Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

AGRICOLTURA E ALIMENTAZIONE
LE FRODI COMMERCIALI IN AMBITO AGROALIMENTARE: L’ILLEGAL BLENDING DELL’OLIO D’OLIVA, UN CASO STUDIO
31/05/2024
Anna SPALLINA
Capitano R.F., Comandante N.I.P.A.A.F. Vicenza e Comandante in S.V. Nucleo CITES Vicenza

L’Italia è lo Stato con il più ricco e variegato patrimonio agroalimentare, in grado di vantare produzioni tipiche di eccellenza che rendono il marchio italiano indice distinto di qualità a livello internazionale. Ad oggi conta 326 prodotti agroalimentari italiani riconosciuti e 529 marchi registrati dall’industria del vino . Il valore e la particolarità dei prodotti italiani diventano, tuttavia, espressione della vulnerabilità delle produzioni di qualità rispetto ai tentativi di imitazione e contraffazione.
Tra i beni giuridici che vengono intaccati dalla fenomenologia criminosa legata alla commercializzazione di prodotti falsi e ingannevoli, figurano l’ordine economico, la concorrenza del mercato, la salute e la sicurezza alimentare e lo stesso Made in Italy, sinonimo di eccellenza e garanzia di qualità a livello globale che con il passare degli anni è divenuto sempre più importante per il reddito nazionale. Questo fenomeno si riflette inevitabilmente anche sul territorio e sulla società, determinando una perdita della qualità dei prodotti agroalimentari e delle opportunità occupazionali nel settore, l’omologazione dei consumi e la diffidenza dei consumatori.
Infatti, i prodotti italiani esportati in tutto il mondo, sono divenuti l’emblema della cultura del cibo legato al territorio, in cui gli standards qualitativi assicurano non solo la provenienza delle materie prime, ma attestano la sussistenza di determinate caratteristiche e il rispetto degli strumenti necessari per garantire la sicurezza alimentare. Al riguardo, è stata comunemente avvertita come necessaria una sempre più ampia e specifica forma di tutela della salute dei consumatori, congiuntamente ad un lavoro teso ad arginare, contrastare e sanzionare le condotte fraudolente legate alla produzione e alla commercializzazione dei prodotti agroalimentari.


Italy is the state with the richest and most varied agri-food heritage, capable of boasting typical productions of excellence that make the Italian brand a distinct indicator of quality at an international level. To date it has 326 recognized Italian agri-food products and 529 trademarks registered by the wine industry. The value and particularity of Italian products become, however, an expression of the vulnerability of quality productions to attempts at imitation and counterfeiting. Among the legal assets that are affected by the criminal phenomenology linked to the marketing of false and misleading products, there are the economic order, market competition, health and food safety and Made in Italy itself, synonymous with excellence and quality guarantee on a global level which over the years has become increasingly important for national income. This phenomenon inevitably also reflects on the territory and on society, leading to a loss of the quality of agri-food products and employment opportunities in the sector, the standardization of consumption and consumer distrust. In fact, Italian products, exported all over the world, have become the emblem of the food culture linked to the territory, in which the quality standards ensure not only the origin of the raw materials, but attest to the existence of certain characteristics and the respect of the tools necessary to ensure food safety. In this regard, an increasingly broad and specific form of consumer health protection has been commonly perceived as necessary, together with work aimed at curbing, combating and sanctioning fraudulent conduct linked to the production and marketing of agri-food products.

Foto 1Le frodi alimentari

Con il termine “frode alimentare” si intende la produzione e la commercializzazione di alimenti non conformi a quanto sancito dalla legislazione vigente. 
Tale condotta rileva non solo un riferimento alla provenienza delle materie prime, ma anche in merito alla qualità, composizione, commercializzazione e alla conservazione degli alimenti. 
Le frodi inerenti al settore alimentare possono essere molto gravi come riportano i fatti di cronaca relativi ai prodotti a “marchio” DOP, IGP, IGT, DOC, DOCG, STG e BIO i quali effettivamente non rispettano le caratteristiche necessarie per poter ottenere tali marchi di denominazione, alle innumerevoli contraffazioni di marchi inerenti aziende italiane note a livello internazionale, agli alimenti conservati in regimi non idonei, ai prodotti contenenti sostanze nocive, come nel caso delle mozzarelle contenenti diossina o di quello ancora più tristemente noto, del vino con aggiunta di metanolo che provocò la morte di varie persone (Guerra C., 2016).
Sul piano penalistico, la distinzione tra frodi sanitarie e frodi commerciali è rilevante in quanto tutte le norme sanzionatorie in tema alimentare sono pensate e costruite per tutelare due diversi beni giuridici: la salute pubblica e l’interesse economico dello Stato, unitamente a quello dei produttori, commercianti e acquirenti dei prodotti alimentari. Frequentemente le due fattispecie si sovrappongono, nel senso che una frode pericolosa per la salute umana può intaccare indirettamente o direttamente anche interessi economici e viceversa (Gargani A., 2013). 
Le frodi sanitarie, regolamentate come detto in precedenza dal Titolo VI (“Dei delitti contro l’incolumità pubblica”) del Libro II del Codice Penale, investono la qualità intrinseca del prodotto, costituendo a seconda dei casi:
- alterazioni, cioè modificazioni della composizione e dei caratteri organolettici degli alimenti causate da fenomeni degenerativi naturali dovuti ad un’inidonea o prolungata conservazione, come ad esempio il latte cagliato venduto come fresco, alimenti alterati, vino inacidito o olio rancido;
- adulterazioni, che consistono nella modificazione della composizione naturale dell’alimento mediante la sottrazione o l’aumento delle quantità di uno o più dei suoi componenti, ad esempio il latte scremato o parzialmente scremato venduto per intero, il vino annacquato o con aggiunta di alcol metilico, l’olio ottenuto da vari semi venduto per olio d’oliva, ecc., frodi che oltre ad avere riflessi in ambito commerciale e nutrizionale, possono esporre il consumatore a rischi per la salute;
- sofisticazioni, causate dall’aggiunta di sostanze estranee alla composizione naturale dell’alimento e di solito aventi qualità e valore inferiori, con lo scopo di migliorarne l’aspetto, di coprirne difetti vari o di facilitare la parziale sostituzione di un alimento con un altro (ad esempio la mozzarella trattata con perossido di benzoile per “sbiancarla” o i prodotti carnei freschi trattati con additivi a base di anidride solforosa per renderli più coloriti).
In questo caso, il reato si configura anche per il solo fatto di esporre, e quindi porre in commercio, sostanze pericolose, pur se ancora non materialmente cedute al consumatore
Potendo essere commesso da chiunque, appartiene di conseguenza, all’ambito dei reati comuni, e non dei reati propri, la cui commissione, richiede diversamente e necessariamente, una tipologia di soggetti attivi ben definita, che abbiano un determinato ruolo o funzione.
Le frodi commerciali si verificano quando, ai sensi dell’art. 515 del Codice penale (Frode nell’esercizio del commercio), “chiunque, nell’esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita…”; in questo caso, al contrario delle frodi sanitarie, vengono danneggiati gli interessi economici del consumatore senza arrecare necessariamente nocumento alla sua salute. 
Il bene giuridico tutelato dall’art. 515 c.p. risulta essere, oltre alla correttezza informativa dei consumatori, la lealtà e la correttezza degli scambi commerciali (Ferrara V., 2012). Infatti “l’ipotesi criminosa di frode nell’esercizio del commercio è posta dal legislatore a tutela dell’onesto svolgimento del commercio e non per la protezione degli interessi patrimoniali dei singoli acquirenti ” e sono regolamentate dal Codice Penale, Titolo VIII (Dei delitti contro l’economia pubblica, l’industria ed il commercio) del Libro II, al Capo II (Dei delitti contro l’industria ed il commercio), dove troviamo, unitamente al citato art. 515 c.p., l’art. 516 c.p.  (Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine): “chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine sostanze alimentari non genuine è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino ad euro 1.032”, dove per sostanza alimentare non genuina deve intendersi anche quella che non contiene le sostanze ed i quantitativi previsti  (ad esempio la vendita di carne fresca di puro suino contenente anche carne bovina). Il delitto di cui all’art. 516 del Codice Penale, copre l’area della semplice immissione sul mercato ed è sussidiario rispetto a quello di cui all’art. 515 c.p., atteso che nell’ipotesi di materiale consegna della merce all’acquirente, od atti univocamente diretti a tale fine, il reato è quello di cui al citato art. 515 c.p., rispettivamente nella forma consumata o tentata, assorbente rispetto a quello di cui all’art. 516 c.p. .
Il successivo art. 517 c.p. (Vendita di prodotti industriali con segni mendaci): “Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000”. Il bene tutelato risulta anche in questo caso l’ordine economico, unitamente alla tutela del marchio. Il Legislatore, infatti, sanziona l’uso illegittimo dello stesso, ossia l’illegittima sostituzione del marchio o del segno a quelli originari, con conseguente inganno del consumatore circa la provenienza, l’origine o la qualità del prodotto. Si evidenzia che la norma si riferisce a “prodotti industriali” ma l’interpretazione giurisprudenziale la applica anche ai prodotti agricoli  (Vitale A., 2013).
Seguono poi l’art. 517-bis (Circostanza aggravante): “le pene stabilite dagli articoli 515, 516 e 517 sono aumentate se i fatti da essi previsti hanno ad oggetto alimenti o bevande la cui denominazione di origine o le cui caratteristiche sono protetti dalle norme vigenti” e l’art. 517-quater (Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari) : “chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino ad euro 20.000. Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte.”
Illustrato il quadro normativo di riferimento delle condotte delittuose delineato dal Codice Penale, esaminando sinteticamente le principali categorie di frodi connesse alla commercializzazione degli alimenti possiamo annoverare:
- le falsificazioni: operazioni fraudolente che consistono nella sostituzione di un alimento con un altro, ad esempio la margarina venduta per burro, la vendita di una specie di pesce diversa da quella pattuita o l’olio di semi venduto per olio d’oliva;
- le contraffazioni: finalizzate a dare un’apparenza ingannevole della genuinità di un prodotto che è composto da sostanze in tutto o in parte diverse, per qualità e quantità, da quelle che normalmente concorrono a formarlo. Ad esempio: vendere prodotti nazionali o esteri che inducono in errore il consumatore sull’origine o provenienza delle materie prime o sulla qualità delle stesse; vendere un prodotto scongelato per fresco; usare impropriamente nomi e marchi di prodotti alimentari molto noti (un comune formaggio venduto come Parmigiano Reggiano o un comune prosciutto venduto per Prosciutto di Parma). In taluni casi l’inganno può essere esplicito, quando l’etichetta dichiara il falso, o implicito, quando il tipo di confezione, la forma, il marchio, pur in assenza di una dichiarazione di falso, possono confondere il consumatore. Vengono, in tal caso, sfruttati i vantaggi commerciali che un marchio noto può dare. Oltre al danno economico per le aziende che fabbricano il prodotto originale e per il consumatore che acquista un prodotto con un controvalore inferiore al prezzo pagato, potrebbe in qualche caso configurarsi il reato di frode sanitaria, in quanto i prodotti, frutto di falsificazioni, spesso sono fabbricati senza l’osservanza delle norme igienico-sanitarie (Semeraro A. M., 2011).
Fenomenologia criminologica

Il contrasto penale alle frodi commerciali, ovvero quando la falsificazione o la contraffazione dei prodotti agroalimentari non implichi anche la compromissione della sicurezza e della salute del consumatore, risulta essere maggiormente complesso rispetto alla contestazione dei più gravi reati contro la salute pubblica di cui agli artt. 440 e ss. del Codice Penale. Infatti, nel caso delle frodi sanitarie, l’accertamento della presenza di sostanze pericolose o dannose per il consumatore è affidato ad un perito o ai laboratori d’analisi certificati, per cui il tutto si concentra nella prova scientifica fornita da tali soggetti.
Al contrario, nel caso delle frodi commerciali risulta essere molto più difficile provare l’effettiva diversità del prodotto in base alla sua provenienza, origine o qualità o la sua contraffazione, perché occorre, durante le indagini, investigare sul processo tecnologico ed individuare prima di tutto la metodica frodatoria che si innesta nel ciclo produttivo-trasformativo dell’alimento. Inoltre, questo tipo di frodi non riguardano la totalità delle partite di prodotti ma parte di esse, in modo tale da essere meno rinvenibili.
Diversamente da quanto avviene con i reati alimentari previsti dalla Legge n. 283/1962 , nelle fattispecie che riguardano illeciti contro il commercio e l’industria, sono sanzionati comportamenti frodatori dolosi e seriali, a matrice economica, che vanno a ledere la lealtà commerciale unitamente ai consumatori.
Le indagini devono concentrarsi su tratti specifici che caratterizzano le frodi commerciali rispetto a quelle igienico-sanitarie; nelle prime infatti, la prova dibattimentale non può far affidamento esclusivamente alla prova scientifica ma occorrono più mezzi di ricerca della prova congiunti, in grado di attestare la diversità per origine, qualità o provenienza geografica dell’alimento o della materia prima utilizzata , la non genuinità dell’alimento o di una sua componente  o la contraffazione o alterazione del prodotto DOP o IGP .
Gli aspetti che caratterizzano i crimini legati alle frodi commerciali alimentari e le successive indagini, sono:
- illeciti di criminalità economica comune, che avvengono tendenzialmente in contesti imprenditoriali di base leciti , in cui i contraffattori utilizzano sotto-partite irregolari (diverse da quelle dichiarate o non previste dalla legislazione di settore oppure non previste ad esempio dal disciplinare di produzione nel caso di prodotti a marchio di qualità) che comunque non risultano nocive per la salute dei consumatori, oppure materie prime di più bassa qualità merceologica, sfruttando i minori costi derivanti dal loro impiego;
- reati ad offensività seriale: infatti chi froda i prodotti alimentari ha l’interesse a farlo ripetutamente, in modo ciclico a seconda delle stagioni o delle campagne commerciali, il movente economico tende a ripetersi. Il contraffattore punterà quindi a reiterare l’illecito tutte le volte che ne avrà l’occasione. Una volta messa a punto la metodica, continuerà ad applicarla lungo tutta la filiera e seguendo l’andamento stagionale. Le frodi commerciali diventano così reati abituali, commessi sistematicamente, perché il rischio di conseguenze penali, ad oggi, è molto basso (ad eccezione della contestazione del reato associativo) ;
- reati a vittima muta, cioè reati invisibili, perché non sono immediatamente percepibili dai consumatori che li subiscono, danneggiano i soggetti ma mai in modo consapevole. Infatti, i procedimenti per frode o contraffazione non nascono mai in seguito ad una denuncia o querela di privati, ma solo in seguito a sequestri operati dalla Polizia Giudiziaria d’iniziativa o come conseguenza di controlli documentali amministrativi da parte degli organi di controllo.

Indagini preliminari e prove

L’oggetto materiale delle indagini è rappresentato dall’alimento  di cui si sospetta la frode, diverso da qualsiasi altro manufatto contraffatto, in quanto deperibile e vulnerabile, per cui necessita di verifiche analitiche immediate, non rinviabili in dibattimento.
Le indagini preliminari comprendono gli strumenti enunciati all’interno del Codice di Procedura Penale utilizzati per tutti i tipi di illeciti, cioè le perquisizioni (anche informatiche), le ispezioni, i sequestri (probatori, preventivi, impeditivi o ai fini di confisca), sommarie informazioni, accertamenti tecnici, consulenze tecniche e perizie. 
Allo scopo di dimostrare la presenza di meccanismi frodatori compiuti in maniera sistematica ed organizzata in contesti aziendali, risulta essenziale l’attività captativa (telefonica, ambientale e telematica), oggi consentita anche per la sola frode in commercio ex art. 515 c.p.  ; inoltre, essendo reati in concreto seriali, sono necessarie indagini specializzate in cui emergano constatazioni storiche sulle altre partite di prodotto o sull’intero ciclo produttivo o trasformativo, mediante verifiche che vadano ad accertare se si tratti o meno di una prassi frodatoria. A tal fine, “sono consigliate” indagini ed acquisizioni retrospettive, non solo su eventuali pendenze penali pregresse per reati della stessa indole, ma anche su eventuali illeciti amministrativi elevati, negli anni precedenti, dai vari organismi di controllo, con particolare riferimento alle violazioni in materia di tracciabilità ed etichettatura. Queste ultime fattispecie, infatti, pur avendo ex se rilievo meramente amministrativo, costituiscono illeciti-spia spesso sintomatici proprio delle condotte di frode operate a monte sull’origine o qualità dei prodotti alimentari mediante falsificazione della filiera (Natalini A., 2018).
Considerata l’assenza di dichiarazioni, di testimoni oculari o di vittime consapevoli in grado di denunciare il fatto-reato, la fonte primaria delle indagini inerente alle frodi commerciali in ambito alimentare è rappresentata dalla prova documentale, acquisibile ai sensi dell’art. 234 c.p.p. , che permette la ricostruzione dell’intera filiera.


Foto 3Caso studio: l’illegal bending dell’olio d’oliva

Nel corso degli anni, a partire dal primo decennio del nostro millennio, la produzione mondiale di olio d’oliva ha seguito una crescita esponenziale raggiungendo cifre davvero importanti (si parla di più di tre miliardi di tonnellate nella campagna olearia 2020/21) .
L’Europa è senza dubbio il principale produttore di olio d’oliva, rappresentando più del 70% della produzione mondiale. 
Tra le varie tipologie di olio d’oliva, quelli la cui produzione e il consumo è in perenne crescita, sono i prodotti di alta qualità, i DOP e gli IGP. Nella filiera olivicola-olearia troviamo varie figure importanti nella produzione e trasformazione del prodotto, dall’ovicoltore al frantoio, fino alle industrie di prima e seconda trasformazione, in grande espansione nel nostro Paese, in quanto si occupano dell’acquisto di oli italiani o stranieri, della formazione del blend (miscela), dell’imbottigliamento e della rivendita al distributore finale. Naturalmente, oli di diversa tipologia possono essere legalmente miscelati. Il bending consiste nella capacità di abbinare oli con caratteristiche diverse nelle giuste proporzioni, ottenendo un prodotto superiore rispetto agli ingredienti di partenza. Secondo la normativa comunitaria però, non ogni blend è in grado di generare un olio commercializzabile come extravergine d’oliva, ma solo quello che contempla gli ingredienti già tutti conformi alla normativa vigente e appartenenti alla stessa classe merceologica. Tuttavia, applicando metodologie accurate, un’azienda olearia di trasformazione può inserire nella miscela anche un olio davvero molto scadente ed ottenere un prodotto finale comunque conforme ai parametri chimici ed organolettici dell’extravergine di oliva. 
L’illegal blending consiste ad esempio nel taglio di olio vergini ed extravergini con oli di qualità inferiore, spesso lampanti, ma trattati in modo tale da eliminarne tutti i difetti organolettici e chimici, oppure mediante il collegamento di serbatoi d’olio contenenti prodotti scadenti ad altri contenenti prodotti di qualità, per poi miscelarli con il sostegno di un software apposito in grado di ottenere un prodotto finale con parametri chimici e organolettici in linea con quelli richiesti dalla normativa europea per gli extravergini d’oliva. 
La criminalità agroalimentare è mutata negli anni, come detto in precedenza non si tratta più di contraffazioni grossolane e facilmente desumibili da un’analisi a campione (es. miscelazione con olio di semi e aggiunta di clorofilla colorante) ma di frodi molto più sofisticate difficilmente individuabili con analisi scientifiche ufficiali. Bisogna infatti affidarsi ad analisi genetiche o di altro tipo, di natura sperimentale, oppure bisognerebbe controllare tutte le singole partite d’olio prima della loro miscelazione.
L’indagine oggetto del caso studio trattato, ha coinvolto una realtà aziendale di rilievo anche internazionale vocata all’acquisto, alla trasformazione e alla rivendita di olio extravergine di oliva sfuso. 
La presenza degli illeciti di seguito descritti è emersa durante un accertamento di natura fiscale, durante il quale sono stati trovati quadernetti manoscritti e i vari faldoni contenenti scritture extracontabili nascosti all’interno di una botola.
L’impresa oggetto d’indagine aveva un’organizzazione piramidale: vi era il Presidente del Consiglio di Amministrazione, la mente di tutta l’organizzazione, che provvedeva alla gestione dei traffici comunitari di olio, impartiva gli ordini ai dipendenti sull’assemblaggio delle singole partite e controllava l’operato del laboratorio chimico; immediatamente sotto di lui operava il Direttore amministrativo, a cui era affidata la gestione dei rapporti con le banche e la sostituzione del Presidente nei momenti di assenza di quest’ultimo; due impiegati, di cui uno si occupava della collocazione del prodotto sfuso del mercato e l’altro era l’agente rappresentante alle vendite; un impiegato addetto alla costituzione, all’assemblaggio, al filtraggio del prodotto stoccato nei depositi aziendali, al quale era spesso affidata l’opera di “taglio” dell’olio, attenendosi strettamente alle direttive del Presidente del Consiglio di Amministrazione; inoltre, la società godeva dei servigi dell’impiegato addetto all’ufficio amministrativo dell’azienda, che si occupava dell’aggiornamento del Servizio Informativo Agricolo Nazionale (S.I.A.N.), un registro obbligatorio e telematico nel quale tutte le imprese devono annotare ogni entrata e uscita degli oli vergini ed extravergini, le movimentazioni e le miscelazioni, che si inserisce all’interno di un capillare sistema di controllo svolto da soggetti esterni, quali ad esempio l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (I.C.Q.R.F.). Il Presidente del C.d.A., il Direttore e l’impiegato addetto alla compilazione del registro S.I.A.N. erano poi imputati per concorso in falsità in registri e notificazioni ex art. 484 c.p., in quanto inserivano dati falsi nel sistema relativi all’acquisto, alla movimentazione e alle lavorazioni delle partite di olio stoccato in azienda, al fine dell’immissione in commercio di olio di oliva vergine ed extravergine.
Veniva, inoltre, indagato un pubblico ufficiale appartenente all’ I.C.Q.R.F., accusato di rivelazione e/o utilizzazione di segreti d’ufficio ex art. 326, commi 1 e 3 c.p., per essersi avvalso illegittimamente di notizie d’ufficio che dovevano rimanere segrete e per aver comunicato telefonicamente al titolare della società l’effettuazione di un imminente controllo ispettivo, al fine di ottenere un indebito profitto patrimoniale.
Il confronto incrociato tra la documentazione contabile ed extracontabile acquisita, le risultanze del registro telematico S.I.A.N. e le attività di ascolto, consentivano di appurare la discrasia tra quanto emergente dalla registrazione ufficiale e quanto, invece, effettivamente posto in vendita dalla Società, finalizzata a occultare le frodi perpetrate agli organi di controllo. 
Le frodi contestate si suddividevano in frodi commerciali, attinenti alle caratteristiche organolettiche del prodotto e frodi inerenti all’origine geografica. In base alla normativa europea, è possibile effettuare, come già detto, la miscelazione tra olii di diversa qualità, purché tutti i prodotti combinati rispettino i parametri di legge. E’ invece vietata la miscelazione di oli con caratteristiche non conformi alla disciplina di settore (condotta accertata nell’indagine in oggetto).
Gli inquirenti, durante le indagini relative alle frodi inerenti alle caratteristiche organolettiche dell’olio, oltre alle scritture contabili ed extracontabili, hanno potuto contare sulle intercettazioni telefoniche e ambientali, e “a ritroso” ciò che ha consentito alla Polizia Giudiziaria operante di avere un quadro piuttosto preciso e dettagliato di quanto accaduto in passato, nelle c.d. frodi storiche, sono stati quaderni, manoscritti, faldoni intestati “Tagli Interni”, schede di distinte base, ecc. Nel dettaglio, nei contratti sottoscritti con i fornitori, venivano spesso annotate a mano indicazioni relative alla vera qualità del prodotto acquistato, quale la reale acidità dell’olio, appuntata con la sigla “Ac” o il reale numero di perossidi con la sigla “P” o “Perox”.
L’attività illecita consisteva nella commercializzazione all’ingrosso sul territorio nazionale ed estero di ingenti partite di olio di oliva importate allo stato grezzo e rivendute ai clienti dopo averle sottoposte a procedimenti di miscelazione mediante illecite operazioni di assemblaggio, in modo tale da designare documentalmente il prodotto finale da rivendere come extravergine di oliva in apparente conformità alla normativa vigente, potendo contare sui controlli chimico-fisici e organolettici effettuati dal laboratorio interno. Il prodotto finale veniva in realtà miscelato, previa effettuazione di “tagli” interni, con materie prime (acquistate dalla Spagna e dall’Italia) irregolari, perché costituite da prodotti aventi quantitativi di perossidi e acidità molto alti, e di conseguenza aventi scarse qualità organolettiche, associabili alla categoria di “olio lampante” e come tale non edibile per il consumo umano diretto, per cui si procedeva alla contestazione ex art. 516 c.p.; inoltre, venivano consegnate agli acquirenti ingenti quantitativi di olio designandole come extravergine di oliva o come extravergine di oliva 100% italiano, in realtà diverse per origine e qualità da quelle dichiarate e pattuite commercialmente, a fronte dell’utilizzo di materie prime di diversa natura e origine (per cui si contestavano gli artt. 515 e 517-bis c.p.).
Ulteriore conferma di tale metodica frodatoria emergeva dalle intercettazioni ambientali attivate dopo l’applicazione delle misure cautelari personali, che confermavano la consapevolezza in capo a molti degli imputati dell’illecita prassi aziendale .
Oltre ai vari capi di imputazione menzionati, il Pubblico Ministero ipotizzava una vera e propria associazione criminale finalizzata alla commissione delle frodi commerciali in materia agroalimentare ex artt. 515, 516 e 517 bis c.p.
L’accusa aveva, infatti, rinvenuto specifici ruoli criminali, facendo emergere una “societas sceleris” ben organizzata e con un oggetto sociale anche in contrasto con il Codice Penale.
Una vera e propria “associazione per delinquere” ex art. 416 c.p.  in contesto lecito d’impresa che vedeva il Presidente del Consiglio di Amministrazione nelle vesti di promotore e costituente dell’associazione a delinquere; il Direttore amministrativo avrebbe assunto il ruolo di capo e i tre impiegati sarebbero stati anche affiliati dediti ad alcuni aspetti organizzativo-associativi. Da ultimo poi, il pubblico ufficiale, fornendo informazioni riservate, avrebbe svolto il ruolo di concorrente esterno alla società criminale.
La sentenza di primo grado  del Tribunale di Siena puntualizza che, contrariamente a quanto sostenuto dalle difese, non rileva ai fini della (in)sussistenza del delitto ex art. 416 c.p. il fatto che l’attività illecita accertata rappresentasse una parte minoritaria rispetto all’attività lecita svolta dalla società. Infatti, secondo il giudicante, ciò che rileva sotto tale aspetto è la semplice pianificazione da parte dei consociati di un numero indeterminato di delitti, non essendo affatto richiesto che i solidali li pongano effettivamente in essere, né tantomeno che l’attività delittuosa raggiunga determinati livelli quantitativi rispetto all’esercizio delle funzioni lecite dell’ente. Inoltre, l’apparente bassa incidenza dell’attività illecita risente inevitabilmente della durata delle investigazioni e anche dell’andamento del settore oleario, soggetto a forti variazioni a seconda dell’annata. In definitiva, il calcolo di una percentuale di masse olearie non conformi rispetto a quelle lecitamente trattate, oltre ad apparire sostanzialmente indifferente ai fini della sussistenza del delitto associativo, si basava su dati parziali e non comparabili tra loro.
L’ipotesi contestata non era, dunque, un mero concorso di persone nei vari reati descritti, ma si trattava di una vera e propria associazione per delinquere, la cui pericolosità era data proprio dalla esistenza di un piano criminoso, pienamente conosciuto e condiviso dai componenti, volto alla stabile commissione di reati di frode in commercio mediante l’avvalimento di una struttura organizzata. Unitamente vi era anche la contestazione della responsabilità amministrativa dell’ente ex D. Lgs. 231/2001.
Nella sentenza di secondo grado , la Corte d’Appello di Firenze ha assolto, ai sensi del dell’art. 530 c.p.p. , gli imputati dal reato associativo per difetto di prova adeguata, in quanto “occorre non confondere il requisito dell’organizzazione dell’associazione criminale con la struttura operativa lecita di un ente preesistente, atteso che altrimenti qualsivoglia attività plurisoggettiva illecita commessa esercitando una impresa per ciò solo configurerebbe una associazione penalmente rilevante ai sensi dell’art. 416 c.p.”. La sentenza, unitamente alla giurisprudenza precedente, afferma che nel caso specifico, al fine della configurazione dell’associazione per delinquere, bisognava verificare se gli imputati avessero proceduto a indirizzare in modo generale l’attività della società per scopi criminali, distorcendone la struttura e il funzionamento, ovvero se gli stessi avessero creato uno specifico e autonomo organismo ad hoc rispetto alla medesima società, ovvero una parallela attività dotata di autonoma operatività delittuosa. In caso contrario, i fatti incriminati sarebbero corrisposti più a proiezioni criminose soggettive dei singoli componenti della struttura operativa lecita dell’impresa, più correttamente qualificabili come “reati fine” di una associazione. Inoltre, le false registrazioni al S.I.A.N. e l’occultamento della documentazione extracontabile non sono apparse, alla Corte, caratteristiche riconducibili esclusivamente ad una “societas sceleris”, risultando compatibili anche con un concorso di persone nel reato continuato. Il Collegio revocava, altresì, la condanna ex art. 24-ter D.lgs. n. 231/2001  mediante l’assoluzione della società in quanto non è stata ritenuta idonea l’erogazione del minimo edittale giustificato dalla parzialità dei dati investigativi e dalla minima percentuale di attività illecita accertata rispetto a quella lecita, trattandosi di argomentazione palesemente in contrasto con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.
La Corte ha assolto, inoltre, gli imputati per le frodi in commercio c.d. all’attualità, per insussistenza del fatto, in quanto le captazioni durante le indagini che hanno consentito di appurare le difformità relative alla qualità e alla provenienza geografica, tra i dati evincibili dai documenti di trasporto e di vendita e quelli relativi alle masse confluite nelle miscelazioni, erano state disposte per il reato associativo, come detto non riconosciuto dalla Corte. A tal proposito, l’art. 270, comma 1, del Codice di Procedura Penale afferma che “i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza”, e quindi non sono utilizzabili nel caso specifico dell’art. 515 c.p., in quanto lo stesso non prevede l’arresto in flagranza. Infatti, i delitti di frode nell’esercizio del commercio sono stati contestati fino al 2012, ma tale fattispecie criminosa è divenuta autonomamente intercettabile solo a partire dal 2013 . 
Per quanto riguarda le condanne per le frodi in commercio c.d. storiche, commesse prima dell’inizio delle indagini ed emerse da scritture e distinte base in cui venivano annotate le varie miscelazioni, la Corte ha condannato gli imputati ai sensi dell’art. 515 c.p. e ha stabilito la responsabilità amministrativa dell’ente ex art. 8 comma 1 lett. b) D. Lgs n. 231/2001 . É stata, inoltre, stabilita la confisca per equivalente in base all’art. 19 D. Lgs. 231/2001 , laddove il profitto del reato oggetto del provvedimento ablativo s’identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto, che coincide, quindi, con il prezzo di vendita illecitamente conseguito. 
Infine, riguardo alla sanzione pecuniaria da irrogare all’ente ex art. 25 bis, c.1, lett. a) D. Lg 231/2001  per la sua responsabilità derivante dai reati di frode in commercio, la società era pienamente coinvolta con un notevole grado di responsabilità a livello gestionale, per cui la sanzione di euro 42.000 ha rispettato la relativa incidenza delle condotte rispetto all’intera attività imprenditoriale posta in essere nel periodo di riferimento dal Presidente del C.d.A.

Foto 4Conclusioni

Il settore agroalimentare negli ultimi anni è stato caratterizzato da numerose criticità, prima tra tutti la sempre maggior presenza della criminalità organizzata  nello scenario del commercio alimentare.
D'altronde, com’è possibile desumere anche dalle conclusioni della sentenza descritta nel case study, buona parte della dottrina ha criticato l’inadeguatezza delle attuali fattispecie penali nel consentire un’effettiva azione di contrasto alle frodi agroalimentari atteso che le pene edittali dei reati ad esse riconducibili sono generalmente troppo esigue. Inoltre, la normativa a cui si fa riferimento in merito alle frodi, salvo qualche modifica, risale al Codice Penale del 1930 e risultano essere ormai poco adatte alle attuali esigenze di tutela, soprattutto alla luce della diffusione di nuove tecnologie e metodologie che riguardano il commercio degli alimenti, quali l’e-commerce. La disciplina di settore appare ancora molto disorganica e frammentaria proprio perché composta da una moltitudine di norme, leggi, decreti legislativi che hanno contribuito a conferirle una complessità strutturale, non esistendo una normativa alimentare unica.
Negli anni ci sono stati alcuni passi in avanti nella prevenzione e nel contrasto delle frodi in tale ambito, ad esempio con il già citato art. 266 c.p.p., comma 1, lett. f) che ha previsto l’utilizzo delle intercettazioni anche per le fattispecie di reato di cui all’art 515 c.p., anche se in questo caso i soggetti imputati sono stati assolti in quanto la normativa non era ancora esistente al momento delle indagini.
Dall’altro lato, risulta necessaria una normativa più stringente ed efficace che permetta di porre in essere pene più incisive in un’ottica sia preventiva, com’è già stato in parte fatto attraverso la predisposizione di regole cautelari previste dalla legislazione speciale, che repressiva, mediante previsioni di natura penale più attagliate ai casi specifici di frodi in ambito agroalimentare.
A tal proposito, vi era stata un’importante proposta di riforma in tema di reati agroalimentari, la c.d. “Commissione Caselli”   che nel 2015 ha elaborato un progetto culminato con la consegna di un disegno di legge recante “Nuove norme in materia di reati agroalimentari” e le relative “linee guida illustrative” vedendo la bozza approvata solo nel 2020, seppur ancora fermo in Parlamento. 
Il disegno di legge, pur non intaccando in modo diretto l’art. 515 c.p., incide in vari modi sulle frodi alimentari. Ad esempio, è molto rilevante l’introduzione che la riforma intende effettuare sull’art. 516 c.p. andando a sanzionare espressamente la mera detenzione al fine di vendita, l’offerta o la semplice messa in vendita di alimenti che per origine, provenienza, qualità o quantità sono diversi da quelli indicati, dichiarati o pattuiti da parte di chi ponga in essere tali condotte. In questo modo, si determinerebbe un innalzamento della soglia di tutela penale, in quanto l’offerta, la detenzione o la messa in vendita non dovranno più essere contestate ai sensi dell’art. 515 c.p. bensì quale reato consumato di cui all’art. 516 c.p. (che prevede una pena edittale più elevata ai sensi della riforma rispetto alla sua attuale formulazione). Inoltre, la tutela verrebbe ampliata ad una fase ancora antecedente a quella in cui si potrebbe individuare in modo concreto un’offesa. L’art. 515 c.p., oltre ad avere una pena edittale sensibilmente bassa, mostra evidenti carenze strutturali in quanto l’atto necessario per la consumazione del reato è la consegna, per cui risulta inefficace nell’ottica preventiva in quanto la maggior parte delle notizie di reato derivano proprio da attività ispettive in fasi antecedenti alla consegna del prodotto, durante la produzione o lo stoccaggio antecedente alla commercializzazione.
Un altro passo in avanti della riforma proposta dalla Commissione Caselli è poi l’introduzione dell’art. 517-quater 1 c.p. che punisce il delitto di “Agropirateria” , innalzando ad autonoma fattispecie di reato la partecipazione in forma associativa e organizzata a delitti di frodi alimentari effettuate in modo seriale e sistematico, unitamente ad alcuni istituti processuali, nonché la Legge n. 283/1962 e il D. Lgs. 231/2001.
È, quindi, necessario dotarsi di una normativa in grado di far fronte alle nuove esigenze dettate dalla globalizzazione del mercato alimentare per salvaguardare consumatori e produttori onesti, per ovviare alle criticità nel settore del contrasto e della prevenzione alle frodi agroalimentari, come cerca di fare il progetto di riforma della “Commissione Caselli”. Unitamente a tutto ciò, potrebbe risultare efficace l’emanazione di un “Testo Unico” della legislazione in tema di qualità e sicurezza alimentare, proprio al fine di ridurre la frammentarietà e la disorganicità normativa di settore e permettere in tal modo una più immediata interpretazione e applicazione delle leggi.


[1] Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste

[2] “Integra il tentativo di frode in commercio, in quanto condotta idonea e diretta in modo non equivoco alla vendita della merce ai potenziali acquirenti, anche la semplice esposizione sui banchi di vendita, con segni mendaci, del prodotto alimentare, indipendentemente dal concreto contatto con la clientela”, Cass. Pen., Sez. III, n. 42920, del 13/11/2001, in Cass. Pen., 2002, p. 3769.

[1] Cass. Pen., Sez. VI, n. 4663 del 07/03/1984 (dep. 18/05/1984) CED Rv. 164288, in “La giustizia penale, 1984 fasc. 07, parte 02, p.385.

[1] “Commette il reato di frode in commercio previsto dall’art. 516 c.p. colui il quale pone in vendita salsiccia fresca di carne suina che poi risulti contenere carne bovina. Tale condotta assorbe, se caratterizzata dal dolo, quella contravvenzionale prevista dall’art. 5 L. 30 aprile n. 283 e d’altro canto per sostanza alimentare non genuina deve intendersi anche quella che non contiene le sostanze o i quantitativi previsti (oppure contiene additivi non consentiti) e, in mancanza di specifici cartelli indicatori, deve ritenersi il confezionamento delle salsicce esclusivamente con carne suina”, Cass. Pen. Sez. III, n. 11090 del 18/10/1995, in Riv. Trim. Dir. Pen. Economia, 1996, 673, 699.

[1] Cass. Pen. Sez. III, n. 38671 del 01/01/2004 (ud. 06/07/2004) Rv. 229627.

[1] Cass. Pen. Sez. III, n. 8292 del 14/12/2005 (ud. 14/12/2005), T.V. (rv. 233554).

[1] Cass. Pen. Sez. III, n. 2684 del 20/01/2006.

[1] Sul punto, si richiama la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. III, n. 28354 del 08/07/2016, secondo la quale l’art. 517-quater c.p. “afferma in maniera esplicita la rilevanza penale della contraffazione e dell’alterazione delle indicazioni  geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, fornendo una tutela anche più ampia di quella riconducibile all’art. 517 c.p., perché non richiede l’idoneità delle indicazioni fallaci ad ingannare il pubblico dei consumatori, orientando la tutela verso gli interessi economici dei produttori ad utilizzare le indicazioni geografiche o le denominazioni di origine”.

[1] Recante la disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, in cui l’apparato sanzionatorio punisce le condotte illecite legate agli aspetti igienico-sanitari ed aventi per lo più carattere colposo e natura formale, lesive della salute pubblica.

[1] Ai sensi dell’art. 515 c.p.

[1] Ai sensi dell’art. 516 c.p.

[1] Ai sensi dell’art. 517-quater c.p.

[1] Diversi dalle cosiddette “agromafie”, fenomeni di criminalità organizzata inseriti nei mercati agro-alimentari che operano in contesti totalmente illeciti.

Dati statistici forniti dal Consiglio Oleicolo Internazionale (www.internationaloliveoil.org).

[1] Diamanti F., Aliud pro Olio (S.p.A.?). L’operazione “Arbequino” e le nuove frontiere dell’illegal oil blending, in Diritto agroalimentare, anno 2017, n.3, p. 549-580.

[1] “Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni. Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni. (…)”.

[1] Trib. Siena, Sez. Pen., 19 maggio 2017, n.173.

[1] “Chiunque, fuori dai casi di cui agli articoli 416 e 416 bis, al fine di trarne profitto, in modo sistematico e attraverso l’allestimento di mezzi o attività organizzate commette alcuno dei fatti di cui agli articoli 516 e 517, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 15.000 a 75.000 euro; se commette alcuno dei fatti di cui all’articolo 517 quater, è punito con la reclusione da tre a sette anni e con la multa da 20.000 a 100.000 euro. Se ricorre taluna delle aggravanti di cui ai nn. 1 e 2 dell’articolo 517 bis, la pena è aumentata da un terzo alla metà. (…)”

[1] Corte d’appello di Firenze, Sez. II Penale, 22 settembre 2020, n. 2766, V. e altri, inedita.

[1] Sentenza di assoluzione: “se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa del dispositivo. (…”).

[1] Rubricato Delitti di criminalità organizzata: “In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 416, sesto comma, 416-bis, 416-ter e 630 del codice penale, ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (…) si applica la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote. (…)”.

 



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Bibliografia

-Gargani A., Reati contro l’incolumità pubblica. Tomo II. Reati di comune pericolo mediante frode, in Trattato di diritto penale, diretto da Grosso C. F., Padovani T., Pagliaro A., Milano, 2013.
-Guerra C., Le frodi agroalimentari: profili economico-giuridici tra “stato dell’arte” e prospettive di riforma, Foggia, 2016.
-Natalini A., Tutela processual-penale delle frodi alimentari, in Frodi agroalimentari: profili giuridici e prospettive di tutela, Milano, 2018, p. 149-187.
-Semeraro A. M., Frodi alimentari: aspetti tecnici e giuridici, in “Rassegna di diritto. Legislazione e Medicina Legale Veterinaria”, a. X, n. 2, aprile-giugno 2011.
-Vitale A., Manuale di legislazione alimentare, 2013, p. 157-159.
-Fotografie: Brig. C. Alessandro De Taddei