio comparativo di valori, principi e norme in materia ambientale  nei Paesi appartenenti all'Unione europea v. N. GRECO, La Costituzione dell'ambiente. Sistema e ordinamenti, Bologna, 1996, p. 293 e ss, nonché B. POZZO, La tutela dell'ambiente nelle Costituzioni: profili di diritto comparato alla luce dei nuovi principi introdotti dalla Carta di Nizza, in B. POZZO, M. RENNA (a cura di), L'ambiente nel nuovo Titolo V della Costituzione,in  Quad. della Riv. giur. amb., 2004, p. 3 e ss.
2) L'idea di costruire un nuovo ordinamento repubblicano basato sui canoni delle democrazie moderne e contemporanee era certamente il pensiero principale dei Costituenti; costoro, pur avendo basi culturali ed ideologiche profondamente diverse e distanti, riuscirono a trovare quei compromessi su cui costruire una “nuova” società italiana, fondata sui diritti e le libertà, dove la persona e i principi di solidarietà e di uguaglianza avessero un ruolo centrale nella considerazione dei nuovi organi del sistema costituzionale di tipo parlamentare. Quanto ai motivi dell'assenza di un riferimento letterale all'ambiente nella Costituzione italiana v. N. LUGARESI, Diritto dell'ambiente, Padova, 2004, pp. 55-56.
3) Cfr. A. COLAVECCHIO, La tutela dell'ambiente fra Stato e Regioni: l'ordine delle competenze nel prisma della giurisprudenza costituzionale, in F. GABRIELE – A. M. NICO, La tutela multilivello dell'ambiente, Bari, 2005, p. 7 e ss, dove si illustrano i tre grandi pilastri su cui si articolava il modello di governo ambientale prima della riforma del Titolo V. Oltre a quello riportato nel testo, va individuato un altro pilastro nel riconoscimento da parte della Corte costituzionale di una potestà legislativa concorrente delle Regioni in materia di protezione ambientale che, in mancanza di un espresso riferimento nell'art.117 Cost., poteva ricavarsi da un'interpretazione teleologica di alcune  materie regionali. Più precisamente, la Corte, nella sent. n. 382 del 1999,  riprendendo altre importanti decisioni come ad esempio la sent. n. 183 del 1987, afferma che “[...] alla funzione di governo del territorio si riallaccia anche una competenza in materia di interessi ambientali, da reputare costituzionalmente garantita e funzionalmente collegata […] alle altre spettanti alla Regione, tra cui, oltre all'urbanistica, quale funzione ordinatrice dell'uso e delle trasformazioni del suolo, quella dell'assistenza sanitaria, intesa come complesso degli interventi positivi per la tutela e promozione della salute umana”. Infine, l'ultimo pilastro su cui si è sviluppato il governo dell'ambiente prima del 2001 consisteva nella necessità che nell'azione di tutela del fondamentale valore ambientale siano effettivamente coinvolti tutti i livelli territoriali di governo in una logica di effettiva corresponsabilità e tenendo conto del necessario principio della leale collaborazione”. Tale giurisprudenza costituzionale venne contestualmente affiancata da fondamentali riforme che, pur se a livello di normazione ordinaria, hanno inciso molto sul sistema di riparto delle competenze ambientali. In particolare la legge n. 59 del 1997, in linea di principio, ha escluso dal conferimento al sistema delle autonomie territoriali i soli compiti di rilievo nazionale per la tutela dell'ambiente e della salute (art. 1, comma 4, lett. c) e, nell'attuazione fattane dal D. Lgs 112 del 1998, ha visto chiaramente identificate le competenze ambientali regionali (già del resto individuate nel DPR. n. 616 del 1977) tra quelle riferibili alle materie di cui all'art. 117 Cost.
 

Il modello dei rapporti tra Stato e Regioni in tema di protezione dell'ambiente, così come ricostruito dalla giurisprudenza costituzionale in assenza di ogni riferimento esplicito nel testo costituzionale originario, deve tuttavia oggi essere rivisitato alla luce delle novità intervenute con la riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione(4) .
Il novellato art. 117 Cost., pur menzionando la materia della tutela dell'ambiente tra quelle di competenza esclusiva dello Stato, ha determinato infatti gravi problemi interpretativi di carattere generale la cui soluzione non ha di certo giovato alla certezza di una effettiva tutela ambientale(5) .
La Corte costituzionale, anche a causa della mancata previsione di una adeguata normativa transitoria e finale nella legge cost. n. 3 del 2001 con cui il legislatore ha “sostanzialmente” modificato il Titolo V, è stata così chiamata a gestire il passaggio da un sistema che si reggeva su competenze legislative accentrate nello Stato, nonché sul principio di corrispondenza delle funzioni legislative con quelle amministrative, ad un sistema profondamente diverso che, per la funzione legislativa, ha invertito l'ordine delle competenze tra Stato e Regioni inquadrandolo di regola a livello regionale e impedendo la delega delle materie, mentre per le funzioni amministrative, ha introdotto un sistema di estrema flessibilità, regolato dai principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, che ha la finalità di individuare caso per caso, e non sulla base di una meccanica associazione con il potere legislativo, l'ente in grado di gestire in modo ottimale l'interesse da curare(6) .
E' in tale quadro generale che si inseriscono alcune importanti innovazioni specificamente riferite alla tutela giuridica dell'ambiente nel nuovo testo costituzionale: infatti, mentre la riforma del 2001 ha determinato l'ingresso in Costituzione della nozione di “ambiente” all'art. 117, comma 2, lett. s), Cost. con cui si è attribuito alla legislazione esclusiva dello Stato “la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali”(7), viceversa, nessun riferimento è stato fatto al “paesaggio”(8).

 
4) Volendo fare un quadro sintetico dell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia ambientale prima della riforma del Titolo V, si osserva che la Corte ha provveduto dapprima all’interno di conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni per lo più su tematiche relative al rapporto urbanistica – tutela del paesaggio (sent. 141 del 1972, sent. n. 9 del 1973, sent. n. 359 del 1985), poi, in merito alla protezione della natura ed ai parchi nazionali (sent. n. 142 del 1972, sent. n. 203 del 1974, sent. n. 175 del 1976, sent. n. 223 del1984). I giudici costituzionali hanno successivamente esteso il concetto di “paesaggio” da una visione meramente estetica (sent. n. 65 del 1959) a quella di “natura”, cominciando a porre la basi per una ricostruzione dell’ambiente quale valore fondamentale dell’ordinamento giuridico ed interesse della collettività, non suscettibile di essere subordinato a qualunque altro (sentt. nn. 94 e 359 del 1985, 151, 152, 153 del 1986). Ulteriori sviluppi si ebbero in tre importanti decisioni rese dal Giudice delle leggi nel 1987, anno dopo la tragedia nucleare di Chernobyl e l’entrata in vigore della legge n. 349 del 1986 con cui, tra l’altro, veniva istituito il Ministero per l’ambiente: ovvero, le sentt. nn. 167 del 1987, 210 del 1987 e 641 del 1987. Con tali pronunce, si dettava un vero e proprio “decalogo” in materia ambientale in quanto si elevava il patrimonio ambientale a valore costituzionale, da bilanciare ragionevolmente con gli altri interessi e valori consacrati in Costituzione (sent. n. 167 del 1987), si parlava dell’ambiente come “diritto fondamentale della persona umana ed interesse della collettività” facendo leva su una interpretazione sistematica degli artt. 2, 9 e 32 Cost. (sent. n. 210 del 1987), si definiva l’ambiente come “un bene di valore assoluto e primario”, nonché un “bene immateriale unitario” (sent. n. 641 del 1987). La concezione dell’ambiente come “bene giuridico unitario, se pur composto da molteplici aspetti rilevanti per la vita naturale e umana”, venne a più riprese riaffermata dalla Corte anche successivamente (sentt. nn. 1029 del 1988, 1031 del 1988, 67 del 1992 e 318 del 1994), così come il concetto per cui l’ambiente “non è certamente possibile oggetto di una situazione soggettiva di tipo appropriativo ma, appartenendo alla categoria di beni liberi, è fruibile dalla collettività e dai singoli”. In linea generale, l’orientamento  consolidato della giurisprudenza costituzionale ha evidenziato  progressivamente la specificità dell’interesse ambientale rispetto ad altri interessi attigui quali ad esempio il paesaggio, la sanità e l’urbanistica (sentt. nn. 183 del 1987 e 356 del 1994) ed ha qualificato la tutela dell’ambiente come valore costituzionale “primario” e “assoluto” che deve ispirare ogni attività delle istituzioni. Tale configurazione dell’ambiente ha inoltre portato la Corte ad inquadrarlo come una materia “trasversale”, caratterizzata dalla contemporanea presenza di competenze statali e regionali, con prevalenza delle prime nel caso si ravvisasse l’esigenza di garantire su tutto il territorio nazionale l’uniformità di standards di prestazioni, nonché l’unitarietà di indirizzi  (per limitarsi alle decisioni immediatamente antecedenti alla riforma del Titolo V, si vedano le sentt. nn. 273 del 1998, 382 del 1999, 54 e 507 del 2000).
5) Del resto, F. DI DIO, Eolico e Regioni: illegittime normative e procedure regionali in assenza di linee guida statali sulla localizzazione degli impianti da fonti rinnovabili, in Riv. giur. Ambiente, 2009, p. 926, in modo assai efficace, a proposito del riparto di competenze in materia ambientale,  parla di un vero e proprio “rompicapo”.
(6) Nel novellato art. 114 Cost. risulta prima facie evidente una nozione di “ordinamento repubblicano” concettualmente autonoma rispetto a quella di Stato-apparato, nella quale rientrano con pari dignità tutti gli enti territoriali menzionati: si pongono pertanto le basi per un sistema ordinamentale non più improntato secondo una logica gerarchica-piramidale, ma integrata e policentrica, improntata, cioè, su una rete di soggetti chiamati a collaborare lealmente.
(7) Vi sono dubbi sulla differenza tra le nozioni di “ambiente” ed “ecosistema”: a parte della dottrina che inquadra tali concetti come endiadi (A. COLAVECCHIO, op. cit., p. 2), si contrappone chi invece sostiene che si tratta di due nozioni distinte in quanto con l'ambiente ci si riferisce anche ai valori antropici mentre con l'ecosistema si intende quell'equilibrio complessivo tra cicli naturali che nelle relazioni tra i diversi ecosistemi trovano la loro sintesi. Cfr. S. CIVITARESE, Il paesaggio nel nuovo Titolo V della Costituzione, in B. POZZO – M. RENNA ( a cura di), L'ambiente nel nuovo Titolo V della Costituzione, Milano, 2004, p. 145.
(8) Per un'attenta analisi delle differenti alternative possibili relativamente alla collocazione del paesaggio nel riparto competenziale operato dall'art. 117 Cost. v. S. CIVITARESE, op. ult. cit.,p. 139 e ss.
 

L’evoluzione della giurisprudenza costituzionale aveva portato ad affermare che la tutela del paesaggio “va intesa nel senso lato della tutela ecologica” (sent. n. 430 del 1990) e della “conservazione dell'ambiente” (sent. n. 391 del 1989), ha “una strettissima contiguità con la protezione della natura, in quanto contrassegnata da interessi estetico-culturali” ed è “basata primariamente sugli interessi ecologici e quindi sulla difesa dell'ambiente come bene unitario, pur se composto da molteplici aspetti rilevanti per la vita naturale ed umana” (sent. n. 1029 del 1988) e per la salute (sent. n. 391 del 1989).
La Consulta, dopo la riforma del Titolo V, ha più volte sottolineato che il concetto di paesaggio indica in primo luogo la morfologia del territorio, cioè l'ambiente nel suo aspetto positivo e, pertanto, la tutela ambientale e paesaggistica è annoverabile nella competenza esclusiva dello Stato; inoltre tra le due alternative possibili, da un lato quella volta ad inquadrare la tutela del paesaggio nella materia “beni culturali”, dall'altro quella incline a ricondurre il paesaggio alla “materia” ambientale, i giudici costituzionali  hanno optato per la seconda come si evince anche negli arresti più recenti dove si afferma costantemente che “sul piano concettuale, […] il paesaggio deve essere considerato l'ambiente nel suo aspetto visivo” (sentt. n. 66 del 2012, n. 67 e n. 275 del 2011, n. 226 del 2009, n. 180 del 2008, n. 367 del 2007). 
Ad ogni modo, occorre chiarire che la nozione di “paesaggio” non si identifica con quella di “ambiente” ma semmai si collega a questa come “parte del tutto”; ciò che fa la differenza sono le “finalità” perché quelle paesaggistiche sono solo una parte di quelle ambientali in quanto sembrerebbero riferirsi alla sola componente “estetico-culturale” dell'ambiente, dunque, alla sola “forma” del territorio, da intendersi, tuttavia, in modo dinamico, quale risultante del simultaneo concorso di agenti naturali ed antropici(9).
Resta comunque da sottolineare come attualmente la tutela del paesaggio figura solo tra i principi fondamentali della Costituzione all'art. 9 mentre il novellato art. 117 Cost. non la prende in considerazione nel prevedere il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni.

 
(9) Più precisamente, la dimensione paesaggistica, dinamica e tendenzialmente onnicomprensiva, a parere di una illustre dottrina, si configura come “la traccia lasciata sulla terra dall'evoluzione naturale e dalla storia umana. In questo senso l'ambiente-paesaggio diviene oggetto di testimonianza storica.” Anche la Convenzione europea del paesaggio del 2000 si propone di superare la concezione puramente estetica del paesaggio perché si vuole tutelare non solo quelle porzioni di paesaggio dalle caratteristiche tali da poter essere considerati notevoli se non addirittura eccezionali, ma anche i paesaggi propri della vita quotidiana, comprese le porzioni di paesaggio “degradato”. Sul punto v. D. SORACE, Paesaggio e paesaggi della Convenzione europea, in G. F. CARTEI (a cura di), Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Bologna, 2008, pp.18-19.
 

Così, se in passato l'ambiente era “entrato” in Costituzione anche grazie ad un'interpretazione estensiva dell'art. 9 Cost., oggi, al contrario, è il paesaggio che viene ad essere tutelato per mezzo di una disposizione, l'art. 117, comma 2, lett. s), che riguarda l'ambiente, quantomeno sotto il profilo del riparto competenziale delle “materie”, fermo restando, comunque, il principio fondamentale di cui all'art. 9 Cost.(10).
Pur plaudendo all'esplicito riconoscimento costituzionale dell'ambiente, i primi commentatori a proposito dell'art. 117, comma 2, lett. s) assunsero una posizione di tendenziale perplessità soprattutto in relazione all'accentramento di funzioni e di poteri che da esso sembrava derivare(11) .
Il dibattito, in particolare, ha cercato di chiarire se l'intenzione della riforma sia sta effettivamente quella di alterare radicalmente il riparto di competenze in materia ambientale privando le Regioni di molte delle competenze svolte in precedenza; tale interrogativo, del resto, è stato ulteriormente alimentato dalla considerazione che, se il legislatore costituzionale del 2001 avesse inteso confermare le attribuzioni delle Regioni in materia ambientale, probabilmente avrebbe inserito tale materia tra quelle di competenza concorrente.
Le norme “chiave” per la ricostruzione dell'assetto delle competenze normative dei diversi livelli territoriali in materia ambientale vanno comunque ricercate non solo nell'art. 117, comma 2, lett. s), ma anche nelle disposizioni successive del medesimo articolo.
Così il comma 3 dell'art. 117 Cost. affida alla legislazione concorrente una serie di materie che investono profili indissolubilmente connessi ed intrecciati con la tutela dell'ambiente quali, in particolare, la tutela della salute, la protezione civile, il governo del territorio, la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, nonché la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia.
Si tratta di ambiti materiali che risultano in misura più o meno maggiore trasversalmente attraversati dall'interesse “primario” della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema ed individuano più titoli di legittimazione per interventi normativi regionali diretti alla tutela ambientale.

 
10) Per una ricostruzione della disciplina ambientale prima della riforma costituzionale v. R. FERRARA, L'organizzazione amministrativa dell'ambiente: i soggetti istituzionali, in AA.VV., Diritto dell'ambiente, Roma-Bari, 2003, p. 83 e ss.
11) Sul dibattito sviluppatosi intorno alla clausola attributiva di competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela ambientale di cui all'art. 117, comma 2, lett. s) Cost., si veda G. MANFREDI, Tre modelli di riparto delle competenze in tema di ambiente, in Ist. fed., 2004, p. 509 e ss.
 

Inoltre, ai sensi del comma 4 dell'art. 117 Cost., si prevede una clausola generale-residuale che attribuisce alla legislazione regionale tutte le materie non espressamente riservate allo Stato o alla potestà legislativa c.d. concorrente ; tra i settori materiali affidati alla potestà legislativa regionale residuale vanno in particolare ricomprese l'agricoltura e le foreste, l'industria, il commercio e l'artigianato, il turismo, la produzione, il trasporto e la distribuzione regionale e locale dell'energia, le reti di trasporto e di navigazione regionali e locali, la caccia e la pesca, le miniere, le cave e le torbiere, le acque minerali e termali.
E' facile da comprendere che si tratta di materie che interferiscono reciprocamente tra di loro e con la tutela dell'ambiente e dell’ecosistema; ciò non poteva che implicare complessi problemi di coordinamento e di interpretazione con il conseguente sovraccarico di contezioso davanti alla Corte costituzionale.
Per quanto poi riguarda il versante amministrativo, l'assetto delle competenze in tema ambientale deve oggi essere visto alla luce del novellato art 118 Cost. che, come si è avuto modo di precisare, ha abbandonato il c.d. principio del parallelismo tra legislazione ed amministrazione e favorito l'attribuzione, quantomeno in via tendenziale, delle funzioni amministrative agli enti territoriali più vicini ai cittadini, ovvero ai Comuni, a meno che, per assicurarne l'esercizio unitario, non siano conferite sulla base dei principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione a livelli di governo superiori.
E' chiaro che il principio di sussidiarietà, in base a come viene interpretato, può tanto esaltare quanto reprimere le istanze delle autonomie locali(13).

 
12) Va comunque chiarito che la Corte costituzionale, probabilmente al fine di assicurare flessibilità al sistema,  nella sent. n. 370 del 2003 ha ammonito che non è possibile ricondurre automaticamente un determinato oggetto di disciplina normativa all'ambito della potestà legislativa residuale delle Regioni “per il solo fatto che tale oggetto non sia immediatamente riferibile ad una delle materie elencate nei commi secondo e terzo dell'art. 117 della Costituzione” ma va utilizzato ove necessario “un criterio di prevalenza”. A commento di tale decisione v. E. A. FERIOLI, Esiti paradossali dell'innovativa legislazione regionale in tema di asili nido, tra livelli essenziali ed autonomia finanziaria regionale, in Le Regioni, 2003, p. 733 e ss.
13) La Corte costituzionale, a partire dalla sent. n. 303 del 2003, ha delineato i criteri guida per la declinazione e la giustiziabilità del principio di sussidiarietà e riletto il sistema di riparto delle competenze legislative Stato-Regioni secondo una rinnovata ottica di flessibilità attribuendo la necessaria importanza al principio di leale collaborazione.
Più precisamente, i giudici costituzionali hanno evidenziato come la sussidiarietà, tenendo conto della dimensione concreta degli interessi, possa superare lo stesso riparto di competenze di cui all'art. 117 Cost., previa intesa con gli enti coinvolti, ma sempre nel rispetto del principio di proporzionalità.
Secondo la Corte, infatti, una materia che sul piano amministrativo richiede “un esercizio unitario” da parte dello Stato non potrebbe logicamente avere plurime legislazioni regionali; ne consegue che, anche laddove la materia fosse di competenza legislativa regionale ai sensi dell'art. 117 Cost., spetterebbe comunque allo Stato garantirne un'adeguata e “proporzionata” disciplina, ferma restando una necessaria intesa con le Regioni interessate in nome del principio della leale collaborazione. 
In altri termini, la Consulta ha offerto una lettura delle nuove norme costituzionali in cui, come precisato da L. LAMBERTI, Riflessioni sulle funzioni amministrative delle Regioni e degli enti locali, Napoli, 2006, p. 113, la sussidiarietà è applicata prima della legalità;  per tali motivi A. D'ATENA, L'allocazione delle funzioni amministrative in una sentenza ortopedica della Corte costituzionale, in Giur. cost., 2003, p. 2776 e ss. ha parlato di una “operazione di ortopedia costituzionale” volta  a “riscrivere il Titolo V” in quanto, a parere dell'Autore, nella decisione in esame la Corte sembra essere andata oltre la mera interpretazione del dettato costituzionale dando vita ad una sorta di “fatto di normazione giurisprudenziale”. Tale impostazione, in un primo momento prevista per le materie rientranti nella potestà legislativa concorrente, è stata estesa a partire dalla sent. n. 6 del 2004 anche a quelle di potestà legislativa generale-residuale delle Regioni.
Tra i numerosi commenti sulla giurisprudenza costituzionale in tema di sussidiarietà, con particolare riferimento alla sent. n. 303 del 2003, v.  A. ANZON, Flessibilità dell'ordine delle competenze legislative e collaborazione tra Stato e Regioni, in Giur. cost., 2003, p. 2782 e ss, S. BARTOLE, Collaborazione e sussidiarietà nel nuovo ordine regionale, in Le Regioni, 2004, p. 578 e ss, I RAGGIU, Il principio di competenza tra flessibilizzazione ed esigenze unitarie nelle sentenze della Corte costituzionale n. 303 del 2003 e n. 14 del 2004, in Le Regioni, 2008, p. 865 e ss, R. TOSI, Competenze statali costituzionalmente giustificate e insufficienza del sindacato di costituzionalità, in Le Regioni, 2008, p. 875 e ss. Si vuole tuttavia segnalare la sent. n. 151 del 2005 con cui la Corte costituzionale, a differenza di quanto statuito nella sent. n. 303 del 2003, prevede che in caso di “sussidiarietà legislativa”, è necessaria un' intesa tra Stato e Regioni per concludere legittimamente tale procedimento. Sulla sent. n. 151 del 2005 v. G. SCACCIA, Presupposti per l'attrazione in via sussidiaria della funzione legislativa ed esercizio della funzione regolamentare, in Giur. cost., 2005, p. 1251 e ss.
 

Tuttavia, nel suo significato più autentico, tale principio finisce per esprimere una “decisione di preferenza” in favore del livello di governo più vicino al cittadino e solo esigenze di esercizio unitario o ragioni di adeguatezza possono giustificare l'intervento di livelli di governo superiori(14).
Il termine “sussidiarietà”, del resto, evoca l'etimo latino “subsidium”, ovvero una funzione ausiliare, di sostegno, di soccorso, che fa eccezione rispetto alla regola per cui tutte le funzioni amministrative spettano in linea di principio al Comune(15).
Ricostruire il principio di sussidiarietà come uno strumento flessibile che funziona “a mo' di ascensore”, non significa pertanto smarrirne l'identità più autentica, neanche in un settore delicato quale quello ambientale che implica un costante bilanciamento di interessi molto spesso antitetici tra di loro e l'esigenza di un continuo coordinamento tra gli enti competenti dei vari livelli di governo coinvolti.
Di qui il decisivo ruolo svolto negli anni dalla Corte costituzionale nella risoluzione dei numerosi contenziosi di volta in volta sollevati dallo Stato e dalle Regioni ed aventi ad oggetto molteplici questioni di costituzionalità relative al nuovo art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione

 
14) Secondo A. DE CHIARA, La funzione normativa della Regione e degli enti locali, in www.federalismi.it  rispetto a tesi che inquadrano la sussidiarietà secondo un'ottica liberale e/o liberista o, all'opposto, che evidenziano le conseguenze negative che una formalizzazione giuridica del principio potrebbe avere per la libertà individuale, “sul piano filosofico e politico, appare maggiormente convincente la ricostruzione che vede nell'idea della sussidiarietà il frutto della ricerca di un punto di equilibrio tra le opposte esigenze della libertà e dell'autorità, equilibrio che sembra potersi (soltanto) perseguire non in forza di una regola che definisca compiutamente i rispettivi confini delle due sfere, ma piuttosto in base ad un principio che orienti, di volta in volta, le scelte, indicandone la logica ispiratrice”
15)Così O. CHESSA, La sussidiarietà verticale nel nuovo Titolo V della Costituzione, in AA.VV., Alla ricerca dell'Italia federale,  a cura di G. VOLPE, Pisa, 2003, p. 174 e ss.
 

2. La giurisprudenza della Corte costituzionale e l'art. 117, comma 2, lett. s) all'indomani della riforma del Titolo V, tra “smaterializzazione” e “trasversalità”.

L'art. 117, comma 2, lett. s), nel prevedere espressamente la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali tra le competenze statali, appare senza dubbio il risultato del consolidarsi degli orientamenti della Corte costituzionale che, a partire dagli anni '70, ha ravvisato la rilevanza costituzionale dell'interesse ambientale.
Tale norma ha però posto immediatamente problemi in ordine al riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia ambientale perché ha introdotto una competenza esclusiva statale con riferimento alla “tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali” e connotato di rigidità un campo di attività legislativa che, nell'intendimento del Giudice delle leggi, richiedeva, al contrario, flessibilità(16).

 
16) Si pensi ad esempio alle problematiche sollevate dalla previsione dell'art. 117, comma 3, Cost che attribuisce alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni la “valorizzazione dei beni ambientali e culturali”, laddove, non risultando sempre ben definita la differenza tra “tutela” e “valorizzazione” dell'ambiente e/o dei beni ambientali ha suscitato nei primi commentatori perplessità, se non, come chiarito da G. COCCO, La legislazione in tema di ambiente è a una svolta?, in Riv. giur. amb., 2002, p. 419, “disorientamento, sconcerto, addirittura una vaga sensazione di frustrazione”. In senso analogo v. anche B. CARAVITA DI TORITTO, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V. Stato, Regioni e autonomie fra Repubblica e Unione Europea, Torino, 2002, p. 74.
 

Prima della riforma del 2001 si è visto infatti come la Corte abbia favorito l'emersione della tutela dell'ambiente anche a livello costituzionale configurandola non come una materia vera e propria, ma piuttosto come un valore costituzionale che si colloca “trasversalmente” ad una pluralità di materie anche rientranti nella competenza legislativa concorrente; si è così trovato il fondamento della tutela dell'ambiente ora nell'urbanistica, ora nel paesaggio, ora nella salute o nella proprietà pubblica o privata.
I giudici costituzionali avevano a più riprese evidenziato come il carattere trasversale del “bene ambiente” finisse per  incidere su numerose materie di spettanza regionale determinando, da un lato, un'azione unitaria dello Stato, dall'altro, un'azione differenziata di matrice regionale.
L'affermazione dell'ambiente come “valore” ha fatto emergere l'esigenza che lo Stato garantisse una funzione di indirizzo e di coordinamento nel rispetto di quel principio di leale collaborazione con cui la Corte costituzionale ha inteso valorizzare l'esigenza di uniformità della disciplina sul territorio nazionale, pur non trascurando le competenze regionali concorrenti in materie che, seppur connesse con la materia ambientale, richiedevano interventi localizzati(17).
L'intervenuta attribuzione della “tutela dell'ambiente e dell’ecosistema” alla competenza esclusiva dello Stato non poteva che destare perplessità perché una riforma costituzionale che intendeva valorizzare le autonomie sembrava invece riaccentrare le funzioni ambientali in capo allo Stato.
La Corte costituzionale è stata chiamata da subito in causa al fine di dipanare i numerosi dubbi sorti all'indomani dell'entrata in vigore della riforma del Titolo V mostrando, peraltro, sin dalle prime decisioni, di non voler abbandonare il percorso ermeneutico intrapreso in quanto ha confermato l'idea dell'ambiente non come materia in senso stretto e tecnico, ma come interesse a valenza costituzionale che sfugge ad una rigida distribuzione di competenze tra Stato e Regioni.
Così nella prima, e ormai “storica”, sent. n. 407 del 2002 la Corte, a proposito di talune questioni di costituzionalità sollevate dallo Stato avverso talune disposizioni della legge n. 19 del 2001 della Regione Lombardia concernente le attività a rischio di incidente rilevante, ha immediatamente chiarito che “non tutti gli ambiti materiali specificati nell'art. 117, comma 2, possono, giacché tali, configurarsi come materie in senso stretto, poiché, in alcuni casi, si tratta più esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie (sent. n. 282 del 2002).
In questo senso, l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una 'materia' in senso tecnico, qualificabile come “tutela dell'ambiente e dell’ecosistema”, poiché non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata sicché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze”.
La Consulta richiamava altresì il proprio orientamento giurisprudenziale consolidatosi prima della riforma del Titolo V della Costituzione evidenziando come da esso potesse ricavarsi “una configurazione dell'ambiente come 'valore' costituzionalmente protetto, che, poiché tale, delinea una sorta di 'materia trasversale', in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale”. Inoltre, a parere dei giudici costituzionali, in relazione alla protezione dell'ambiente il legislatore non ha inteso eliminare la pluralità di possibili interventi regionali, intesi a soddisfare, nel rispetto delle esigenze di carattere unitario definite dallo Stato, proprie competenze; infatti i lavori preparatori dell'art. 117, comma 2, lett. s) inducono a considerare l'intento del legislatore nel senso di aver voluto riservare allo Stato “il potere di fissare standards di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali”.
Nel caso di specie, pertanto, la Regione Lombardia venne considerata legittimata ad adottare “ragionevolmente […] nell'ambito delle proprie competenze concorrenti, una disciplina che sia maggiormente rigorosa per le imprese a rischio di incidente rilevante, rispetto ai limiti fissati dal legislatore statale, proprio poiché diretta ad assicurare un più elevato livello di garanzie per la popolazione ed il territorio interessati”(18).

 
17) A titolo di esempio, tra le varie sentenze, v. sent. n. 219 del 1987 che ha auspicato che il riparto di competenze tra Stato e Regioni possa realizzarsi secondo il “modello di cooperazione e integrazione nel segno dei grandi interessi unitari della nazione” e che “i rapporti tra Stati e Regioni ubbidiscano assai più che ad una gelosa, puntigliosa e formalistica difesa di posizioni al principio della leale collaborazione reciproca tra i due enti”.
18) Sulla sent. n. 407 del 2002 v.  tra gli altri F. S. MARINI, La Corte costituzionale nel labirinto delle materie “trasversali”: dalla sent. 282 alla n. 407 del 2002, in Giur. cost., 2002, p. 2952 e ss, M. CECCHETTI, Legislazione statale e legislazione regionale e “limiti” alle competenze esclusive statali, in Le Regioni, 2003, p. 318 e ss, S. MANGIAMELI, Sull'arte di definire le materie dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2003, p. 337 e ss, C. SARTORETTI, La tutela dell'ambiente dopo la riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione: valore costituzionalmente protetto o materia in senso tecnico?, in Giur. it., 2003, p. 417 e ss. Osserva F. MATTASSOGLIO, Le funzioni amministrative ambientali tra sviluppo sostenibile e esigenze del mercato, Roma, 2008, p. 49 che “nel caso di specie, la Corte non ha accolto le argomentazioni proposte dall'Avvocatura di Stato concernenti gli effetti negativi che l'impugnata disciplina regionale avrebbe potuto avere sulla concorrenza, a seguito del previsto aggravio procedimentale. Anche in questa ipotesi, si evidenzia la necessità di contemperare una maggior tutela del valore ambiente con le contrapposte esigenze di tutela del mercato [...]”.
 

I principi affermati in questa sentenza sono stati poi ripresi e sviluppati in diverse altre pronunce quali, in particolare, le sentenze n. 536 del 2002, nn. 222, 226 e 227 del 2003, nn. 108, 135 e 232 del 2005, nn. 103, 182, 246 e 398 del 2006, da cui in sostanza emerge che il novellato art. 117 Cost. “è espressione di un'esigenza unitaria, ponendo limiti a leggi regionali che possano pregiudicare equilibri ambientali”(19).
Il Giudice costituzionale ha sottolineato la potestà legislativa esclusiva dello Stato ed adoperato costantemente il riferimento al concetto di ambiente come “valore” per sottolineare la necessità di una disciplina unitaria volta a garantire “la conservazione della flora e della fauna su tutto il territorio nazionale” (sent. n. 536 del 2002); lo Stato, dunque, a salvaguardia del “valore” ambiente, poteva dettare standards di tutela uniformi che inevitabilmente finivano per incidere anche sulle competenze legislative regionali.
Da un’analisi sistematica della giurisprudenza costituzionale in materia ambientale all’indomani dell’entrata in vigore della riforma del Titolo V, emerge come la Consulta abbia interpretato l'art. 117, comma 2, lett. s) in soluzione di “continuità” rispetto al precedente orientamento, prendendo a riferimento non tanto la nozione di ambiente come  equilibrio ecologico della biosfera o dei singoli ecosistemi di riferimento e la “tutela dell'ambiente” come “tutela dell'equilibrio ecologico della biosfera o dei singoli ecosistemi di riferimento”(20), quanto, piuttosto, quella consolidatasi prima della riforma di “valore costituzionale trasversale”.
Inoltre si evidenziano costantemente due principi di fondo: il primo è quello per cui spetta allo Stato predisporre una programmazione di carattere generale, fissando direttive e principi a cui le Regioni devono uniformarsi; per il secondo, invece, le Regioni possono apprestare  una maggior tutela “compatibile”, nel senso che non sarebbero illegittime norme regionali più restrittive di quelle statali se rispettose del limite di compatibilità.
La possibilità da parte delle Regioni di derogare solo in melius gli standards ambientali fissati dalla legge statale, pur se ripetutamente affermata nelle sentenze, sembrerebbe invece discendere dalla natura “finalistica” della materia trasversale della tutela dell'ambiente, da cui deriva un notevole grado di “permeabilità” e “mobilità” delle materie che vengono a relazionarsi in modo “fluido” l'una con l'altra(21).
Una dottrina autorevole ha però sottolineato come “tutto ciò ha provocato una pratica inattuazione” dell'art. 117, comma 2, lett. s) perché l'ambiente è stato considerato un concetto evanescente, mentre la materia della “tutela dell'ambiente e dell’ecosistema” è stata di volta in volta definita una “materia-valore”, una “materia-fine”, “una materia-trasversale, addirittura semplicemente “un compito”, comunque mai una “materia in senso proprio”(22).
In concreto, dunque, la “tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali” non è stata considerata una materia in senso tecnico, né tantomeno una materia di competenza piena ed esclusiva dello Stato ma, restringendosene il contenuto, è stata limitata alla potestà dello Stato di “fissare standards di tutela uniformi su tutto il territorio nazionale”, con la conseguenza che tale materia è stata intesa come una competenza parzialmente condivisa tra Stato e Regioni(23).

 
19) Così, in particolare, Corte cost. sent. n. 536 del 2002.
20) Per tale definizione si veda B. CARAVITA DI TORITTO, Diritto dell'ambiente, Bologna, 2005, p. 33.
21) Cfr. G. D'ALFONSO, La tutela dell’ambiente quale “valore costituzionale primario” prima e dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in F. LUCARELLI (a cura di), Ambiente, territorio e beni culturali nella giurisprudenza costituzionale, Napoli, 2006, pp. 60 e 61.
22) Così P. MADDALENA, L'interpretazione dell'art. 117 e dell'art 118 della Costituzione secondo la recente giurisprudenza costituzionale in tema di tutela e di fruizione dell'ambiente, in www.federalismi.it
23) Su tali conclusioni si è espresso criticamente F. RESCIGNO, La “trasversalità” del “valore ambiente” tra potestà legislativa statale e regionale: un preoccupante silenzio della Corte, in Giur. it., 2004, p. 467 per cui, pur condividendosi la decisione assunta in concreto dalla Corte in quanto assunta nell'osservanza del principio di maggiore tutela compatibile, non può tuttavia approvarsi il suo atteggiamento rispetto alla trasversalità del valore ambiente.
 

Le ambiguità in ordine al titolo di legittimazione delle Regioni a legiferare in tema di tutela dell'ambiente sono emerse del resto nelle sentt. nn. 307 e 331 del 2003 dove la Corte, a proposito della disciplina relativa all'inquinamento elettromagnetico, ha chiarito che, pur rientrando nella  materia di cui all'art. 117, comma 2, lett. s), inevitabilmente  finiva per interferire con altre materie quali la “tutela della salute”, “l'ordinamento della comunicazione”, “la produzione, trasporto e distribuzione dell'energia” ed “il governo del territorio”, che rientrano nella competenza legislativa concorrente delle Regioni.
La Consulta, dopo aver precisato che ai sensi della legge n. 36 del 2001 spetta allo Stato la fissazione dei valori soglia di inquinamento elettromagnetico che dovranno essere uniformi su tutto il territorio nazionale, affermò che le Regioni non potevano derogare a tali valori neppure in senso più restrittivo.
Lo Stato, quindi, in materia di elettromagnetismo, poteva fissare standards minimi di protezione inderogabili mentre le Regioni, nella regolazione della localizzazione degli impianti e nella disciplina dei procedimenti autorizzativi, tutto quanto esulasse da tale competenza.
Ne discendeva che risultavano incostituzionali le leggi regionali che stabilivano valori più bassi o regole più rigorose rispetto a quelle statali.
La Corte, nella sent. n. 331 del 2003, sostenne che gli interventi regionali anche in melius erano da considerarsi incostituzionali “perché l'aggiunta si traduce in un'alterazione, quindi in una violazione della legge statale di principio”(24).
La ragione di tale impostazione è stata ravvisata nella circostanza che la determinazione a livello nazionale, in tale settore, rappresentava “un punto di equilibrio tra esigenze contrapposte di evitare al massimo l'impatto delle emissioni elettromagnetiche e di realizzare impianti necessari al Paese, nella logica per cui la competenza delle Regioni in materia di trasporto dell'energia e di ordinamento della comunicazione è di tipo concorrente, vincolata ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”.
Sulla stessa linea di indirizzo è da segnalare la sent. n. 62 del 2005 con cui la Consulta accolse tre ricorsi promossi dal Governo dichiarando l'illegittimità costituzionale delle leggi regionali impugnate (la L.R. Sardegna n. 8 del 2003; la L.R. Basilicata n. 31 del 2003; la L.R. Calabria n. 26 del 2003) aventi in comune l'oggetto consistente nel dichiarare il territorio regionale “denuclearizzato e precluso al transito  e alla presenza di materiali nucleari provenienti da altri territori”.
Nella decisione in esame, in particolare, si specifica che “i poteri della Regione nel campo della tutela della salute non possono consentire, sia pure in nome di una protezione più rigorosa della salute degli abitanti della Regione medesima, interventi preclusivi suscettibili, come nella specie, di pregiudicare, insieme con altri interessi di rilievo nazionale, il medesimo interesse della salute in un ambito territoriale più ampio, come avverrebbe in caso di impossibilità o difficoltà di provvedere correttamente allo smaltimento di rifiuti radioattivi”. Si perveniva, in tal modo, alla conclusione che il problema dei rifiuti pericolosi non poteva essere risolto sulla base del criterio della “autosufficienza” delle Regioni, perché ciò avrebbe determinato un ostacolo “alla realizzazione di impianti necessari per una corretta gestione del territorio e degli insediamenti al servizio di interessi di rilievo ultraregionali”.
Nelle tre sentenze appena illustrate, dunque, si assiste ad un sostanziale mutamento di indirizzo; eppure non è ben chiaro se la Corte abbia voluto discostarsi  dalle precedenti pronunce o derogarvi: a parere di parte della dottrina, anche la mancanza di argomentazioni articolate denoterebbe le difficoltà per la Consulta di giustificare il mutamento di indirizzo(25).
A seguito di una tale inversione di tendenza, sembrerebbe emergere un quadro giurisprudenziale contraddittorio rispetto al precedente, che finiva per non ammettere deroghe regionali alla normativa statale neanche in senso più restrittivo.
Pertanto il limite tra la competenza statale e quella regionale veniva di fatto ad essere costituito dall'interesse prevalente in base all'attività di volta in volta disciplinata; la Corte individuava nello Stato l'unico soggetto competente a legiferare quando, nel contemperamento degli interessi che venivano concretamente in gioco, prevalevano esigenze di carattere unitario non suscettibili di essere derogate neppure in melius.
L'emersione di istanze unitarie rendeva dunque “flessibile” il campo delle competenze legislative tra Stato e Regioni legittimando un intervento invasivo dello Stato nelle competenze regionali siano esse concorrenti che esclusive; ad ogni modo, la tutela degli interessi concernenti materie trasversali doveva comunque realizzarsi nel rispetto del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni.
Al di fuori dei casi da ultimo descritti, nei quali il livello di intensità delle misure di tutela ambientale fissato dallo Stato deve essere considerato come l'unica espressione possibile di una ponderazione tra valori ed esigenze diverse caratterizzata da una necessaria uniformità, in generale, si può ritenere che fino al 2007 la Corte abbia proceduto ad una sorta di “smaterializzazione” della “materia” di cui all'art. 117, comma 2, lett. s), sovrapponendo di fatto il concetto di “valore” a quello proprio di “materia” in nome di quella “trasversalità” di cui si è ampiamente detto, ferma restando la tendenziale possibilità riconosciuta ai livelli inferiori allo Stato di adottare misure di tutela dell'ambiente a carattere più restrittivo, anche in assenza di una esplicita “autorizzazione” normativa in tal senso da parte del livello superiore, trattandosi di una tipica specificazione del principio di sussidiarietà.

 
24Appare evidente un ribaltamento delle posizioni rispetto agli orientamenti espressi in precedenza; sul punto v. M. A. MAZZOLA, Ambiente, salute, urbanistica e poi...l'elettrosmog: quale potestà legislativa tra Stato e Regioni dopo il nuovo Titolo V della Costituzione,i n Riv. giur. amb.,2004, p. 274 e ss.
25) Così A. GRATANI, La Corte costituzionale, i rifiuti radioattivi e la sindrome nimby, in Riv. giur. amb.,2005, p. 547.
 

3. Le sentenze n. 367 del 2007 e n. 378 del 2007 della Corte costituzionale: verso la “rimaterializzazione” dell'ambiente ed una progressiva riaffermazione del primato “gerarchico” della legge statale nella disciplina dell'ambiente come sistema.

L'elevazione del concetto di ambiente al rango di “valore costituzionale”, operata  dalla Corte costituzionale già da prima della revisione del 2001, se da un lato ha rimediato ad un evidente vuoto del tessuto costituzionale, dall'altro, ha paradossalmente favorito la “destrutturazione della materia ambientale, sublimandola nella 'metafisica' dei valori, e finendo per confortare le più ampie e diversificate ricostruzioni giuridiche”(26).
L'assenza di un'espressa menzione dell'ambiente tra i valori fondamentali sembra piuttosto aver condotto ad agganciare il “valore” con la “materia”, alterando conseguentemente la funzione sia dell'uno che dell'altra.
L'identificazione non di una “materia in senso stretto”, quanto piuttosto di un “valore ambientale”, ha indotto le diverse istanze normative a reclamarne la spettanza; infatti, a fronte delle nuove possibilità di intervento offerte alle Regioni dal novellato Titolo V anche in ambito ambientale, lo Stato ha spesso utilizzato il “grimaldello” del valore ambientale per disciplinare ambiti materiali che, invero, più ragionevolmente, sembravano di pertinenza regionale.
La pretesa ad una “tutela diffusa” del valore, che coinvolgesse l'intero insieme dei plessi ordinamentali e non fosse ad appannaggio dell'uno piuttosto che dell'altro, è stata tuttavia in parte vanificata dalla qualificazione offerta all'art.117, comma 2, lett. s) di “materia trasversale”, dunque, in quanto tale, avente una capacità attrattiva in grado di “tagliare” in verticale l'intero comparto delle competenze regionali.
Un'autorevole dottrina a più riprese aveva avvertito l'esigenza di offrire un “parametro oggettivo” alla nozione di ambiente senza tuttavia negarne la “carica valoriale”; si è più precisamente sostenuto come la dimensione giuridica dell'ambiente dovesse in concreto ricondursi alle nozioni di biosfera e di equilibrio degli ecosistemi(27).
Il crescente bisogno di “oggettivare” il valore, senza tuttavia rinunciare a quelle dinamiche proprie solo di una “ricostruzione valoriale”, sembra in qualche modo aver animato anche le decisioni della Corte costituzionale a partire dal 2007. 
Risultano in particolare assai significative due decisioni: la sent. n. 367 del 2007 e la sent. 378 del 2007.
La prima pronuncia ha risolto alcune questioni di costituzionalità sollevate dalle Regioni Toscana, Piemonte e Calabria in relazione a diverse disposizioni contenute nel D. Lgs n. 157 del 2006 che ha novellato il Codice dei beni culturali (D. Lgs 42 del 2004); la Corte non solo si è pronunciata sull'inquadramento sistematico dei valori paesaggistici e, conseguentemente, sul rapporto tra paesaggio e ambiente ma, a fronte di rivendicazioni regionali in ordine alla competenza, ha espresso una chiara preferenza in favore dell'area competenziale dello Stato.
Si è più precisamente evidenziato il legame tra le nozioni di ambiente e di paesaggio considerando la disciplina paesaggistica come “attinente” all'ambiente; nonostante la contesa tra ambiente e beni culturali per l' “appropriazione” del paesaggio non sia ancora del tutto cessata ed il valore paesaggistico, anche a livello normativo, oscilli costantemente tra la “materia” ambiente e il “bene culturale”, i giudici costituzionali, anche nella recente sentenza n. 199 del 2014, hanno inquadrato il paesaggio nella tutela dell'ambiente(28).

 
26) Cosi D. PORENA, L'ambiente come “materia” nella recente giurisprudenza della Corte costituzionale: “solidificazione” del valore ed ulteriore “giro di vite” sulla competenza regionale, in www.federalismi.it, F. BENELLI, L'ambiente tra “smaterializzazione” della materia e sussidiarietà legislativa, in www.forumcostituzionale. L'espressione “metafisica dei valori” è di L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, p. 144 che, respingendo l'idea di un diritto costituzionale libero e plasmato ad arbitrio degli interpreti, ha sottolineato che “le varie metafisiche dei valori costituzionali consentono, infatti, argomentazioni e decisioni atte a condurre da qualsiasi parte, senza che la giurisprudenza costituzionale sia più controllabile nei suoi ragionamenti”.
27) Cfr. B. CARAVITA DI TORITTO, Diritto dell'ambiente, cit., p. 22 che, nel tentativo di individuare la nozione di “ambiente”, ha ritenuto che potessero essere utili anche gli insegnamenti provenienti dall'ecologia.
28) Più precisamente, la Corte costituzionale, a proposito dell’installazione degli impianti eolici, nella sentenza richiamata si è riferita ai pregressi orientamenti sottolineando che “la conservazione ambientale e paesaggistica” spetti, in base all’art. 117, comma 2, lett. s) Cost., alla cura esclusiva dello Stato, tenendo però conto, nel caso degli enti territoriali dotati di autonomie particolari, di quanto previsto dagli Statuti speciali (sentt. nn. 226 del 2009 e 378 del 2007). Diversamente, si esprime D. TRAINA, Il paesaggio come valore costituzionale assoluto, in Giur. cost., 2007, p. 4108 e ss per il quale l'equivalenza tra paesaggio ed ambiente riproposta dalla Corte costituzionale in occasione della sent. n. 367 del 2007  presenta incongruenze sul piano dogmatico in quanto “la dimensione giuridica del paesaggio non può risolversi integralmente nell'ambiente perché nella disciplina del paesaggio, oltre alla componente ecologica e naturalistica che indubbiamente porta a tale equiparazione, rileva un'altrettanto forte componente identitaria e di testimonianza di civiltà, che ha invece valenza essenzialmente culturale”. In senso analogo conviene anche L. CARBONE, Ambiente, paesaggio e beni culturali e ambientali, in www.federalismi.it, secondo il quale “il paesaggio dunque sta a cavallo tra ambiente e beni culturali o meglio va ricondotto all'una o all'altra materia a seconda delle finalità a cui è orientata la disciplina di cui forma oggetto”.
 

Nella sent. n. 367 del 2007, in particolare, si è affermato che “il concetto di paesaggio  indica, innanzitutto, la morfologia del territorio, riguarda cioè l'ambiente nel suo aspetto visivo. (…) Si tratta peraltro di un valore primario (…) ed anche assoluto, se si tiene presente che il paesaggio indica essenzialmente l'ambiente”(29).
Volendo tacere le possibili critiche che sul piano dogmatico possono essere mosse a tale ricostruzione, si osserva che l'assimilazione del paesaggio all'ambiente e la sua considerazione come valore primario e assoluto lo fanno rientrare  nella competenza esclusiva dello Stato sicché, a parere dei giudici costituzionali, “precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni”.
Risulta inoltre di specifico rilievo la sent. n. 378 del 2007 che offre notevoli spunti per cogliere il nuovo inquadramento dogmatico e giuridico della tutela dell'ambiente nell'ordinamento; nell'articolato motivazionale emerge in particolare la preoccupazione per la nozione giuridica di ambiente, nonché la necessità di “oggettivare” la medesima. La Corte infatti sembra voler prendere le distanze dalla ricostruzione dell'ambiente quale “bene immateriale” affermando tra l'altro che “quando si guarda all'ambiente come ad una “materia” di riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni, è necessario tener presente che si tratta di un bene della vita, materiale e complesso, la cui disciplina comprende anche la tutela e la salvaguardia della qualità e degli equilibri delle sue singole componenti”.
La tendenza a voler “oggettivare” la dimensione ambientale sembra del resto essere confermata dall'utilizzo di espressioni quali “materia”, “bene materiale” in luogo di “valore” o “materia trasversale” con il fine di superare quell'orientamento giurisprudenziale che, a  partire dalla sent. n. 407 del 2002, escludeva che l'art. 117, comma 2, lett. s) potesse identificare una “materia” in senso tecnico in quanto, a parere dei giudici costituzionali, non si configurava “una sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata”.
Le esigenze sottese al ragionamento della Corte appaiono allora quelle di “una nuova opera di 'codificazione' della nozione giuridica di ambiente” e di “riconsegnare un contenuto materiale al concetto, di 'ri-materializzare’ il valore in un oggetto tangibile”; e ciò, seguendo una progressione logica per cui “l'ordinamento costituzionale prima aderisce al valore, successivamente lo “materializza” e poi, infine, lo 'spartisce' tra i diversi livelli di governo”(30).
Si torna a parlare di “materie in senso tecnico” e non di “essenze” e di “valori” al fine di individuare nell'ambiente anche “qualcosa che si tocca avente una consistenza oggettiva”, aderendo alla definizione di ambiente come equilibrio biologico della biosfera e dei suoi singoli ecosistemi, già ricavabile nella Dichiarazione di Stoccolma del 1972, che richiama un concetto complessivo e “sistemico” di ambiente inteso come condizione di vita per l'uomo, come sistema complessivo la cui tutela reclama forme di intervento più ampie e condivise possibili.
Risultano pertanto insufficienti forme di tutela adottate su scala locale perché, se occorre concepire l'ambiente come “sistema” e come equilibrio complessivo tra ecosistemi, ne deriva la necessità di ricondurre alla sede statuale la competenza in ordine alla sua tutela; è la stessa “consistenza ontologica” dell'ambiente, allora, che impedirebbe di offrirne la tutela in molteplici leggi regionali.
A parere della Corte, “occorre, in altri termini, guardare all'ambiente come “sistema”, considerato cioè nel suo aspetto dinamico, quale realmente è, e non soltanto da un punto di vista statico ed astratto... ne consegue che spetta allo Stato disciplinare l'ambiente come una entità organica, dettare cioè delle norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto”(31).

 
29) Il Giudice delle Leggi, anche nella recentissima sent. n.210 del 2014, ha chiarito che tale impostazione è “aderente all’art. 9 Cost. che sancisce quale principio fondamentale quello della tutela del paesaggio, inteso come morfologia del territorio, cioè l’ambiente nel suo aspetto visivo. In sostanza, è lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale (sentenza n. 367 del 2007)”.   
30) Cfr. A RUGGERI, E' possibile parlare ancora di un sistema delle fonti? In www.associazionedeicostituzionalisti.it, per il quale “la Costituzione, nondimeno, spartisce competenze ma non spartisce valori”.
31) La nuova “materializzazione” dell'ambiente appare evidente quando la Corte osserva che “oggetto di tutela, come si evince anche dalla Dichiarazione di Stoccolma del 1972, è la biosfera, che viene presa in considerazione, non solo per le sue varie componenti, ma anche per le interazioni fra quest'ultime, i loro equilibri, la loro qualità, la circolazione dei loro elementi, e così via”.
 

Si è ricondotto, dunque, l'ambiente ad una materia di competenza statale; inoltre la Consulta ne ha chiarito l'estensione osservando che “la disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, investendo l'ambiente nel suo complesso, e quindi anche in ciascuna sua parte, viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza”.
Ne consegue che le Regioni, essendo titolari della competenza legislativa di molte materie che finiscono per insistere sullo stesso oggetto, quando anche incidentalmente toccano la tutela dell'ambiente devono cedere a fronte della prevalenza della disciplina unitaria del complessivo bene ambiente rimessa in via esclusiva allo Stato ex art. 117, comma 2, lett. s).
Il riferimento al “limite” ed al concetto di “prevalenza” di una legislazione sull'altra in luogo di quello di “concorrenza” precedentemente utilizzato sembra tuttavia evocare l'idea di una relazione quasi “gerarchica” tra legge statale e leggi regionali nell'ambito della tutela dell'ambiente. Non si impedisce al legislatore regionale di intervenire sulle materie di propria competenza nei limiti, però, in cui tale intervento non collida con quanto già disposto dal legislatore statale in materia ambientale.
La decisione in esame dunque chiarisce la funzione di “limite” esercitata dalla disciplina statuale correlata alla tutela dell'ambiente inteso come sistema complessivo; occorre peraltro osservare che, se si considera l'ambiente in termini generali e onnicomprensivi, potenzialmente la materia di cui all'art. 117, comma 2, lett. s) può avere ambiti di applicazione assai pervasivi, comunque difficilmente delimitabili a priori, non in linea con la ratio che ha ispirato la riforma del Titolo V .
Aver affermato che l'ambiente ha una sua “consistenza” materiale e rientra nelle competenze esclusive dello Stato il compito di disciplinarlo come “sistema”, non significa che la Corte abbia rinunciato a coglierne gli aspetti valoriali; così, in occasione di un conflitto di attribuzione sollevato dalle Regione Sicilia verso lo Stato, i giudici costituzionali nella sent. n. 380 del 2007 (emanata nella stessa giornata della sent. n. 378 del 2007) chiarirono come dalla giurisprudenza costituzionale precedente e successiva alla riforma del Titolo V sia “agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come 'valore' costituzionalmente protetto che, in quanto tale, delinea una sorta di materia trasversale”.
Appare così evidente come la Consulta, anche se ha modificato il proprio orientamento giurisprudenziale, da un lato, non ha negato la dimensione valoriale dell'ambiente, dall'altro, ha offerto indicazioni più precise sulla collocazione assunta da esso in Costituzione.
L'ambiente è quindi sia un “valore” che una “materia”; compito dell'art. 117 Cost. non è quello di spartire valori tra i diversi livelli di governo, ma piuttosto quello di ripartire materie. Ne consegue che, come ha chiarito un'autorevole dottrina, “spetta allo Stato disciplinare l'ambiente come una entità organica, dettare cioè delle norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parte del tutto”(33) .
Resta comunque inteso che la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario (sent. n. 151 del 1986) ed assoluto (sent. n. 210 del 1987) e deve garantire, anche secondo la normativa comunitaria, un elevato livello di tutela come tale inderogabile da altre discipline di settore; tuttavia, accanto al bene giuridico ambiente in senso unitario, possono coesistere altri beni giuridici aventi ad oggetto singoli componenti o aspetti del bene ambiente ma concernenti interessi diversi giuridicamente tutelati.
Può allora parlarsi di “trasversalità” dell'ambiente secondo i nuovi orientamenti della Corte costituzionale nel senso che sullo stesso oggetto insistono interessi diversi: quello alla conservazione dell'ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni.
La disciplina unitaria dell'ambiente nel suo complesso, rimessa in via esclusiva allo Stato, funge allora da limite alla disciplina che le Regioni nelle materie di loro competenza ed in riferimento ad altri interessi possono adottare; ecco perché per le Regioni non si ammette alcuna possibilità di derogare o peggiorare in nessun modo il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato.
L’illustre giurista Paolo Maddalena ha individuato tre affermazioni di particolare rilievo che emergono nella sent. n. 378 del 2007 e che ben esprimono il nuovo corso della giurisprudenza costituzionale concernente l'art. 117, comma 2, lett. s):

 
  • “l'ambiente non è più un concetto evanescente, un fine, un valore. Esso è un bene materiale oggetto di tutela esclusiva da parte dello Stato”; 
  • “in materia ambientale si deve distinguere tra tutela o conservazione affidata alla competenza statale, ed utilizzazione o fruizione dell'ambiente, affidata alle competenze regionali”;
  • “la disciplina di tutela dell'ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, sicché quest'ultime non possono in alcun modo derogare o peggiorare il livello di tutela ambientale posto dallo Stato”.
 
32) Volendo fare un quadro sintetico dell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia ambientale prima della riforma del Titolo V, si osserva che la Corte ha provveduto dapprima all’interno di conflitti di   Giova osservare che la Consulta, a sostegno della ricostruzione “generale e onnicomprensiva dell'ambiente”, nella sent. n. 378 del 2007 evidenzia come non sia “da trascurare che la norma costituzionale pone accanto alla parola 'ambiente' la parola 'ecosistema'. Poiché il riferimento all'ecosistema implica l'idea di un sistema inteso come “inevitabile referente spaziale di ogni condotta umana”, astrattamente molte delle discipline normative regionali potrebbero incontrare il limite della legislazione statuale in materia ambientale. Di fatto, ai limiti di cui al comma 1 dell'art. 117 Cost., andrebbero ad aggiungersi quelli derivanti da una sorta di generalizzato vincolo gerarchico rappresentato dalla normativa statale in materia ambientale.
33) Cfr. P. MADDALENA, op. cit.
 

4. Gli attuali orientamenti della Corte costituzionale in “materia ambientale” e la legislazione statale e regionale: un “complesso bilanciamento di interessi”.

Le sentenze nn. 367 e 378 del 2007 rappresentano dunque un “evidente punto di svolta”(34)  rispetto agli orientamenti precedenti.
Il problema di fondo di offrire una spiegazione al “collegamento funzionale” tra competenza statale ex art 117, comma 2, lett. s) e le competenze regionali è stato chiarito escludendo che la materia di “tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali” fosse in parte comune alle Regioni, con lo Stato che poteva limitarsi a fissare standards minimi uniformi per tutto il territorio nazionale.
Si è invece sottolineato come la disciplina statale in materia di protezione ambientale sia espressione di una competenza piena ed esclusiva e funga da limite per l'esercizio delle competenze regionali che hanno ad oggetto la fruizione  dell'ambiente e del territorio in particolare. Non esiste dunque nella “materia” de qua (e non nel “valore”, come ben precisato dalla Consulta) alcuna forma di compartecipazione dello Stato e delle Regioni; risulta invece fondamentale cogliere la differenza tra tutela o conservazione dell'ambiente di spettanza statale, da un lato, e il suo uso o fruizione dall'altro, di pertinenza regionale.
Tale impostazione risulta peraltro ribadita nelle decisioni successive.
La sent. n. 104 del 2008 ha ripreso le citate argomentazioni confermando anche un nuovo modo di guardare alle “materie”, quale strumento di riparto delle competenze legislative, nel senso che le “materie” medesime non sono più intese come meri complessi normativi agglomeratesi intorno ad uno specifico interesse pubblico ma, più propriamente, come “l'oggetto” della tutela giuridica.
Ciò implica che chi esercita la competenza deve porre in essere una disciplina che non tenga conto soltanto della cosa in sé, ma anche delle utilità che la cosa medesima offre e degli interessi umani che emergono(35); ne consegue che può verificarsi che sulla stessa cosa materiale, ed in relazione alle sue diverse utilità, si costituiscano più beni giuridici per effetto delle diverse discipline dello Stato e delle Regioni.
Valga ad esempio il riferimento alle sentenze nn. 105 del 2008 e 1 del 2010.   
Nella prima pronuncia la Corte scrive che “caratteristica propria dei boschi e delle foreste è quella di esprimere una multifunzionalità ambientale, oltre ad una funzione economico produttiva. Si può dunque affermare che sullo stesso bene della vita, i boschi e le foreste, insistono due beni giuridici: un bene giuridico ambientale in riferimento alla multifunzionalità ambientale del bosco, ed un bene giuridico patrimoniale, in riferimento alla funzione economico produttiva del bosco stesso […]. Ne consegue che la competenza regionale in materia di boschi e foreste, la quale si riferisce certamente alla sola funzione economico produttiva, incontra i limiti invalicabili posti dallo Stato a tutela dell'ambiente e che, pertanto, tale funzione può essere esercitata soltanto nel rispetto della “sostenibilità degli ecosistemi forestali”.
Tali linea interpretativa risulta seguita anche nella successiva sentenza n. 1 del 2010 nella quale, a proposito di acque minerali e termali, si distingue il profilo economico e produttivistico, di competenza regionale residuale, ed il profilo della tutela ambientale, in quanto le acque minerali e termali sono un bene ambientale sicuramente di competenza statale.
Si deve inoltre segnalare l'importanza della sentenza n. 61 del 2009 che ribadisce la netta separazione tra la competenza esclusiva statale della tutela dell'ambiente e le competenze delle Regioni che, nelle materie in qualche modo incidenti sull'ambiente, possono stabilire anche livelli di tutela più elevati al fine di disciplinare nel modo migliore gli oggetti delle loro competenze(36).
Anche le sentenze n. 180 e n. 437 del 2008 hanno evidenziato tale nuovo orientamento così come la sentenza n. 12 del 2009 che, dopo aver sintetizzato i punti di maggiore interesse del nuovo filone giurisprudenziale, ha particolarmente rimarcato che sullo stesso oggetto ambiente possono insistere interessi diversi, quello della sua conservazione e quelli inerenti alle sue utilizzazioni.
La disciplina unitaria del bene complessivo ambiente di competenza esclusiva statale viene in tali casi a prevalere su quella regionale tesa a disciplinare materie di competenza propria che riguardano l'utilizzazione dell'ambiente e altri interessi.
Di particolare rilievo appare anche la sentenza n. 225 del 2009 in quanto ha chiarito un altro passaggio che in modo atecnico e non privo di equivoci veniva indicato con l'espressione “intreccio di competenze”: quello relativo alla qualificazione giuridica dell'incidenza di più competenze sullo stesso bene ambiente.
La Corte ha infatti precisato che il fenomeno in esame si spiega con il concetto tecnico di “concorso di competenze” sullo stesso oggetto; la competenza statuale alla tutela e alla conservazione dell'ambiente “concorre” autonomamente, e non si “intreccia”, con altre competenze regionali concernenti la fruizione dell'ambiente, ognuna delle quali ha un oggetto diverso.
La materia “tutela dell'ambiente e dell’ecosistema” per i giudici costituzionali ha un contenuto allo stesso tempo oggettivo, in quanto riferito ad un bene (l'ambiente), e finalistico, perché tende alla conservazione migliore del bene medesimo; sullo stesso bene - ambiente “concorrono” diverse competenze  che restano, tuttavia, distinte tra loro perseguendo autonomamente le loro specifiche finalità attraverso la previsione di diverse discipline.
Le Regioni, nell'esercizio delle loro competenze, non potranno allora violare i livelli di tutela dell'ambiente posti dallo Stato sebbene, come detto già in precedenza, possano pervenire a livelli di tutela più elevati (sentt. nn. 104 del 2008, 12, 30 e 61 del 2009, 300 e 303 del 2013) incidendo così, seppur indirettamente, sulla tutela ambientale(37).
L'identificazione della legislazione statuale in materia ambientale quale limite alla potestà legislativa regionale, anche laddove esercitata nelle materie di competenza residuale, potrebbe tuttavia permettere allo Stato, almeno teoricamente, di occupare ambiti potenzialmente illimitati, lasciando spazio a quel meccanismo di prevalenza dell'una fonte sull'altra tipico dell'applicazione di un criterio gerarchico(38).

 
34) Così M. CECCHETTI, La materia “tutela dell'ambiente e dell'ecosistema” nella giurisprudenza costituzionale: lo stato dell'arte e i nodi ancora irrisolti, in www.federalismi.it.
35) Cfr. P. MADDALENA, op. cit.
36) In particolare nella sent. n. 61 del 2009 la Corte ha precisato che “Le Regioni, nell'esercizio delle loro competenze, debbono rispettare la normativa statale di tutela dell'ambiente, ma possono stabilire per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze (in materia di tutela della salute, di governo del territorio, di valorizzazione dei beni ambientali, ecc.) livelli di tutela più elevati (vedi sentenze nn. 30 e 12 del 2009, 62, 104 e 105 del 2009). Con ciò certamente incidendo sul bene materiale ambiente, ma al fine, non di tutelare l'ambiente, già salvaguardato dalla disciplina statale, bensì di disciplinare adeguatamente gli oggetti delle loro competenze. Si tratta cioè di un potere insito nelle stesse competenze attribuite alle Regioni, al fine della loro esplicazione. Inoltre è da rilevare che la dizione ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, in materia di tutela dell'ambiente, lo Stato stabilisce “standard minimi di tutela” va intesa nel senso che lo Stato assicura una tutela adeguata non riducibile dell'ambiente”. Tale impostazione è stata di nuovo posta in dubbio nella sentenza n. 62 del 2008, rimasta peraltro isolata, per la quale “la competenza statale nella materia ambientale si intreccia con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare standard di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, restando ferma la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (ex multis, sentenza n. 407 del 2002)”.
37) La Corte costituzionale, nella sent. n. 246 del 2013, afferma che la competenza regionale in materia di cave di cui al 117, comma 4, Cost. trova un limite nella competenza affidata in via esclusiva allo Stato ex art. 117, comma 2, lett. s) Cost. che disciplina l’ambiente nella sua interezza in quanto unità organica che inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario ed assoluto. Pertanto, la Regione può solo incrementare eventualmente i livelli di tutela ambientale allorquando “essa costituisca esercizio di una competenza legislativa della Regione e non comprometta un punto di equilibrio tra esigenze contrapposte espressamente individuate dalle norme dello Stato (sentenze n. 145 del 2013, n. 66 del 2012 e n. 225 del 2009)”.
38) Così, letteralmente, Corte cost. sent. n. 278 del 2012 (Considerato in diritto, Punto 4) mentre,  nella sent. n. 288 del 2012, la Corte ritiene che lo Stato, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva di cui al 117, comma 2, lett. s) Cost., debba apprestare una “ tutela piena ed adeguata”, capace di assicurare la conservazione dell’ambiente per la presente e per le future generazioni potendo porre “limiti invalicabili di tutela” a cui le Regioni “devono adeguarsi rimanendo unicamente libere di determinare, nell’esercizio della loro potestà legislativa, limiti di tutela dell’ambiente anche più elevati di quelli statali”. 
 

Risulta perciò decisivo, anche sul piano scientifico, verificare come la Corte costituzionale abbia in concreto chiarito taluni concetti fondamentali, bilanciato gli interessi emergenti nelle singole fattispecie nonché, più in generale, configurato il rapporto tra Stato e Regioni nelle decisioni più recenti relative alla tutela dell'ambiente.
Appare infatti evidente come la Consulta, attraverso la “rimaterializzazione” dell'ambiente ed il riconoscimento esplicito dell'esclusività della potestà legislativa dello Stato nella tutela dell'ambiente e dell’ecosistema, abbia voluto invertire il senso di marcia rispetto ad un percorso ermeneutico iniziale teso invece a valorizzare anche in tale ambito i profili di “regionalismo cooperativo” presenti nella revisione costituzionale del 2001.
Ciò, tuttavia, non sembra implicare una compressione dell'autonomia regionale perché, al contrario, le nuove tendenze giurisprudenziali sembrano far risaltare con maggiore chiarezza gli spazi di intervento della Regione sia sul piano legislativo che su quello amministrativo(39)
Anche la giurisprudenza costituzionale più recente, pur con accenni variegati, ha manifestato la tendenza a riaffermare la specificità e l'autonomia dell'interesse ambientale (sent. n. 367 del 2007, ma anche ordd. n. 144 e n. 439 del 2007), nonché a proseguire il nuovo orientamento inaugurato con le sentenze nn. 367 e 378 del 2007 per il quale, alla tradizionale qualificazione dell'ambiente come “valore costituzionale”, si affianca il riconoscimento dell'ambiente come vera e propria “materia”, ossia “una entità organica” che ricomprende le norme “di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parte del tutto”.
E’ stato inoltre nuovamente messo in evidenza che la materia “tutela dell'ambiente e dell’ecosistema” ha un contenuto allo stesso tempo oggettivo, in quanto riferito ad un bene, cioè all'ambiente, e finalistico, perché tende alla migliore conservazione del bene stesso (ex plurimis, sentt. n. 104 del 2008, nonché nn. 12, 225 e 315 del 2009).
In ragione di ciò, sullo stesso bene “ambiente” possono concorrere più competenze che  perseguono, autonomamente, le loro specifiche finalità attraverso la previsione di diverse discipline. Infatti da una parte sono affidate allo Stato la tutela e la conservazione dell'ambiente, mediante la fissazione  di livelli “adeguati e non riconducibili di tutela” (sentt. n. 61 e 315 del 2009); dall'altra, compete alle Regioni, nel rispetto dei livelli di tutela fissati dalla disciplina statale, esercitare le proprie competenze, dirette essenzialmente a regolare la fruizione dell'ambiente, evitandone compromissioni ed alterazioni. In questo senso è stato affermato che la competenza statale, allorché sia espressione della tutela dell'ambiente, costituisce “limite” all'esercizio delle competenze regionali.
Le tendenze della giurisprudenza costituzionale degli ultimi anni sono state comunque quelle di ricostruire l'intervento normativo regionale tutto intorno alle competenze di cui all'art. 117, comma 3 e 4 Cost., ferma restando un'interpretazione rigorosa del carattere esclusivo della competenza statale di cui all'art. 117, comma 2, lett. s)(40).
Le Regioni, pur legiferando nell'ambito delle proprie competenze, quali il governo del territorio, la tutela della salute, l'energia, la valorizzazione dei beni ambientali, i trasporti pubblici locali, non possono introdurre norme in contrasto con la legislazione ambientale statale che, pertanto, funge da “limite” mentre, tendenzialmente, possono intervenire prevedendo livelli di tutela ambientali più elevati (sent. n. 61 del 2009) ove ciò fosse necessario per la disciplina di materie di propria competenza.
A ciò si aggiunga che le stesse Regioni non possono dettare una disciplina peculiare per il proprio territorio (sentt. n. 186 del 2010, n. 70 del 2011), ad esempio istituendo nuove funzioni amministrative (sent. n. 127 del 2010), ovvero allocando le funzioni ad un livello di governo diverso da quello individuato dallo Stato (sentt. nn. 29, 142, 254 del 2010 e sent. n. 225 del 2009).
Al riguardo la Consulta nella sentenza n. 373 del 2010, dopo aver chiarito che la disciplina dei rifiuti appartiene in via esclusiva allo Stato e non sono ammesse perciò iniziative delle Regioni di regolamentare nel proprio ambito territoriale la materia, ha precisato che, pur essendo vero che le Regioni nell'esercizio delle loro competenze  devono rispettare la normativa statale di tutela dell'ambiente, tuttavia, possono stabilire, per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze (in materia di tutela della salute, di governo del territorio, di valorizzazione dei beni ambientali ecc.) livelli di tutela più elevati. Con ciò, certamente incidendo sul bene materiale “ambiente”, ma al fine di non tutelarlo, essendo esso salvaguardato dalla disciplina statale, bensì di disciplinare adeguatamente gli oggetti riconducibili alle competenze delle Regioni; si tratterebbe, dunque, di un potere insito nelle stesse attribuzioni spettanti alle Regioni medesime, al fine di una loro concreta esplicazione.
Anche nella sentenza n. 67 del 2014 i giudici costituzionali hanno chiarito che la disciplina dei rifiuti è riconducibile alla materia ambientale di cui al 117, comma 2, lett. s) Cost. pur se interferisce con altri interessi e competenze; inoltre è stato ribadito che detta disciplina “rientrante in una materia che, per la molteplicità dei settori di intervento, assume una struttura complessa, riveste un carattere di pervasività rispetto anche alle attribuzioni regionali (sentenza n. 249 del 2009). Ciò avendo riguardo alle diverse fasi e attività di gestione del ciclo dei rifiuti stessi e agli ambiti materiali ad essi connessi, atteso che la disciplina statale “costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull’intero territorio nazionale come un limite alla disciplina che le Regioni e Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino (sentenze n. 314 del 2009; analogamente, sentenze n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007)”.     
Gli orientamenti della Corte in materia ambientale appaiono però tutt'altro che consolidati: così la sentenza n. 227 del 2011, a proposito della procedura di VIA che mira a accertare in concreto e preventivamente la “sostenibilità ambientale”, sottolinea come  tale procedura rientri nella tutela dell'ambiente in quanto, a parere dei giudici costituzionali, “seppure possono essere presenti ambiti materiali di spettanza regionale […] deve ritenersi prevalente, in ragione della precipua funzione cui assolve il procedimento in esame, il citato titolo di legittimazione statale (sentt. nn. 186 del 2010 e 234 del 2009)”.
Le Regioni sono dunque tenute, per un verso, a rispettare i livelli di tutela uniformi apprestati in materia; per un altro, a mantenere la propria legislazione negli ambiti di competenza fissati dal c.d. Codice dell'ambiente di cui al D. Lgs n. 152 del 2006, nella specie, quanto al procedimento di VIA, con riferimento all'art. 23, comma 2.
Appare qui evidente il richiamo al principio di prevalenza e ad orientamenti espressi anche prima del 2007; si tratta di un esempio, peraltro non isolato nel variegato panorama della giurisprudenza costituzionale come dimostra anche la sentenza n. 244 del 2011 che, sempre a proposito della disciplina dei rifiuti, inquadrata nell'art. 117, comma 2, lett. s) anche se interferisce con altri interessi e competenze, precisa che “deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme su tutto il territorio nazionale, restando ferma la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali” (in senso analogo, si vedano anche le sentt. nn. 269 e 100 del 2014, 285 del 2013 e 54 del 2012).
Tali argomentazioni, peraltro riprese anche nelle sentenze n. 6 del 2008 e n. 249 del 2009, sembrano dunque richiamare l'orientamento antecedente alla “svolta” del 2007 e ancora una volta mostrano una giurisprudenza costituzionale “ondulatoria” che, a distanza di molti anni dall'entrata in vigore della riforma del Titolo V, non consente all'interprete di pronunciarsi in termini certi e definitivi sul nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di protezione ambientale.

 
39) A queste determinazioni giunge P. MADDALENA, op. cit., precisando che “le conclusioni alle quali si è pervenuti non sono di poco valore. Esse, in effetti, se per un verso hanno restituito allo Stato la sua competenza piena ed esclusiva in materia di tutela dell'ambiente, per altro verso, hanno esaltato le competenze regionali in quanto oggi le  Regioni, anziché rincorrere una loro improbabile competenza “integrativa” in materia di tutela dell'ambiente, possono esplicare le proprie competenze (si pensi alla salute) attenendosi anche a livelli di tutela ambientale più elevati, mentre è stato posto in discussione, per il caso di concorso di materie, il cosiddetto “principio di prevalenza”, che in pratica sottrae loro l'esercizio di importanti competenze. L'abolizione di detto principio ed il ricorso all'intesa […] restituirebbe loro rilevantissime e non rinunciabili potestà”. 
40) Cfr., recentemente, Corte cost. sentt. nn. 86, 197 e 210 del 2014, nonché Corte cost. sentt. nn. 54 e 62 del 2012, 44, 70, 128 e 187 del 2011, 142, 193 e 325 del 2010, 246 e 307 del 2009 dove si sottolinea “l'esclusività” della materia di cui all'art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione.
 

5. Solo per tentare una conclusione: profili di criticità e problematiche ancora aperte relativamente alla tutela dell’ambiente e dell'ecosistema.

Un esame sistematico della giurisprudenza costituzionale in materia ambientale   permette in generale di riscontrare la tendenza da parte dei giudici costituzionali ad attenuare lo scontro tra il vecchio ed il nuovo sistema facendo ricorso anche a formule di complessa definizione sul piano tecnico ma, comunque, in grado di favorire una graduale trasformazione del sistema di riparto delle competenze legislative ed amministrative.
L’impostazione antecedente alla “svolta” del 2007 secondo cui l'ambiente integrerebbe un valore fondamentale la cui realizzazione è demandata alla molteplicità delle fonti previste nell'art. 117 Cost. e la cui unitarietà era garantita da quella “clausola di salvaguardia” rappresentata dal titolo di competenza esclusiva in favore dello Stato sulla “tutela dell'ambiente e dell'ecosistema” finiva, però, per comportare notevoli risvolti pratici.
Infatti, sul piano della produzione delle norme, identificando il “valore” una preferenza generale dell'ordinamento in grado di orientare le scelte che il legislatore è in grado di operare, si può affermare che il valore-ambiente finiva in tal modo per rappresentare un nuovo parametro generale che il legislatore non poteva ignorare nei casi in cui un qualsiasi segmento normativo veniva ad “interferire” con la dimensione ambientale.
Il valore ambientale importava rilevanti conseguenze anche sul piano dell'interpretazione delle norme.
Volendo tacere il dibattito assai complesso sul ruolo dell'interprete e sulla funzione dell'interpretazione, in questa sede basti ricordare il principio generale per cui il processo ermeneutico deve svolgersi sulla base dei principi generali dell'ordinamento e secondo i canoni di un'interpretazione costituzionalmente orientata.
Ascrivere il valore ambientale al novero dei principi costituzionali equivale allora ad orientare l'interpretazione giudiziale delle norme verso una direzione che tenda, quantomeno, alla realizzazione anche del valore in esame.
La proclamazione di un valore costituzionale, oltre ad imporsi nella fase della produzione e dell'interpretazione delle norme, rileva comunque per l'intero Stato-comunità e, più in generale, in ogni ambito del giuridicamente rilevante; dunque si tratta di un parametro-guida al rispetto del quale è tenuto ogni intervento, ogni funzione o condotta rilevante sul piano ambientale, a prescindere da quale ne sia il centro di imputazione soggettiva.
La condotta anche di cittadini privati che determina conseguenze impattanti per l'ambiente potrà allora ritenersi legittima solo nei limiti in cui si rendesse necessaria per la realizzazione di un altro valore costituzionale; in ogni caso, il sacrificio imposto al valore costituzionale dell'ambiente non potrà mai pervenire al totale azzeramento dello stesso in favore di un altro.
In sintesi, come autorevolmente osservato in dottrina, “l'ambiente come valore, al pari degli altri valori costituzionali, diventa uno dei beni alla stregua dei quali è necessario orientare ogni manifestazione della legalità”(41) .
Identificare in un “valore trasversale” la chiave di lettura di una norma finiva, non solo per favorire la “relativizzazione” del ruolo delle materie quale criterio di ripartizione delle funzioni legislative in nome di quell’“intreccio di materie” tra quella ambientale ed altre di competenza regionale spesso menzionato, ma esponeva anche al rischio di attribuire all’interprete, e dunque anche alla Corte costituzionale, il potere di “misurare” la norma a seconda dei propri valori .
Forte, dunque, era il rischio che la Corte travalicasse le funzioni ed i confini ad essa assegnati nel sistema costituzionale, di fatto, trasformandosi da Giudice delle leggi in “arbitro” delle medesime; l'adozione della tecnica del bilanciamento favorisce, infatti, per sua natura, l'introduzione di elementi di flessibilità nei parametri di giudizio della Corte in quanto rappresenta l'idea di una giurisprudenza che si sviluppa  “caso per caso” sulla base delle concrete evenienze che si manifestano nelle diverse ipotesi.
In generale, l'analisi delle sentenze più significative in “materia” ambientale ha evidenziato una giurisprudenza “erratica”, non sempre omogenea ed uniforme, dove l'interpretazione del binomio valore-materia da una parte, e degli interessi dall'altra, è risultata fondamentale anche per quelli che possiamo definire “equilibri di sistema”.
L'opzione metodologica maturata dal Giudice delle leggi all'indomani della riforma del Titolo V ha determinato, anche dopo la “svolta” del 2007, orientamenti non sempre lineari; del resto, procedere sempre ad un giudizio di ragionevolezza non poteva che implicare il condizionamento da parte delle diverse circostanze che in concreto erano alla base degli interventi legislativi statali e/o regionali sottoposti di volta in volta all’attenzione dei giudici costituzionali, con inevitabili effetti anche sul principio generale della certezza del diritto in quanto settori particolarmente importanti sono risultati di fatto disciplinati da una legislazione “precaria” perché spesso sub iudice.
La difficoltà di identificare un affidabile criterio di prevedibilità negli arresti della Corte ha finito infatti per essere fonte di aspettative e di tensioni per l'intero panorama degli operatori coinvolti nei diversi ambiti interessati dalle problematiche ambientali; valga al riguardo l'esempio delle decisioni adottate dalla Corte costituzionale in materia di elettromagnetismo dove la contrapposizione tra rilevanti interessi di tipo economico ed industriale e la reclamata tutela dell'integrità e della salubrità ambientale da parte delle diverse collettività locali coinvolte ha visto la Consulta dirimere un contenzioso assai aspro sul quale si sono concentrate notevoli attenzioni.
A nostro parere, però, le contraddizioni e le debolezze insite nel “sistema - ambiente” appena delineato non nascono tutte dall'andamento della giurisprudenza costituzionale che, invece, ha avuto da sempre il merito di attrarre al centro del dibattito giuridico e delle dinamiche di produzione normativa un valore taciuto in Costituzione.
Che la Corte si sia “variamente orientata” nella concreta declinazione di tale valore è stata una conseguenza quasi “fisiologica” di una mancanza che, a ben vedere, si colloca a monte: ovvero, l'assenza di norme costituzionali che definiscano in modo preciso e coerente la posizione giuridica del concetto di ambiente nel nostro ordinamento(42).
Iscrivere l'ambiente tra i principi fondamentali identificati dai primi dodici articoli della Costituzione finirebbe allora per “liberare” l'art. 117, comma 2, lett. s) del “peso” rappresentato dal valore trasversale, restituendo alla norma medesima il compito suo proprio di ripartire tra Stato e Regioni materie, con ciò rispondendo alla necessità di ricondurre ad una coerenza sistematica il nostro impianto costituzionale.
L'opera di “selezione” e di “adeguamento” di regole e principi in materia ambientale, anche di derivazione comunitaria ed internazionale, realizzata nel tempo dalla Corte costituzionale, è apparsa in definitiva meritoria in quanto ha contribuito ad identificare l'effettiva consistenza giuridica del valore ambientale anche nella prospettiva interna.
Comunque, nel fare un bilancio sull'attuale stato della giurisprudenza costituzionale sulla materia contemplata nell'art. 117, comma 2, lett. s) Cost., non si può non evidenziare come siano aperti ancora numerosi problemi.
Anzitutto, a proposito della concreta configurazione della “materia” denominata “tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali”, non si riesce ancora a comprendere con esattezza se si tratta di una materia in senso stretto o di una di quelle “materie-funzione” che, ad avviso della Consulta, sono “contrassegnate più che da una omogeneità degli oggetti delle diverse discipline, dalla forza unificante della loro funzionalizzazione finalistica” (sent. n. 443 del 2007).
Persiste anche il dubbio sulla possibilità o meno per le Regioni di derogare alla legislazione statale sulla tutela dell'ambiente; più in generale, ci si chiede ancora quali siano i titoli di intervento regionali nella potestà legislativa ambientale, e cioè, se le Regioni possano disciplinare la materia ambientale in virtù dell'esercizio di proprie competenze specifiche o per effetto di una sorta di legittimazione ricavabile direttamente dall'art. 117, comma 2, lett. s).
Inoltre, a parere di autorevole dottrina, la Corte costituzionale non sembra aver ancora  fornito un sufficiente criterio ermeneutico per distinguere in modo netto la competenza esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” da quella concernente la materia “valorizzazione dei beni ambientali”. Il confine tra queste due materie, di per sé labile anche sul piano meramente logico, “costituisce senza dubbio il principale propulsore dell’elevata conflittualità tra Stato e Regioni in tema di tutela dell’ambiente”(43).  
L'assenza di un qualunque riferimento ai valori ambientali nella parte della Costituzione dedicata ai principi fondamentali ha favorito quindi l'emersione di equivoci e contraddizioni: la sovrapposizione tra “materia” e “valore” e le conseguenti difficoltà di inquadrare il “valore” secondo la logica delle “materie” del novellato art. 117 Cost. sembrano allora richiedere una esplicita iscrizione dell'ambiente tra i valori fondamentali in modo da garantire maggiore chiarezza e più coerenza sistematica nell'ordinamento(44).
E ciò, anche per evitare il rischio paventato da una parte della dottrina per la quale i nuovi orientamenti espressi dalla Corte costituzionale a partire dal 2007 possano in realtà tradursi nella “reintroduzione surrettizia” di una sorta di “vincolo gerarchico” tra i diversi livelli della potestà legislativa in violazione dell'art. 117, comma 1, Cost.(45).
La configurazione della legislazione statale in materia ambientale quale “limite” alla potestà legislativa regionale sia concorrente che generale-residuale potrebbe infatti portare ad interpretare l'ambiente, concepito come “sistema”, come una sorta di “grimaldello” in grado di “occupare” ambiti potenzialmente illimitati, comunque maggiori rispetto a quelli astrattamente garantiti dalla Costituzione.
In definitiva, lo studio della giurisprudenza costituzionale concernente la tutela dell'ambiente e dell’ecosistema appare fondamentale per chiarire come si è evoluto negli anni un contenzioso tra Stato e Regioni al quale sono sottesi interessi, non solo ambientali, che la Corte costituzionale ha cercato di bilanciare caso per caso.
L'analisi delle sentenze più significative ha consentito però di evidenziare una giurisprudenza con orientamenti non ancora ben consolidati, dove la tecnica del bilanciamento degli interessi ha finito per dare alla Corte costituzionale un ruolo fondamentale nella risoluzione delle questioni di costituzionalità di volta in volta sollevate(46).
L'impressione che si trae da una lettura sistematica delle decisioni più rilevanti in materia ambientale pronunciate dalla Corte dopo la riforma del Titolo V è infatti quella per cui i giudici costituzionali, quantunque approdati a significative evoluzioni rispetto alla “questione ambientale”, non sembrano ancora essere pervenuti ad un epilogo definitivo; ulteriori conseguenze potrebbero altresì derivare dall’entrata in vigore del testo di revisione costituzionale (d.d.l. cost. A.S. n. 1429), approvato in prima lettura al Senato, che sembra ridimensionare l’autonomia regionale prevedendo alla nuova lett. s) dell’art. 117 Cost. la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente ed ecosistema” con importanti ed evidenti riflessi anche sulle tematiche che si sono trattate(47)

 
41) Così B. CARAVITA DI TORITTO, Diritto dell'ambiente, cit., p. 25.
42) Sul problema rappresentato dalla  specificità dell'interpretazione costituzionale, intesa come “procedimento argomentativo […] caratterizzato da una profonda contaminatio con l'esperienza sociale e, in particolar modo, con la produzione di valori e significati propria del divenire sociale” e sul diritto costituzionale come “diritto giurisprudenziale” si rinvia a A. BALDASSARRE, Interpretazione e argomentazione nel diritto costituzionale, in www.costituzionalismo.it
43) Così L. NANNIPIERI, Il ruolo della Corte nella definizione della materia ambientale, in Rivista del Gruppo di Pisa, 2011. In senso analogo, v. anche F. RESCIGNO, Equilibrismi giurisprudenziali,cit., p. 2754 che definisce la novellata disposizione “ambigua e di difficile applicazione”.
44) Del resto, affidarsi ai meri richiami giurisprudenziali,“fisiologicamente” incerti, in una materia fondamentale come quella dell'ambiente significa consegnarla al regno dell'incertezza e della relatività (temporale e territoriale) dei valori. Al riguardo, si v. G. CORDINI, Principi costituzionali in tema di ambiente e giurisprudenza della Corte costituzionale italiana, in Riv. giur. ambiente, 2009, p. 621 secondo il quale “ risulta confermata l’opportunità di inserire nel nostro testo costituzionale una norma di principio a tutela dell’ambiente, ove la configurazione giuridica unitaria possa risultare espressa con chiarezza e il riferimento alla relazione tra diritti e doveri sia definito in termini espliciti”. Si deve inoltre valutare quanto sostenuto da S. NESPOR, L'ambiente nella riforma costituzionale: virtualità e contraddizioni, in www.federalismi.it per il quale il rischio di considerare la tutela dell'ambiente esclusivamente come un valore costituzionale trasversale, per giunta non scritto, importa affidare un settore “vitale” come l'ambiente ad una “scelta politica, che è, nella sua componente migliore, appunto scelta di valori, senza più alcun limite di carattere costituzionale” Del resto, osserva l'Autore, “[...] i valori sono, per loro natura, soggettivi, relativi e mutevoli. Gran parte delle battaglie per i diritti civili e delle persone combattute e vinte in questo paese sono state condotte proprio in nome della relatività dei valori che stanno alla base della civile convivenza e quindi dell'inaccettabilità dell'imposizione di valori assoluti e della necessità di includere e di accettare visioni del mondo che sono informate a diverse e non necessariamente condivisibili organizzazioni di valori. Quindi, ciò che è valore per l'uno, non lo è per l'altro. Ciò che era valore una volta, non lo è più oggi”.
45) Così D. PORENA, op. cit., pp. 28-29.
46) F. RESCIGNO, op. ult. cit., p. 2759, esaminando la giurisprudenza costituzionale più recente, esprime dubbi legati ad un drastico allontanamento che, nel corso degli anni, la Corte avrebbe maturato rispetto alla definizione di un effettivo “diritto all’ambiente”. La Corte, a parere dell’Autore, sembra voler ridimensionare la portata di tale principio discostandosi dalle pronunce in cui affermava il “valore ambientale”; l’intenzione non sembra più quella di riempire il vuoto costituzionale rendendo, in tal modo, non più rinviabile un intervento del legislatore costituzionale volto a formalizzare un effettivo “diritto diffuso all’ambiente”.
47) Al riguardo v. A. STERPA, Le riforme costituzionali e legislative del 2014: quale futuro per la multilevel governance dell’ambiente, in www.federalismi.it, nonché S. PAJNO, Considerazioni sulla riforma costituzionale in progress tra Governo, Senato e Camera dei deputati, in www.federalismi.it, secondo il quale “[ ...] non è difficile scorgere un intento riduttivo dell’autonomia regionale sia nell’eliminazione dell’obiettivo ‘finalistico’ della ‘tutela’ in relazione all’ambiente e all’ecosistema, sia nella ‘centralizzazione’ della competenza in materia di ‘valorizzazione dei beni (…) paesaggistici’, pur a fronte dell’esplicito (ma abbastanza oscuro quanto all’esito) riconoscimento di una competenza della legge regionale in tema di ‘promozione dei beni ambientali e (…) paesaggistici’ ”.