Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

CLIMA 
TRATTI PRINCIPALI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI: DATI E TENDENZE
13/11/2017
di Fabrizio D’Aprile
Dottore Forestale - Centro per la Ricerca su Foreste e Legno, Italia
European Geosciences Union (EGU), Vienna
Monash University, Australia

Il clima, nella storia della Terra è sempre cambiato ma, attualmente, si assiste ad una rapidità che sembra non avere precedenti da quando sono iniziati gli studi sulle relazioni tra uomo e ambiente


RIASSUNTO:

Il riscaldamento del clima o comunque varie modificazioni del clima, è mostrato da dati che ne confermano l’esistenza ed il suo differenziarsi nelle diverse aree terrestri. Se per i climatologi ed i paleoclimatologi ci sono elementi di discussione quali, ad esempio, l‘imputare, non imputare od imputare parzialmente le cause di ciò al solo “effetto serra”, per chi si occupa di ambienti forestali le scale temporali sono ampiamente sufficienti a richiedere una piena attenzione. A ciò si affianca un elemento culturale da tenere sempre ben evidente: il clima, nella storia della Terra, è sempre cambiato e quello cui si assiste oggi è, nella ipotesi più conservatrice rispetto ai cambiamenti climatici, una rapidità che sembra non avere precedenti nell’arco temporale di interesse per i rapporti tra Uomo e foreste.

Oltre il 90% degli scienziati che si occupano di clima concorda che gli andamenti di riscaldamento del clima nei secoli scorso e corrente sono dovuti ad attività umane e la maggior parte delle principali organizzazioni scientifiche a livello mondiale hanno pubblicato dichiarazioni che appoggiano questa posizione ( https://climate.nasa.gov/scientific-consensus/).

ABSTRACT:

Main features of climate change: data and trends
Climate warming is shown by data confirming its existence and its differentiation in different areas of the Earth. Although climatologists and paleoclimatologists may debate about this warming such as, for example, totally or partially imputing the causes of it to the ‘greenhouse effect’, at the forest environment level the time scales are largely sufficient to require full attention. In all cases, debating ‘climate warming’ should consider a cultural relevant element: climate has always changed throughout the history of the Earth. What is being witnessed today is, in a conservative hypothesis, a rapidity of warming that seems to have no precedent in the time span of interest relative to the relationships between Man and forests.

Today, more than 90% of climate scientists agree that climate warming trends in the recent decades and probably centuries are due to human activities; most of the world's leading scientific organizations have issued statements that support this position (https://climate.nasa.gov/scientific-consensus/).


1.  Cambiamenti del clima: alcune evidenze

Il cambiamento del clima, anzi dei climi, della Terra rientra nelle normali dinamiche geo-fisiche e spaziali del nostro pianeta e non nelle eccezioni. Si pensi ad esempio alle informazioni più comuni sulla presenza del mammuth e del bue muschiato nella nostra penisola, al Piccolo Glaciale Medioevale (PGM) oppure ai giacimenti fossili del Carbonifero. La nostra flora stessa ne è un esempio, variando dalla palma nana (Chamaerops humilis L.) al faggio (Fagus sylvatica L.) alla medesima latitudine. Solo negli ultimi 650.000 anni circa ci sono stati 7 cicli di avanzata e ritiro dei ghiacci, con una repentina fine dell’ultima era glaciale circa 7.000 anni fa; essa marca l’inizio della moderna era climatica e della colonizzazione umana. La maggior parte di questi cambiamenti del clima sono stati attribuiti a variazioni molto piccole dell’orbita terrestre che – in linea di massima – modificano la distribuzione di energia solare ricevuta dalla Terra. Fra gli elementi indicativi delle variazioni climatiche del globo terrestre troviamo la concentrazione atmosferica di CO2. La Figura 1 mostra come essa, inversamente proporzionale alla temperatura, sia variata negli ultimi 400.000 anni. Nonostante le ampie oscillazioni, è solo dalla Rivoluzione Industriale che si è superata notevolmente, in modo rapidissimo e crescente, la media di concentrazione atmosferica di CO2 nel lunghissimo termine.


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Figura 1. La comparazione dei campioni di atmosfera contenuti nei campioni (carotaggio) di ghiaccio e misurazioni dirette più recenti mostrano che la CO2 atmosferica è cresciuta oltre i massimi storici di lunghissimo termine dall’epoca della Rivoluzione Industriale. (Fonte: Vostok ice core data/J.R. Petit et al., 1999; NOAA Mauna Loa CO2 record).

Focalizzando su tempi più recenti, un altro esempio è fornito dalla NASA. La Figura 2 mostra il cambiamento della temperatura media della superficie terrestre dal 1880 al 2016 raffrontata al periodo 1951-1980. In questo caso, si osserva come prima degli anni 1940 la temperatura media fosse inferiore agli 0°C mentre dopo la fine degli anni 1950 essa salga progressivamente oltre gli 0°C. Si è osservato inoltre che la maggior parte del riscaldamento è comparso nei passati 30-40 anni, con 16 di essi su un totale di 17 occorsi dopo il 2000. Non solo il 2016 (2017 non disponibile) è stato l’anno più caldo, ma 8 dei 12 mesi che formano l’anno, da gennaio a settembre con l’eccezione di giugno, sono risultati i più caldi registrati per le rispettive serie cronologiche.


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Figura 2. Cambiamento della temperatura media globale dal 1880 al 2016 riferita al periodo 1951-1980. La linea nera è la temperatura media annua globale e quella rossa è la media mobile sui 5 anni (lowess smooth). Le linee blu mostrano l’intervallo di confidenza del 95%. (Fonte: https://data.giss.nasa.gov/gistemp/ ). 

La temperatura media annuale della superficie terrestre è attesa in aumento per la fine del secolo (2071-2100 rispetto al 1971-2000) tra 1°C e 4.5°C secondo lo scenario RCP4.5 (https://sos.noaa.gov/datasets/climate-model-temperature-change-rcp-45-2006-2100) e tra 2.5 gradi e 5.5°C nello scenario RCP8.5 (https://sos.noaa.gov/datasets/climate-model-temperature-change-rcp-85-2006-2100). Sono, questi, valori superiori a quelli attesi per l’aumento medio globale. Il riscaldamento più elevato sarebbe previsto per l’Europa nord-orientale e la Scandinavia in inverno e per l’Europa meridionale in estate. Allo stesso tempo, sembrano comparire evidenze per le quali, almeno durante gli ultimi 2.000 anni, le temperature estive (luglio) mostrate da vari indicatori in diversi siti dell’Alaska relativi a fluttuazioni coeve alla PGM (dalla metà del XIV alla metà del XIX secolo), al Periodo Caldo Medievale (PCM; durato circa 500 anni, dal IX al XIV secolo) ed al primo raffreddamento del millennio (First Millennial Cooling) (ca. 1.400 anni fa) che ha seguito il Periodo Caldo Romano (PCR) (Clegg et al., 2010). Altre ricerche indicherebbero che il periodo odierno è comunque meno caldo di quanto non fosse il PCR. [U1] Rimane comunque il fatto che la scala temporale alla quale si osservano tali fenomeni gioca un ruolo chiave nel definirne i trends di riscaldamento sul lungo e lunghissimo termine e che la disponibilità di dati diretti (stazioni meteo) per il corrente secolo e quello passato poco spazio lasciano ad interpretazioni.

2.   Alcune basi scientifiche del riscaldamento del sistema climatico

Tra le evidenze del cambiamento del clima, si possono considerare varie fonti autorevoli. Tra queste una delle più note è lo Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC, Fourth Assessment Report, 2007; http://www.ipcc.ch/publications_and_data/ar4/wg2/en/contents.html; IPCC, Fifth Assessment Report, 2013 http://www.ipcc.ch/report/ar5/wg1/). Secondo quest’ultimo, l’attuale tendenza al riscaldamento è particolarmente significativa; la maggior parte di essa è estremamente probabile (oltre il 95%) che sia causata dalle attività umane data la loro entità dalla metà del secolo scorso, seppure potrebbe essere già iniziata nella metà del XVIII secolo, e  risulta procedere ad un tasso senza precedenti nei decenni recenti rispetto a millenni (US EPA, 2009. https://www.epa.gov/climate-indicators/climate-change-indicators-us-greenhouse-gas-emissions; European Environmental Agency, 2011; http://www.ibimet.cnr.it, 2011). Fra i vari riscontri, carote di ghiaccio estratte dalla Groenlandia, dall’Antartico e dai ghiacciai delle montagne tropicali mostrano che il clima terrestre risponde ai cambiamenti nei livelli di gas-serra. Evidenze possono essere riscontrate anche nelle serie cronologiche di anelli degli alberi (dendroclimatologia), nei sedimenti oceanici, nelle barriere coralline e negli strati delle rocce sedimentarie. Queste evidenze di antichi climi o di paleo-climi mostrano che l’odierno riscaldamento è comparso circa 10 volte più velocemente che il tasso medio di recupero del riscaldamento post-era glaciale.

In questo scenario, recenti stime delle combinazioni delle pressioni di origine antropica dovute ai gas-serra, agli aerosol ed ai cambiamenti di uso della superficie terrestre, indicano come “estremamente probabile” che le attività umane abbiano esercitato un’influenza sostanziale sul clima dalla metà del XVIII secolo. In tal contesto, peraltro, è ritenuto “virtualmente certo” che gli aerosol di origine antropica producano un effetto radiativo negativo (raffreddamento) con una maggior magnitudine nell’Emisfero Nord rispetto a quello Sud (IPCC, 2007; http://www.ipcc.ch/publications_and_data/publications_and_data_reports.shtml).

2.1 Riscaldamento degli oceani

Gran parte del riscaldamento è stato assorbito dagli oceani, con i 700 metri di profondità per la parte superiore che mostrano un aumento della temperatura di vari gradi dalla fine degli anni 1960.

2.2 Scioglimento dei ghiacci

Gli strati di ghiaccio dell’Antartico e della Groenlandia mostrano riduzioni di massa. I dati del NASA's Gravity Recovery and Climate Experiment (https://www.nasa.gov/ mission_pages/Grace/index.html)  mostrano che la Groenlandia ha perso da 150 a 250 chilometri cubici di ghiaccio per anno negli anni dal 2002 al 2006, mentre l’Antartico si è ridotto di circa 152 chilometri cubici di ghiaccio tra il 2002 ed il 2005.

2.3 Ritiro dei ghiacciai e riduzione del manto nevoso

I ghiacciai si stanno ritirando quasi ovunque nel mondo, incluse le Alpi, l’Himalaya, le Ande, le Montagne Rocciose, l’Alaska; l’estensione e lo spessore del ghiaccio dell’Artico è rapidamente diminuito per vari decenni sino ad oggi. Le osservazioni satellitari mostrano che la quantità di copertura nevosa primaverile nell’Emisfero Nord è diminuita nelle ultime 5 decadi e che la neve inizia a sciogliersi prima.

2.4 Aumento del livello del mare

Nell’ultimo secolo il livello medio del mare è cresciuto di circa 20 cm. In particolare, il tasso di aumento negli ultimi due decenni risulta pressoché doppio rispetto a quello dell’ultimo secolo.

2.5 Eventi estremi

Il numero di eventi di alte temperature è aumentato, come anche le piogge brevi ad alta intensità, mentre quello di basse temperature è diminuito; le siccità sono più prolungate.

2.6 Acidificazione degli oceani

Dall’inizio della Rivoluzione Industriale il livello di acidità della superficie oceanica è cresciuto in media del 30%. Questo incremento è il risultato dell’aumento di immissione di CO2 nell’atmosfera con un suo maggior assorbimento negli oceani; una stima della quantità di CO2 assorbita dallo strato superiore degli oceani è di circa 2 miliardi di tonnellate per anno.

3.  Il quadro europeo

A scala europea (Figura 3), alla fine degli anni 1880 compare un aumento di temperatura che continua sino ad oggi e diviene più marcato dalla fine degli anni 1970; un leggero calo occorre negli anni 1960-1970. L’anomalia positiva dagli anni 1980 in poi è superiore e crescente a quella dei secoli precedenti, almeno sino dalla metà del XVII secolo.


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Figura 3. Anomalia media rispetto alla temperatura media annua del trentennio 1961-1990 in Europa. La linea nera è la media mobile con periodo 10 anni ed evidenzia la variabilità di medio termine riducendo quella di breve periodo. (Fonte: https://www.eea.europa.eu/data-and-maps/indicators/global-and-european-temperature-4/assessment

In base ai dati della European Environment Agency (EEA; https://www.eea.europa.eu/data-and-maps/indicators/global-and-european-temperature-4/assessment), secondo tre diverse serie di osservazioni sulla temperatura media annuale prossima alla superficie terrestre (terre ed oceani), il decennio 2007-2016 è stato tra 0.87°C e 0.92°C più caldo rispetto all’epoca preindustriale, cosa che ne fa il decennio più caldo fra quelli registrati. Dei 17 anni più caldi nelle serie di dati, 16 si sono verificati dal 2000, con il 2016 più caldo in assoluto: oltre 1.1°C più caldo rispetto all’epoca pre-industriale, seguito dal 2015. Nella stessa decade 2007-2016, la temperatura media annuale europea è stata circa 1.6°C sopra il livello preindustriale; il 2016 è stato il secondo anno più caldo, dopo il 2014, in Europa da quando sono iniziate le registrazioni di dati strumentali. I modelli climatici prevedono per il XXI secolo aumenti di temperatura media globale – per il periodo 2081-2100 rispetto al riferimento 1986-2005 – tra 0.3°C e 1.7°C per lo scenario a minori emissioni (RCP2.6; https://www.climateemergencyinstitute.com/uploads/RCP_2_6_Bonn.pdf) e tra 2.6°C e 4.8°C per quello a maggiori emissioni (RCP8.5). In Europa, la temperatura media annuale è prevista in salita per la fine del secolo tra 1°C e 4.5°C sotto lo scenario RCP4.5 (https://www.ipcc.ch/pdf/unfccc/cop19/2_knutti13sbsta.pdf) e tra 2.5°C e 5.5°C nello scenario RCP8.5 (https://www.ipcc.ch/pdf/unfccc/cop19/2_knutti13sbsta.pdf), con riferimento al periodo 2071-2100 rispetto al 1971-2000. Il riscaldamento maggiore è previsto per l’inverno nell’Europa nord-orientale ed in Scandinavia ed in estate nel Sud Europa.

In Europa si sono verificati molti episodi di ondate di calore estremo dal 2000 (anni 2003, 2006, 2007, 2010, 2014 e 2015), non considerando ancora il 2016 ed il 2017. Sotto uno scenario di elevate emissioni in atmosfera (es.: RCP8.5; https://sos.noaa.gov/datasets/climate-model-temperature-change-rcp-85-2006-2100/), ondate estreme di calore di questa forza o maggiore sono previste con una frequenza biennale nella seconda metà del XXI secolo, particolarmente forti nel Sud Europa.

Nel quadro europeo, per Mariani e Zavatti (2017), l’andamento delle anomalie termiche (Figura 3) sarebbe giustificato dal fatto che la variabilità delle temperature sarebbe perlopiù frutto di tre fenomeni distinti:

  • un trend al riscaldamento legato all’uscita dal PGM. Il diagramma in figura 3 evidenzia che siamo passati da valori fino a -2.5°C al di sotto della media 1961-90 (dato raggiunto nel gelido 1740, anno più freddo di tutta la serie) a valori attuali di 2°C al di sopra della media stessa (dato del 2014, anno più caldo di tutta la serie; mancano qui le serie di dati dal 2015 al 2017);
  • una variabilità interannuale molto forte che è una delle caratteristiche più peculiari del clima europeo. La grande variabilità interannuale deriva in sostanza dal fatto che da un anno all’altro cambiano in modo sensibile la frequenza e la persistenza dei diversi tipi circolatori a macro- e mesoscala che interessano il nostro continente;
  • una ciclicità pluridecennale che è frutto delle ciclicità manifestate dalle temperature oceaniche e descritte dall’indice Atlantic Multidecadal Oscillation (AMO – http://www.aoml.noaa.gov/phod/amo_faq.php ). Quando AMO è in fase positiva e l’oceano è caldo anche le temperature europee sono più elevate mentre quando AMO passa in fase negativa e l’oceano diventa freddo le temperature europee si riducono di conseguenza. Si noti che la transizione di AMO da negativo a positivo avvenuta nel 1994 è stata innescata da un periodo a correnti atmosferiche atlantiche (grandi correnti occidentali o westerlies) molto intense, il che è segnalato dai valori molto positivi dell’indice circolatorio atmosferico North Atlantic Oscillation Invernale (NAOI)  (https://climatedataguide.ucar.edu/climate-data/hurrell-north-atlantic-oscillation-nao-index-station-based ).

4. Il Mediterraneo

Già alla fine del secolo scorso-inizi del secolo corrente il bacino del Mediterraneo è stato identificato come uno dei punti di maggior attenzione (hot-spots) a livello mondiale per i cambiamenti climatici (Giorgi, 2006). La scarsità di piogge invernali è stata verificata nel periodo 1970-1990 (Piervitali et al., 1998; Buffoni et al., 1999) mentre nel Mediterraneo centro-occidentale e soprattutto in quello meridionale le precipitazioni sono diminuite in modo significativo nel periodo 1951-1995, come confermato da Buffoni et al. (1999) per l’Italia dal 1833 al 1996. Gli eventi climatici estremi erano già attesi diventare più frequenti e più intensi nel Mediterraneo (Meehl et Trebaldi, 2004; Stott et al., 2004; Piani et al., 2005), ad esempio i periodi prolungati di siccità (Brunetti et al., 2002). Gli andamenti climatici degli anni successivi hanno confermato tali previsioni.

I dati per il periodo 1860-2005 nella regione mediterranea mostrano una variabilità decennale ed una generale tendenza delle condizioni medie annue ad essere più calde e più asciutte.

Gas-serra, aerosol di origine antropica e forze naturali  (https://www.ipcc.ch/ipccreports/tar/ wg1/ 041.htm)  sembrano aver causato cambiamenti forzati del clima mediterraneo in questo periodo, con proiezioni di tassi di riscaldamento e maggior aridità forzati sul Mediterraneo più alti che nel secolo passato (Mariotti et al., 2015).

Nel periodo 1901-2009, altre ricerche confermano un trend negativo delle precipitazioni annuali nella maggior parte delle regioni del Mediterraneo ad eccezione del Nord Africa, dell’Italia meridionale e della penisola Iberica occidentale dove sembrano comparire trends leggermente positivi. A ciò si accompagna una marcata riduzione (ca. -20%) del numero di giorni piovosi nelle regioni mediterranee orientali, ma questo comportamento non sembra verificarsi nelle regioni mediterranee centrali ed occidentali. Secondo alcune stime, le precipitazioni per il periodo 2071-2100, rispetto al confronto 1961-1990, molto probabilmente decresceranno nell’area mediterranea almeno del 20% (Philandras et al., 2011).

L’ultimo rapporto tecnico dello International Panel on Climate Change (IPCC, 2013) evidenzia il Mediterraneo come una delle regioni più vulnerabili al mondo per gli impatti del riscaldamento globale. Sebbene gli scenari previsti differiscano, tutti concordano su alcuni aspetti. Usando come periodo di riferimento il 1980-2000, per il regime termico è stato stimato un aumento delle temperature di superficie tra i 2.2°C ed i 5.1°C per il 2080-2100 ed una riduzione delle piogge sulle superfici terrestri tra il -4% ed il -27%. Tuttavia, il riscaldamento globale non può essere considerato un fenomeno legato solo alle emissioni di gas-serra. Ad esempio, Brewer et al. (2007) hanno mostrato che un complesso di modelli di circolazione atmosferica è collegato allo stress da siccità nella regione mediterranea negli ultimi 500 anni. In particolare, è stato rilevato un blocco nel modello climatico nell’Europa settentrionale collegato a condizioni asciutte nell’Europa meridionale prima del PGM e durante il XX secolo; un modello di NAO positivo con gli westerlies (https://www.britannica.com/science/westerlies) crescenti durante il PGM; un periodo con modello di NAO negativo precedente al PGM che però compare frequentemente durante quest’ultimo.

5.   Il quadro italiano

In Italia la presenza di modificazioni del clima è nota; esse appaiono complesse e diversificate anche in considerazione della particolare posizione geografica.

Già nel 2007 era osservato e previsto un cambiamento del clima nella regione mediterranea che consisteva in una marcata riduzione delle precipitazioni soprattutto nella stagione calda, ad eccezione del Mediterraneo settentrionale (es.: le Alpi) in inverno, ed in un significativo riscaldamento soprattutto nella stagione estiva.

Per l’Italia, il dato dal 1960 mostra una chiara tendenza all’aumento della temperatura media perlopiù in accordo con la tendenza globale (Figura 4) (http://variazionietendenze.blogspot.it/p/gli-indicatori-2011-della-temperatura.html). La variabilità interannuale è attesa in aumento specialmente in estate, fenomeno che insieme con il riscaldamento medio porta ad una maggior frequenza di eventi estremi di alte temperature.

Le proiezioni sui cambiamenti del clima in Italia per il XXI secolo, secondo i modelli sperimentali CMIP3 (globale) e PRUDENCE (regionale), mostrano che il segnale climatico in Italia varia stagionalmente, con un massimo di riscaldamento in estate di vari gradi centigradi ed uno minimo in inverno, mentre le precipitazioni diminuiscono sulla Penisola in estate, con cali localmente fino al -40%, ed un cambiamento del modello di precipitazione in inverno con aumento al nord e riduzione al sud. La variabilità interannuale di precipitazione aumenta in tutte le stagioni mentre cresce in estate per le temperature. L’anomalia della temperatura stagionale mostra tanto uno slittamento (shift) quanto un ampliamento ed appiattimento nelle condizioni climatiche future soprattutto in estate; ciò implica che sono maggiori gli incrementi degli estremi di calore nelle stagioni calde rispetto agli incrementi delle temperature medie estive. L’anomalia delle precipitazioni stagionali sembra marcatamente influenzata in estate, con un forte aumento di stagioni molto asciutte. Inoltre, le stagioni con elevate quantità di precipitazioni sembrano tendere ad aumentare nelle future condizioni climatiche; ad esempio, risulta un aumento sia di stagioni molto aride, inclini alla siccità, sia di stagioni molto piovose, favorevoli alle inondazioni. La magnitudine dei cambiamenti climatici futuri dipende dagli scenari delle emissioni ed i segnali di cambiamento di temperatura e precipitazione mostrano una struttura distributiva a scala ridotta in risposta al forzamento topografico dei sistemi di montagna italiani (Coppola et Giorgi, 2009). 

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Figura 4. Raffronto fra andamenti delle anomalìe di temperatura media globale ed italiana dagli anni 1960 al 2016. Si osserva una rilevante similarità dove l’Italia mostra però una più marcata variabilità nel breve termine (Fonte: ISPRA, Area Climatologica Operativa, 2016).

Per il periodo 1961-2006, le analisi mostrano marcate differenze degli andamenti stagionali delle temperature in Italia. La stazionarietà caratterizza le serie di temperature invernali ad eccezione del Nord Italia, dove compare una tendenza al riscaldamento dal 1961; le temperature primaverili tendono ad aumentare per tutto il periodo in Italia. Le temperature estive sembrano diminuire sino al 1981, quando si inverte la tendenza; gli autunni iniziano a diventare più caldi dal 1970 (Toreti et al., 2010). Le relazioni tra temperature stagionali e 4 tipi di teleconnessioni(1) (North Atlantic Oscillation, East Atlantic Pattern, Scandinavian Pattern e Arctic Oscillation)  che influenzano il clima europeo hanno mostrato una forte correlazione lineare con lo East Atlantic Pattern (http://www.cpc.ncep.noaa.gov/data/teledoc/ea.shtml) in tutte le stagioni e soprattutto in autunno.

Riguardo alla Regione Alpina Maggiore (Greater Alpine Region, GAR; 4-19 E, 43-49 N), il database HISTALP fornisce un'immagine della variabilità climatica di lunghissimo termine e dei cambiamenti. Le analisi hanno riguardato la temperatura, la pressione, le precipitazioni, la nuvolosità, la durata del sole, la pressione del vapore e l'umidità relativa di 242 siti. I risultati, oltre a evidenziare un riscaldamento che è circa il doppio rispetto alla tendenza globale, mostrano anche che le diverse variabili hanno risposto in modi diversi al riscaldamento e che le interazioni reciproche che legano le diverse variabili sono spesso presenti solo a determinate scale temporali, solo in alcune parti del GAR, e in stagioni definite (Brunetti et al., 2009).

In Centro Italia, ad esempio in Umbria, le serie temporali di alcuni indici climatici e agro-climatici sono state quantificate per 38 stazioni ed analizzate sia in singoli siti, sia a livello regionale. Le precipitazioni cumulate tendono a diminuire, in particolare durante il periodo piovoso, e sono caratterizzate da uno schema spaziale definito. In particolare, le precipitazioni annuali e invernali diminuiscono soprattutto nelle zone più umide; le temperature sia massime che minime mostrano di aumentare, soprattutto le minime, cosa che spesso comporta una riduzione dell’escursione termica; il rischio di un evento di siccità estremo in un periodo di 30 anni dovrebbe raddoppiare ed il consumo di acqua per coltura dovrebbe aumentare fino al 30% in un periodo di 50 anni. La riduzione delle precipitazioni durante la stagione irrigua, anche se meno diffusa, potrebbe avere le più importanti conseguenze pratiche (Vegni et Todisco, 2011).

Per quanto riguarda le precipitazioni, in Italia è stata osservata una significativa riduzione che nell’arco di mezzo secolo, sino ai primi anni 2000, è stata di oltre 100 mm nelle regioni meridionali (Palmieri et al., 1991; Brunetti et al., 2004; Brunetti et al., 2006). Nel dettaglio, riduzioni particolarmente forti sono state riscontrate in alcune aree della Campania (Diodato, 2007), della Basilicata (Piccarreta et al.,2004) ed in Sicilia (Cannarozzo et al., 2006). La Figura 5 mostra il dato conguagliato di anomalia di precipitazione annuale per l’Italia sino al 2016.


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Figura 5. Riduzione della precipitazione annuale in Italia dal 1951 al 2016, con riferimento al periodo 1951-1980. La tendenza è di marcata riduzione nell’ambito di una significativa variabilità interannuale, che comunque vede affermarsi una riduzione media sino oltre il -20% dagli anni 1980 in poi (Fonte: ISPRA, Area Climatologica Operativa, 2016).

Fra gli aspetti da considerare che sembrano confermare i trends di area ampia, a livello locale si può osservare in più casi una riduzione della dissimilarità degli andamenti delle temperature negli ultimi decenni. Ad esempio, sull’Appennino toscano la similarità degli andamenti della temperatura media annuale è marcatamente non-stazionaria prima degli anni 1980 mentre dopo tale periodo la similarità tra stazioni diverse sembra più omogenea, con andamenti tendenzialmente in aumento (Figura 6) (D’Aprile et al., 2016).


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Figura 6. Correlazione (Pearson’s r) per coppie di siti delle medie mobili di 7 anni delle temperature medie annuali nell’Appennino toscano. La variabilità della similarità tra serie di temperature fra i diversi siti si riduce dopo gli anni 1980. AB: Abetone, CM: Camaldoli, CP: Campigna, LA: La Verna, VA: Vallombrosa. (Fonte: D’Aprile, F. et Tapper, N., 2016).


Conclusioni

L’evidenza, ormai percepibile dal cittadino, quindi oltre la sensibilità e identificazione per via strumentale, dei cambiamenti del clima richiede un approccio realistico e tempestivo ai diversi livelli politici, amministrativi e pianificatori, soprattutto in considerazione di una situazione che non prevede miglioramenti ma intensificazione degli andamenti correnti, i quali appaiono ormai stabilizzati od almeno atti a confermare le previsioni/scenari proposti anche oltre un decennio addietro. Non necessariamente l’approccio alla mitigazione degli impatti e/o le strategie di adattamento ai cambiamenti climatici deve sempre e comunque essere catastrofista: alcuni aspetti legati al necessario adeguamento a questa realtà climatico-ambientale può essere anche occasione di nuovi modi di sviluppo in diversi campi. In ambito ambientale-forestale, agricolo e di gestione delle risorse naturali, tra cui quelle idriche, ad esempio l’evidenza di significative dissimilarità nei trends delle variabili climatiche a livello locale, pur nell’ambito di andamenti generali relativamente omogenei, richiede che la variabilità temporale e spaziale degli andamenti del clima sia applicata a pieno titolo nella pianificazione e gestione non solo forestale.

Riferimenti bibliografici

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Brunetti M., Maugeri, M. et Nanni, T., 2002. Atmospheric circulation and precipitation in Italy for the last 50 years. International Journal of Climatology, 22: 1455–1471.

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