Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

AGRICOLTURA E ALIMENTAZIONE
L’informazione sui prodotti alimentari: obbligo dell’operatore e diritto del consumatore
02/08/2023
di Samuele PULZE
Ten. Col. CC RT (vet) Capo della 1^ Sezione del Servizio per la Veterinaria del Dipartimento per l’Organizzazione  Sanitaria e Veterinaria del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri e Ufficiale addetto dell’Ufficio Comando del Centro Nazionale di Accoglienza degli Animali Confiscati Carabinieri (CNAAC)    


FIGURA 1La policy del legislatore comunitario in materia di comunicazione leale delle informazioni sugli alimenti ai consumatori (Reg. UE 1169/2011) si avvale dello strumento dell’etichettatura. I continui aggiornamenti normativi nello specifico ambito rendono necessario un quadro di sintesi, che possa costituire un valido orientamento sia per gli operatori chiamati all’accertamento degli specifici requisiti, sia per gli acquirenti tra le corsie di un qualsiasi supermarket.

 

The EU legislator's policy on the fair communication of food information to consumers (EU Reg. 1169/2011) makes use of the labeling tool. The continuous regulatory updates in the specific area make a summary framework necessary, which can constitute a valid orientation both for the operators called to ascertain the specific requirements, and for the buyers in the aisles of any supermarket.

 

Il Principio delle pratiche leali d’informazioni

Il 13 dicembre 2014[1] entrava in vigore il Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio “relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori”: con l’adozione di tale norma, il legislatore comunitario intendeva affermare il principio secondo cui “per ottenere un elevato livello di tutela della salute dei consumatori”, è necessario garantire loro la possibilità di essere “adeguatamente informati sugli alimenti che consumano”[2]; infatti, rifacendosi ai principi cardine stabiliti dal Reg. (CE) n. 178/2002, si intendeva rimarcare  il duplice obiettivo della moderna legislazione alimentare, vale a dire, di porsi, sia quale base per scelte consapevoli da parte del consumatore, sia per prevenire qualsiasi pratica tesa ad indurlo in errore.

FIGURA 2Al fine di concretizzare la premessa policy in materia di Sicurezza Alimentare, diviene strumento essenziale di informazione leale nei confronti del consumatore l’etichettatura dei prodotti alimentari, con la consapevolezza che la stessa debba essere “razionalizzata al fine di agevolarne il rispetto e aumentare la chiarezza per le parti interessate” e modernizzata “allo scopo di tenere conto dei nuovi sviluppi nel settore delle informazioni sugli alimenti”[3]. In tale ottica, il Reg. (UE) n. 1169/2011 ha sostituito il precedente dispositivo nazionale in materia di “etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari”, il D. Lgs. n. 109/1992[4], a sua volta recepimento delle Direttive n. 89/395/CEE e n. 89/396/CEE.

In particolare, il citato Reg. (UE) n. 1169/2011 individua due categorie di informazioni destinate ad essere riportate in etichettatura:

  • -obbligatorie, al Capo IV, artt. 9 - 35;
  • facoltative, al Capo V, artt. 36 e 37.

    Per una migliore comprensione della disamina a seguire, si riportano le definizioni normative testuali[5] di:

  • informazioni sugli alimenti, “le informazioni concernenti un alimento e messe a disposizione del consumatore finale mediante un’etichetta, altri materiali di accompagnamento o qualunque altro mezzo, compresi gli strumenti della tecnologia moderna o la comunicazione verbale;
  • informazioni obbligatorie sugli alimenti, “le indicazioni che le disposizioni dell’Unione impongono di fornire al consumatore finale”;
  • etichetta, “qualunque marchio commerciale o di fabbrica, segno, immagine o altra rappresentazione grafica scritto, stampato, stampigliato, marchiato, impresso in rilievo o a impronta sull’imballaggio o sul contenitore di un alimento o che accompagna detto imballaggio o contenitore”;
  • etichettatura, “qualunque menzione, indicazione, marchio di fabbrica o commerciale, immagine o simbolo che si riferisce a un alimento e che figura su qualunque imballaggio, documento, avviso, etichetta, nastro o fascetta che accompagna o si riferisce a tale alimento”.

FIGURA 3Le informazioni obbligatorie

Introdotta al paragrafo precedente la specifica definizione, va ulteriormente precisato che il Reg. (UE) n.1169/2011 individua tre sottocategorie di informazioni obbligatorie[6]:

  • su identità, composizione, proprietà o altre caratteristiche dell’alimento;
  • su protezione della salute dei consumatori e uso sicuro dell’alimento (“attributi collegati alla composizione del prodotto che possono avere un effetto nocivo sulla salute di alcune categorie di consumatori”, “durata e condizioni di conservazione, uso sicuro”, “impatto sulla salute, compresi i rischi e le conseguenze collegati a un consumo nocivo e pericoloso dell’alimento”);
  • su caratteristiche nutrizionali che consentano ai consumatori, compresi quelli che devono seguire un regime alimentare speciale, di effettuare scelte consapevoli.

     

    Fatte salve le eccezioni previste dal pertinente Capo IV, l’elenco delle indicazioni obbligatorie per gli “alimenti preimballati”[7]  prevede:

  • la denominazione dell’alimento (art. 17):

    per la maggior parte degli alimenti di base è prevista la denominazione legale; tuttavia, in assenza di un’apposita disciplina, si può ricorrere alla denominazione usuale per gli alimenti tradizionalmente noti al consumatore medio (ad es. “taralli” anziché “prodotto da forno”, “agnolotti” anziché “pasta ripiena”, “treccia di mozzarella” anziché “prodotto lattiero-caseario fresco a pasta filata”); l’assenza di riferimenti sia normativi, sia consuetudinari autorizza l’utilizzo della denominazione descrittiva[8];

  • l’elenco degli ingredienti (artt. 18 – 22):

    esso reca una intestazione che consiste nel termine “ingredienti” o che lo comprende, a cui fa seguito tutti gli ingredienti annoverati nel prodotto, in ordine ponderale decrescente; gli ingredienti composti vengono indicati con la loro specifica denominazione, che deve sempre essere immediatamente seguita dall’elenco dei relativi componenti; gli ingredienti che per loro natura intrinseca (caratteristiche chimico-biologiche) possono causare reazioni allergiche e/o intolleranze alimentari (allergeni alimentari), espressamente indicati nel dedicato Allegato II del Reg., devono sempre essere citati con il loro nome specifico (ad es. “glutine da grano” e non semplicemente “glutine”) e senza possibilità di ricorrere a nomi di categoria (ad es. “noci” o “mandorle” anziché “frutta a guscio”); la parola chiave di ciascun allergene alimentare deve, inoltre, essere evidenziata graficamente[9] rispetto agli altri ingredienti del prodotto; qualora l’OSA, nonostante una corretta applicazione delle misure di autocontrollo aziendale, non sia in grado di escludere totalmente la contaminazione accidentale dell’alimento con allergeni alimentari non volontariamente immessi nella sua ricetta, deve indicare la dicitura “Può contenere (nome dell’allergene)” a margine della lista degli ingredienti, senza riferirsi a “tracce di …”, in quanto quest’ultima dicitura, priva di riferimenti giuridico-legali, è da intendersi vietata; al fine di stabilire il posizionamento dell’acqua nell’elenco degli ingredienti, la sua quantità in un alimento deve essere determinata sottraendo dalla quantità totale del prodotto finito la (somma della) quantità totale degli altri ingredienti utilizzati (Allegato VII del Reg.); l’acqua come ingrediente può venire omessa qualora non superi, in termini di peso, il 5% del prodotto finito[10];

  • la quantità netta dell’alimento (art. 23);
  • la data di scadenza, il termine minimo di conservazione (TMC), la data di congelamento (art. 24):

    la data di scadenza (“da consumarsi entro …”) si applica ai prodotti deperibili dal punto di vista microbiologico; il regolamento non vieta la vendita di alimenti che abbiano superato il TMC (“da consumarsi preferibilmente entro…”)[11], a condizione che il deperimento delle loro caratteristiche organolettiche non sia significativo, né tale da comportarne l’inidoneità al consumo dell’alimento, essendo quest’ultimo un requisito essenziale richiesto dal Reg. CE n. 178/2002; la data di surgelazione/congelamento si applica per carni, prodotti a base di carne e prodotti della pesca non trasformati congelati (Allegato III del Reg.);

  • le condizioni particolari di conservazione e/o di impiego (art. 25);
  • il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’Operatore del Settore Alimentare (OSA);
  • il paese di origine o il luogo di provenienza (art. 26):

innanzitutto, va chiarito che l’origine di un prodotto realizzato in più territori viene ascritta a quello in cui si è realizzata l’ultima trasformazione sostanziale; da tale principio deriva il fatto che la sola rivendicazione del c.d. “Made in Italy”[12] vale esclusivamente ad esprimere l’italianità dell’ultima trasformazione sostanziale; le regole vigenti prescrivono di indicare la provenienza dell’alimento e/o delle sue materie prime delle sottoelencate categorie di prodotti:

  • -ortofrutta, ma non nel caso di frutta lavorata (ad es., la macedonia);
  • prodotti provenienti da agricoltura biologica;
  • DOP (Denominazione di Origine Protetta);
  • IGP (Indicazione Geografica Protetta), nel caso in cui il relativo disciplinare vincoli all’uso di materie prime locali;
  • Vini/bevande alcoliche/liquori oggetto di indicazioni geografiche riconosciute; prodotti ittici freschi, per i quali deve essere riportata la zona di cattura per il pescato (zona FAO[13]) o, in alternativa, la zona di allevamento[14];
  • miele;
  • uova;
  • -olio vergine ed extra-vergine di oliva; latte, venduto tal quale o impiegato quale ingrediente nei prodotti lattiero-caseari (D. Mipaaf 9 dicembre 2016[15]);
  • carni bovine (Reg. CE n. 1760/2000 e n. 1825/2000), suine, ovine, caprine e avicole (Reg. UE n. 1337/2013) fresche, congelate e surgelate; carni suine trasformate (salumi), ai sensi del Decreto MISE-Mipaaf 6 agosto 2020[16];
  • l’origine dell’ingrediente primario:

    la definizione viene fornita dal regolamento stesso, in funzione di un duplice criterio, di tipo qualitativo e quantitativo; tale indicazione è obbligatoria[17] nei casi previsti dal Reg. UE n. 775/2018;

  • le istruzioni per l’uso (art. 27), ove necessario;
  • il titolo alcolimetrico volumico effettivo[18] (art. 28);
  • la dichiarazione nutrizionale (artt. 29 - 35), fatti salvi i prodotti alimentari riportati in Allegato V del regolamento, per i quali tale indicazione non costituisce un obbligo;
  • il lotto o partita (art. 17 del D. Lgs. 231/2017), con i quali si intende un insieme di unità di vendita di una derrata alimentare prodotte, fabbricate o confezionate in circostanze sostanzialmente identiche; l’indicazione è preceduta dalla lettera “L”, fatte salve le ipotesi in cui il n. di lotto sia riportato in modo tale da essere facilmente distinto dalle altre indicazioni in etichettatura (ad es. mediante la data di scadenza o il TMC espresso con giorno e mese);
  • il marchio/bollo sanitario per gli stabilimenti con obbligo di riconoscimento[19];
  • la sede dello stabilimento di produzione (o, qualora diversa, di confezionamento) sulle etichette dei soli prodotti realizzati e destinati alla vendita sul territorio nazionale (D. Lgs. 145/2017)[20].

    Ulteriori indicazioni fornite dal Reg. (UE) n. 1169/2011:

  • “le informazioni obbligatorie sugli alimenti preimballati appaiono direttamente sull’imballaggio o su un’etichetta ad esso apposta» (art. 12);
  • le informazioni obbligatorie sugli alimenti sono apposte in un punto evidente, in modo da essere facilmente visibili, chiaramente leggibili ed eventualmente indelebili” (art. 13);
  • “le indicazioni obbligatorie […] sono stampate in modo da assicurare chiara leggibilità, in caratteri la cui parte mediana (altezza della x) […] è pari o superiore a 1,2 mm” (art. 13);
  • “le informazioni obbligatorie sugli alimenti appaiono in una lingua facilmente comprensibile da parte dei consumatori degli Stati Membri nei quali l’alimento è commercializzato” (art. 15);
  • se un alimento viene congelato o surgelato prima della vendita e viene successivamente venduto quale scongelato, la denominazione di vendita deve essere accompagnata dalla dicitura “scongelato”;
  • se un ingrediente naturalmente presente in un prodotto (per es. il latte in un prodotto lattiero-caseario) è sostituito, in parte, con un altro ingrediente (per es. fibre vegetali), viene indicato accanto alla denominazione di vendita con caratteri non inferiori al 75% dei caratteri del nome del prodotto stesso;
  • -nel caso degli insaccati, deve essere specificato, accanto alla denominazione di vendita, se l’involucro non è edibile;
  • -nel caso di ingrediente composito riportato in etichettatura, lo stesso va menzionato con la denominazione di vendita, seguito dalla lista dei propri ingredienti, riportati tra parentesi, in ordine ponderale decrescente.

FIGURA 4Garanzia dell’origine: Regimi di qualità e produzione biologica

 Tutti i prodotti agricoli e alimentari riconosciuti nelle categorie di qualità Denominazione di origine protetta, Indicazione Geografica Protetta e Specialità Tradizionale Garantita devono, ai sensi dello specifico Reg. (UE) n. 1151/2012 (artt. 12 e 23), recare obbligatoriamente in etichetta i rispettivi loghi DOP (ogni parte del processo di produzione, trasformazione e preparazione deve avvenire nella specifica zona geografica di provenienza), IGP (almeno una delle fasi del processo di produzione, lavorazione o preparazione deve avvenire nella specifica zona geografica di provenienza) e STG (nessun collegamento a una zona geografica specifica, ma comporta la tutela degli aspetti tradizionali, in primis della ricetta[21].

Indicazioni particolari in etichetta:

  • il nome registrato del prodotto (denominazione protetta da riportare per esteso - Reg. UE n. 1308/2013) deve figurare nello stesso campo visivo di apposizione del relativo logo di qualità;
  • l’autorizzazione e il logo consortile sono materia ancora priva di disciplina, pertanto facoltativi;
  • in Italia è fatto obbligo di riportare, accanto al logo, la dicitura “Certificato da Organismo di Controllo Autorizzato dal MASAF”;
  • gli ingredienti DOP e IGP possono venire citati in etichetta di altri prodotti, a condizione che appaiano nella sola lista degli ingredienti e che non ne vengano indicati in etichetta i rispettivi loghi di qualità[22].

Per quanto concerne i prodotti biologici, la normativa di riferimento è il Reg. (UE) n. 848/2018 in materia di «produzione biologica ed etichettatura dei prodotti biologici», che fornisce, in particolare, gli elementi di merito agli artt. 32 (Indicazioni obbligatorie) e 33 (Logo di produzione biologica dell’Unione Europea[23]).               È essenziale premettere che l’indicazione biologico e/o da agricoltura biologica compare nella denominazione di vendita del prodotto solamente quando almeno il 95% degli ingredienti di origine agricola sono effettivamente biologici[24].

Per tali prodotti vanno riportati in etichetta:

  • il logo comunitario di produzione biologica, le cui caratteristiche[25] sono riportate in Allegato V del Regolamento;
  • il codice numerico dell’Autorità/Organismo di Controllo a cui è soggetto l’operatore che ha effettuato l’ultima operazione di produzione e/o preparazione; il formato è tipicamente “AB-CDE-999”, laddove AB indica il codice ISO del Paese in cui sono effettuati i controlli, CDE è il termine composto che significa biologico (per es. OKO, ORG, BIO) e 999 è il numero assegnato a ciascuna AC;
  • una indicazione[26] del luogo in cui sono state coltivate le materie prime agricole di cui il prodotto è composto (“Agricoltura UE”[27], se la materia prima agricola è stata coltivata nell’Unione; “Agricoltura non UE”, se la materia prima agricola è stata coltivata in Paesi Terzi; “Agricoltura UE/non UE”, quando le materie prime agricole sono state coltivate parte nell’Unione e parte in Paesi Terzi).

La Legge 9 marzo 2022, n. 23 ha introdotto, in linea con le previsioni del cit. Reg. UE 848/2018 (art. 33 co. 5), il marchio biologico italiano[28]; tale marchio, con logo ancora da individuarsi, potrà essere utilizzato per i prodotti biologici ottenuti da materie prime italiane e contraddistinti dall’indicazione “Biologico italiano”.

Breve accenno alla C.D. “Etichettatura ambientale”

 Dal 1° gennaio 2023 sono entrate in vigore le nuove regole inerenti all’etichettatura ambientale degli imballaggi, introdotte dall’art. 3, co. 3, let. c) del D. Lgs. 116/2020, che, modificando l’art. 219, comma 5 del D. Lgs. n. 152/2006 (c.d. “Codice dell’Ambiente”), recita testualmente: “Tutti gli imballaggi devono essere opportunamente etichettati secondo le modalità stabilite […] per dare una corretta informazione ai consumatori sulle (loro) destinazioni finali”.

Ai sensi dell’art. 218 del Codice rientrano nella specifica categoria:

  • gli imballaggi primari, destinati a “costituire, nel punto di vendita, un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore” (comma 1, let b.);
  • gli imballaggi secondari, destinati a «costituire, nel punto di vendita, il raggruppamento di un certo numero di unità di vendita” (comma 1, let c.);
  • gli imballaggi terziari[29], funzionali a “facilitare la manipolazione ed il trasporto di merci” o “a facilitare il rifornimento degli scaffali nel punto di vendita” (comma 1, let. d.).

Da notare che, seppure la definizione di imballaggio fornita dal Reg. CE 852/2004 (art. 2, comma 1., let. k) si avvicini, in realtà, più a quella di imballaggio secondario, la definizione di alimento preimballato data dal Reg. UE 1169/2011 riconduce la sua più intima connotazione a quella di imballaggio primario, ristabilendo pienamente il concetto di unità di vendita.

La recente Nota del Ministero della Transizione Ecologica n. 52445 del 17 maggio 2021 specifica che nella “previsione di un’etichettatura ambientale per tutti gli imballaggi […], è consentito privilegiare strumenti di digitalizzazione delle informazioni (es. APP, QR code, siti internet)”.

FIGURA 7Illeciti, frodi e altro

La disciplina sanzionatoria delle violazioni del Reg. UE 1169/2011 è normata dal D. Lgs. 15 dicembre 2017, n. 231; essa è di esclusiva natura amministrativa, sulla base dei limiti imposti dalla delega conferita al Governo con la Legge 12 agosto 2016, n. 170. Viene, comunque, fatta salva l’ipotesi che le fattispecie in esso considerate possano configurare reato[30] e, pertanto, ricadere nella sfera giuridica del Codice Penale[31], con particolare riguardo ai delitti di “frode in commercio” (art. 515 c.p.), “vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine” (art. 516 c.p.) e “vendita di prodotti industriali con segni mendaci” (art. 517 c.p.)[32].

Tale Decreto, innovando il precedente quadro sanzionatorio (D. Lgs. 109/1992), aumenta sia il numero di scaglioni di pena (da 3 a 5), sia il coefficiente di moltiplicazione dei minimi edittali (da 6 a 8). Gli scaglioni di pena, in particolare, costituiscono la diretta applicazione delle seguenti norme:

  • art. 16 della Legge 689/1981 (“pagamento in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa o, se più favorevole, al doppio del minimo della sanzione edittale…entro il termine di 60 giorni dalla contestazione immediata o dalla notificazione degli estremi della violazione”);
  • art. 1 comma 4 della Legge 114/2016 (riduzione del 30% se il pagamento è effettuato entro 5 giorni dalla contestazione/notificazione); art. 27 del Decreto stesso (riduzione della sanzione fino a un terzo per le sole micro-imprese[33]).

    Ai sensi dell’art. 26, l’AC per l’irrogazione delle suindicate sanzioni amministrative è individuata nel Dipartimento dell’Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi (ICQRF) presso il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, con le sue 29 Sedi Periferiche, a competenza areale.

    In modalità schematica si forniscono, infine, i riferimenti alla specifica disciplina sanzionatoria applicabile alle norme d’interesse, nell’ambito dell’argomento trattato:

  • D. Lgs. 20/2018, per la violazione delle disposizioni del Reg. UE 848/2018 per i prodotti alimentari BIO;
  • D. Lgs. 297/2004, per la violazione delle disposizioni del Reg. CEE 2081/1992[34], in materia di prodotti alimentari in regime di qualità;
  • Legge n. 12/2019,[35] per la violazione delle disposizioni del Reg. UE 775/2018, sull’obbligatorietà dell’indicazione dell’origine dell’ingrediente primario;
  • D. Lgs. 27/2017, per la violazione del Reg. CE 1924/2006, in materia di dichiarazione nutrizionale degli alimenti;
  • D. Lgs. 152/2006 (art. 261, co. 3), per la violazione del D. Lgs. 116/2020, relativamente all’etichettatura ambientale degli imballaggi destinati a packaging alimentare.


[1] Con l’eccezione dell’indicazione della dichiarazione nutrizionale sui prodotti alimentari, resa obbligatoria due anni più tardi (13 dicembre 2016).

[2] Considerando (3) del Regolamento.

[3] Considerando (9) del Regolamento.

[4] Art. 30 del D. Lgs. 15 dicembre 2017, n. 231 recante “Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del Regolamento (UE) n. 1169/2011, etc.”.

[5] Art. 2 del Regolamento.

 

[6] Art. 4, co. 1.

[7] “L’unità di vendita destinata a essere presentata come tale al consumatore finale e alle collettività, costituita da un alimento e dall’imballaggio in cui è stato confezionato prima di essere messo in vendita, avvolta interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo tale che il contenuto non possa essere alterato senza aprire o cambiare l’imballaggio” (Reg. UE n. 1169/2011, art. 2, co. 2., let. e).

[8] Deve essere definita con estrema precisione, al fine di non indurre in errore il consumatore.

[9] Grassetto, caratteri maiuscoli, sottolineatura, evidenza cromatica, etc..

[10] La deroga non si applica alle carni, alle preparazioni di carne, ai prodotti della pesca non trasformati e ai molluschi bivalvi non trasformati. Per “trasformati” si intendono i prodotti alimentari “non sottoposti ad alcun trattamento”, ai sensi dell’art. 2 del Reg. CE n. 852/2004.

[11] Nel caso specifico, il venditore, in osservanza al principio delle pratiche leali di informazione, dovrà informare (con apposito cartello e/o altra idonea indicazione) il consumatore che i prodotti esposti per la vendita hanno superato il proprio TMC.

[12] Al di fuori dei casi in cui l’origine della materia prima è vincolata a un certo territorio, come nel caso della “Denominazione di Origine Protetta” (DOP), o a una indicazione obbligatoria, come nel caso delle carni.

[13] Nel caso delle Zone FAO 27 e 37 è obbligatorio indicare anche la specifica sottozona.

[14] Si evidenzia che le diciture del presente Regolamento devono essere integrate da quelle del Reg. UE n. 1379/2013 (art. 35: denominazione commerciale della specie e suo nome scientifico; metodo di produzione - «pescato.», «allevato…» -; zona di cattura e attrezzi usati per la pesca; se il prodotto è stato scongelato; TMC, se appropriato).

[15] Applicazione estesa al 31.12.2023 con D. Masaf 21 dicembre 2022.

[16] Vds. nota 14.

[17] Non si applica ai prodotti DOP/IGP/BIO, soggetti a specifica normativa.

[18] Per le bevande che contengono più dell’1,2% di alcool in volume.

[19] Reg. CE n. 852/2004 e n. 853/2004.

[20] Si può omettere qualora la confezione riporti il marchio di identificazione (come nel caso delle carni) o il bollo 

sanitario.

[21] E’ opzionale l’indicazione delle diciture DOP, IGP e STG, sia per esteso, sia nella forma di acronimo; per i Paesi Terzi

è, altresì, prevista l’opzione dell’utilizzo alternativo dei loghi o delle predette diciture (per esteso o quale acronimo).

[22] L’utilizzo della denominazione tutelata nella sola lista degli ingredienti non è sottoposta ad autorizzazione ministeriale; qualora, invece, l’ingrediente di qualità venga utilizzato nella denominazione del prodotto o in altra parte dell’etichetta, al di fuori della lista degli ingredienti, è necessaria l’autorizzazione del Consorzio, o in sua mancanza, del Masaf.

[23] Vds. anche l’Allegato V del Regolamento.

[24] Per prodotti con percentuale inferiore al 95%, non è consentito l’uso del logo comunitario, l’indicazione biologico

da agricoltura biologica non può essere posto accanto alla denominazione di vendita e, infine, gli ingredienti biologici 

possono essere contrassegnati come tali solo all’interno dell’elenco degli ingredienti.

[25] Tra cui le dimensioni (altezza e larghezza minime in mm) e il colore (in particolare, il verde Pantone n. 376).

[26] Nel medesimo campo visivo del logo comunitario.

[27] La dicitura “Agricoltura UE”, così come anche “Agricoltura non UE”, può essere sostituita dal nome del Paese, nel caso

in cui vi  siano state prodotte tutte le materie prime agricole indicate.

[28] Il marchio biologico nazionale è già stato adottato da Francia e Germania; esso va posizionato nel medesimo campo 

 visivo del logo comunitario.

[29] A titolo di esempio, i pallets.

[30] “Salvo che il fatto costituisca reato” - artt. 3, 4, 5, 7, 8.1, 11, 12.3, 13.1, 16, 22.2 e 23.2.

[31] Libro II, Titolo VIII, Capo II “Dei delitti contro l’industria e il commercio”.

[32] Con la situazione aggravante di cui al successivo art. 517-bis c.p. “se i fatti da esso previsti hanno ad oggetto alimenti o bevande la cui denominazione di origine o geografica o le cui specificità sono protette dalle norme vigenti”.

[33] “Con meno di 10 dipendenti e un fatturato o bilancio annuo inferiore ai 2 milioni di euro”.

[34] Aggiornato dal Reg. UE 1151/2012.

[35] Rimanda alle sanzioni ex Legge n. 4/2011.