Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

DIRITTO 
L’ESTINZIONE DEI REATI AMBIENTALI- DISCIPLINA SANZIONATORIA DEGLI ILLECITI AMMINISTRATIVI E PENALI IN MATERIA DI TUTELA AMBIENTALE (ART. 1, COMMA 9 L. 68/2015) ​
21/10/2022
di Giuseppe GIOVE[1]


FOTO ARTICOLO GIOVECon la legge n.68 del 2015 sui c.d. “ecoreati” viene inserito un sistema normativo finalizzato ad una risposta sanzionatoria a fenomeni criminali di aggressione all’ecosistema e vengono inseriti sette articoli che introducono nel Codice dell’Ambiente una “parte sesta-bis”, sugli aspetti sanzionatori degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale, prevedendo un meccanismo di estinzione delle contravvenzioni ambientali che non cagionano danno o pericolo concreto ed attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette. I menzionati concetti di danno e pericolo impongono alcune riflessioni sull’assetto normativo, sia per la modalità sia per il livello di offesa al bene giuridico protetto.

 

With the law n.68 of 2015 on the so-called "Eco-crimes" a regulatory system is inserted aimed at a sanctioning response to criminal phenomena of aggression to the ecosystem and seven articles are inserted that introduce a "part six-bis" into the Environmental Code, on the sanctioning aspects of administrative and criminal offenses in environmental protection, providing for a mechanism for extinguishing environmental fines that do not cause damage or concrete and current danger of damage to protected environmental, urban or landscape resources. The aforementioned concepts of damage and danger require some reflections on the regulatory framework, both for the modality and for the level of offense to the protected legal asset.

La norma – che inserisce al Codice dell’ambiente una Parte VI-bis – introduce nell’ordinamento un meccanismo estintivo delle contravvenzioni in materia ambientale, sostanzialmente basato sul modello di cui al D.Lgs. 758/1994 recante modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro.

È in ogni caso necessario che i comportamenti connessi alle ipotesi contravvenzionali di che trattasi non abbiano cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche.

L’organo accertatore (quindi qualsiasi soggetto in possesso della qualifica di polizia giudiziaria), in caso di constatazione di una contravvenzione ambientale deve iniziare a porre in essere una procedura estintiva del reato nel caso in cui l’azione disvaloriale del soggetto controllato non abbia provocato DANNO O PERICOLO CONCRETO ED ATTUALE DI DANNO ad individuate matrici ambientali.

È quindi rimesso all’operatore, in sede di primo intervento consequenziale alla segnalazione o alla rilevazione dell’illecito contravvenzionale ambientale, l’obbligo di verificare la mancanza dei parametri citati (pericolo di danno e danno) onde attivare la procedura estintiva.

La necessità di esprimere un giudizio fattuale nei reati ambientali (e non solo) presenta difficoltà non lievi, in relazione sia alla varietà dei casi e delle matrici ambientali, sia alle valutazioni d’indole tecnica, che spesso incidono sulla rilevazione dell’illecito, anche per la difficoltà di dettare norme generali, regole fisse finalizzate a suggerire l’indirizzo da dare per i vari casi.

Il meccanismo estintivo, basato sul presupposto dell’assenza di pericolo concreto ed attuale di danno, consta di diversi passaggi sintetizzabili come segue:

1. accertamento della violazione ed imposizione da parte dell’organo di vigilanza (polizia giudiziaria) di una prescrizione, asseverata tecnicamente dall'ente specializzato competente nella materia trattata volta alla regolarizzazione, fissando un termine massimo (termine tecnico prorogabile una sola volta di sei mesi) per l’adempimento (art. 318-ter Codice dell’Ambiente)

2. verifica dell’adempimento (con pagamento di una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda) ed informazione da parte dell’organo di vigilanza al Pubblico Ministero competente (art. 318-quater);

3. estinzione della contravvenzione a seguito dell’adempimento (e del pagamento) – archiviazione (art. 318-septies).

Ma anche su questa parte non mancano i dubbi interpretativi che hanno spinto alcune Procure territoriali ad emanare circolari esplicative ed alcune Procure Generali, di concerto con le Procure territoriali, a stabilire protocolli di intesa con gli organismi di controllo più interessati alla problematica[2].

L’intera questione è ben sintetizzata da una circolare della Procura di Trento[3] quando sostiene la necessità di una interpretazione ragionevole della norma “a fronte di una formulazione eccessivamente generica”, onde evitare margini di opinabilità sul procedimento di estinzione delle contravvenzioni.

Utilissimo appare anche il protocollo d’intesa promosso dalla Procura Generale di Bologna che affronta i temi più delicati della questione al fine di perseguire un’applicazione omogenea della norma su tutto il territorio distrettuale per evitare che “i cittadini si trovino davanti ad applicazioni diverse della legge a seconda del circondario di Tribunale in cui il reato è stato commesso”.

I punti di crisi affrontati partono dalle norme per l’ammissione alla procedura di estinzione del reato che valgono solo per le contravvenzioni e purché l’illecito non abbia cagionato “danno o pericolo concreto di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette” (art. 318 bis).

Tale concetto pone già problemi interpretativi poiché la stessa individuazione del pericolo o del danno reale o potenziale risulta problematica essendo il suo accertamento paradigmatico di uno stato di cose i cui effetti in campo ambientale, a volte, emergono dopo anni impedendo, in sede di primo riscontro dell’illecito da parte degli organismi di controllo, una visione fattuale prognostica attendibile ed inoppugnabile.

Ulteriori problematiche possono desumersi dalla eventuale presenza, non rara in caso di illeciti ambientali, di fattori disvaloriali concomitanti connessi ad una pluralità di condotte di soggetti diversi che porrebbero in discussione il nesso eziologico tra comportamento lesivo o pericoloso del soggetto nei cui confronti si procede ed effetti della condotta dello stesso[4].

Peraltro chi deve valutare “prima facie” l’esistenza o meno di danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette è proprio la polizia giudiziaria (e non solo quella specializzata) che, ove non ritenga di impartire la prescrizione finalizzata all’estinzione del reato, deve anche motivare la mancanza del presupposto.

Se si pensa che, potenzialmente, qualsiasi azione aggressiva contro l’ambiente (dall’abbandono del rifiuto allo scarico inquinante) può essere foriera di danno, si potrebbe desumere che l’istituto della prescrizione avrebbe una valenza tendenzialmente teorica.

Tale tesi appare alquanto spinta poiché il criterio che il legislatore ha voluto seguire non è solo quello “finalistico” (ovvero se l’illecito accertato possa essere rimosso negli effetti dal trasgressore), o non ostativo all’attivazione di una procedura di regolarizzazione per reati formali, ma si estende a fattispecie residue minimali che, pur attuando una marginale modifica della realtà, possono non arrecare un danno o un pericolo concreto ed attuale per l’ambiente.

È noto che la differenza tra reati di danno e reati di pericolo è fondata sulla diversa modalità di offesa del bene giuridico. In caso di danno l’offesa consiste nella effettiva lesione del bene compromettendone la sua parziale o totale integrità, in caso di pericolo l’offesa consiste nella esposizione del bene stesso alla potenzialità del danno.

Però mentre per i reati di pericolo concreto il pericolo è un elemento costitutivo della fattispecie da accertare caso per caso, per i reati di pericolo astratto il pericolo costituisce la “ratio” dell’incriminazione e non elemento costitutivo della fattispecie e quindi il giudice deve “verificare soltanto la ricorrenza del comportamento materiale vietato in quanto è il legislatore che ha valutato, in via preventiva e una volta per tutte, la pericolosità di determinati comportamenti”[5]

È comunque importante sottolineare che l’organo accertatore deve subito trasmettere la verbalizzazione del suo operato al Procuratore della Repubblica, sempre deputato alla ricezione delle notizie di reato, il cui eventuale avviso contrario determina la esclusione o la ammissione del contravventore alla procedura, essendo questa, pur sempre, condizione negativa dell’azione penale costituzionalmente rimessa all’autorità giudiziaria.

Tale assunto è giurisprudenzialmente pacifico, poiché la prescrizione impartita dall’organo di vigilanza “non è un provvedimento amministrativo, ma un atto tipico di polizia giudiziaria, non connotato da alcuna discrezionalità, neppure tecnica, ed emesso sotto la direzione funzionale dell’autorità giudiziaria”[6].

Ecco perché è fondamentale che l’organo accertatore riferisca a quest’ultima ogni elemento utile per la valutazione del danno o del pericolo di danno, al fine di permettere una oculata decisione sulla ammissibilità della procedura estintiva.

In estrema sintesi tale procedura, in presenza dei citati presupposti, sarà attuata attraverso la redazione dell’atto di prescrizione da parte dell’organo di vigilanza che interviene in loco, un atto di asseverazione tecnica da parte di un organismo preposto che deve confermare o stabilire il termine per adempiere che comunque non deve essere superiore al periodo di tempo tecnicamente necessario al ripristino, la verifica dell’adempimento ed in caso positivo l’irrogazione della sanzione pari ad ¼ del massimo dell’ammenda. Importante è sottolineare che l’atto asseverativo è condizione di validità delle prescrizioni.

L’invio degli atti all’Autorità Giudiziaria dovrà sempre essere effettuato nelle varie fasi del procedimento, sia per la citata problematica relativa alla valutazione del pericolo astratto, sia per il rispetto degli adempimenti a cui il contravventore è tenuto ad adempiere e il cui mancato rispetto comporta automaticamente il prosieguo della procedura penale.

Il procedimento penale, eventualmente aperto con l’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., rimane sospeso (salva la possibilità di archiviazione) fino a che al P.M. pervengano comunicazioni dell’organo di vigilanza ed il reato si estingue se il contravventore provvede all’adempimento della prescrizione ed al pagamento della sanzione pecuniaria.

Una riflessione sull’intera procedura è però necessaria data la presenza di vari organi istituzionali.[7]

La norma infatti attribuisce a ciascun organo competenze ben precise che però durante il procedimento si intersecano e potrebbero creare problemi sulla modalità di applicazione.

Ecco perché si ritiene razionale, laddove possibile, individuare preventivamente nei vari settori gli organi asseveratori, dando la possibilità alla polizia giudiziaria che interviene di avere anche preventivamente indicazioni dagli stessi sulle disposizioni da dare per far cessare l’illecito, considerata la valenza spesso fortemente tecnica delle stesse.

Un ulteriore elemento che potrebbe facilitare l’applicazione della norma è la stesura preliminare di prescrizioni standard che, rappresentando casi concreti concertati dall’intera trafila operante (polizia giudiziaria - ARPA o altri organismi tecnici – Autorità Giudiziaria), “disegni” modalità di intervento in cui in linea di principio si possano escludere ipotesi di danno e pericolo di danno.

Al fine di garantire l’omogeneità applicativa della norma sarebbe anche utile, nei limiti del possibile, che vengano preventivamente determinate “prescrizioni standard” dotate di “misure tecniche” (caratteristiche dimensionali, determinatezza nelle tipologie Codice Europeo dei rifiuti, Concentrazioni Soglie di Contaminazione, Concentrazioni Soglie di Rischio, determinatezza nella natura-pericolosità di rifiuti o scarichi, etc.), superate le quali non sarebbe possibile accedere alla procedura estintiva. La problematica può essere similarmente mutuata dal mondo dei rifiuti ove condotte apparentemente simili ma diverse per misura, quali ad esempio un mero abbandono di rifiuti chiaramente diverso dalla realizzazione di una discarica abusiva, comportano necessariamente valutazioni diverse del concetto di danno o di pericolo concreto.

La stessa utilizzazione di terreni la cui destinazione urbanistica sia diversa (ad es. agricola), a fini “industriali” (ad es., per deposito o abbandono o smaltimento di rifiuti non connessi all’attività agricola su tali terreni, salvi casi di mere e minori negligenze operative nell’ambito dell’attività agricola), può integrare “l’attualità del pericolo” e quindi l’esclusione della procedura di estinzione del reato; e ciò in quanto il rischio di offesa alle risorse urbanistiche ed all’equilibrio ambientale, a prescindere dall’effettivo danno arrecato, sembrerebbe poter perdurare in stretta connessione con l’utilizzo dell’area in violazione di quanto consentito dalle norme urbanistiche ovvero paesaggistiche vigenti.[8]

L’adozione preliminare e concertata di prescrizioni standard, pur nelle difficoltà applicative della loro individuazione, può comunque fornire indicazioni che, pur non previste tassativamente dalla norma, possono aiutare gli organismi di controllo ad esercitare con meno incertezze le proprie funzioni.

Accanto alla problematica della individuazione del pericolo astratto necessario all’attivazione dell’istituto della prescrizione, la norma non chiarisce bene se la procedura di estinzione possa applicarsi alle sole contravvenzioni punite con la: 1) pena pecuniaria (ammenda) o alternativa (arresto o ammenda) ovvero 2) anche alle altre fattispecie sanzionate con sola pena detentiva (arresto) o con pena congiunta (arresto e ammenda).

L’orientamento prevalente sinora emerso ha escluso che l’estinzione del reato possa avvenire in caso di presenza di solo arresto o di pena congiunta[9].

Le ragioni addotte a suffragio di tale tesi si basano sul rilievo che la disposizione nulla dice per una eventuale conversione della pena detentiva in quella pecuniaria “di talchè la procedura, stando alla lettura della norma, non è applicabile alle contravvenzioni punite con la sola pena detentiva dell’arresto o con pena congiunta arresto-ammenda”.[10]

Razionali e convincenti a suffragio di tale tesi appaiono le seguenti motivazioni:

  • la norma non prevede ragguaglio tra pene detentive e pene pecuniarie di cui all’art. 135 c.p. (Euro 250 per ogni giorno di pena detentiva) né è possibile applicare per via analogica o interpretativa una “clausola generale” del codice penale, atteso che il principio di legalità impone che sia il legislatore a definire i presupposti per l’applicazione della pena; nel caso in cui preveda il solo arresto non è applicabile;
  • analogamente, nel caso di pena congiunta, atteso che talune contravvenzioni sono punite con arresto sino a tre anni ed ammenda, la procedura estintiva si attiverebbe previo pagamento di una somma pari a circa 65.000 euro a cui si dovrebbe aggiungere il pagamento di un quarto della pena pecuniaria che porterebbe a circa 95.000 euro l’esborso totale che il contravventore dovrebbe sostenere per l’estinzione del reato, cifra questa abbastanza esosa, tale sicuramente da non incoraggiare il ricorso alla suddetta procedura;
  • convincente è infine la tesi della irragionevolezza di un’applicazione della disciplina alle contravvenzioni punite con pena congiunta poiché “sarebbero doppiamente favorite: non solo rispetto alle contravvenzioni punite col solo arresto (escluse dal beneficio), ma anche con riferimento a quelle punite con la sola ammenda o con pena alternativa”. In tal caso infatti si perderebbe ogni significato della pena detentiva in termine di sanzione da applicare per una condotta disvaloriale particolarmente significativa.

 

Altro problema interpretativo è il seguente: il puntuale adempimento di uno qualunque dei soggetti obbligati o da parte dell’ente o società da cui il contravventore dipende (dunque anche del legale rappresentante dell’ente), giova a tutti coloro che hanno avuto un ruolo nella violazione?

Anche su questo punto si ritiene condivisibile una risposta positiva in virtù delle interpretazioni vigenti nell’analogo campo dell’estinzione delle violazioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro a cui la Parte sesta-bis del Testo Unico Ambientale, così come inserita dalla Legge n. 68/2015, si è ispirata. La giurisprudenza si è a riguardo già espressa sostenendo la necessità di privilegiare al massimo “l’ambito di operatività della speciale causa di estinzione del reato, chiaramente introdotta dal legislatore allo scopo di interrompere l’illegalità e di ricreare le condizioni di sicurezza previste. Cosicché il raggiungimento del risultato fa passare in secondo piano l’interesse dello Stato alla punizione dello specifico responsabile, seppure il pagamento provenga da altri”[11].

Infine è importante soffermarsi sulle garanzie difensive da assicurare nell’intero procedimento.

Sebbene la procedura prescrittiva ex art. 318 ter T.U.A. possa esitare in un mero “incidente amministrativo”, va considerato che non v’è certezza dell’estinzione del reato, atteso che il procedimento penale potrebbe riprendere il suo corso in caso di inottemperanza alle prescrizioni o di omesso pagamento della sanzione.

Pertanto, al fine di assicurare che gli atti posti in essere dalla polizia giudiziaria assumano la necessaria valenza dibattimentale, converrebbe sottolineare come tali atti debbano essere redatti garantendo adeguate difensive.

In particolare:

  1. fin dal primo accertamento (di verifica di violazione soggetta a prescrizione della polizia giudiziaria), ed anche all’atto del sopralluogo di verifica di ottemperanza alla prescrizione, il trasgressore (o il soggetto presente all’atto di accertamento) deve essere informato della possibilità di avvalersi dell’assistenza di persona, di un tecnico o di un difensore, purché prontamente disponibile;
  2. il trasgressore deve essere identificato, non appena possibile, ex art. 161 c.p.p., con contestuale invito a nominare un difensore.

 

A riguardo è opportuno evidenziare ex art. 318 sexies, comma 3, che la sospensione del procedimento conseguente alla adozione della prescrizione non impedisce, “l’assunzione delle prove con incidente probatorio, né gli atti urgenti di indagine preliminare, né il sequestro preventivo ai sensi degli artt. 321 e ss. del c.p.p.”

Ma è consigliabile in questo delicato campo procedere di concerto con l’A. G. poiché secondo taluni autorevoli pareri “sono valutazioni rimesse all’insindacabile valutazione del P.M. Nel caso, gli organi di polizia giudiziaria che hanno accertato la violazione possono segnalare tale situazione al P.M., che, valutatala, potrà motivatamente astenersi dal provvedere in conformità, rimettendo gli atti per il più a praticarsi all’organo procedente”[12].

Non risulta invece chiarito quale soggetto istituzionale debba essere indicato dalla polizia giudiziaria, al fine del versamento da parte del contravventore, del quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione connessa.

È quindi proprio la necessità di pervenire a soluzioni coerenti ed uniformi, a fronte di una norma per taluni versi potenzialmente foriera di dubbi interpretativi, che deve incoraggiare un rapporto sistematico tra Autorità Giudiziaria, polizia giudiziaria, specializzata e non, ed organi tecnici ed amministrativi coinvolti nella salvaguardia delle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche del nostro Paese.

Rimane comunque fondamentale una indispensabile sinergia tra tutti gli organi coinvolti nei controlli ambientali, al fine di monitorare con attenzione gli effetti di comportamenti disvaloriali nei confronti dell’ambiente e degli ecosistemi onde valutare, sin dal primo riscontro delle violazioni, il pericolo connesso agli eventi dannosi consequenziali.



1 Generale di Divisione Arma dei Carabinieri a riposo. Avvocato

 

[2] v. in particolare l’importante protocollo di intesa del 18 maggio 2016 e vigente tra la Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Bologna – (Procuratore gen. I. DE FRANCISCI), le Procure presso il Tribunale di Bologna, Ferrara, Forlì, Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, ARPAE Emilia Romagna, Capitaneria di Porto di Ravenna, NOE Bologna, Comando Regionale Corpo Forestale dello Stato. Il protocollo è stato firmato a seguito di riunioni operative presiedute e coordinate dall’avv. gen. Alberto CANDI

 

[3] Procura della Repubblica di Trento, circolare n.09/2015 del Procuratore Giuseppe AMATO

 

[4] Nova Itinera – Percorsi del Diritto del XXI secolo – Direttore Stefano AMORE - “Il procedimento di estinzione dei reati ambientali” G. Giove

[5] “La prescrizione dei reati ambientali” in “Gestione Ambientale” tratto dal sito “Leggi d’Italia” di Vincenzo PAONE

 

[6] “Giurisdizione del giudice ordinario”. Cass. Civ. Sez. Unite, Ordinanza n. 3694 del 9.3.2012. Sito “Leggi d’Italia”

[7] Vedasi a riguardo il protocollo cit. al n. 43, promosso dalla Procura Generale di Bologna a cui si farà anche in seguito riferimento per le motivazioni addotte sulla interpretazione della norma 

 

[8] Cass. Pen. – Sez. III – n. 1484 del 15.1.2014 “…in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva integra il requisito dell’attualità del pericolo indipendentemente dall’essere l’edificazione ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio ed all’equilibrio ambientale, a prescindere dall’effettivo danno al paesaggio, perdura in stretta connessione con l’utilizzazione della struttura ultimata”.

 

[9] Vedasi a riguardo il protocollo cit. al n. 43

 

[10] V. Circolare AMATO cit. e Protocollo CANDI cit.

[11] cfr. Cass., sez. 3, sent. 18914/2012. Sulla questione è particolarmente chiara la linea d’azione dettata dal Protocollo cit.

 

[12] In tal senso Giuseppe AMATO, Procuratore della Repubblica Bologna - circolare cit. al n.42