Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

AGRICOLTURA E ALIMENTAZIONE
LA PROVA SCIENTIFICA NEI REATI ALIMENTARI
28/07/2023
di Amedeo DE FRANCESCHI 
Capo Ufficio Comando Carabinieri Tutela Agroalimentare


FIGURA 1Non credo vi siano più dubbi sulla importanza strategica che ha assunto per il nostro Paese la tutela della produzione agroalimentare, è sufficiente leggere i dati economici del 2021 che raccontano di un valore di 575 miliardi di euro, di 4 milioni di lavoratori impiegati in 740mila aziende agricole e di 70mila industrie alimentari, per non tacere delle oltre 330mila realtà della ristorazione e dei 230mila punti vendita al dettaglio.
Una esigenza di tutela che viene anche sottolineata nell’agosto 2017 da una Direttiva del Ministro dell’interno che nell’evidenziare i nuovi bisogni di sicurezza dei cittadini legati all’approvvigionamento alimentare in tutte le sue declinazioni (sanità, quantità, qualità), ha ridisegnato i comparti di specialità delle forze di polizia.
Si legge nel testo della Direttiva come emergano nuove minacce al regolare svolgimento della produzione e del commercio nei settori forestale, ambientale e agroalimentare, provenienti da organizzazioni criminali che considerano le opportunità economiche offerte dagli stessi settori, straordinariamente attrattive.
Verranno analizzate in questa rassegna le possibilità offerte dalla ricerca scientifica e dalla innovazione tecnologica adeguate a supportare l’investigazione in modo da prevenire e reprimere le frodi in danno della qualità delle produzioni agroalimentari, partendo proprio dalla storia di successo del settore vitivinicolo e del suo sistema di controllo che si è giovato in maniera straordinariamente efficace del connubio tra territorio e tecnologia.

There are no more doubts about the strategic importance that the protection of agri-food production has assumed for our country, is sufficient to read the economic data of 2021 that reveal a value of 575 billion euros, 4 million workers employed in 740 thousand farms and 70 thousand food industries, not to mention the more than 330 thousand realities of catering and 230 thousand retail outlets.
A need for protection that is also underscored in August 2017 by a Directive of the Minister of the Interior who, highlighting the new security needs of citizens related to food supply in all its declinations (health, quantity, quality), redesigned the specialty areas of the police forces.
The text of the directive states how new threats to the smooth running of production and trade in the forestry, environmental and agribusiness sectors are emerging from criminal organizations that consider the economic opportunities offered by these sectors, extraordinarily attractive.
In this review will be analyzed the possibilities offered by scientific research and technological innovation in order to support investigation so as to prevent and suppress fraud to the detriment of the quality of agri-food production, starting precisely from the success story of the wine sector and its control system, which has benefited extraordinarily effectively from the combination of territory and technology.

La tutela della produzione agricola e agroalimentare
Non credo vi siano più dubbi sulla importanza strategica che ha assunto per il nostro Paese la tutela della produzione agroalimentare, è sufficiente leggere i dati economici del 2021 che raccontano di un valore di 575 miliardi di euro, di 4 milioni di lavoratori impiegati in 740mila aziende agricole e di 70mila industrie alimentari, per non tacere delle oltre 330mila realtà della ristorazione e dei 230mila punti vendita al dettaglio.
Una esigenza di tutela che viene anche sottolineata nell’agosto 2017 da una Direttiva del Ministro dell’interno che nell’evidenziare i nuovi bisogni di sicurezza dei cittadini legati all’approvvigionamento alimentare in tutte le sue declinazioni (sanità, quantità, qualità), ha ridisegnato i comparti di specialità delle forze di polizia.
Si legge nel testo della Direttiva come emergano nuove minacce al regolare svolgimento della produzione e del commercio nei settori forestale, ambientale e agroalimentare, provenienti da organizzazioni criminali che considerano le opportunità economiche offerte dai settori sopra citati straordinariamente attrattive.
L’avvenuta delocalizzazione dei sistemi produttivi ha portato e porta all’impoverimento dei territori di origine del cibo e a nessun sviluppo in quelli in cui si trasferiscono, in quanto l’unico e primario interesse è quello di sfruttare le risorse umane e naturali per abbattere i costi di produzione. 
Gli approvvigionamenti delle materie prime e dei semilavorati/prodotti, seguono le logiche del mercato globale e quindi di una concorrenza esasperata basata esclusivamente sui costi di produzione.
Di conseguenza si assiste ad una importazione che, salvo eccezioni, si disinteressa di regole e diritti fondamentali (lo sfruttamento del lavoro, l’uso di sostanze nocive e il mancato rispetto dell'ambiente…) premiando di fatto i peggiori sistemi produttivi con l’accettazione implicita di condotte che sarebbero considerate illecite nel nostro Paese e nella UE.
Come scrive il Prof. Simone Vieri, nel suo libro “Agricoltura e sostenibilità. Dall'equilibrio al conflitto” (….I consumatori dei Paesi più avanzati dovrebbero tenere presente che, ogniqualvolta acquistano un prodotto, premiano il sistema produttivo da cui proviene. Ne discende che quando si acquistano prodotti provenienti da Paesi ove lo sfruttamento del lavoro (incluso quello femminile e minorile) o altre violazioni dei diritti fondamentali sono pratica comune è come se quelle violazioni fossero accettate e quindi si decidesse di retrocedere dal grado di civiltà che avevamo raggiunto).
Tuttavia nonostante emerga con sempre più evidenza, come il comparto agroalimentare rappresenti un terreno privilegiato per le organizzazioni criminali, non si può non constatare che il corredo di strumenti investigativi e di istituti giudiziari a disposizione della polizia e della autorità giudiziaria atti a contrastare l’alto rischio legato al reato di contraffazione, non appare adeguato.
In particolare, la tutela della “qualità merceologica”, dal punto di vista del codice penale, è ferma ai delitti contro l’industria e il commercio del 1930 salvo l’inserimento nel catalogo del reato di Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari (art. 517-quater c.p.) avvenuto con Legge 99 del 2009.
Anche la Commissione Europea con il suo ultimo rapporto prodotto nel 2021, sottolinea una tendenza all’aumento costante delle richieste del sistema di assistenza amministrativa e cooperazione internazionale tra gli Stati membri all'interno del Network Agri-Food Fraud, in particolare per le frodi alimentari cosiddette commerciali, “aliud pro alio”.
Per quanto riguarda la ricerca delle fonti di prova idonee a svelare le non conformità e/o frodi commerciali, l’Unione Europea, inoltre, suggerisce di adottare in assenza di norme ufficiali dell’Unione nel contesto di controlli ufficiali e altre attività ufficiali, anche metodi pertinenti sviluppati o raccomandati dai laboratori di riferimento dell’Unione europea e convalidati in base a protocolli scientifici accettati internazionalmente.
Verranno analizzate in questa rassegna le possibilità offerte dalla ricerca scientifica e dalla innovazione tecnologica adeguate a supportare l’investigazione in modo da prevenire e reprimere le frodi in danno della qualità delle produzioni agroalimentari, partendo proprio dalla storia di successo del settore vitivinicolo e del suo sistema di controllo che si è giovato in maniera straordinariamente efficace del connubio tra territorio e tecnologia.  

L’autenticazione dell’origine geografica
I primi strumenti di indagine forense utilizzati dalla polizia giudiziaria per provare frodi alimentari aventi per oggetto la contraffazione dell’origine geografica dei prodotti alimentari entrano nelle aule dei tribunali solo successivamente allo scandalo del “vino al metanolo”.
Il sistema di controllo ufficiale della filiera alimentare assume la struttura attuale con la ripartizione delle attività di controllo tra due Ministeri (Salute e Agricoltura) e con l’istituzione dell’Ispettorato Centrale repressione frodi “…per l’esercizio delle funzioni inerenti alla prevenzione e repressione delle infrazioni nella preparazione e nel commercio dei prodotti agro-alimentari e delle sostanze di uso agrario e forestale…” 
In seguito a quello scandalo, il legislatore riforma ex novo la filiera vitivinicola modificando  il modello delle denominazioni di origine controllata e/o garantita allora in vigore, adottando disciplinari di produzione più vincolanti ai vitigni autoctoni, con rese di produzione massime caratteristiche di quell’areale di produzione specifico e soprattutto aprendo a verifiche e controlli effettuati con metodi “sperimentali” basati sulla misura degli isotopi stabili che caratterizzano la georeferenziazione dell’uva da vinificare direttamente analizzando il campione prelevato al dettaglio.
Gli isotopi (dal greco isos + topos=stesso posto) infatti sono atomi di uno stesso elemento chimico ma che possiedono una differente massa atomica dovuta ad un diverso numero di neutroni presenti nel nucleo dell’atomo ma la cui abbondanza è influenzata dal clima e dalla relativa piovosità stagionale, dalle caratteristiche geologiche dei suoli nonché dalle pratiche di concimazione adottate e del tipo di pianta, nonché dalla latitudine.

L’unione europea e l’organizzazione mondiale della vite e del vino (OIV) riconoscono sempre nel 1986 come metodi ufficiali, le analisi isotopiche per l’identificazione di aggiunte zuccherine (OIV MA-AS-311-05, OIV MA-AS-312-06) e del cosiddetto “annacquamento del vino” (OIV MA-AS2-12).
È opportuno andare a riprendere il dettato della sentenza della Corte di Giustizia del 5 giugno 1997 nel procedimento C-105/94, avente come tema la determinazione di un possibile aggiunta illecita di acqua nel vino, per comprendere appieno la discussione sui metodi sperimentali che ancora adesso è posta al centro di due proposte di legge che si propongono di riformare il codice penale e quello di procedura penale sui reati alimentari.
La sentenza assegna al giudice nazionale stabilire, in base alle norme processuali vigenti nel suo Stato membro, se il metodo d'analisi dei vini denominato «determinazione del rapporto isotopico O18/O16 dell'acqua contenuta nel vino» sia conforme ai criteri di esattezza, di ripetibilità e di riproducibilità sanciti dall'art. 74, n. 2, del Regolamento n. 822/87. 
Prima dell’avvento di queste tecniche, i metodi esistenti per scoprire questo tipo di frodi erano abbastanza inefficaci in quanto l’aggiunta illecita di saccarosio ai mosti genera rapidamente per idrolisi fruttosio e glucosio, zuccheri già presenti nell’uva e quindi indistinguibili. 
La misura del rapporto isotopico del C13 trova una sua diretta applicazione in quanto una delle comuni tecniche di sofisticazione del vino è attuata aggiungendo allo stesso, zuccheri di origine diversa (canna e barbabietola) miscelati in proporzioni diverse, al fine di aumentarne il naturale grado alcolico. Poiché la canna da zucchero segue il ciclo di fotosintesi C4, uno spostamento del rapporto isotopico del C13 di un vino verso valori tipici del ciclo C4 è indice di una aggiunta nel vino di zucchero di canna.

FIGURA 2La tracciabilità isotopica dei vigneti
Si concretizza in definitiva con gli isotopi stabili la possibilità di autenticare con parametri scientifici l’origine geografica dell’uva vinificata, attraverso la misura della concentrazione degli stessi correlata agli elementi principali costituenti la base delle sostanze organiche presenti nell’uva, carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto. 
Per quanto riguarda il carbonio che viene utilizzato dalle piante nei processi naturali della fotosintesi, sappiamo che deriva da quello presente nella anidride carbonica atmosferica, la cui composizione isotopica è estremamente omogenea a meno che non ci si trovi nei pressi di vulcani o di insediamenti industriali.
L’aspetto più interessante della misura degli isotopi consiste nella scoperta che durante i processi di fotosintesi clorofilliana avviene un frazionamento tra la CO2 presente in atmosfera e quella fissata dalla specie vegetale, che determina, in quest'ultima, un impoverimento dell'isotopo più pesante (C13). 
Questo frazionamento del tenore in C13 varia anche in funzione di fattori climatici locali quali esposizione del vigneto, radiazione globale, quota, evapotraspirazione, e per tali motivazioni questa metodica per essere riproducibile ed efficace necessita di un data base di confronto che ogni anno deve essere aggiornato attraverso l’elaborazione di una mappatura della campagna vendemmiale. 
Si raccolgono ogni anno circa 500 campioni di uva da tutte le regioni italiane e per ogni prelievo si compila una scheda con le principali informazioni sul vigneto: dati relativi alla produzione (kg per ceppo, resa per ettaro), eventuale irrigazione, piovosità. 
Le uve (10 kg) di ogni campione sono successivamente vinificate in laboratorio, con un protocollo stabilito dal Reg. CE n°2729/2000 della Commissione del 14/12/2000 allegato I, ottenendo il vino da analizzare. 
Il successo commerciale del “Sistema Vino” è sotto gli occhi di tutti e numerose sono oggi le indagini di polizia giudiziaria che utilizzano appunto la misurazione degli isotopi stabili per svelare frodi altrimenti non rilevabili o per autenticare quanto dichiarato in etichetta anche rispetto all’annata di produzione.
Quanto detto sta a significare che è possibile replicare il modello per determinare l’origine geografica di altri prodotti alimentari, anche trasformati, come i formaggi o l’olio extravergine di oliva a condizione che il latte e le olive di partenza siano vincolate ad un areale di produzione ben delimitato così come previsto per le Denominazioni di Origine Geografica Protetta.
Il Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano, cui fanno capo 363 caseifici, nel 2018 provvede proprio a sviluppare tale metodologia di controllo apportando alcune modifiche al disciplinare di produzione per incrementare la capacità di tutela del marchio.
Attraverso l’analisi dei rapporti di isotopi stabili e di macro e microelementi, il Consorzio ha creato  una banca dati che definisce e caratterizza il formaggio «Parmigiano Reggiano», depositata presso l’Organismo di Controllo e presso il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare  e delle Foreste, alimentata attraverso metodiche di spettrometria di massa e rilevazione di rapporti isotopici (IRMS) e che consente di determinare se il prodotto proviene o meno dalla zona di origine dichiarata. 

FIGURA 6Il made in Italy
Più complesse risultano essere, invero, le indagini scientifiche o le fonti di prova che attestino o certifichino l’italianità del prodotto agroalimentare, in quanto non è possibile utilizzare il database degli isotopi stabili, in ragione del fatto che essendo una analisi di confronto necessiterebbe di un data base infinito poiché infinite possono essere le miscele laddove non ci sia una delimitazione geografica.
Pertanto per tutelare il 100% italiano occorre trovare una altra via che è quella tracciata dai marcatori molecolari ovvero da sostanze caratterizzanti un processo produttivo che, unitamente ad altri indizi, possono assurgere ad elementi di prova dell’operata frode.
Cosi ad esempio, nel 2011, durante una attività di indagine condotta dalla Procura della Repubblica di Firenze riguardante una partita di olio extravergine di dubbia provenienza a causa di una documentazione attestante la tracciabilità palesemente artefatta con l’apposizione ex post su tutti i documenti di accompagnamento della indicazione obbligatoria della origine geografica. 
In questo caso fu richiesto al GIP con l’ausilio della procedura penale dell’incidente probatorio, l’effettuazione di una analisi sperimentale, ma già riconosciuta dalla comunità scientifica, per la ricerca di alcuni marcatori (alchil esteri) come caratterizzanti in maniera indiretta di un processo produttivo (deodorazione blanda) non ammesso dalle norme per l’ottenimento di olio EVO.
FIGURA 5Qualche anno dopo, questa volta presso la direzione distrettuale antimafia di Bari, fu utilizzata la tecnica del DNA, sino ad allora mai impiegata, per riconoscere la varietà di olive da cui era stato estratto l’olio extravergine etichettato come 100% italiano, direttamente analizzando il contenuto delle confezioni sigillate.
Nel primo caso, nelle more della effettuazione della analisi, il procedimento penale è stato archiviato a seguito dell’intervento del legislatore europeo che inserisce il parametro degli “alchil esteri” nel catalogo delle norme ufficiali di analisi, nel secondo caso invece la tecnica analitica unita alla verifiche sul campo e ad altre fonti di prova fu sufficiente a motivare l’ordinanza di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria. 
Appare opportuno citare un passaggio della sentenza della terza sezione penale del tribunale di Bari n. 5360/2015 chiamata a decidere su una istanza di riesame avverso un decreto di convalida di alcune misure cautelari reali eseguite nel dicembre 2015 presso alcune ditte del comparto oleario, nella quale si contestava la non ufficialità della tecnica del DNA utilizzata dalla autorità giudiziaria al fine di verificare la corretta origine geografica dei lotti sequestrati.
Non sarebbe certo il primo caso, si legge nella sentenza, che l’interpretazione giurisprudenziale si farebbe carico di verificare la valenza di un metodo scientifico di accertamento di dati fattuali (si pensi, a titolo meramente esemplificativo, al vasto filone interpretativo sviluppatosi sulla comparazione dei rilievi dattiloscopici) anche prima e a prescindere da interventi legislativi sullo stesso punto.

FIGURA 4Il caso del latte fresco vs cagliate di latte congelate
I marcatori molecolari ci vengono di aiuto anche in altri comparti agroalimentari, per caratterizzare ad esempio la qualità della materia prima agricola di partenza come nel caso dei formaggi denominati con il nome generico di mozzarella che non sono ad indicazione geografica protetta ma che riportano in qualche caso in etichetta l’indicazione facoltativa “da latte fresco”.
Anche in questo caso non si riscontra nel catalogo delle prove ufficiali la presenza di un test che consente di verificare tale conformità a quanto dichiarato dall’operatore del settore alimentare, per i formaggi a pasta cotta filata come ad esempio la mozzarella.
Il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimenti, Risorse Naturali e Ingegneria di Chimica dell’Università di Foggia, sta studiando da qualche anno l’andamento della proteolisi della caseina durante la stagionatura dei formaggi ed è riuscito ad elaborare un modello che consente di stabilire dalla quantità di un frammento di caseina misurata nella mozzarella se questa è compatibile con la data di produzione dichiarata dal produttore.
Il marcatore è la caseina as1-I (frammento 24e199), il principale prodotto di proteolisi primaria formato dall'azione della chimosina sulla caseina α1 che può essere facilmente rilevato in elettroforesi in presenza di urea (urea-PAGE).
Anche se la cinetica di formazione di questo prodotto proteolitico è ben nota da diversi decenni, nella mozzarella ha un comportamento peculiare rispetto ad altri formaggi. Infatti, esso si origina durante la prima fase della caseificazione con un incremento molto lento durante la conservazione del formaggio, dovuto alla denaturazione della coagulazione. 
Grazie alla fruttuosa collaborazione tra il Dipartimento e il Comando Carabinieri per la Tutela Agroalimentare è stato messo a punto un nuovo protocollo di controllo utile ad identificare la qualità del latte di partenza utilizzando un indice di freschezza già testato con la quantificazione del frammento αS1-I-CN. 
Lo studio è stato condotto su campioni di DOP di origine nota ed è stato poi applicato per valutare lo stato di 58 campioni di origine sconosciuta prelevati sul mercato. I risultati hanno dimostrato che l'indice di freschezza e la quantificazione dell'αS1-I-CN possono essere utilizzati per un doppio controllo della "freschezza" dei prodotti, consentendo di garantire al consumatore la qualità dichiarata in etichetta.

Conclusioni
Nel 2015 la Commissione incaricata di elaborare proposte di intervento sulla riforma dei reati in materia agroalimentare istituita con D.M. Giustizia 30.4.2015, suggeriva, “partendo dal recepimento di un orientamento giurisprudenziale che decreta l’irrilevanza di nullità di analisi di alimenti effettuate con metodi non ufficiali”, di prevedere, onde evitare incertezze applicativo-esegetiche, che gli  esiti delle prove sperimentali siano liberamente valutabili dal giudice come prove atipiche (del pari, ad esempio, al riconoscimento fotografico), ai sensi dell’art. 189 c.p.p.
Tale modifica, tuttavia, non ha trovato il favore di alcune associazioni di categoria come si riscontra negli atti depositati presso la II Commissione Giustizia della Camera dei Deputati della XX legislatura riguardanti una audizione su D.Dl. Nuove norme in materia di illeciti agro-alimentari (C. 2427), dove vien considerato testualmente “come un tentativo di surrogare metodi e procedure di analisi ufficiali con analisi e metodi sperimentali, che minerebbero la genuinità della prova stessa”.
Non è stato  dello stesso avviso il legislatore europeo che nel riordinare la materia dei controlli ufficiali in tema di analisi chimico fisiche, qualche anno più tardi,  ha previsto con l’art.34 del regolamento UE 625/2017, che, in assenza di norme ufficiali dell’Unione nel contesto di controlli ufficiali e altre attività ufficiali, i laboratori ufficiali possono applicare a seconda della relativa idoneità per le esigenze specifiche di analisi, prova e diagnosi, metodi disponibili conformi a pertinenti norme o protocolli riconosciuti internazionalmente, o metodi conformi alle norme pertinenti definite a livello nazionale e  se tali norme non esistono, metodi pertinenti sviluppati o raccomandati dai laboratori di riferimento dell’Unione Europea e convalidati in base a protocolli scientifici accettati internazionalmente.
In conclusione, alla luce della nuova disciplina del diritto europeo, si osserva la ineludibilità della riforma dell’art.189 c.p.p. al fine di rendere lo strumento investigativo più idoneo all’ accertamento del reato e più adeguato alla modernità che l’evoluzione tecnologica richiede senza, tuttavia, modificarne la ratio sottesa, ovvero di acquisire la prova atipica quando questa  risulti idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti senza pregiudicare la libertà morale della persona, così come, invero, aveva suggerito la “Commissione Caselli” nel 2015 assimilandola alla prova sperimentale.