Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

AGRICOLTURA E ALIMENTAZIONE
ALIMENTI TRASFORMATI: QUANDO È OBBLIGATORIO INDICARE L’ORIGINE DELL’INGREDIENTE PRIMARIO
26/10/2023
di Marco SANTILLI
Comandante Nipaaf Gruppo Carabinieri Forestale Chieti


La normativa unionale in materia di etichettatura compendia due esigenze difficilmente conciliabili: la libera circolazione delle merci e la corretta informazione del consumatore. Seppure alcuni Regolamenti UE consentono di conoscere l’origine della materia prima per molti alimenti non trasformati (frutta e verdura, carne e pesce), per quanto riguarda gli alimenti trasformati il consumatore non sempre ha il diritto di conoscerne l’origine, a meno che non ci sia la possibilità che quest’ultimo possa essere indotto in errore sulla reale origine/provenienza dell’alimento o del suo ingrediente primario. Ma non mancano eccezioni.

The union legislation on labeling summarizes two requirements that are difficult to reconcile: the free movement of goods and correct consumer information. Although some EU regulations allow knowing the origin of the raw material for many unprocessed foods (fruit and vegetables, meat and fish), as regards processed foods the consumer does not always have the right to know their origin, unless there is no possibility that the latter could be misled about the real origin/provenance of the food or its primary ingredient. But there is no shortage of exceptions.

 

Con il Regolamento di esecuzione (UE) n. 775/2018, entrato in vigore il 1° aprile 2020, la Commissione europea ha introdotto l’obbligo di indicare l’origine dell’ingrediente primario utilizzato nella preparazione di un alimento, per il quale è indicata un’origine diversa.

La ratio della norma unionale è quella di far comprendere al consumatore medio, a cui venga prospettata una precisa origine o provenienza dell’alimento che, in realtà, l’ingrediente primario che lo compone ha ben altra origine o provenienza.

Il provvedimento stabilisce, quale normativa orizzontale applicabile su tutto il territorio dell’Unione, le modalità di applicazione dell'articolo 26, paragrafo 3, del Regolamento (UE) n. 1169/2011, disponendo che “quando il Paese d’origine o il luogo di provenienza di un alimento è indicato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario:

  1. è indicato anche il Paese d’origine o il luogo di provenienza di tale ingrediente primario;

oppure

   b) il Paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario è indicato come diverso da quello dell’alimento”.

Ne deriva che per un prodotto la cui etichetta non rechi alcun marchio, denominazione, raffigurazione o altro segno o indicazione che possa evocare un determinato luogo, l’indicazione dell’origine dell’ingrediente primario è meramente facoltativa e, solitamente, viene omessa.

L’informazione sul Paese d’origine della materia prima diventa obbligatoria, invece, quando il consumatore, di fronte ad un’etichetta, può essere tratto in inganno a causa di informazioni, anche grafiche, che recano riferimenti a luoghi che non hanno attinenza con il luogo di produzione dell’ingrediente primario. L’intervento del legislatore comunitario si colloca, pertanto, nell’alveo dei principi nodali della legislazione unionale[1] in materia agroalimentare, ben compendiati nell’art. 7[2] del Reg. Ue 1169/2011, in materia di etichettatura: tutela del consumatore e pratiche leali di informazione.

Volendo dare una rappresentazione pratica delle fattispecie in cui scatta l’obbligo di indicazione del Paese d’origine o luogo di provenienza dell’ingrediente primario ai sensi del nuovo Regolamento d’esecuzione, portando come esempio l’etichettatura di crackers contenenti oltre il 50% di farina di grano tenero cinese, si possono ipotizzare essenzialmente quattro casi:

  1. Nessuna indicazione di origine (implicita o esplicita) dell’alimento.

    Pacco di crackers prodotto in Italia con farina cinese: nessun obbligo di riportare l’origine del grano.

  2. Indicazione dell’origine dell’alimento volontaria – indicata in modo esplicito – diversa da quella dell’ingrediente primario.

    Pacco di crackers prodotto in Italia che non presenta alcun richiamo all’Italia, né nel nome commerciale, né in altri simboli o disegni, realizzato con farina cinese: se nell’etichetta l’OSA[3] decide di inserire, del tutto facoltativamente, la dicitura “made in Italy“, dovrà obbligatoriamente precisare la diversa origine della farina.

  3. Indicazione dell’origine dell’alimento facoltativa – indicata in modo implicito o evocativo – diversa da quella dell’ingrediente primario.

    Pacco di crackers prodotto in Italia, recante richiami figurativi all’Italia, utilizzando farina cinese: anche in assenza di indicazioni esplicite, quali “made in Italy“, occorre specificare la diversa origine della farina.

  4. Indicazione dell’origine dell’alimento obbligatoria, diversa da quella dell’ingrediente primario.

Pacco di cracker prodotto in Germania, contenente richiami figurativi all’Italia, impiegando farina cinese: oltre ad essere obbligatorio dichiarare il “made in Germany” (ex art. 26, par. 2, lett. a)[4], vi è l’obbligo di specificare l’origine cinese, o comunque diversa, della farina.

 

L’ingrediente primario: definizione e problematiche connesse

 

Il Reg. (UE) n. 1169/2011, all’articolo 2, paragrafo 2, lettera q), definisce l’ingrediente primario “un ingrediente o gli ingredienti di un alimento che rappresentano più del 50% di tale alimento o che sono associati abitualmente alla denominazione dell’alimento dal consumatore e per i quali nella maggior parte dei casi è richiesta un’indicazione quantitativa”.

A valle dell’entrata in vigore del Regolamento di esecuzione, sugli scaffali sono comparsi numerosi alimenti etichettati in aderenza con la nuova disposizione: si pensi ai prodotti da forno recanti riferimenti all’Italia, che riportano la diversa origine del grano, ovvero alle tavolette di cioccolato che enfatizzano la professionalità dei mastri cioccolatieri italiani, che riportano l’origine extra UE del cacao.

Tuttavia, la norma non offre criteri univoci ed oggettivi, atteso che residuano difficoltà interpretative per l’OSA che, per rispettare l’obbligo unionale, è chiamato a considerare criteri quantitativi (l’ingrediente rappresenta più del 50% dell’alimento, in termini di quantità) e criteri qualitativi (associazione dell’ingrediente alla denominazione dell’alimento da parte del consumatore e sussistenza, nella maggior parte dei casi, dell’obbligo di riportare il QUID[5]). La definizione normativa di ingrediente primario, pertanto, obbliga l’OSA a valutare quale sia l’ingrediente primario nell’ottica del consumatore, atteso che spesso l’origine dell’ingrediente che rappresenta più del 50% dell’alimento non è di interesse per quest’ultimo.

A mero titolo esemplificativo, con riferimento all’ingrediente quantitativamente preponderante, nella birra l’ingrediente primario è costituito dall’acqua, ma l’interesse del consumatore è rivolto a conoscere l’origine del cereale maltato o del luppolo, mentre lo zucchero o l’olio di semi costituiscono l’ingrediente preponderante in peso in alcune conserve, ma al consumatore interessa conoscere l’origine della frutta o della verdura.

A ciò si aggiunga che, in forza della definizione di cui sopra (“un ingrediente o gli ingredienti di un alimento…”), il consumatore potrebbe avere interesse diretto a conoscere l’origine di più ingredienti primari.

L’esempio calzante è quello di uno yogurt alla fragola, dove l’ingrediente primario quantitativo è il latte e quello qualitativo è la fragola.

Infine, quando l’ingrediente primario non rappresenta più del 50% dell’alimento, ovvero nel caso in cui gli ingredienti dell’alimento non possono essere associati al nome dell’alimento da parte del consumatore, non dovrebbe esserci nessun obbligo per l’OSA di indicarne l’origine.

Si pensi ad alimenti trasformati quali muesli, minestroni, macedonie di frutta, od altri prodotti con pluringrediente, dove nessuno degli ingredienti soddisfa il criterio quantitativo né quello qualitativo (ad esempio il singolo frutto nella macedonia non rappresenta più del 50% del prodotto e non è in grado di essere associato all’intero alimento pluringrediente da parte del consumatore).

Il tal caso, la conseguenza dovrebbe essere l’assenza dell’obbligo di indicare l’origine degli ingredienti e non quella di doverla indicare per tutti.

Pertanto, ricorrendone i presupposti, l’individuazione dell’ingrediente primario, per quanto vada obbligatoriamente riportata in etichetta (la mancata indicazione è sanzionata in via amministrativa[6]), lascia dubbi interpretativi di difficile soluzione, atteso che in molti casi risulta davvero difficoltoso individuare il campo di applicazione del Regolamento di esecuzione (UE) n. 775/2018.

La valutazione se inserire o meno l’origine dell’ingrediente primario dovrà essere, di conseguenza, fatta caso per caso, avendo riguardo alle aspettative dei consumatori, domandandosi se la fornitura dell’indicazione di origine/provenienza per un certo ingrediente (o per più ingredienti) sia suscettibile di orientare le loro decisioni di acquisto o se, per contro, sarebbe fuorviante[7].

Per approfondimenti si rinvia alle linee guida emanate dalla Commissione UE, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea “comunicazione della Commissione sull’applicazione delle disposizioni dell’articolo 26, paragrafo 3, del Regolamento (UE) n. 1169/2011 (2020/C 32/01)”.

 

Ambito di applicazione del Regolamento di esecuzione (UE) n. 775/2018

 

Per comprendere la ratio della normativa in rassegna, occorre fare un cenno ad alcuni “considerando” riportati nel Regolamento, ove vengono specificate le deroghe e le limitazioni applicative previste nell’art. 1[8] del provvedimento.

Le singole deroghe saranno trattate separatamente[9].

  • “Indicazioni Geografiche Protette”

    Considerando 6: “Le indicazioni del Paese d'origine o del luogo di provenienza di un alimento che fanno parte delle denominazioni di prodotto protette in quanto indicazioni geografiche a norma dei Regolamenti (UE) n. 1151/2012, (UE) n. 1308/2013, (CE) n. 110/2008 o (UE) n. 251/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, o protette in virtù di accordi internazionali, rientrano nell'ambito di applicazione dell'articolo 26, paragrafo 3, del Regolamento (UE) n. 1169/2011, in considerazione del fatto che per tali denominazioni di prodotto esiste un legame intrinseco tra le caratteristiche del prodotto e l'origine geografica e che sono disciplinate da norme specifiche, anche in materia di etichettatura, e tenendo conto del loro carattere specifico in quanto diritti di proprietà intellettuale, è necessario esaminare ulteriormente il modo in cui, per le suddette denominazioni, dovrebbe essere indicata l'origine dell'ingrediente primario di cui all'articolo 26, paragrafo 3, del Regolamento (UE) n. 1169/2011”.

    Come chiaramente riportato nel testo di legge, il Regolamento non si applica alle indicazioni protette (DOP, IGP, STG) per le quali esiste una normativa verticale che prevede un disciplinare di produzione.

    Se per le DOP il disciplinare di produzione contiene sempre un rimando all’origine della materia prima, difficoltà applicative permangono con riferimento a numerosi prodotti IGP, per i quali, di fatto, viene tutelato il segreto industriale.

    Rimangono quindi incerte le origini delle carni utilizzate, ad esempio, nella “porchetta di Ariccia”, nel “cotechino di Modena”, nella “mortadella di Bologna”, nonché quelle dei prosciutti di “amatriciano” e “Norcia”.

    Tuttavia, va sottolineato come le deroghe sopra citate non comportano la disapplicazione tout court del Regolamento (UE) 2018/775, in quanto, se è vero che le indicazioni o suggestioni geografiche contenute all’interno delle denominazioni o dei loghi non valgono di per sé a fare scaturire l’obbligo di indicare la diversa origine o provenienza dell’ingrediente primario, è altresì vero che ogni altro riferimento volontario, seppure al luogo di produzione, integra il presupposto di applicazione del Regolamento.

    Dall’esame delle linee guida sull’applicazione del Regolamento emanate dalla Commissione Europea[10], al ricorrere delle altre condizioni (difformità tra origine prodotto e origine o provenienza ingrediente primario), si può ritenere, anche nell’ambito dei prodotti IGP, che sarebbe sufficiente una parola o un elemento grafico inserito in modo volontario a vanto del Made in Italy (es. bandiere e cartine geografiche, simboli, monumenti, paesaggi, nomi e figure associati ai territori) per fare scattare, ad esempio, l’obbligo di indicare, accanto a ogni segno, che la carne utilizzata nei salumi IGP proviene spesso dall’estero.

    Quanto sopra, è confortato da quanto riportato nel Considerando 4[11], determinandosi l’applicazione del Regolamento di esecuzione nel caso in cui l’origine dell’alimento sia stata ripetuta su base volontaria e per scelta dell’OSA, senza che quest’ultimo abbia alcun obbligo in tal senso.

  • Marchi registrati.

    Considerando 7: “Le indicazioni del Paese d'origine o del luogo di provenienza di un alimento che fanno parte dei marchi d'impresa registrati rientrano nell'ambito di applicazione dell'articolo 26, paragrafo 3, del Regolamento (UE) n. 1169/2011. Sono suscettibili di costituire marchi d'impresa tutti i segni, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i colori, la forma del prodotto o del suo confezionamento, oppure i suoni, a condizione che tali segni conferiscano ai prodotti o ai servizi di un'impresa un carattere distintivo. La finalità dei marchi d'impresa è consentire al consumatore di individuare il collegamento tra una particolare fonte o origine commerciale e prodotti e/o servizi specifici. Tenendo conto del carattere specifico e dell'obiettivo dei marchi d'impresa, è opportuno esaminare ulteriormente il modo in cui dovrebbe essere indicata l'origine dell'ingrediente primario di cui all'articolo 26, paragrafo 3, del Regolamento (UE) n. 1169/2011, ove ciò sia richiesto per i marchi d'impresa”.

    Suscita qualche perplessità la deroga prevista per i marchi d’impresa registrati, laddove questi ultimi costituiscano un’indicazione dell’origine, in quanto in commercio si rinvengono svariati prodotti alimentari che riportano in etichetta marchi commerciali contenenti riferimenti espliciti ad un “Made in”, in particolar modo mediante il ricorso alla bandiera italiana ovvero al riferimento a sapori o tradizioni nazionali (si pensi ai marchi registrati: “BELLA ITALIA”, “ITALIA MIA” o “TRADIZIONI ITALIANE”).

    Sul punto, pur riconoscendo l’importanza della portata decettiva di un marchio contente espliciti riferimenti ad un particolare luogo, il Regolamento di esecuzione rimanda all’adozione di ulteriori norme specifiche riguardanti l’applicazione dell’articolo 26, paragrafo 3, ai marchi registrati, al momento non ancora adottati.

  • “Nomi usuali e generici”.

    Considerando 8: “Le denominazioni usuali e generiche contenenti termini geografici che indicano letteralmente l’origine, ma la cui interpretazione comune non è un’indicazione dell’origine o del luogo di provenienza dell’alimento”.

    L’obbligo di indicazione dell’ingrediente primario non si applica nel caso in cui il prodotto alimentare riporti in etichetta una denominazione usuale ovvero un termine generico.

    È possibile rinvenire le definizioni di legge all’interno di altri provvedimenti regolamentari; la “denominazione usuale” è una denominazione che è accettata quale nome dell’alimento dai consumatori dello Stato in cui l’alimento è venduto, senza che siano necessarie ulteriori spiegazioni[12], mentre per “termini generici” si intendono i nomi di prodotti che, pur riferendosi al luogo, alla regione o al Paese in cui il prodotto era originariamente ottenuto o commercializzato, sono diventati il nome comune di un prodotto nell’Unione[13].

    Alcuni esempi non esaustivi di nomi usuali e generici possono essere: “Salame Milano”, “zuppa inglese”, “cotoletta viennese”, “insalata russa”, “pandoro di Verona”, “bavarese”, “gelato malaga”.

    Questi nomi, pur includendo termini geografici che indicano letteralmente l’origine, non sono comunemente compresi dai consumatori come un’indicazione del Paese d’origine o del luogo di provenienza dell’alimento.

    I riferimenti geografici inclusi nelle denominazioni usuali e generiche possono fare riferimento a un metodo di produzione, ad una ricetta ovvero ad una caratteristica del prodotto, ma, in genere, non identificano la provenienza del prodotto, perché è venuto meno il collegamento con il territorio da cui ha avuto origine il prodotto.

  • Alimenti biologici.

Conformemente all’articolo 1, paragrafo 4, del Regolamento di esecuzione, quest’ultimo si applica fatti salvi i requisiti di etichettatura stabiliti da specifiche disposizioni dell’Unione per particolari alimenti.

In tale contesto, le disposizioni del Regolamento relativo agli alimenti biologici devono essere considerate come legge speciale e prevalgono sull’articolo 26, paragrafo 3, del Regolamento n. 1169/2011, da cui promana il Regolamento di esecuzione: pertanto ogni qual volta sia utilizzato il logo UE per i prodotti biologici, il Regolamento in esame non è applicabile[14].

 

Modalità di indicazione d’origine dell’ingrediente primario

 

L’art. 2 del Regolamento di esecuzione prevede che “l’indicazione del Paese d’origine o del luogo di provenienza di un ingrediente primario, che non è lo stesso Paese d’origine o luogo di provenienza indicato per l’alimento, viene fornita:

a) con riferimento a una delle seguenti zone geografiche:

i) «UE», «non UE» o «UE e non UE»; o ii) una regione o qualsiasi altra zona geografica all’interno di diversi Stati membri o di paesi terzi, se definita tale in forza del diritto internazionale pubblico o ben chiara per il consumatore medio normalmente informato; o iii) la zona di pesca FAO, o il mare o il corpo idrico di acqua dolce se definiti tali in forza del diritto internazionale o ben chiari per il consumatore medio normalmente informato; o iv) uno o più Stati membri o paesi terzi; o v) una regione o qualsiasi altra zona geografica all’interno di uno Stato membro o di un Paese terzo, ben chiara per il consumatore medio normalmente informato; o vi) il Paese d’origine o il luogo di provenienza, conformemente alle specifiche disposizioni dell’Unione applicabili agli ingredienti primari in quanto tali[15].

b) oppure attraverso una dicitura del seguente tenore: «nome dell’ingrediente primario non proviene/non provengono da (Paese d’origine o luogo di provenienza dell’alimento)» o una formulazione che possa avere lo stesso significato per il consumatore.

Per l’individuazione del Paese di origine occorre far riferimento alle disposizioni europee in materia di origine non preferenziale della merce, che stabiliscono che: “le merci interamente ottenute in un unico Paese o territorio sono considerate originarie di tale Paese o territorio. E’ questo il caso in cui l’intero processo di lavorazione avviene all’interno di un singolo Paese. Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più Paesi o territori sono considerate originarie del Paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione. In tale ambito, vi sono vari criteri di individuazione della lavorazione sostanziale[16].

La possibilità di inserire il Paese di origine con il solo riferimento alle macroaree (UE ovvero NON UE) si inserisce nell’alveo dei principi comunitari sulla libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione, essendo sufficiente un rimando all’UE senza che sussista alcun obbligo specifico di indicare, nel dettaglio, lo Stato membro in cui è stata prodotta la materia prima (recte: ingrediente primario).

La circostanza ha sollevato non poche critiche da parte delle associazioni dei consumatori, atteso che, in molti casi, l’acquirente non ha diritto di conoscere nel dettaglio l’origine di alcuni ingredienti; ad esempio, per i prodotti trasformati a base di carne, sapere la diversa provenienza del suino, polacco o francese, potrebbe essere discriminante per la scelta del consumatore. 

 

La normativa nazionale sull’origine degli ingredienti in alcuni alimenti trasformati

 

Il Regolamento UE 1169/2011 prevede espressamente che gli stati membri possono adottare disposizioni nazionali sulle materie non espressamente armonizzate dalla normativa dell’Unione[17]; nel corso degli anni, l’Italia ha fatto spesso ricorso all’adozione di disposizioni nazionali che hanno introdotto l’obbligo di indicazioni obbligatorie ulteriori rispetto a quelle previste dalle norme europee, percorrendo la procedura regolamentare[18]. Ci si riferisce ai Decreti interministeriali “origine latte, grano, riso e pomodoro” e “carni suine trasformate”, (applicabili in via sperimentale, dopo alcune proroghe, sino al 31.12.2023) che impongono agli OSA, che producono e vendono sul territorio nazionale, di riportare l’origine della materia prima in etichetta, anche in mancanza di indicazioni esplicite sulla diversa origine dell’alimento.

Tuttavia, sugli scaffali si rinvengono quotidianamente prodotti che non riportano l’indicazione di origine di questi alimenti, in quanto legalmente prodotti in altri Stati membri.

Infatti, per garantire la libera circolazione delle merci, in base al principio di mutuo riconoscimento, ogni prodotto legalmente fabbricato e posto in vendita in uno Stato membro dev’essere, in linea di massima, ammesso sul mercato di ogni altro stato membro, se conforme alla normativa del Paese d’esportazione.

Nondimeno, un consumatore ben informato potrebbe desumere che l’alimento che si accinge ad acquistare non è stato realizzato in Italia nel caso in cui, esaminando l’etichettatura di pasta, latticini, passata di pomodoro ed insaccati di carne suina, non trovasse esplicitata, rispettivamente, l’origine di grano, latte, pomodoro e suino.



[1] Il Reg. UE 178/2002, in linea con quanto disposto con il TFUE (art. 4), prevede disposizioni a tutela del consumatore:

Art 5: “La legislazione alimentare persegue uno o più fra gli obiettivi generali di un livello elevato di tutela della vita e della salute umana, della tutela degli interessi dei consumatori, comprese le pratiche leali nel commercio alimentare”.

Art. 8: “La legislazione alimentare si prefigge di tutelare gli interessi dei consumatori e di costituire una base per consentire ai consumatori di compiere scelte consapevoli in relazione agli alimenti che consumano.

Essa mira a prevenire le seguenti pratiche: a) le pratiche fraudolente o ingannevoli; b) l'adulterazione degli alimenti; c) ogni altro tipo di pratica in grado di indurre in errore il consumatore”.

[2] Art 7: “Pratiche leali di informazione”.

[3] Operatore del Settore Alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti (art. 8 Reg UE 1169/2011).

[4] 2. L’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza è obbligatoria:

a) nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza.

[5] Il così detto QUID è disciplinato dall’’art. 22 del Reg UE 1169/2011: “l’indicazione della quantità di un ingrediente o di una categoria di ingredienti utilizzati nella fabbricazione o nelle preparazione di un alimento è richiesta quando tale ingrediente o categoria di ingredienti: a) figura nella denominazione dell’alimento o è generalmente associato a tale denominazione dal consumatore; b) è evidenziato nell’etichettatura mediante parole, immagini o una rappresentazione grafica; o c) è essenziale per caratterizzare un alimento e distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso a causa della sua denominazione o del suo aspetto”.

[6] Art 13 D.lgs. 231/2017: “salvo che il fatto costituisca reato, la violazione delle disposizioni relative a contenuti e modalità dell’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza di cui all’articolo 26 del Regolamento comporta l’applicazione al soggetto responsabile della sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 2.000 euro a 16.000 euro”.

[7] Nel caso in cui sullo scaffale di un supermercato venisse esposta succo di mela con evidente la bandiera italiana, il consumatore si aspetta legittimamente che la frutta sia di provenienza italiana e, se così non fosse, avrebbe il diritto di esserne messo al corrente.

[8] Il presente Regolamento stabilisce le modalità di applicazione dell'articolo 26, paragrafo 3, del Regolamento (UE) n. 1169/2011, quando il paese d'origine o il luogo di provenienza di un alimento è indicato attraverso qualunque mezzo, come diciture, illustrazioni, simboli o termini che si riferiscono a luoghi o zone geografiche, ad eccezione dei termini geografici figuranti in denominazioni usuali e generiche, quando tali termini indicano letteralmente l'origine, ma la cui interpretazione comune non è un'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza. Il presente Regolamento non si applica alle indicazioni geografiche protette a norma dei regolamenti (UE) n. 1151/2012, (UE) n. 1308/2013, (CE) n. 110/2008 o (UE) n. 251/2014, o protette in virtù di accordi internazionali, né ai marchi d'impresa, registrati, laddove questi ultimi costituiscano un'indicazione dell'origine, in attesa dell'adozione di norme specifiche riguardanti l'applicazione dell'articolo 26, paragrafo 3, a tali indicazioni.

 

[9] Non verranno analizzate, seppure riportate nel Regolamento, le deroghe per: liquori e bevande spiritose di cui al Reg. CE 110/08, vini aromatizzati, merci contemplate da accordi internazionali. Quali il CETA, JEFTA, EU-Singapore.

[10] Cfr. COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE sull’applicazione delle disposizioni dell’articolo 26, paragrafo 3, del Regolamento (UE) n. 1169/2011 (2020/C 32/01).

[11] Considerando 4. “L'articolo 26, paragrafo 3, del Regolamento (UE) n. 1169/2011 contempla i casi in cui l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è fornita su base obbligatoria conformemente all'articolo 26, paragrafo 2, lettera a), del Regolamento o su base volontaria attraverso qualsiasi indicazione quali diciture, termini, illustrazioni o simboli”.

[12] art. 2, par. 2, lett. o), Reg. UE 1169/2011.

[13] art. 3, Reg. UE 1151/2012.

[14] Cfr. COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE sull’applicazione delle disposizioni dell’articolo 26, paragrafo 3, del Regolamento (UE) n. 1169/2011 (2020/C 32/01).

[15] Qualora un ingrediente primario sia un alimento oggetto di specifiche disposizioni dell’Unione in materia di indicazione del Paese d’origine o del luogo di provenienza (si pensi, ad esempio, alle disposizioni di etichettatura d’origine obbligatoria per la carne bovina ai sensi del Reg. CE n. 1760/2000 e ss.mm.), tali disposizioni specifiche possono essere utilizzate alternativamente ad uno dei sopra riportati livelli geografici.

[16] Art. 60 Reg. UE n. 952/2013 (Codice Doganale dell’Unione).

[17] In argomento, si segnala una recente pronuncia della Corte di Giustizia UE del 1° ottobre 2020, in causa C-485/18, nota come “sentenza Lactalis”, che ha offerto spunti interpretativi sul concetto di armonizzazione al livello comunitario.

[18] Art. 38 Reg. UE 1169/2011 – Disposizioni nazionali

1. Quanto alle materie espressamente armonizzate dal presente Regolamento, gli Stati membri non possono adottare né mantenere disposizioni nazionali salvo se il diritto dell’Unione lo autorizza. Tali disposizioni nazionali non creano ostacoli alla libera circolazione delle merci, ivi compresa la discriminazione nei confronti degli alimenti provenienti da altri Stati membri. 2. Fatto salvo l’articolo 39, gli Stati membri possono adottare disposizioni nazionali concernenti materie non specificamente armonizzate dal presente Regolamento purché non vietino, ostacolino o limitino la libera circolazione delle merci conformi al presente Regolamento.

Art. 39 – Disposizioni nazionali sulle indicazioni obbligatorie complementari

1. Oltre alle indicazioni obbligatorie di cui all’articolo 9, paragrafo 1, e all’articolo 10, gli Stati membri possono adottare, secondo la procedura di cui all’articolo 45, disposizioni che richiedono ulteriori indicazioni obbligatorie per tipi o categorie specifici di alimenti per almeno uno dei seguenti motivi: a) protezione della salute pubblica; b) protezione dei consumatori; c) prevenzione delle frodi; d) protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, delle indicazioni di provenienza, delle denominazioni d’origine controllata e repressione della concorrenza sleale.

2. In base al paragrafo 1, gli Stati membri possono introdurre disposizioni concernenti l’indicazione obbligatoria del Paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti solo ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza. Al momento di notificare tali disposizioni alla Commissione, gli Stati membri forniscono elementi a prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni.