La proprietà rurale nella storia del pensiero economico: una lettura moderna “Dimmi, o Critobulo, la economia è egli il nome di una scienza, come lo è la medicina, o l'architettura, o la scultura? – Così mi pare, disse Critobulo. – Adunque siccome di queste arti potremo dire quale sia l'officio di ciascuna, così ancora dell'economia potremo dire quale sia il suo officio? – Io avviso, rispose Critobulo, che ad un buono economo si appartenga di ben governare la propria casa”(6).
Così si rivolgeva Socrate a Critobulo nell’“Economico”(7) di Senofonte(8), una raccolta di dialoghi sulla gestione patrimoniale della casa e dell’agricoltura, discorrendo della scienza dell’amministrazione domestica e includendo l’agricoltura tra gli oggetti della scienza economica in grado di generare ricchezza per coloro i quali sapessero praticarla.
In altri termini, la proprietà rurale (e forestale), ma anche lo stesso denaro, sono beni in grado di generare utili solo attraverso una corretta gestione(9) e “il fatto di possedere molti beni non rende automaticamente un uomo capace di amministrarli e farli fruttare”(10). Nel XVIII° secolo i fisiocratici(11) affermano che la tutela dell’agricoltura e dell’utilità economica dalla stessa assicurata, debba ricondursi a un ordine naturale preesistente e sovraordinato agli ordinamenti positivi, riconoscendone il ruolo di settore trainante dell’economia in quanto in grado di generare nuova ricchezza.
Un tratto distintivo della scuola fisiocratica risiede nel diverso ruolo attribuito allo Stato, infatti i fisiocratici propongono la teoria del “laissez faire”. Sono convinti sostenitori della libertà di iniziativa economica e del libero scambio.
Allo Stato spetta un ruolo molto meno influente, che qualcuno arriva a limitare alla sola tutela della proprietà privata. Di conseguenza la regolamentazione deve essere fortemente limitata perché può impedire lo sviluppo economico.
Tuttavia la libertà d’iniziativa economica, con riguardo al regime della proprietà forestale, trova un limite nell’art. 41 della Costituzione italiana, anche alla luce della recente riforma costituzionale(12).
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L’iniziativa economica privata è libera, ma non assoluta, anche al fine di assicurare, oltre alle finalità di tutela ambientale, una proporzionata distribuzione delle risorse che il mercato da solo non è in grado di assicurare. Il nostro ordinamento, dal secondo dopoguerra agli anni ‘90, prevedeva un’economia mista pubblica e privata, in apparente contrasto con le regole della concorrenza e del libero mercato. Lo Stato non si limitava a regolamentare ma interveniva quale vero e proprio “imprenditore”.
A partire dagli anni ’90 si è invece assistito ad una inversione di tendenza, in particolare alla dismissione delle partecipazioni statali detenute e alla privatizzazione delle imprese pubbliche e, in luogo di rigide forme di controllo, hanno preso piede le c.d. politiche di settore con risvolti economici in termini di incentivi o sgravi fiscali per specifici obiettivi(13).
Caposaldo delle politiche forestali rimane il già centenario e ancora in vigore Regio Decreto 30 dicembre n. 3267 del 1923 recante “Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani”, conosciuto come “Legge Serpieri”(14), che diede una prima sistemazione organica delle diverse disposizioni in materia forestale. L’obiettivo, tutt’ora imprescindibile, era quello di favorire l’economia montana e, al contempo, proteggere il suolo e il territorio mediante la disciplina del vincolo idrogeologico(15).
In un percorso lungo oltre un secolo, “i boschi italiani, da risorsa economica nella esclusiva disponibilità del proprietario, privato e pubblico, sono infatti diventati mezzo per la tutela idrogeologica del territorio, fattori di sviluppo dell’economia nazionale, componenti essenziali del paesaggio, scrigno di valori ecologici meritevoli di tutela e protezione, habitat indispensabili alla conservazione di specie, presidi di tutela dell’ambiente”(16). Quanto precede, per una puntuale contestualizzazione, deve necessariamente essere letto alla luce dell’evoluzione economica in un’ottica ambientale e orientata alla sostenibilità.
Per lungo tempo, fin verso la prima metà degli anni ’60 del secolo scorso, la tutela dell’ambiente veniva considerata una materia degna del solo interesse interno per gli Stati.
Successivamente la Comunità internazionale iniziò a comprendere la necessità di un’azione comune, venendosi così a creare un diritto internazionale dell’ambiente costituito da norme consuetudinarie e convenzionali, principi generali e altri atti ad efficacia non vincolante.
La nuova fase della politica ambientale internazionale si inaugura con la Conferenza delle Nazioni unite sull’ambiente umano tenutasi a Stoccolma nel 1972, conclusasi con l’adozione di un Piano d’azione e di una Dichiarazione di principi.
Nel giugno del 1992 si è tenuta a Rio de Janeiro la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e sullo sviluppo. La Conferenza si concluse con la redazione di tre importanti documenti e, in particolare, con la “Dichiarazione di principi per la conservazione e lo sviluppo sostenibile delle foreste”.
Lo sviluppo si definisce sostenibile(17) quando è in grado di assicurare un equilibrato sfruttamento delle risorse, tale da non compromettere, in futuro, l’accesso alle medesime a parità di condizioni.
Volendo riportare il discorso ai giorni nostri, con riguardo al settore forestale, i boschi italiani rispetto a quelli di altri Paesi, complice l’orografia del territorio, appaiono molto pregiati dal punto di vista della biodiversità, ma connotati da processi gestionali complessi e meno redditizi da un punto di vista produttivo.
La loro bassa produttività va ricercata senz’altro nella elevata frammentazione fondiaria e nelle difficoltà di accesso alle piccole proprietà che, talvolta, per la loro ubicazione, risultano irraggiungibili o difficilmente raggiungibili(18).
La seconda metà del secolo scorso è stata caratterizzata dall’abbandono delle aree interne e conseguente perdita delle tradizionali pratiche colturali, a scapito di una gestione forestale attenta e, di conseguenza, da una minore attenzione per il comparto nel suo insieme e per le aree interessate.
Tali problematiche impattano sui costi della gestione e delle utilizzazioni, generando disinteresse da parte dei singoli proprietari, che preferiscono investire altrove i propri risparmi, in attività dove i guadagni sono più facilmente realizzabili, trascurando territori e proprietà che una volta costituivano fonti di reddito e generavano cespiti utili al sostentamento familiare, e che spesso diventano bersaglio di attività illegali (furti di legname, tagli e pascoli abusivi, incendi boschivi, invasione di terreni e bracconaggio, per citarne alcune).
“Il fenomeno della frammentazione è oggi particolarmente evidente su quelle proprietà che attualmente private sono sostanzialmente da considerare “polverizzate” in quanto - ancorché non ulteriormente divise a catasto - appartengono a molteplici eredi che spesso non conoscono il proprio bene né tanto meno le relative problematiche gestionali e, a volte, sono ormai irreperibili”(19).
Infatti, in Italia il livello di utilizzazione forestale è molto basso, circa ¼ della disponibilità complessiva, e inferiore alla media europea(20).
Il patrimonio forestale italiano, esteso per circa 1/3 della superficie totale nazionale, è parte costituente del patrimonio economico.
Negli ultimi sessanta anni la superficie forestale nazionale è triplicata a fronte dello spopolamento di aree prima abitate ma che, a causa delle difficili condizioni di vita, hanno spinto gli allora residenti a preferire zone meglio servite e con più facile accesso al mercato del lavoro.
La perdita di un tale presidio legato alla presenza dell’uomo e alla cura del territorio, ha sì da una parte generato la naturale espansione delle aree verdi, ma è stata “spontanea” e non gestita mediante una oculata pianificazione, piuttosto caratterizzata da interventi sporadici o “a macchia di leopardo” tendenti a monetizzare il più possibile la massa legnosa asportata con ulteriore impoverimento e degrado, questa volta non solo in termini economici ma anche ecologici, dei soprassuoli sfruttati con delle tecniche selvicolturali inappropriate.
L’altra, non meno importante faccia della medaglia, è la presa d’atto che la lavorazione del legno in Italia è un settore florido, ma il legname lavorato non ha origine nazionale ed è in buona parte importato (risultando talvolta privo di tracciabilità). L’UE, nella consapevolezza di queste esigenze, ha emanato nel 2010 il Regolamento EUTR (Reg. UE n. 995/2010 sulla Due Diligence), con il quale è richiesta la rintracciabilità di tutto il legname commercializzato in Europa ai fini del contrasto all’importazione illegale.
Per l’Ecological Economics “l’economia è un sottosistema aperto appartenente ad un ecosistema globale finito e non crescente, dove devono essere rispettati dei vincoli sulla capacità dell’ecosistema di svolgere le funzioni ambientali di base”(21).
L’evoluzione della società e la crescente pressione antropica sui beni naturali, ha condotto gli economisti a superare visioni più tradizionali del sistema economico. Accanto alla tradizionale sovranità del consumatore che influenza il mercato e dei prezzi come “cartina di tornasole” del sistema economico, assumono rilievo il valore dei beni extra-mercato come le risorse ambientali e gli strumenti di politica economica impiegabili per una migliore qualità ambientale nell’ottica di una gestione “sostenibile”, peraltro avallata dalla Strategia Forestale Nazionale (SFN). Per sostenibilità non si intende solamente garantire una quantità costante di risorse ambientali, quindi saper non solo “conservare”, ma anche “ricostruire” e “rigenerare”(22).
“Valorizzare il contributo della natura e delle foreste nelle politiche per il clima, puntare sulla tutela della biodiversità e promuovere la gestione forestale sostenibile per garantire l’erogazione di tutti i servizi ecosistemici, rafforzare le filiere forestali sostenibili e le produzioni locali, frenare l’abbandono della montagna, prevenire il degrado ed i rischi per il territorio, rendere le città più verdi e resilienti al cambiamento climatico”(23), sono gli obiettivi per una bioeconomia circolare.
In Italia il comparto forestale produce l’1,6% del Pil con oltre 300mila occupati nel settore legno arredo, carta e packaging(24).
Tra le misure impiegabili annoveriamo il sostegno delle filiere forestali locali e del mercato energetico connesso, la tutela del made in Italy (la qualità dei manufatti e il design italiani sono indiscussi a livello globale dando spesso origine a fenomeni di imitazione/contraffazione), la diffusione della “cultura della pianificazione” e della certificazione dei prodotti di origine forestale, contrastando il commercio illegale del legno e dei prodotti derivati.
In ultima analisi, le esigenze produttive debbono coniugarsi con uno sviluppo nell’ottica della sostenibilità e della tracciabilità, nel rispetto della conservazione della biodiversità e della valorizzazione economica delle filiere locali.
La gestione forestale “adattiva”

L’obiettivo principale della nuova strategia forestale per il 2030 è l’incremento quantitativo e qualitativo delle foreste, del grado di tutela e della funzionalità.
“Gli obiettivi e le strategie per clima, biodiversità e foreste della UE sono ambiziosi e richiedono foreste più estese, più sane e più diversificate per favorire lo stoccaggio e il sequestro del carbonio, attenuare gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute umana e porre un freno alla perdita di habitat e specie”(25).
L’approccio della Strategia forestale UE si differenzia rispetto al passato: si passa da una visione “close to nature” (prossima alla natura) ad una “closeR to nature” (più prossima alla natura), introducendo il concetto di gestione “adattiva”: non si definisce cioè un punto di arrivo, bensì si disegna un tracciato che ha un punto di partenza influenzato da diversi fattori ambientali, economici e sociali e che può mutare in corso d’opera, adattando le strategie di gestione(26).
In Europa l’approccio selvicolturale e culturale è variegato in funzione delle differenti caratteristiche ambientali e tradizioni locali: si va da una funzione spiccatamente produttiva ad approcci tendenti alla valorizzazione della multifunzionalità del bosco.
Concetto chiave per una tutela estesa (e paesaggistica) dei boschi è quello di pianificazione, in un’ottica di medio-lungo periodo.
All’interno dei Trattati europei non si rilevano specifici riferimenti alle foreste atteso che l’Unione Europea non ha una politica forestale comune, lasciando ai singoli Stati la relativa competenza.
Le competenze comunitarie, tuttavia, trovano intersezione con il settore forestale se consideriamo quelle ambientali e la gestione di misure, come la PAC, che riguardano foreste ed ambiente.
Lo strumento utilizzato dalla Commissione per pubblicare le “Strategie Biodiversità e Foreste” è quello, non vincolante, della “Comunicazione”.
A differenza di quanto avviene in molti paesi dell’Europa del nord, l’applicazione della selvicoltura “più prossima alla natura” in Italia è coerente con le politiche nazionali e regionali degli ultimi decenni ed in particolare con il TUFF e con la recente Strategia Forestale Nazionale (Gazzetta Ufficiale del 9 febbraio 2022)(27).
La Strategia forestale riconosce una “consolidata tradizione selvicolturale nazionale e locale, fondata su basi naturalistiche (rinnovazione naturale, continuous forest cover nei soprassuoli governati a fustaia, prevalenza di formazioni miste con specie autoctone e limitata presenza di specie esotiche) e di sostenibilità”(28).
La portata innovativa del TUFF risiede nell’aver specificato finalmente cosa debba intendersi per “programmazione forestale” di lungo periodo, quindi in antitesi all’abbandono colturale, stabilendo una gerarchia programmatica che parte dalla SFN e si articola in ulteriori tre diversi livelli discendenti in un’ottica di armonizzazione “a cascata” dal livello nazionale a quello locale.
La valorizzazione della produzione legnosa e non (prodotti secondari del bosco),
rappresenta una delle finalità della programmazione e pianificazione forestale quale opportunità economica per molti comprensori boschivi.
A tale scopo, l’art. 6 comma 7 del TUFF ha previsto un apposito d.m. attuativo “(…) per la definizione dei criteri minimi nazionali di elaborazione dei piani forestali di indirizzo territoriale (…) e dei piani di gestione forestale, o strumenti equivalenti (…)” con l’obiettivo “di armonizzare le informazioni e permettere una loro informatizzazione su scala nazionale”.
L’articolo disciplina poi una programmazione e pianificazione forestale multilivello(29), prevedendo la seguente articolazione al di sotto del livello statale costituito dalla Strategia Forestale Nazionale:
- il Programma Forestale Regionale (PFR);
- il Piano Forestale di Indirizzo Territoriale (PFIT);
- il Piano di Gestione Forestale (PGF).
La gestione forestale “attiva” e l’addizionalità Secondo la definizione di “Forest Europe”, adottata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), per “Gestione Forestale Sostenibile” si intende “la gestione e l'uso delle foreste e dei terreni forestali in un modo e ad un ritmo che mantengano la loro biodiversità, produttività, capacità di rigenerazione, vitalità e il loro potenziale per svolgere, ora e in futuro, le loro funzioni ecologiche, economiche e sociali, a livello locale, nazionale e globale e che non provochino danni ad altri ecosistemi”(30).
In assenza di una visione orientata alla “sostenibilità gestionale” e al contrasto ai disboscamenti illegali, le comunità dipendenti dalle foreste e le economie rurali non possono prosperare.
I principi della “Gestione Forestale Attiva”, il cui significato è perfettamente sovrapponibile a quello di “Gestione Forestale Sostenibile” (acronimo GFS), permeano il nuovo assetto normativo nazionale.
La ratio di dare eguale significato alle due espressioni risiede nell’esigenza di uniformare due concetti già presenti nell’ordinamento nazionale e regionale. Più nello specifico, la “Gestione attiva” compariva nell’ordinamento nazionale già dal 2008, con il “Programma Quadro per il Settore Forestale” (PQSF), alla stregua di uno “strumento programmatico e operativo in grado di portare le diverse esigenze dell’economia, dell’ambiente e della società sul territorio, garantendo la conservazione delle foreste e la fornitura dei relativi Servizi Ecosistemici”.
A livello ermeneutico i dubbi non ricadono tanto sulla parola “attiva”, piuttosto sulla parola “gestione”, che non significa solo “utilizzare” o “tagliare”, ma “avere cura” responsabilmente. È in questa parola la svolta culturale più importante del TUFF rispetto al passato.
In capo al gestore di un bosco, pubblico o privato, sia esso proprietario o meno, ricade una precisa responsabilità che si estrinseca attraverso scelte tecniche nei confronti di un bene di interesse comune e della società, attuale e futura.
Il gestore deve pertanto “attivarsi” assumendo decisioni interventiste o conservative cristallizzate in un atto di pianificazione.
Nel settore forestale italiano, dove il 65% della superficie complessiva è di proprietà privata, in antitesi al concetto di gestione si pone quello di abbandono (colturale e culturale), discendente da una mancata assunzione di una scelta di responsabilità, alimentata dal disinteresse.
L’abbandono non è una forma di gestione o governo del bosco, a meno che non sia deliberato e racchiuso all’interno di un atto di gestione o strumento di pianificazione forestale.
Il TUFF, nel ripercorrere ed aggiornare l’impianto normativo del d.lgs. n. 227 del 2001 e nel ribadire che i profili di tutela ambientale, della biodiversità e del paesaggio, sono di esclusiva competenza dello Stato in quanto già disciplinati da apposita normativa (Codice dell’Ambiente di cui al d.lgs. n. 152 del 2006-2008 e Codice Urbani d.lgs. n. 42 del 2004), si pone quale atto di indirizzo e di coordinamento dell’intero settore.
Una importante novità è rappresentata dal riconoscimento dei gestori forestali quali erogatori di servizi ambientali (servizi ecosistemici che di norma non hanno un mercato).
Tra le novità(31) afferenti alle competenze, si segnala l’affidamento alle Regioni del compito di promuovere il recupero produttivo della proprietà fondiaria e dei terreni abbandonati o “silenti”. La disposizione prevede un primo momento rappresentato da una forma volontaria d’intervento, nell’ambito del quale i proprietari o gestori provvedono, in accordo con gli enti competenti, alla realizzazione degli interventi di gestione necessari per il ripristino o la valorizzazione agro-silvo-pastorale dei propri terreni.
Per la prima volta nell’ordinamento della legislazione forestale nazionale(32) viene definita, come già accennato, una chiara gerarchia programmatica, a struttura piramidale, che si articola in un primo livello nazionale, la “Strategia forestale nazionale”; un secondo livello regionale, i “Programmi forestali regionali” e i “Piani forestali” di indirizzo territoriale; ed un terzo livello riferito ad un ambito aziendale o sovra aziendale di livello locale, i “Piani di gestione forestale” o strumenti equivalenti (piani economici, piani di assestamento, ecc.).
La “Strategia Nazionale sulla Biodiversità” individua, tra le priorità, la salvaguardia e il ripristino dei servizi ecosistemici, cercando di orientarne la fruizione e i relativi vantaggi economici in modo sostenibile.
Non si può non riconoscere il valore pubblico dei servizi ecosistemici, ed in particolare di quelli molteplici resi dalle foreste poiché forniscono alla collettività, direttamente o indirettamente, a livello locale e globale, servigi benefici per la persona e utili al sostentamento economico(33).
Il capitale naturale, al fine di evitare i fallimenti del mercato legati alla sua gestione, necessita di una opportuna remunerazione per gli operatori del settore che, altrimenti, perdono interesse al management dei beni naturali, a scapito della protezione che la presenza umana garantisce e che comporta una riduzione dell’offerta per l’intera collettività(34).
L’attenzione ai servizi ecosistemici registra una fase ascendente(35) sia con riferimento alla loro quantificazione, sia alla loro implementazione nei processi decisionali del management delle aree protette e del territorio.
Ecosistemi gestiti correttamente possono offrire un contributo determinante, poiché i loro servizi gratuiti e non sostituibili costituiscono un importante volano economico che l’economia tradizionale non può sottovalutare considerando i servizi ecosistemici (SE) “servizi senza mercato”, essendo invece di importanza strategica in un’ottica di “ecologia economica” e di nuovi indicatori di integrazione del PIL(36).
Le Regioni promuovono, coerentemente con le previsioni della strategia forestale dell’Unione Europea, sistemi di pagamento dei “servizi ecosistemici ed ambientali” (PSEA) generati dalle attività di gestione forestale sostenibile come previsto nell’ambito della disciplina in materia di cui alla legge 28 dicembre 2015, n. 221 “Disposizioni in materia ambientale e di green economy”.
Il comma 9 dell’art. 7 del TUFF, in merito alla promozione di sistemi PSEA, chiarisce che gli accordi contrattuali devono basarsi su principi e criteri quali la volontarietà dell’accordo tra fornitore e beneficiario, l’addizionalità degli interventi oggetto di PSEA rispetto alle condizioni ordinarie di offerta dei servizi e la permanenza delle diverse funzioni di tutela ambientale presenti prima dell’accordo(37).
Giova soffermarsi sul concetto di addizionalità poiché al pagamento deve corrispondere non un ordinario intervento di gestione della risorsa (forestale), ma un intervento che migliori lo status quo che consenta di aumentarne l’offerta in termini di benefici per la collettività, sottintendendo altresì un’ottica di almeno medio-lungo periodo per evitare che, finito il periodo pattuito, la risorsa ritorni ad essere utilizzata allo status quo ante con una nuova contrazione dei servizi assicurati(38).
Siffatti pagamenti spesso sono avvenuti e avvengono per il tramite dei “Piani di Sviluppo Rurale” (PSR), ossia la pubblica amministrazione eroga dei finanziamenti ai proprietari/gestori di soprassuoli forestali a fronte di interventi migliorativi che consentano alle comunità locali ed ai fruitori a qualunque titolo dei boschi (turisti, villeggianti, raccoglitori di funghi e tartufi, escursionisti, sciatori ecc.), di incrementare le generali condizioni socio-ambientali-economiche di benessere(39).
Conclusioni La materia forestale riveste carattere strategico per l’economia nazionale e si pone in maniera trasversale alle diverse politiche di settore e agli apparati normativi che ne disciplinano i molteplici aspetti, in un contesto internazionale e comunitario sempre più attento e orientato alla dimensione eco-sostenibile.
Il trasferimento delle competenze alle Regioni, operato negli anni ’70 per quel che attiene alla materia forestale non è stato immediatamente seguito da una legge quadro nazionale, ma da singole leggi regionali, a scapito della uniformità e visione d’insieme nella governance di settore.
Dal 2001, il d.lgs. del 18 maggio, n. 227, raggiunge una nuova visione strategica di medio-lungo periodo (20 anni) e getta le basi per una pianificazione della gestione attiva e sostenibile delle foreste.
Le politiche forestali nazionali debbono considerare che “i boschi italiani, a differenza della prima metà del secolo scorso, non sono costituiti più da popolamenti degradati da difendere dai tagli e dal pascolo, bensì sono una risorsa naturale ed un potenziale economico da valorizzare con il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali e gli operatori economici in maniera attiva, partecipata e sinergica …(40)”
La riforma del 2018 evidenzia che la multifunzionalità (inclusa la produttività) del bosco assume un ruolo strategico per l’economia nazionale, potendo contribuire allo sviluppo delle aree montane e collinari rurali e di nuove “economie verdi”, mediante la gestione attiva del patrimonio forestale nazionale e la promozione dello sviluppo sostenibile delle sue filiere.
Ecco che emerge chiaramente il valore della pianificazione e della programmazione (che possiamo usare come sinonimi), che consente di rendere “appetibile” il mercato forestale per gli addetti ai lavori, anche mediante la previsione di incentivi e finanziamenti non appesantiti da gravami burocratici che ne impediscano il reale accesso.
Allora diventa fondamentale riportare l’attenzione sulle aree rurali montane e collinari, già oggetto in un ormai lontano passato di attenzioni da parte della politica nazionale, al fine di riprendere in mano un territorio che per troppo tempo è stato lasciato in stato di incuria, “incolto” potremmo dire, con disordinate “incursioni” volte al solo sfruttamento per trarre il massimo guadagno nel minor tempo possibile e con danni al soprassuolo e all’ambiente.
Ed è proprio la presenza (e il ritorno) dell’uomo, l’occhio attento del coltivatore di boschi serio e competente guidato da una pianificazione che preservi nel medio-lungo periodo, supportato da una pubblica amministrazione consapevole di tutelare un interesse superiore, non solo del singolo, ma collettivo, e destinatario di adeguati incentivi a fronte di interventi razionali, che la cura del territorio tornerà ad essere lo strumento per far fronte ai fenomeni conseguenti all’abbandono colturale e “culturale”: il dissesto idrogeologico, gli incendi boschivi e la perdita di biodiversità.
A ciò si aggiunga, infine, l’addizionalità derivante da interventi migliorativi a fronte di pagamenti per l’offerta di servizi ecosistemici, altro volano di sviluppo per le imprese che operano nel settore.
Il TUFF, in definitiva, è uno strumento di contrasto all’abbandono e al declino demografico nelle aree interne e incentivo per la crescita occupazionale, elemento di valorizzazione di tutte le attività economiche e imprenditoriali che ruotano intorno all’ecosistema bosco (filiera del legno e dei prodotti secondari, turismo, conservazione della biodiversità), nel rispetto del territorio, dell’ambiente, del paesaggio e del clima.
1 11.778.249 ha, dati Registro IUTI 2017 - Centro A.r.I.A. Università degli Studi del Molise.
2 R.D. 3267/23, noto anche come “Legge Serpieri”.
3 P. Corona et al., Elementi di orientamento per la pianificazione forestale alla luce del Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali, in Rete Rurale Nazionale 2014-2020, Linee Guida, p. 7.
4 P. Corona et al., op. cit., p. 7.
5 P. Corona et al., op. cit., p. 7.
6Senofonte, L'Economico, IV secolo a.C, trad. it. di G. Fiorenzi, Pesaro, Tipografia Nobili, 1825, cap. 1, p.1. Fonte: Google Books (“ultimo accesso: 02/03/2024”).
7 Opera del IV secolo a.C.
8 Storico ateniese (430-354 a. C. ca).
9 E. Pischedda, L’oikonomia tra V e IV secolo. La pratica economica privata nell’Economico di Senofonte, in “ὅρµος - Ricerche di Storia Antica n.s. 11-2019, p. 178.
10 E. Pischedda, op. cit., p. 181.
11 La fisiocrazia, che letteralmente significa “potere o governo della natura”, è la Scuola economica francese (1750-1780), il cui fondatore fu François Quesnay, nel cui pensiero ravvisiamo la preferenza decisa per gli interessi dell’agricoltura e della proprietà rurale e che elaborò nella teoria del “sistema agricolo”.
Egli formalizzò il pensiero fisiocratico schematizzando il funzionamento del sistema economico mediante il Tableau économique (1759).
12 L. Cost. 11 febbraio 2022.
13 Per approfondimenti v. Art. 41 costituzione - Brocardi.it (“ultimo accesso: 05/04/2024”).
14 Dal nome del Sottosegretario dell’allora Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste Arrigo Serpieri, economista, politico e agronomo italiano.
15 Per approfondimenti v. I. Franceschini, 1923-2023: cento anni dalla “Legge Serpieri”, strumento per la tutela, la gestione e la valorizzazione dei boschi italiani, in Rivista tecnico scientifica e ambientale Silvae on-line dell’Arma dei Carabinieri consultabile sul sito www.carabinieri.it (“ultimo accesso: 06/04/2024”).
16 Accademia Italiana di Scienze Forestali, Cento anni dalla “Legge Serpieri”, Tutela, gestione e valorizzazione dei boschi italiani, consultabile al sito www.aisf.it (“ultimo accesso: 06/04/2024”).
17 Dal Rapporto Bruntland del 1987 “Lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri”.
18 Relazione illustrativa al Decreto Legislativo Recante Testo Unico in materia di Foreste e Filiere Forestali, p. 7.
19 Relazione illustrativa cit., p. 7.
20 Relazione cit., p. 7.
21 Economia e questione ambientale (societaria.it) (“ultimo accesso: 08/04/2024”).
22 La bioeconomia delle foreste: Conservare, ricostruire, rigenerare. Terzo Forum nazionale sulla gestione forestale sostenibile. CS-bioeconomia-foreste.pdf (legambiente.it) (“ultimo accesso: 08/04/2024”).
23 Forum cit.
24 Dati FederlegnoArredo- ConLegno
25 R. Motta, J. Bo Larsen, Un nuovo paradigma per la gestione forestale sostenibile: la selvicoltura “più” prossima alla natura, in Forest@ - Rivista di Selvicoltura ed Ecologia Forestale, Commenti e Prospettive, doi: 10.3832/efor4124-019 vol. 19, p. 52
26 C. Messier et al. (2015). From management to stewardship: viewing forests as complex adaptive systems in an uncertain world. Conservation Letters 8: 368-377. - doi: 10.1111/conl.12156
27 R. Motta, J. Bo Larsen, op. cit., pp. 58-59.
28 R. Motta, J. Bo Larsen, op. cit., p. 59.
29 M. Brocca, La pianificazione forestale, in N. Ferrucci (a cura di), Commentario al Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali (d. Lgs. 3 aprile 2018, n. 34), Milano, Wolters Kluwer, 2019, pp. 101-116.
30 www.pefc.it (“ultimo accesso: 27/04/2024”)
31 Art. 12 TUFF.
32 Art. 6 TUFF.
33 R. Costanza, 2008. Ecosystem services: Multiple classification systems are needed. Biological Conservation 141: 350-352. V. anche R. Santolini, Servizi Ecosistemici e Sostenibilità, in Ecoscienza n. 3, anno 2010, Biodiversità, pp. 20-23.
34 D. Pettenella – G. Bottaro, I pagamenti per i servizi ecosistemici, in N. Ferrucci (a cura di), Commentario al Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali (d.lgs. 3 aprile 2018, n. 34), Milano, Wolters Kluwer, 2019, p. 241.
35 R. Santolini, op. cit., pp. 20-23.
36 www.stiglitz-sen-fitoussi.fr, v. anche Ecoscienza 2/2010 www.ecoscienza.eu (“ultimo accesso: 22/05/2024)
37 A. Marciano- Dispense Corsi di specializzazione e formazione forestale dell’Arma dei Carabinieri.
38 D. Pettenella – G. Bottaro, op. cit., p. 246.
39 D. Pettenella – G. Bottaro, op. cit., pp. 247-248.
40 A. Marciano - Dispense Corsi di specializzazione e formazione forestale dell’Arma dei Carabinieri.
Bibliografia -BROCCA M., La pianificazione forestale, in N. Ferrucci (a cura di), Commentario al Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali (d. lgs. 3 aprile 2018, n. 34), Wolters Kluwer, Milano, 2019.
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Foto a cura dell'App. Sc. Q.S. Michele Martinisi, Nucleo Carabinieri Forestale di Castrovillari (C