Premessa
Il cammino della cultura forestale ha testimoniato il rapporto con la considerazione sociale che nel tempo si andava affermando nei confronti delle foreste. Tuttavia, un nucleo stabile che caratterizzi lo spirito forestale è chiaramente determinabile, pur nella progressiva variabilità delle declinazioni storiche. Oggi siamo immersi nell’era della sostenibilità, contrassegnata dall’esigenza posta principalmente dalle epocali criticità del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità. In relazione a queste nuove categorie, la disciplina forestale assume un ruolo baricentrico. Esprime l’antidoto, sia sul piano delle cause che su quello degli effetti, al cambiamento climatico, si identifica sostanzialmente con il concetto-valore della biodiversità, rappresenta la matrice della cultura della sostenibilità. In quest’ultima riassuntiva definizione è racchiusa l’essenza delle scienze forestali, che per le circostanze descritte oggi si trovano necessariamente a vivere una stagione fondamentale sul piano etico, semplicemente penetrando all’interno della loro natura.
La sostenibilità
Il principio della sostenibilità si afferma universalmente dall’ambito politico-istituzionale. Nel 1987, dalla Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite viene prodotto il cosiddetto “Rapporto Brundtland”, meglio conosciuto come “Our Common Future” (WCED, 1987), in cui si scolpisce il concetto di sviluppo sostenibile. Il principio di fondo di tale sviluppo si rivolge alla capacità di soddisfare i bisogni del presente, senza compromettere la possibilità di soddisfare i bisogni delle future generazioni. A seguito di questa introduzione, un costante percorso di affermazione istituzionale sul piano mondiale consolida tale impostazione, dal summit di Rio nel 1992 ai giorni nostri, con il summit del 2015 in cui vengono fissati 17 obiettivi per la cosiddetta Agenda 2030. Tuttavia il concetto di sostenibilità proviene dalla scienza forestale (Hosle, 2006). In tale ambito il primo a mobilitare questa categoria fu il sassone Hans Carl von Carlowitz, che nello scritto “Sylvicultura Oeconomica” (1713) introdusse il termine “Nachhaltigkeit”, dal significato primigenio di durevolezza, persistenza, in seguito naturalmente reso sinonimo di sostenibilità. Al di là della puntuale origine e sulla base di un percorso di estensioni di significato crescentemente inclusive, le scienze forestali hanno perennemente declinato l’essenza della sostenibilità, eleggendo il principio del giusto prelievo delle risorse naturali nell’ambito di un ritmo inferiore a quello della loro riproducibilità e giungendo alla considerazione dell’utilizzabilità dell'interesse rispetto al capitale naturale. Se all’origine la sostenibilità faceva riferimento prevalentemente alla continuità dell’aspetto economico, in termini di valore d’uso, successivamente ha assunto consistenza la dimensione del valore sociale, fino a raggiungere l’affermazione del pieno valore ambientale, nelle varie, odierne declinazioni. In questo quadro le scienze forestali hanno rappresentato l’archetipo di tale processo, quali discipline tese comunque a perseguire un equilibrio nel rapporto tra uomo e natura, essenziale tanto nella versione prevalentemente economica, quanto in quella centralmente ambientale. Nell’ambito di un convegno nazionale relativo ai “parchi e riserve naturali nella gestione territoriale”, svoltosi a Viterbo nel 1987, il Prof. Orazio Ciancio ebbe a sostenere, quale base della disciplina forestale, “la teoria del Naturalismo Umanistico, fondata sul principio triassiomatico della “Perpetuità, della Funzionalità e dell’Uso del bosco” (1989). Oggi, a seguito dell’indicato percorso culturale di progressivo ampliamento del concetto di sostenibilità, nella complessità sistemica in cui siamo immersi e nel corrispettivo affacciarsi di nuovi valori, appare compiersi quel proposito di armonia che le scienze forestali, quali matrici della sostenibilità, esprimono in nuce fin dalle origini. Tutto ciò scaturisce da una connaturata visione etica della realtà, che fin dall’inizio ed in termini progressivamente espliciti fonda il proposito di un approccio armonico, equilibrato, misurato con la realtà degli uomini e della natura, quale senso ultimo della sostenibilità. Così come si è andata ad affermare universalmente ed istituzionalmente, la sostenibilità rappresenta oggi il precipitato materiale della moderna disciplina dell’etica ambientale, tanto da presupporre nel dispiegamento delle sue trattazioni la distinzione etica tra una sostenibilità “debole” di stampo tecnocentrico, antropocentrico, ed una sostenibilità “forte” di stampo ecocentrico (Lanza, 2006). In conclusione, emerge in tutta evidenza un quadro per cui la sostenibilità nasce dal grembo delle scienze forestali ed ha come fondamento culturale l’etica ambientale. Alla luce di ciò, necessariamente, si viene condotti a cogliere il legame intrinseco tra le scienze forestali e l’etica ambientale.
Le Scienze Forestali
In rapporto a quanto esposto, è l’affacciarsi di una domanda fondativa che può guidarci verso la chiarificazione dei presupposti descritti: perché le scienze forestali, in quanto scienze, si ancorano ad un presupposto etico-culturale, piuttosto che, al pari delle altre scienze, autodeterminarsi attraverso un proprio statuto criteriologico e metodologico? A tale decisiva domanda è opportuno iniziare a rispondere con un indicativo parallelismo, in grado di illuminare la differenza tra le scienze naturali e le scienze forestali. Le prime, in quanto scienze, si limitano ad una funzione meramente conoscitiva, descrittiva, le seconde aggiungono a ciò una funzione prescrittiva. Le scienze forestali studiano le dinamiche naturali, ecosistemiche ma, classicamente e fondamentalmente, sono chiamate a gestirle, tematicamente consistendo nel rapporto tra economia ed ecologia, a sua volta emanazione del fondativo rapporto tra uomo e natura. La selvicoltura, in sostanza, ambito qualificante le scienze forestali, presuppone il rapporto costitutivo tra uomo e natura, nucleo conoscitivo essenziale ed aurorale che attraversa tutto il cammino culturale, dall’epoca prefilosofica fino ai nostri giorni. Stabilire il rapporto tra il valore dell’uomo e quello della natura, la legittimità, la necessità ed i limiti dell’utilizzo delle risorse naturali da parte dell’uomo, sono gli ineludibili presupposti etici della gestione forestale, della selvicoltura, la quale, proprio in relazione a ciò, nel tempo, pur nell’esigenza di un equilibrio di fondo, ha conosciuto varie forme applicative in relazione allo spirito ed ai bisogni dell’epoca. A questo punto, come risulta agevole osservare, il rapporto tra uomo e natura e quindi tra economia ed ecologia, nucleo materiale delle scienze forestali, è ciò che si identifica con il concetto di sostenibilità, ed il tutto presuppone, come rappresentato, un fondamento etico, tale da indirizzare le scelte gestionali. Naturalmente tali scelte sono supportate, metodologicamente, dalle conoscenze scientifiche e dai principi e traguardi delle scienze naturali, ma in quanto tali, finalisticamente vengono indirizzate dallo spirito culturale dell’epoca, dai principi dell’etica, oggi ambientale. Proprio alla luce di quanto esposto, dalla descrizione del concetto di sostenibilità, prodotto dalle scienze forestali, e dal presupposto etico interno ad entrambi gli ambiti, la selvicoltura, come detto, ha nel tempo declinato più forme. Si è assistito ad un percorso caratterizzato da uno sbilanciamento economicistico delle origini della selvicoltura, con i teorici della scuola tedesca del 700, Hartig e Cotta, ad una prima rettificazione in senso più naturalistico, con la scuola francese di Lorentz e Parade (1883), fino in Germania al Gayer (1901), dalla significativa, “eretica” sterzata naturalistica, in Francia attraverso il “metodo del controllo” del Gurnaud (1890), in Germania attraverso il “Dauerwald” del Moller (1922), per poi approdare nella contemporaneità. Stagione nella quale, a mio avviso, giganteggia l’elaborazione italiana, che sulla storica e progressiva scia del Pavari e del Susmel, giunge con la scuola di Firenze, guidata dal Prof. Ciancio, a teorizzare la Selvicoltura Sistemica (Ciancio e Nocentini, 1996). Quest’ultima formulazione selvicolturale rappresenta un autentico salto di paradigma rispetto al complessivo tragitto precedente, introducendo sul piano etico l’affermazione dei diritti del bosco, quale emanazione del suo valore intrinseco e declinando sul piano epistemologico la logica dei sistemi complessi. In questi termini la cultura forestale si emancipa da un modello di sostenibilità più o meno “debole”, per abbracciare quello più armonico e compiuto.
L’etica ambientale e forestale
Pur con la rappresentata ascendenza, come indicato la categoria della sostenibilità e la correlata disciplina dell’etica ambientale si affermano sul finire del XX secolo. L’insostenibile eccesso di sottrazione delle risorse naturali, congiunto alla insostenibile immissione di prodotti tecnologici in ambiente naturale, hanno prodotto l’affermarsi di uno stravolgimento materiale con conseguente reazione culturale, quest’ultima incarnata dalla nuova tematica dell’etica ambientale. Tale disciplina, fin da subito, si è articolata in quelle due direttrici di fondo, già accennate come presupposto della sostenibilità: l’una delineando un impianto etico coerente con il soggettivismo moderno, l’altra, di profonda rottura, recuperando categorie del sostanzialismo classico. L’autentico discrimine che in rapporto a ciò si è andato definendo, è consistito sostanzialmente in una dottrina del valore, consegnando alla natura, nella permanenza dell’approccio antropocentrico, un valore esclusivamente strumentale, pur sempre funzionale all’uomo, simmetricamente in un’ottica biocentrica, ecocentrica o fisiocentrica, scolpendo un valore intrinseco, proprio della natura stessa (Ubertini, 2015). Quanto all’impostazione di un’etica ambientale antropocentrica, l’autorevole emblema si ravvisa nell’elaborazione del filosofo australiano John Passmore (1991), in grado di gettare le basi per un approccio etico-ambientale in linea con le categorie della modernità. Quanto, viceversa, alla visione alternativa di un’etica ambientale “sostanzialistica”, tendente a recuperare una dimensione ontologica e finalistica della natura, sulla cui struttura incardinare il suo valore intrinseco, il simbolo indiscusso di tale percorso è rappresentato dal filosofo tedesco Hans Jonas (1990), cui sono seguiti sviluppi elaborativi ulteriori, come quello del filosofo tedesco Vittorio Hosle (1992). Quest’ultima direttrice di etica ambientale, costitutivamente alternativa ai dettami della modernità, tende ad articolarsi in più aspetti, in relazione alla centralità rispettivamente delle forme di vita (Taylor, 1986), dell’ambiente nel suo complesso (Naess, 1994) e della natura nel suo generale sviluppo (Meyer e Abich, 1993), quali fini in sé e quindi valori in sé. Da una parte, in sostanza, la natura consistente in forme geometriche e dinamiche meccanicistiche, la famosa res extensa (Cartesio, 2014), per ciò stesso priva di un valore proprio al di là di quello strumentale, d’altra parte il recupero dell’Essere al posto del diffuso ente (Heidegger, 2010), in cui la natura risulta animata da vis insita, da dimensione ontologica e dinamiche teleologiche, per ciò stesso depositaria di un valore in sè. Tuttavia anche in rapporto al descritto quadro delle linee di etica ambientale, la radice profonda di tutto ciò è identificabile con la cultura forestale. “L’Etica della Terra” del forestale americano Aldo Leopold (1997), per un verso ha rappresentato la matrice autentica del successivo sviluppo della tematica in oggetto, ad esso consegnando le coordinate essenziali di cui oggi si dispone, per altro verso ha segnalato la prospettiva della sintesi contemporanea più compiuta dell’etica ambientale stessa (Ubertini, 2023). Quanto al primo aspetto, infatti, il tema sostanziale del discrimine valoriale che abbiamo focalizzato sopra, viene introdotto da Leopold quando, in Etica della Terra, scrive: “Mi sembra inconcepibile che un rapporto etico con la Terra possa esistere senza provare per essa amore, rispetto, ammirazione, e senza un’alta considerazione del suo valore. Parlando di valore mi riferisco, naturalmente, a qualcosa di molto più vasto del semplice valore economico, intendendo quindi il termine in senso filosofico” (1997). Nel mio scritto “L’Archetipo Leopold" (2023), mi sembra di aver solidamente dimostrato che il valore cui si riferisce Leopold risulta essere, inequivocabilmente, l’odierno valore intrinseco. Ciò, massimamente, indica l’origine sostanziale dello sviluppo dell'etica ambientale. Oltretutto, in forza di tale impostazione Leopold giunge a formulare un diffuso “diritto biotico” all’esistenza, quello che poi, sul piano forestale, la Selvicoltura Sistemica codificherà. Circa il secondo aspetto, relativo alla consegna da parte di Leopold delle prospettive della sintesi contemporanea più compiuta dell’etica ambientale, questo si illumina solo in base alla lettura propriamente forestale dell’elaborazione leopoldiana. In effetti, avendo l’etica ambientale come proprio ultimo traguardo sostanzialmente quello di un’armonia tra l’uomo e la natura, su un’autentica compatibilità tra questi due elementi del reale, tanto la versione antropocentrica, quanto quella biocentrica, ecocentrica e fisiocentrica, falliscono l’obiettivo. L’etica ambientale antropocentrica, consegnando tutto lo sforzo conservazionistico nelle mani di un approccio pragmatico-utilitaristico, appare mantenere la sostanza dell’originaria asimmetria nel rapporto tra uomo e natura, fonte della crisi ecologica. D’altro canto, l’etica ambientale sostanzialistica, di matrice onto-teleologica, produce effetti controintuitivi ed autocontraddittori. L’attribuzione, come nel biocentrismo, di valori ad ogni forma di vita quale fine in sè (Taylor, 1986), con conseguente relativa intangibilità, determina assolutizzazioni controintuitive al cospetto delle antagonistiche dinamiche ecologiche, simboleggiate dalle catene trofiche. Per altro verso, far discendere da una metafisica organicistica con declinazione ecocentrica, un primato valoriale ad entità collettive rispetto alle singole parti costituenti, uomo compreso, manifesta una condizione altrettanto controintuitiva, al cospetto delle origini e della natura stessa dell’etica. Infine sulla sponda fisiocentrica, nella quale l’evoluzione naturale si consegna idealisticamente allo sviluppo teleologico di un logos (Meyer e Abich, 1993), ci si indirizza verso un ribaltamento antropocentrico, con l’uomo epitome autocosciente dell’intero corso filogenetico ed ontogenetico, con ciò evidenziando autocontraddittorietà. Ora, alla luce di tali squilibri rispetto ad una piena compatibilità tra uomo e natura, la cultura forestale, che alimenta la teorizzazione di Leopold (1997), si incarica di fornire il più equilibrato assetto perseguibile in direzione di un’adeguata sintesi contemporanea. L’elaborazione di Leopold da un lato mantiene un’origine umana del percorso etico, manifestando una logica valoriale estensiva dall’uomo alle altre forme naturali, d’altro lato prefigura, come indicato, la dimensione di un valore intrinseco della natura e non solo strumentale in senso economicistico. L’emblema di tale sintesi, dunque, non poteva essere più esplicito del suo principio etico supremo: “La conservazione della natura è una condizione di armonia tra gli uomini e la Terra” (Leopold, 1997). Un’etica forestale, dunque, matrice e meta dell’etica ambientale contemporanea, quale “terza via” di composizione delle alternative direttrici descritte, alimentata dal portato della cultura scientifica ed in grado di superare le rappresentate difficoltà di declinazione operativa. Con la cornice di merito del portato scientifico, evoluzionistico ed ecologico, e l’indicazione metodologica della scienza, tendente ad escludere approcci riduzionistici e riduttivistici, materialismi e spiritualismi vari, si giunge a quella dimensione di “consustanzialità” tra uomo e natura in grado di estendere, da quello a questa, valori e diritti originari. In sostanza, nel quadro della sospensione tra teleonomia e teleologia (Ubertini, 2023) e sul terreno dell’identificazione di principio tra ecologia ed economia (Haeckel, 1866), si procede ragionevolmente dall’uomo all’ecosistema, nel nostro caso, bosco, in forza dell’attribuzione del valore intrinseco alla “Autoaffermazione” dell’ente naturale, con conseguente diritto a ciò. Quanto delineato è diretta espressione della cultura forestale, che individua il suo ubi consistam nella covalorizzazione della ragione e della natura e che, sulla base del rapporto tra ecologia ed economia, raggiunge un punto di equilibrio tra questi due elementi, nella cornice del più ampio equilibrio tra diritto all’ambiente e dell’ambiente. Un’etica forestale, in sostanza, naturale e razionale, della misura e del limite, dell’equilibrio e dell’armonia, che riflette il principio etico sovrano di Aldo Leopold e che direttamente deriva da quella mentalità forestale declinata dalla intrinseca cultura gestionale. Ho cercato di rappresentare ciò nello scritto “Etica Forestale” cui rimando (Ubertini, 2011).
L’approdo istituzionale
Il punto di approdo oggettivo dell’intero processo tracciato, si sostanzia nel complessivo assetto istituzionale raggiunto. Da un punto di vista legislativo, nazionale ed internazionale, il tema della sostenibilità, quale precipitato materiale dei dettami dell’etica ambientale, guida lo scenario regolamentare attuale, marcatamente contrassegnando lo spirito delle norme specifiche. Dal panorama mondiale, in cui, come ricordato, nel 2015 si è dato vita da parte dell’ONU ai 17 obiettivi dell’agenda 2030, quale programma d’azione per lo sviluppo sostenibile, ai vari documenti europei, come la strategia UE 2030 tanto per la biodiversità, quanto per le foreste, fino a norme come la “Nature Restoration Law”, la cifra epocale parla il linguaggio della sostenibilità, il linguaggio etico, cui conformare mentalità e comportamenti individuali e collettivi. In campo nazionale, dal Testo Unico Ambientale del 2006, al Testo Unico Forestale del 2018, l’indirizzo sostanzialmente non cambia, pur con specifiche articolazioni in particolare per il “TUF”, in cui si introduce il concetto di “gestione attiva” del bosco, visto nell’ottica della multifunzionalità ecosistemica, sempre alla ricerca, non costantemente raggiunta o adeguatamente delineata, di un equilibrio tra economia ed ecologia. Oggi, su questa scia, in campo europeo si afferma la logica di una selvicoltura “più vicina alla natura”, mentre in ambito nazionale, come indicato, si è prodotta la formulazione ancor più compiuta e globalmente riassuntiva della Selvicoltura Sistemica (Ubertini, 2024). L’epocale scenario rappresentato giunge in ultima analisi anche a spiegare, su base culturale, il connubio strutturale e funzionale tra carabinieri e forestali. L'emanazione del Decreto Legislativo 177/2016, volto a riorganizzare e razionalizzare le funzioni di polizia, con l’assorbimento del Corpo Forestale dello Stato all’interno dell’Arma dei Carabinieri, è da ritenersi sia stato favorito dallo spirito dell’epoca, nella quale la dimensione dell’eticità, come anima della legalità, ha assunto in campo ambientale un’assoluta centralità. Si pensi a tal proposito al sovrano “principio di precauzione”, bussola normativa europea in ottica ambientale e agroalimentare, che incarna direttamente la tesi della “euristica della paura” di Hans Jonas, quale fulcro applicativo della sua citata elaborazione etica (Jonas, 1990). La cifra etica dell’ambiente si impone più che mai, costruendo quindi un edificio di legalità custodito dai carabinieri forestali, che oggi rappresentano il qualificato presidio, il “Tempio” dell’etica ambientale e forestale. Tra i loro compiti essenziali e specifici spiccano le azioni di prevenzione, educazione, monitoraggio, vigilanza e repressione, in direzione della protezione dell’ambiente e delle attività che in esso può esercitare l’uomo. Spicca l’azione complessiva di consapevole custodia dell’armonia tra uomo e natura, che identifica, come si è cercato di articolare, l’essenza dell’etica forestale ed ambientale. Quando usiamo l’espressione di forze di polizia, dovremmo riflettere, in particolare in questa occasione, sul termine “polizia”. Questo, derivante dal riferimento greco della Polis, rimanda alla dimensione organica dell'ordine collettivo che oggi definiamo ordine pubblico. Tuttavia l’organicità della Polis greca era tale in quanto riflesso della più ampia organicità della Physis, dell’ordine naturale. Oggi, con l’avvenuto connubio tra forestali e carabinieri, assistiamo ad un moderno ritorno al passato, in cui la polis e la physis tornano ad incontrarsi, garantendo, secondo le coordinate tracciate, la custodia dell’ordine pubblico in rapporto al più ampio contesto dell’armonia con la natura.
Bibliografia
CARLOWITZ HC von., (1713). Sylvicultura oeconomica, oder HauBwirthliche Nachricht und NaturmaBige Anweisung zur Wilden Baum-Zucht.
CARTESIO R., (2014). Discorso sul metodo. Rusconi Libri.
CIANCIO O., (1989). Interventi selvicolturali nelle aree protette. In: Atti del convegno nazionale Parchi e Riserve Naturali Nella Gestione Territoriale. Istituto biologico-selvicolturale - Università della Tuscia - Viterbo, p. 220.
CIANCIO O., NOCENTINI S., (1996). Il bosco e l’uomo: L’evoluzione del pensiero forestale dall’ umanesimo moderno alla cultura della complessità. La Selvicoltura Sistemica e la gestione su basi naturali. In: “Il bosco e l’uomo (a cura di Orazio Ciancio). Accademia Italiana di Scienze Forestali, Firenze, p. 21-115.
GAYER K., (1901). Traitè de Sylviculture. Traduzione da Walban. Berlino (1889).
GURNAUD A., (1890). La methode du controle et la tradition forestiere. Reveu des eaux et forests.
HAECKEL E., (1866). Generelle Morphologie Der Organismen. Reimer. Berlino. https://doi.org/10.1515/9783110848281.
HEIDEGGER M., (2010). Classici del Pensiero. Mondadori.
HOSLE V., (1992). Filosofia della crisi ecologica. Einaudi.
HOSLE V., (2006). Il problema dell’ambiente nel ventunesimo secolo. In: Una nuova etica per l’ambiente (a cura di C Quarta). Edizioni Dedalo, p. 84.
JONAS H., (1990). Il Principio Responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica (a cura di PP Portinaro). Piccola Biblioteca Einaudi.
LANZA A., (2006). Lo sviluppo sostenibile. Il Mulino, p. 21-23.
LEOPOLD A., (1997). L’etica della terra. In: Almanacco di un mondo semplice. Red Edizioni, p. 163-185.
MEYER-ABICH K.M., (1993). Revolution for Nature. White Horse Press, Cambridge, England.
MOLLER A., (1922). Der dauwerldgedanke. Sein Sinn Und Seine Bedeutung, Verlag Springer, Berlin. https://doi.org/10.1007/978-3-642-50866-0.
NAESS A., (1994). Ecosofia. Red Edizioni.
PARADE A., (1883). Course elementaire de Culture Deis Bois. Paris: Huzard; Nancy; Grimlot, 1837. (six editions jusqu’en).
PASSMORE J., (1991). La nostra responsabilità per la natura. Feltrinelli.
TAYLOR P., (1986). Respect for Nature. A Theory of Environmental Ethics. University Press, Princeton.
UBERTINI C., (2011). Etica Forestale. L’Italia Forestale e Montana, 66 (1): 7-13.
UBERTINI C., (2015). Il fondamento etico della selvicoltura contemporanea. In: Atti del II Congresso Internazionale di Selvicoltura. Firenze, 26-29 Novembre 2014. Accademia Italiana di Scienze Forestali, vol. 1: 337-341.
UBERTINI C., (2023). L’Archetipo Leopold. L’Italia Forestale e Montana, 78 (6): 237-259. https:// dx.doi.org/10.36253/ifm-1118.
UBERTINI C., (2024). Selvicoltura e Natura. L’Italia Forestale e Montana, 79 (5-6): 217-231. doi: 10.36253/ifm-1149.
WCED., (1987). Our Common Future. Oxford University Press.