Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

AGRICOLTURA E ALIMENTAZIONE
LA TUTELA DEL MADE IN ITALY
24/10/2022
di Gian Carlo CASELLI[1]


foto 1 articolo CaselliLe attività criminali delle mafie nel mondo sono sempre più numerose. Basti pensare agli estesi traffici di droga, di armi, di rifiuti tossici, di tabacco, di diamanti, di organi, di esseri umani, di animali esotici, nonché alle nuove schiavitù, alla predazione delle risorse naturali, alle ecomafie, al gioco d’azzardo, alla prostituzione, alla pedopornografia, al turismo sessuale, alle frodi, ai furti d’arte e, infine, alla corruzione. In sintesi, un vero e proprio saccheggio globale fra cui spiccano le mafie presenti nelle filiere agroalimentari.

The criminal activities of the mafias in the world are more and more numerous. Just think of the extensive trafficking in drugs, weapons, toxic waste, tobacco, diamonds, organs, humans, exotic animals, as well as the new slavery, the predation of natural resources, eco-mafia, gambling, prostitution, child pornography, sex tourism, fraud, art theft and, finally, corruption. In summary, a real global looting among which the mafias in the agri-food supply chains stand out.

L’agroalimentare in Italia è un settore economico particolarmente importante, atteso che il PIL italiano  si regge in buona parte proprio sul contributo della produzione agroalimentare. Il Made in Italy è il fiore all’occhiello del nostro Paese, il migliore ambasciatore dell’Italia nel mondo, poiché “tira” dal punto di vista economico commerciale, quindi il boom dell’agroalimentare nasce anche da qui.

Ciò che “tira” nello stesso tempo “attira” (è naturale) l’attenzione, pure di soggetti borderline e quindi anche delle mafie. Le agro-mafie esistono perché da sempre le mafie provano ad inserirsi là dove si possono fare affari illeciti lucrosi, ancor di più quando c’è possibilità di rischiare molto poco e quindi di sfruttare un fattore di bassa intensità espositiva. Il settore agroalimentare rispecchia entrambi questi requisiti perché la normativa che lo disciplina è obsoleta e rimasta indietro di almeno 50 anni, mentre la sofisticazione degli alimenti è evoluta e variegata. Oggi i mafiosi non rispecchiano più l’immaginario collettivo, che li descrive di solito con coppola e lupara (ormai kalashnikov), ma vestono doppio petto e colletti bianchi. L’immagine di Totò Riina o Provenzano, “semplici contadinotti che mangiano la cicoria” è falsa e comunque superata. Si tratta di criminali astuti, con la disponibilità economica per reclutare figure di prim’ ordine nel campo economico-finanziario, che a loro volta hanno relazioni importanti da mettere al servizio del business mafioso.

Quando si parla di mafia la si paragona metaforicamente alla piovra, ma possiamo anche parlare di un atteggiamento camaleontico, cioè della capacità di cambiare il suo modo di apparire e operare rispetto al contesto con il quale deve interagire, quindi per definire la mafia potremmo parlare di una “piovra- camaleonte”.

Una volta i mafiosi praticavano sistematicamente il pizzo a commercianti e imprenditori in difficoltà, mentre oggi preferiscono diventare soci ovvero rilevare “in toto “le attività di questi imprenditori, dopo averli spolpati col pizzo o l’usura.  Ma in questo modo predomina il grigio, più difficile da decifrare del bianco o nero, dell’onesto o criminale.  Al riguardo la Cassazione parla di “mafia silente” decidendo il processo “Minotauro”, riguardante l’infiltrazione della ‘ndrangheta in Piemonte. La Cassazione precisa che il metodo di agire mafioso non è solo quello di intimidazione eclatante, ma anche quello che si intreccia con il “non detto”, con il “sussurrato” e con “l’appena accennato”, quindi una “mafia silente” che però sfrutta l’opinione popolare di una potenza cui non si può resistere.

Negli ultimi anni con l’emergenza pandemica del Covid, i problemi degli imprenditori e dei ristoratori sono aumentati esponenzialmente: molti stanno cedendo e molti hanno ceduto, i sussidi economici nazionali ed europei, per quanto abbiano fatto molto, spesso non sono sufficienti, ed ecco che la mafia con il suo atteggiamento di “avvoltoio” è pronta ad accaparrarsi società in difficoltà ad un prezzo bassissimo.

 

La mafia riesce a speculare con affari così vantaggiosi perché ha una grande disponibilità di soldi, frutto delle attività criminali attuate. Questa disponibilità economica però non può essere utilizzata se non è prima “ripulita” attraverso il riciclaggio del denaro sporco, di origine criminale, che viene impiegato in attività economico/commerciali apparentemente legittime. Quando la mafia entra nell’economia legale, con il fenomeno del riciclaggio, gode di vantaggi molto importanti rispetto all’imprenditore onesto: grazie al patrimonio economico posseduto non ha bisogno di banche per finanziarsi e non ha bisogno di un guadagno immediato e continuo dalle società acquistate, differentemente da un imprenditore onesto che dalle proprie società ha bisogno di trarre profitto altrimenti fallisce e chiude. Appare palese che l’obiettivo primario non è una buona conduzione dell’azienda ma il semplice riciclaggio del patrimonio illegale.  La mafia inoltre se ha problemi con fornitori, manodopera, clienti ecc., conosce bene i modi per regolare certi attriti ricorrendo a “scorciatoie”, cioè ai metodi criminali che la contraddistinguono. Infine, del rispetto dei diritti dei lavoratori e dei dipendenti la mafia non si cura affatto. Sommando questi vantaggi, riusciamo a capire perché la concorrenza nell’economia infiltrata dalla mafia è sempre più inquinata. Questi problemi sono stati aggravati dalla pandemia. In particolare nell’agroalimentare, ma un po’ in tutti i settori, la mafia è “liquida”, cioè come l’acqua penetra in ogni segmento della filiera, dal campo, allo scaffale, alla tavola e alla ristorazione. Con un occhio di riguardo alle novità come quella del BIO, dove la mafia è molto presente ovviamente con il falso BIO. Il business complessivo delle agro-mafie in Italia si aggira intorno ai 24 miliardi di euro l’anno, con tendenza a crescere ogni anno.

Si consideri, altresì, che la mafia lucra anche con il così detto “Italian sounding”. “L’italian sounding” è quel fenomeno per il quale prodotti agroalimentari vengono presentati in involucri, in contenitori che sono un tripudio di bandiere italiane, di scritte come sapore italiano, gusto italiano, tradizione italiana, cultura italiana e con immagini che suggestivamente evocano il nostro Paese, tipo: il Vesuvio, il Duomo di Milano, la Torre di Pisa, ecc. Ma di italiano in questi involucri non c’è niente!! Non sono cibi tossici, di solito non fanno male alla salute, però vengono presentati come italiani (anche sugli scaffali del nostro Paese, ma soprattutto all’estero) traendo in inganno il consumatore che crede di comprare italiano. Il danno per il Made in Italy è calcolato in 100 miliardi di euro annui e sull’occupazione è pari a 150 mila posti di lavoro persi ogni anno. Un danno enorme dal punto di vista economico per quanto riguarda il nostro Paese, per il nostro Made in Italy.

Se poi aggiungiamo (e questo è un altro profilo delle agromafie) il saccheggio sistematico che le mafie operano cercando di intercettare i contributi europei, oggi quelli del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ecco che abbiamo un quadro sicuramente drammatico, ma non irredimibile, che anzi si può affrontare.  Ma solo conoscendolo si hanno migliori prospettive di farcela, di ottenere risultati soddisfacenti. Un obiettivo possibile, grazie al lavoro quotidiano delle Forze dell’Ordine.

Le agromafie, fonti d’inquinamento dell'economia pulita, sono attive anche nel settore delle imitazioni e delle contraffazioni. Si pensi al “Prosecco”, magari con una “K” infilata abusivamente, che è il vino più imitato e contraffatto nel mondo. Lo stesso vale per i formaggi quali il “Parmigiano” che diventa “Parmesan” nell’Europa dell’est e negli USA, “Parmesao” in Brasile, “Regianito” in Messico. Nell’Europa dell'est c'è addirittura un contenzioso con l’Unione Europea perché vorrebbero in qualche misura legittimare quelle che sono a dir poco imitazioni, a parlar chiaro contraffazioni. Si pensi ancora al “Gorgonzola” contraffatto: ad esempio, in Australia abbiamo il “Timbozola”, in Germania il “Cambozola”. I salumi non ne sono esenti: in Germania abbiamo “Firenza salami”, in Messico “Parma salami”, in Danimarca esiste un “salami Toscana”. In Brasile addirittura  hanno inventato e vendono la mortadella siciliana. In California c‘era una “Nugtella”: attenzione, con una consonante in più rispetto alla perla che conosciamo, ma non soltanto una consonante in più, anche un ingrediente in più, la marijuana, tanto per intrigare maggiormente l'acquirente; e la Ferrero ha avuto buon gioco a far causa e a far sparire dal mercato questo prodotto.

Un ulteriore aspetto è lo sfruttamento a fini commerciali della parola mafia, un brand che evoca violenza, stragi, ferocia, intimidazioni ecc., che pure viene usato allegramente per attrarre e guadagnare di più. Ed ecco che si sprecano il “caffè mafiozzo”, il “fernet mafiosi”, il “Chili mafia”, il “mafia saus”, addirittura un “Palermo mafia shoting” dove a “stile italiano” si abbina la parola mafia, un abbinamento che dovrebbe suscitare l'interesse delle nostre autorità diplomatiche. Ma la vergogna delle vergogne, l’infamia delle infamie, è stata toccata in Austria con il “panino Falcone” presentato come un qualcosa che sta friggendo o che friggerà presto su una griglia.

In Spagna v’è una rinomata catena di ristoranti e pizzerie con insegne che recitano “la mafia se sienta a la mesa”, “la mafia si siede a tavola”, che è come dire ai clienti: “mafiosi non potete esserlo, però il brivido di mangiare come un mafioso, in un ristorante come quello dei mafiosi, con tanto di immagini del Padrino sulle pareti, con cibi tipici della Sicilia mafiosa, nel nostro locale lo potete provare”. Uno studente italiano che frequentava l'Erasmus in Spagna si è indignato ed ha denunziato il fatto alle competenti autorità dell'Unione Europea che sono intervenute con una decisione di primo grado, poi confermata in secondo grado, affermando che è un'infamia, che per far soldi non è consentito utilizzare un'insegna di questo tipo che sfrutta un brand, “la mafia”, che è sinonimo di morte, violenza e illegalità. Peccato che queste trattorie, pizzerie, ristoranti in Spagna funzionino regolarmente ancora oggi a distanza ormai di anni dalla presa di posizione dell'Unione Europea, perché siccome non c’è stata una presa d'atto da parte dell’autorità giudiziaria spagnola della decisione europea, questa decisione in Spagna non può essere applicata.

Per concludere, qualche considerazione sul progetto di riforma della legislazione in materia agroalimentare, elaborato da una commissione istituita presso il Ministero della Giustizia (Ministro Orlando, Presidente Caselli), presentato in occasione della fine dell’Expo 2015. Approvato due volte dal Consiglio dei ministri nelle due ultime legislature, approvato dalla Commissione giustizia della Camera, ma mai portato in aula per la discussione, in spregio agli interessi dei cittadini in materia di sicurezza alimentare.

Uno degli scopi principali del progetto di riforma è l'etichetta narrante. Si è fatto molto in questa direzione ma si potrebbe fare molto di più con una vera e propria codificazione del concetto. Cioè un’etichetta sempre obbligatoria che racconti tutto, proprio tutto, e nient'altro che la verità per quanto riguarda l'origine, gli ingredienti, la produzione, la composizione e la scadenza dei prodotti alimentari. I consumatori lo chiedono a grandissima voce, molti produttori si sono adeguati spontaneamente: ci sono molte etichette oggi che dicono tutto quel che serve per sapere cosa davvero si mangia o si beve. C’è bisogno (ribadisco) che questo concetto venga codificato, cioè sia legge per tutti i prodotti, senza discrezionalità.

Altro scopo del progetto di riforma elaborato dalla Commissione è la valorizzazione del concetto di patrimonio agroalimentare, che nel nostro Paese merita un riconoscimento e una specifica tutela di legge. Sarebbe il modo migliore per tutelare il Made in Italy, mentre la normativa europea vede in una certa misura nel “Made in” (di qualunque Paese non soltanto italiano) un qualcosa che non è del tutto compatibile con la libera circolazione della merce, dei prodotti agroalimentari. Allora la tutela del “Made in” è necessaria e indispensabile, fa l'interesse del nostro Paese perché salvaguarda questo immenso patrimonio che è il “Made in Italy” appunto, ma va ricercata attraverso la tutela e  l'affermazione anche codicistica del concetto di patrimonio alimentare in quanto ricollegabile alle tradizioni tipiche del nostro Paese, in modo da conciliare la tutela del Made in Italy  -attraverso appunto  il concetto di patrimonio alimentare- rispetto ad  alcune riserve che si riscontrano in Europa.

 

 



[1] Già Presidente di Cassazione – Presidente Osservatorio Agromafie Coldiretti