Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

DIRITTO 
I PRINCIPI COSTITUZIONALI A TUTELA DELL’AMBIENTE E LA DISCIPLINA DEI RIFIUTI
07/11/2013
Di Francesca Romana FRAGALE, Avvocato


 

Riassunto
 
La disciplina dei rifiuti nel nostro ordinamento trae origine da quella comunitaria ed internazionale. A partire dalla conferenza organizzata dall’ONU a Stoccolma nel 1972, nella quale venne adottata la dichiarazione sull’ambiente umano, vengono stabiliti il diritto dell’uomo ad un ambiente che gli garantisca dignità e benessere il suo dovere di salvaguardarlo a favore delle generazioni future.
Il susseguirsi di vari trattati internazionali, come il rapporto Bruntland del 1987, la dichiarazione su ambiente e sviluppo dei Rio De Janeiro nel 1992 ed il protocollo di Kyoto nel 1997 pone le basi della normativa comunitaria.
La materia ambientale inizialmente non è compresa nel Trattato di Roma ma grazie  alla Commissione vengono  introdotte diverse  direttive in materia.  Con atto Unico Europeo  e con il Trattato di Maastricht viene inserita una apposita disciplina in materia di rifiuti, fino ad arrivare alla direttiva n. 2008/98/CE che regola la materia dei rifiuti all’interno  della Comunità  Europea.

Abstract
 
The discipline of waste in our system originates from the EU and internationally. Since the UN conference in Stockholm in 1972 , that adopted the Declaration on the Human Environment, the human right to an environment guaranteeing his dignity and well-being and his duty to preserve it for future generations have been established.
The succession of various international treaties such as the Brundtland report of 1987, the Declaration on Environment and Development of Rio De Janeiro in 1992 and the Kyoto Protocol in 1997 laid the foundations of the Community law.
Environment was not initially included in the Treaty of Rome, but thanks to the Commission  several directives on thish topic have been adopted. By the Single European Act and the Maastricht Treaty a special discipline on waste has been designed up to the Directive 2008/98/EC regulating the waste toic within the European Community.

 
 

 

Premesso che, nel testo della prima parte della Costituzione non vi è alcun riferimento diretto al concetto di ambiente e tale vacatio, programmatica prima che normativa, è rimasta, come vedremo per parecchio tempo, un “cahiers de doleances” (quaderni delle lamentele nei quali le assemblee incaricate di eleggere i deputati agli Stati Generali annotavano critiche e lamentele della popolazione) del nostro ordinamento, bisogna attendere la riforma federalista del Titolo V° della Costituzione, del 2003, per l’inserimento in Costituzione della tutela dell’ambiente riconosciuto come valore di competenza esclusiva dello Stato.
Infatti, la tutela diretta dell’ambiente, nel nostro paese, è una esigenza relativamente recente, considerato che la Costituzione, come detto, non conteneva alcuna norma espressamente e direttamente enunciativa del concetto di ambiente, non considerandolo oggetto di una specifica tutela, fino alla modifica costituzionale dell’art. 117 Cost., così come sostituito dall’art. 3 della legge cost. n. 3 del 18 ottobre 2003, che adesso al 2° comma, lettera s), stabilisce che la tutela dell’ambiente rientra tra le materie di legislazione esclusiva dello Stato. A questa grave lacuna hanno fatto fronte giurisprudenza e dottrina che hanno progressivamente riconosciuto il valore primario e assoluto dell’ambiente con l’elaborazione continua della nozione giuridica, con la configurazione e l’azionabilità di un diritto soggettivo all’ambiente e con la risoluzione dei problemi connessi alla quantificazione del danno ambientale e al riconoscimento della legittimazione processuale dei soggetti danneggiati. Pertanto, preliminarmente all’esame dei principi costituzionali, in materia, è necessario individuare la nozione giuridica di ambiente, come nel tempo si è trasformata, e dei suoi confini che ci consente di ampliare il campo di applicazione alla disciplina dei rifiuti.
In questo senso, infatti, il concetto di ambiente, oltre ad essere l’unico principio di riferimento, diretto e indiretto, che collega la disciplina speciale in materia ambientale con le norme programmatiche che la Costituzione individua in oggetto, deve necessariamente essere delimitato per non trovarsi nella incapacità di distinguere al suo interno i diritti e i doveri, le facoltà e i poteri che da questo discendono. Sul punto le fonti si esprimono da tempo con parziali e diverse definizioni del termine, anche dal punto di vista semantico, che si può preliminarmente e sinteticamente riassumere come il complesso delle risorse naturali (aria, acqua, suolo e clima) che ricevono tutela dall’ordinamento in quanto ritenute sussidiarie alla protezione del complessivo equilibrio ecologico. La scorretta attuazione delle norme in materia di rifiuti incide negativamente sull’aria, l’acqua e il suolo. Di seguito analizziamo le diverse definizioni di ambiente elaborate nel tempo dalla dottrina, dalla giurisprudenza e dal legislatore.

 

 
 

Definizioni di ambiente

 

La mancanza di norme espressamente e direttamente riferibili all’ambiente nella parte dei principi della Costituzione non ha impedito di elaborare un modello interpretativo basato sui riferimenti costituzionali forniti dagli artt. 9, 32, e 44. Tale elaborazione interpretativa rimane tutt’oggi valida. La materia dei rifiuti è una sezione importante del diritto dell’ambiente e dunque si deve considerare che la disciplina dei rifiuti
abbia diretta copertura costituzionale. Pertanto vale la pena di effettuare una disamina del percursus dottrinario e giurisprudenziale che ha condotto ad inquadrare la materia dei rifiuti nell’alveo della nostra Somma Carta, affinché non sia più considerata solo una sezione tecnica e arida della materia dell’ambiente. La violazione delle prescrizioni in materia di rifiuti costituisce lesione di beni – interessi tutelati dalla Costituzione, oltre che norme precettive di diritto penale, di diritto amministrativo, di diritto pubblico e di diritto privato e delle prescrizioni imposte dalle leggi speciali. Sulla base dell’elaborazione dottrinaria sviluppata in Italia negli anni ‘70 si afferma un approccio settoriale, nella considerazione giuridica dell’ambiente, sostenendo che non esiste un interesse ecologico unitario ma molteplici principi e ambiti di tutela del
diritto all’ambiente nei quali il bene ambiente assume specifici significati e relative tutele. In quel periodo si iniziano a collegare le molteplici fattispecie di ambiente elaborate dalla dottrina con i seguenti principi costituzionali:
a) tutela del paesaggio: l’art. 9 della Costituzione italiana rimane di fatto l’unico indiretto riferimento all’ambiente per parecchi anni;
b) salubrità dell’ambiente: l’art. 32 della Costituzione prevede principi a tutela della salute dell’uomo;
c) tutela del territorio: l’art. 44 della Costituzione impone obblighi e vincoli alla proprietà per il razionale sfruttamento del suolo.
Infatti, fin dagli anni ‘60 il concetto di ambiente è stato indirettamente identificato, nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale interno, dapprima, totalmente, con quello di paesaggio tutelato dall’art. 9 della Costituzione e, solo successivamente, supportato da talune pronunce della giurisprudenza di legittimità, si è affermato il concetto di ambiente quale diritto soggettivo ad un ambiente salubre, ex art. 32 Cost., tutelabile anche nei confronti della pubblica Amministrazione, con la conseguente affermazione della responsabilità amministrativa dei funzionari pubblici per il danno ambientale, a prescindere dalla titolarità in capo all’attore di un diritto di proprietà o di altro diritto reale (Cass., Sez. Un., n. 5172 del 6 ottobre 1979).
In effetti, parte della dottrina riteneva che l’espressione diritto all’ambiente si componesse di una serie di situazioni giuridiche soggettive distinte per la tutela per diversi beni naturali, quali l’acqua, l’aria, il paesaggio, la flora e la fauna, ma che non poteva essere utilizzata per l’individuazione di una pretesa di tutela dell’ambiente e dell’equilibrio ecologico complessivo inteso in senso unitario.
Il dibattito sia dottrinario che giurisprudenziale si è svolto intorno all’ampiezza della nozione di paesaggio; un primo orientamento dottrinario, rifacendosi alla definizione di “bellezze naturali” contenuta nella legge 29 giugno 1939 n. 1497, considerava la norma costituzionale come avente “di mira unicamente i valori paesistici sotto il profilo dei quadri naturali che essi realizzano” non rientrando, pertanto, nella disciplina della disposizione in esame la natura in quanto tale. Ad una interpretazione difensiva e riduttiva, si contrapponeva quella estensiva che considerava il paesaggio come la forma assunta dal Paese, a seguito della interrelazione tra forze naturali, fisiche e umane, e si identificava con l’ambiente inteso in senso più propriamente naturalistico.
L’orientamento della Corte Costituzionale sull’argomento è passato nel tempo da un’interpretazione alquanto restrittiva della definizione di paesaggio tutelata dal costituente a quella più ampia utilizzata dall’ultima dottrina citata.
In particolare, la suddetta dottrina si è limitata, in base alla disciplina costituzionale degli artt. 2, 9, 32 e 44, a riempire di contenuto l’espressione “diritto all’ambiente” intendendo per tale la tutela di diverse posizioni soggettive e non la pretesa oggettiva riferibile alla conservazione delle condizioni necessarie alla sopravvivenza dell’uomo e, quindi, al concetto di ambiente inteso nel senso di diritto fondamentale del cittadino al mantenimento dell’equilibrio naturale.
In questo modo, il concetto di ambiente, inteso in termini unitari, non si poteva configurare e, singolarmente, sarebbero state tutelabili, ognuna in modo autonomo e diverso, solo le diverse posizioni soggettive astrattamente riferibili allo stesso concetto.
Peraltro, inizialmente, il fondamento del diritto all’ambiente è stato individuato, dalla disciplina civilistica, nel diritto di proprietà e nelle regole concernenti le immissioni su fondo altrui, ex art. 844 cod.civ.: secondo tale orientamento, la legittimazione attiva ad agire a tutela di tale interesse si concretizzava esclusivamente in presenza del presupposto della sussistenza di un diritto reale caratterizzato dalla vicinanza con una fonte inquinante.
Tale dottrina trovava conferma nella disciplina positiva, che, soprattutto negli anni ‘80, aveva affrontato le problematiche ambientali in maniera frammentaria.
Altra parte della dottrina, al contrario, si orientava per la natura di diritto della personalità del bene ambiente inteso come bene collettivo. Nell’ambito del diritto penale, invece, il bene tutelato veniva specificamente indicato nella salute pubblica o in quella individuale ovvero nel patrimonio paesaggistico. Emerge dunque dai diversi orientamenti la sostanziale differenza tra il danno ambientale inteso in senso collettivo ed il danno ambientale individuale, ossia tra il danno che viene a gravare sulla collettività nel suo insieme e il danno che incide in modo rilevante sul singolo.
La dicotomia è fondamentale ed in tale prospettiva il danno ambientale presenta una triplice dimensione: personale (quale lesione del diritto fondamentale alla tutela dell’ambiente per ogni uomo); sociale (quale lesione del diritto fondamentale alla tutela dell’ambiente per la collettività); pubblica (quale lesione del diritto delle istituzioni pubbliche in qualità di enti legittimati alla sua difesa).
In quest’ambito le singole persone, i gruppi, le associazioni e gli enti territoriali non fanno valere un generico interesse diffuso ma dei diritti ed interessi collettivi e possono costituirsi parti lese in forza di una autonoma legittimazione: il danno all’ambiente costituisce una violazione del diritto che a ciascun individuo appartiene, sia “uti singuli” sia collettivamente, per il corretto ed armonico sviluppo della propria personalità in ambiente salubre
(Cass. sez. III 19 gennaio 1994 n. 439).

 

L’elaborazione giuridica

 

Dal punto di vista giurisprudenziale, dopo i primi accenni all’ambiente, che sono legati alla visione della dottrina che proveniva dagli anni ‘70 e ‘80, si sviluppava un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in cui l’ambiente veniva tutelato in quanto tale.
Risulta evidente che si passa da una visione soggettiva e statica del paesaggio come bellezza naturale e dal diritto soggettivo alla salubrità dell’ambiente ad una definizione più ampia del concetto di ambiente come un diritto avente natura globale e unitaria con caratteristiche che sono al di sopra delle sue componenti essenziali ed intrinseche (aria, acqua, suolo, flora e fauna) e che quindi deve essere intenso e tutelato nel suo insieme, nella sua
interezza.
Dapprima la Cass. S.U., con la sentenza n.1463 del 1979 individua correttamente il collegamento tra ambiente e salute, ma ritiene che il primo possa rivendicarsi come un diritto soggettivo solo “quando sia collegato alla disponibilità esclusiva di un bene la cui conservazione, nella sua attuale potenzialità di recare utilità al soggetto, sia inscindibile dalla conservazione delle condizioni ambientali”.
L’azionabilità del diritto all’ambiente sarebbe dunque riservata alle ipotesi di “proprietà di beni immobili, i quali traggono dall’ambiente il loro pregio particolare” in quanto la protezione accordata dall’ordinamento alla tutela della salute, di cui all’art. 32 della Costituzione, viene estesa alla preservazione dei luoghi deputati alla vita associata dell’uomo per conservare “condizioni indispensabili anche soltanto propizie alla sua salute”.
Senonché, nello stesso anno la linea di demarcazione tra la dimensione pubblica e quella privata del bene ambiente viene però sganciata dal collegamento patrimoniale, nella configurazione del diritto alla salubrità ambientale, da un’importante sentenza delle S.U. della Suprema Corte che statuisce: “non può essere negata tutela a chiunque sia interessato in relazione a un bene giuridicamente protetto per la sola ragione che questo non appare attribuito né attribuibile a lui in modo esclusivo. La prospettiva secondo la quale vi è protezione giuridica soltanto in caso di collegamento esclusivo fra un bene (o una frazione di esso) ed un solo determinato individuo o un gruppo personificato – e quindi assimilato all’individuo – è condizionata da un’impostazione di tipo patrimoniale della giuridicità e rischia di mortificare in ragione del condizionamento l’irresistibile tendenza all’azionabilità delle pretese che è cardine della nostra Costituzione (art. 24)” (Cass. Civ., Sez. Un., 6 ottobre 1979, n. 5172). Pertanto, la Suprema Corte di Cassazione in questa sentenza stabilisce che l’ambiente è un fenomeno unitario e che, come diritto della personalità, costituisce un diritto fondamentale dell’uomo. Sempre in linea con questo orientamento va poi segnalata una successiva pronuncia della Suprema Corte, che con riguardo ad un’azione di risarcimento del danno ambientale (con riferimento al ciclo di produzione e smaltimento di rifiuti tossici industriali), ha però operato un’importante distinzione tra danno ai singoli beni di proprietà pubblica o privata (posizioni soggettive individuali) che trovano tutela nelle regole ordinarie, e danno all’ambiente considerato in senso unitario: “il timbro repressivo adoperato dal legislatore conferisce al torto ecologico una sua peculiarità nell’ambito della responsabilità civile, con la conseguenza che anche la prova di siffatto torto non può non risentirne, ispirata, come dev’essere, non a parametri puramente patrimoniali, ma alla compromissione dell’ambiente, strettamente collegata al fatto lesivo del bene ambientale posto in essere, come nella specie, da chi ha concorso nell’utilizzo di un serbatoio non autorizzato, dal quale fuoriuscivano, come accertato dalla USL, i rifiuti tossici e nocivi che vi erano stati sversati. Il giudice del rinvio dovrà tener conto degli esposti principi, ed in particolare che nella prova del danno ambientale bisogna distinguere tra danno ai singoli beni di proprietà pubblica o privata, o a posizioni soggettive individuali, che trovano tutela nelle regole ordinarie, e danno all’ambiente considerato in senso unitario, in cui il profilo sanzionatorio nei confronti del fatto lesivo del bene ambientale comporta un accertamento che non è quello del mero pregiudizio patrimoniale, ma della compromissione dell’ambiente” (Cass. Civ., Sez. I, 1 settembre 1995, n. 9211). Si ritrova anche in giurisprudenza, dunque, la sostanziale differenza tra il danno ambientale collettivo ed il danno ambientale dei singoli beni, pubblici o privati, ossia tra il danno che la collettività nel suo insieme subisce dalla compromissione dell’ambiente e il danno che grava in modo rilevante anche sul singolo bene. Anche secondo la Corte Costituzionale, “l’ambiente non è passibile di una situazione soggettiva di tipo appropriativo appartenendo alla categoria dei beni liberi, fruibili dalla collettività e non dai singoli
(Corte Cost., n. 641 del 1987). In questa importante pronuncia del 30 dicembre1987 la Corte Costituzionale sancisce espressamente, mediante un’operazione di interpretazione estensiva della protezione degli artt. 9 e 32 Cost., che l’ambiente è un bene giuridico, in quanto riconosciuto
e tutelato da norme, di valore primario e assoluto: “l’ambiente è stato considerato un bene immateriale unitario sebbene a varie componenti,
ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela; ma tutte, nell’insieme, sono riconducibili
ad unità. Il fatto che l’ambiente possa essere fruibile in varie forme e differenti modi, così come possa essere oggetto di varie norme che assicurano la tutela dei vari profili in cui si estrinseca, non fa venir meno e non intacca la sua natura e la sua sostanza di bene unitario che l’ordinamento prende in considerazione. L’ambiente è protetto come elemento determinativo della qualità della vita. La sua protezione non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l’esigenza di un habitat naturale nel quale l’uomo vive ed agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; è imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto”. Pertanto, la protezione dell’ambiente, secondo questa importante decisione della Consulta, è imposta da precetti costituzionali e norme ordinarie a presidio di un bene giuridico di valore primario assoluto.
In particolare, quanto statuito dal Giudice delle leggi secondo cui l’ambiente è un bene giuridico in quanto riconosciuto e tutelato da norme che “…non è certamente possibile oggetto di una situazione soggettiva di tipo appropriativo: ma, appartenendo alla categoria dei c.d. beni liberi, è fruibile dalla collettività e dai singoli”, porta in superficie l’esame della questione della qualificazione giuridica dell’interesse alla tutela dell’ambiente che può essere inteso quale interesse diffuso o collettivo. In quest’ambito, la tutela ambientale secondo quanto disposto dalla sentenza citata è un elemento determinativo della qualità della vita dell’uomo, la cui protezione non persegue finalità naturalistiche astratte ma esprime l’esigenza di una concreta salvaguardia dell’habitat naturale nel quale l’uomo vive ed opera. Tuttavia l’ambiente salubre, inteso in una concezione sanitaria di ambiente giuridicamente apprezzabile e rilevante (art. 32 Cost.) può essere collegato ai diritti della persona, che comprendono anche l’integrità fisica e psichica e la salvaguardia della qualità della vita. Anche secondo la Cassazione Civile n. 4362 del 1992 “l’ambiente in senso giuridico costituisce un insieme che pur comprendendo diverse componenti si distingue ontologicamente da questi e si identifica in una realtà priva di consistenza materiale, ma espressiva di un autonomo valore collettivo”. In ultimo, si segnala che la Corte di Cassazione si è pronunciata anche con una definizione di ambiente affermando che per “ambiente deve intendersi il contesto delle risorse naturali e delle stesse opere più significative dell’uomo protette dall’ordinamento” … “l’ambiente è una nozione, oltreché unitaria, anche generale, comprensivadelle risorse naturali e culturali, veicolata nell’ordinamento italiano dal diritto comunitario” (Cass. Pen., sez. III, 28 ottobre 1993, n. 9727).

 

L’elaborazione legislativa

 

Dal punto di vista legislativo, i primi riferimenti all’ambiente in Italia sono legati ad una visione estetica e statica del paesaggio come bellezza naturale percepita dall’esterno.
Infatti, al momento dell’elezione dell’Assemblea Costituente erano già in vigore due norme molto importanti all’epoca: la legge n. 1089 del 1939 sui Beni Culturali e la legge n. 1497 del 1939 sulle Bellezze Naturali.
Da queste leggi il legislatore costituente ha tratto sicuramente l’ispirazione per la disciplina dettata dall’art. 9 della Costituzione italiana, che si riferisce implicitamente all’ambiente quando stabilisce che “la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico eartistico della Nazione”. Infatti, l’art. 9 della Costituzione è stato per lungo tempo l’unico riferimento costituzionale in materia di ambiente. Le problematiche afferenti l’interpretazione della nozione di ambiente hanno prodotto un proficuo dibattito, in dottrina e giurisprudenza, come abbiamo visto, sul concetto giuridico di ambiente. Gli studiosi, impegnati in uno sforzo di razionalizzazione, hanno manifestato orientamenti contrastanti che hanno portato, anche il legislatore, a volte, a preferire l’affermazione dell’unitarietà del bene giuridico o, viceversa, un approccio settoriale al diritto dell’ambiente.
In questo senso, il legislatore ha contribuito a chiarire il problema della nozione e un ruolo determinante lo ha svolto certamente l’art. 18 della L. 349 del 1986 (peraltro abrogato dal decreto legislativo n. 152 del 2006, Codice dell’ambiente, del quale si tratterà al capitolo III) che ha introdotto, nel nostro ordinamento in maniera espressa, la fattispecie dell’illecito civile ambientale estendendo la tutela del bene ambiente e riconoscendone la piena rilevanza giuridica, oltre i confini dell’illecito penale ed amministrativo, sino alla responsabilità civile statuendo che
qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o provvedimenti adottati in base alla legge, che comprometta l’ambiente,
ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al risarcimento del danno nei confronti dello Stato”.
I sostenitori della tesi dell’unitarietà sostenevano che data l’impossibilità di identificare l’ambiente nei singoli beni che lo compongono, era necessaria una definizione unitaria, non soltanto al fine del coordinamento delle specifiche normative concernenti i singoli oggetti di tutela, ma altresì come parametro di riferimento del danno ambientale di cui all’art. 18 della L. 349 del 1986. Senonché, secondo un orientamento del giudice di legittimità l’ambiente naturale costituisce “un bene pubblico di rango costituzionale, la lesione di esso fa sorgere in capo alle pubbliche amministrazioni preposte alla sua tutela il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale derivatone”. Tale diritto scaturisce dal combinato disposto dell’art. 9, secondo comma, della Costituzione, e dell’art. 2059 cod. civ., e preesisteva pertanto all’introduzione della legge 8 luglio 1986 n. 349, il cui art. 18 non ha affatto introdotto nel nostro ordinamento una nozione di “danno ambientale”, ma si è limitato a ripartire tra Stato, enti locali ed associazioni di protezione ambientale la legittimazione ad agire od intervenire nel relativo giudizio di risarcimento. Da ciò consegue che non è viziata da ultrapetizione la sentenza di merito di condanna al risarcimento del danno ambientale per fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della suddetta legge n. 349 del 1986” (Cass. Sez. III, Sent. n. 25010 del 10 ottobre 2008).
Più di recente il Decreto Legislativo 16 gennaio 2008 n. 4 (di modifica al Codice dell’ambiente), che tra l’altro ha fortemente modificato la sezione del Codice sui rifiuti, non definisce espressamente il concetto di ambiente ma lo deduce a margine dell’articolata definizione di impatto ambientale.
Infatti, all’art. 5, comma 1, lettera c, il decreto definisce l’impatto ambientale come “l’alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa dell’ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici, in conseguenza dell’attuazione sul territorio di piani o programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro realizzazione, gestione e dismissione, nonché di eventuali malfunzionamenti”.
Sebbene nella norma non vi sia una esplicita definizione di ambiente è evidente che nel passaggio “inteso come” vi sia la implicita definizione del termine all’interno di una più ampia definizione del concetto di impatto ambientale.
Una nuova definizione di danno ambientale è stata da ultimo fornita dall’art. 300 del Codice dell’ambiente (che ha abrogato e sostituito la L. 349 del 1986) a norma del quale “è danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”. La norma riporta in termini puntuali la nozione comunitaria di danno ambientale contenuta nella direttiva 2004/35/CE.
Infine, all’art. 311 del Codice dell’ambiente si legge che “chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato all’effettivo ripristino a sue spese della precedente situazione e, in mancanza, all’adozione di misure di riparazione complementare e compensativa di cui alla direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, secondo le modalità prescritte dall’Allegato II alla medesima direttiva, da effettuare entro il termine congruo di cui all’articolo 314, comma 2, del presente decreto. Quando l’effettivo ripristino o l’adozione di misure di riparazione complementare o compensativa risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o eccessivamente onerosi ai sensi dell’articolo 2058 del codice civile o comunque attuati in modo incompleto o difforme rispetto a quelli prescritti, il danneggiante è obbligato in via sostitutiva al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato, determinato conformemente al comma 3 del presente articolo, per finanziare gli interventi di cui all’articolo 317, comma 5”.
Pertanto, con alcune recenti disposizioni di legge si è almeno identificato il nucleo comune della nozione di danno ambientale ma non del concetto di ambiente inteso come bene unitariamente comprendente la salute umana, la fauna, il suolo, l’aria, l’acqua e l’interazione tra questi fattori. Questo lo stato dell’arte della giurisprudenza e dei legislatori. Per la definizione unitaria occorre nuovamente tornare alla disaminadei nostri principi costituzionali.

 

I principi costituzionali di riferimento

 

In particolare viene elevata a principio generale, al quale la legge positiva deve uniformarsi, la natura superindividuale dell’interesse che trova tutela in diversi precetti costituzionali contenuti negli artt. 2, 9, e 32 che, a tal proposito, esaminiamo in breve.
L’art. 2 della Cost: “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità”.
In questa norma viene affermato il c.d. principio personalista in base al quale l’ordinamento giuridico statale nel suo complesso è al servizio dell’uomo, inteso come persona umana, sia nella sua dimensione individuale che in quella sociale, per la salvaguardia della titolarità e dell’esercizio dei diritti originari dell’uomoche, in quanto tali, preesistevano allo Stato.
La norma ha la funzione di tutelare e garantire i diritti naturali riconosciuti dal Costituente, in alcuni casi non ancora tradotti in specifiche discipline positive, che emergono dall’evoluzione del costume sociale (es. diritto alla riservatezza, diritto all’identità sessuale, diritto all’ambiente).
Invero, la qualificazione del diritto all’ambiente come diritto soggettivo, si giustifica sotto il profilo costituzionale, innanzitutto alla luce degli artt. 2 e 3 Cost: la nozione di ambiente elaborata dalla più moderna giurisprudenza “quale complesso sistema delle condizioni e delle interrelazioni fra esseri animati e inanimati, che assicurano il perpetuarsi della forma umana di vita” corrisponderebbe con il diritto alla vita e all’integrità fisica e, pertanto, troverebbe autorevole riconoscimento innanzitutto nell’art. 2 Cost. che garantisce il rispetto dei diritti umani nell’ordinamento, intesi come diritti naturali, senza specificarli negli articoli successivi. I diritti inviolabili dell’uomo, tra cui rientrerebbe l’ambiente, secondo questa lettura, oltre al riconoscimento e alla tutela costituzionale, sono sanciti anche da numerose convenzioni internazionali ratificate dall’Italia.
Tra queste va sicuramente riportata la Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), la quale prevede, anche, un apposito organo, la Corte Europea dei diritti dell’uomo, giudicante l’effettivo rispetto del catalogo dei diritti in essa sanciti.
Alla CEDU si fa rinvio anche da parte della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000 che formalizza la codificazione dei diritti fondamentali a livello europeo.
Orbene, tra questi l’art. 37 espressamente prevede che la tutela dell’ambiente sia uno dei principali obiettivi delle normative dei paesi membri: “un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”. In ultimo con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il 1° dicembre 2009, è stata prevista l’adesione dell’Unione Europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed è stato riconosciuto valore giuridico vincolante alla Carta dei diritti fondamentali della U.E.
L’art. 9 Cost. sancisce, al 2° comma, la tutela del paesaggio. In questo senso, secondo un’accezione moderna ed europeista di paesaggio, si intende ricomprendere nel concetto anche l’ambiente, inteso con le parti di territorio i cui caratteri distintivi derivano dalla natura, dalla storia dell’uomo e dalle reciproche correlazioni.
Sul punto, all’interno dell’elaborazione dottrinale interna, si confrontano storicamente due distinti filoni interpretativi.
Da un lato si sostiene che il termine “paesaggio” deve essere interpretato, secondo il criterio della “pietrificazione” (o cristallizzazione), per cui i principi, i valori e le parole utilizzate nella Carta andrebbero interpretate facendo riferimento al significato letterale che quel termine o principio aveva al momento in cui fu scritto dai costituenti.
In astratto, secondo questa dottrina, l’esegesi di “paesaggio” andrebbe compiuta mediante l’analisi del significato che il termine aveva nel 1948 e, cioè, semplicemente come sinonimo di bellezze paesaggistiche come si esprimeva la legge di settore del 1939. In questo senso, questa interpretazione è stata utilizzata per anni dalla dottrina e dalla giurisprudenza per bloccare l’effetto di attribuzione di competenze in materia alle Regioni dopo la loro istituzione.
A questo proposito, risulta utile precisare che il criterio interpretativo della c.d. “cristallizzazione” è stato sconfessato dalla Corte Costituzionale che ne ha espressamente vietato l’applicabilità.
Un altro principio di riferimento, a cui la dottrina si rivolta per l’affermazione di un diritto all’ambiente costituzionalmente tutelato e garantito, è quello espresso, ex art. 32 Cost., per la tutela della salute.
Secondo il consolidato orientamento espresso dalla Suprema Corte di Cassazione nella nota sentenza del 6 ottobre 1979 n. 5172, l’interpretazione di questo articolo garantisce il diritto alla salute inteso come diritto dell’individuo a vivere in un “ambiente salubre”.
Nella sentenza la Corte ha affermato l’inviolabilità di tale diritto,che non può essere soppresso dalla Pubblica Amministrazione neanche per motivi di ordine pubblico, poiché viene qualificato come un diritto assoluto.
Nel nostro sistema ordinamentale il diritto alla salubrità ambientale ha avuto una difficile collocazione perché contiguo e analogo alla disciplina di altri diritti (diritto alla salute, diritto all’ambiente).
Va difatti rilevato che, in materia di danno ambientale, il discrimine, come abbiamo visto, consegue a quanto stabilito dalla sentenza n. 5172 del 1979 della Cassazione, in cui la tutela ambientale viene riconosciuta azionabile con atti di citazione di natura privatistica con i quali il diritto soggettivo alla salute è inteso, non solo come diritto inviolabile alla vita e all’incolumità fisica, quanto come diritto all’ambiente salubre, fondato sugli artt. 2 e 32 Cost., esperibile da parte di qualsiasi cittadino in forza dell’art. 2043 c.c. e la cui protezione è assimilata a quella propria dei diritti fondamentali e inviolabili della persona umana: così stabilisce la sentenza della Corte, “il diritto alla salute dell’individuo assume…un contenuto di socialità e di sicurezza per cui piuttosto (e oltre) che come mero diritto alla vita e all’incolumità fisica, si configura come diritto all’ambiente salubre”.
Tra gli anni settanta ed ottanta si è formato un duplice indirizzo dottrinario sulla natura del diritto all’ambiente che, prendendo spunto dalla dicotomia introdotta dal disposto della nota sentenza della Cassazione, disputava sulla sua configurazione come diritto alla salubrità dell’ambiente, tutelabile da ciascun cittadino in forza degli artt. 2 e 32 della Costituzione, o come diritto soggettivo alla non compromissione dell’ambiente più generalmente inteso.
Senonché, il riconoscimento di un vero e proprio diritto soggettivo alla conservazione dell’ambiente, è da tenere, comunque, distinto dal diritto alla tutela della salubrità dell’ambiente.
Infatti, il primo deve essere inteso, secondo la dottrina più autorevole, come generico riferimento alla salvaguardia e tutela dell’ambiente, dunque, in una accezione più ampia e unitaria rispetto al diritto alla tutela della salubrità dell’ambiente e si acquisisce dal combinato disposto dell’art. 2, 3 e 9 della Costituzione. In questo modo, il diritto all’ambiente viene riconosciuto nella sua autonomia, secondo questa lettura e sarebbe superata l’elaborazione restrittiva dell’ambiente inteso come corollario del diritto alla salute e, nello specifico, come diritto alla salubrità dell’ambiente.
Senonché, questa dottrina sembrerebbe in contrasto con la giurisprudenza della Cassazione (sentenze del 9 marzo 1979, n. 1463 e del 6 ottobre 1979, n. 1572) in quanto la protezione accordata dall’ordinamento alla tutela della salute si configura come diritto all’ambiente salubre (sentenza n. 1572 del 1979).
Secondo questa dottrina la Cassazione seguirebbe dunque un indirizzo che si fonda sul concetto sanitario di ambiente, inteso come “diritto assoluto” riconosciuto all’interno della configurazione del diritto alla salute, e che il “diritto all’ambiente salubre” non produrrebbe affatto l’acquisizione di un concetto unitario del bene ambiente e l’affermazione di un autonomo “diritto all’ambiente”.
Al contrario, il diritto alla tutela della salubrità dell’ambiente andrebbe inteso come diritto circoscritto al rapporto strettamente interdipendente tra uomo, ambiente e salute.
Tale diritto postula un legame diretto ed inscindibile tra ambiente e salute.
Pertanto quest’ultimo si ricava dal combinato disposto dell’art. 2, 3, 9 e 32, 1° comma della Costituzione. Inizialmente protetto all’interno della disciplina privatistica delle immissione nocive prevista dal codice civile, (articolo 844 c.c.), il diritto alla tutela della salubrità ambientale, con il passare degli anni e a seguito di importanti sentenze, ha poi trovato una sua riconosciuta autonomia.
Tale autonoma configurazione emerge in parte anche dalla lettura della giurisprudenza del giudice delle leggi.
La distinzione tra diritto all’ambiente e diritto alla salubrità dell’ambiente non è solo nominale come può apparire.
La distinzione è sostanziale e fondamentale per la valutazione degli effetti che possono conseguire, a seconda che ci si trovi al cospetto del primo o del secondo diritto leso.
Per contro la dottrina ha nel tempo elaborato la costruzione di una categoria generale ed unitaria del “bene ambiente”, comprensiva di tutte le risorse naturali e culturali con la contestuale affermazione di un autonomo “diritto all’ambiente” superando la concezione restrittiva dell’ambiente inteso come salubrita’ ambientale.
La tesi che assume l’esistenza di una nozione unitaria di ambiente, configurato come bene giuridico, si è rafforzata a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 349 del 1986 che ha introdotto il danno  ll’ambiente inteso dal legislatore come un danno ad un bene unitario (l’art. 18 non definisce espressamente la nozione di ambiente e non precisa i suoi elementi costitutivi), appartenente alla collettività e di natura superindividuale pubblica, posto che solo lo Stato o gli enti territoriali possono esercitare la tutela ivi prevista, mentre i cittadini e le associazioni di protezione ambientale sono abilitati solo a denunciare i fatti lesivi di beni ambientali dei quali siano a conoscenza (art. 18, c. 4).
Tale interpretazione è stata condivisa dalla Corte Costituzionale che, nella nota sentenza n. 641 del 30 dicembre 1987 ha evidenziato che l’ambiente, nonostante la molteplicità degli aspetti in cui si estrinseca, si identifica come “bene immateriale unitario” “natura e sostanza di bene unitario” la cui protezione è imposta da precetti costituzionali (art. 9 e 32 Cost.), “per cui esso assurge a valore primario ed assoluto”.
Peraltro, la concezione pubblicistica fatta propria dal legislatore è stata, in seguito, ripresa dalle Sezioni Unite della Cassazione che hanno qualificato espressamente l’ambiente come “un bene immateriale, giuridicamente riconosciuto e tutelato nella sua unitarietà, la cui lesione si accompagna alla menomazione di altri beni o interessi collegati ai profili in cui quella entità unitaria pur essere scomposta e che, secondo la corrente accezione dottrinaria, riguardano:

  1. a) l’ambiente come assetto del territorio;
  2. b) l’ambiente come ricchezza di risorse naturali;
  3. c) l’ambiente quale paesaggio nel suo valore estetico e culturale;
  4. d) l’ambiente quale condizione di vita salubre” (Cass. Sez. Un. n. 440 del 25 gennaio 1989).

In questo senso la Corte di Cassazione civile ha qualificato l’ambiente come “un insieme che, pur comprendendo vari beni o valori quali la flora, la fauna, il suolo, le acque, ecc. - si distingue ontologicamente da questi e si identifica in una realtà, priva di consistenza materiale, ma espressiva di un autonomo valore collettivo, costituente, come tale, specifico oggetto di tutela da parte dell’ordinamento, con la L. 8- 7-1986 n. 349” (Cass. n. 4362 del 9 aprile 1992).
In particolare, sul punto della prova del danno ambientale, una recente sentenza della Suprema Corte ha stabilito che bisogna distinguere tra danno ai singoli beni (di proprietà pubblica o privata) e danno all’ambiente considerato in senso unitario, in cui il profilo sanzionatorio nei confronti del fatto lesivo del bene ambientale comporta un accertamento che non è quello del mero pregiudizio patrimoniale, ma della compromissione dell’ambiente (Cass. n. 9211 del 1 settembre1995). Pertanto, in conclusione, se pure restano nel profondo delle divergenze importanti in ordine alla stessa nozione giuridica di “ambiente”, soprattutto per quanto concerne l’astratta configurazione di un autonomo e compiuto “diritto all’ambiente”, è opportuno ricordare che le difformi posizioni espresse in dottrina e in giurisprudenza non compromettono il ruolo, sempre più centrale e rilevante, che l’ambiente ha assunto nell’ordinamento interno ed europeo in questi ultimi anni, soprattutto per il giurista, che ne interpreta il mutamento ed è tenuto alla ricerca della sua intrinseca natura come bene giuridicamente tutelabile.