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Giustizia Militare

Abuso d’ufficio. (C.p., art. 323)

Corte di cassazione, Sez. I, sent. del 11 maggio 2011 n. 603, Pres. Giordano, Est. Di Tomassi; P.G. Intelisano, imp. ricorrenti avversi sent. della C.M.A. di Roma.

L’impiego a fini privati di personale dell’Amministrazione militare utilizzato come pilota ed equipaggi di veicoli militari, costituisce ipotesi da qualificare ai sensi dell’art. 323 c.p., come “Abuso d’ufficio”, di competenza del giudice ordinario (1).

(1) Così motiva la sentenza: “La categoria della “appropriazione”, cui esclusivamente si riferiscono sia il peculato militare sia il peculato comune, non può attagliarsi all’utilizzazione a fini privati del pubblico ufficiale delle attività lavorative dei dipendenti dell’amministrazione sottoposti a vincolo di subordinazione gerarchica.
Secondo principi condivisi, la condotta d’appropriazione si realizza quando colui che ha il possesso o detiene il bene esercita su di esso un potere di fatto incompatibile ed eccedente il suo titolo, comportandosi come se ne fosse proprietario ed escludendo il vero proprietario. Codesta assunzione unilaterale di una signoria di fatto, nella quale consiste la interversione del possesso, è integrata dunque da due aspetti: l’uno positivo, l’altro negativo. Il primo, definito “impropriazione”, si concreta nella creazione di un rapporto di fatto con la cosa e comporta un trasferimento di elementi patrimoniali ed una locupletazione dell’agente a detrimento del soggetto passivo; il secondo consiste nella “espropriazione”, vale a dire nell’esclusione, del vero proprietario dal rapporto con la cosa (Sez. 6, sent. n. 10543 del 7 giugno 2000, Baldassarre).
Sicché, come questa Corte ha più volte riconosciuto, “non è […] ipotizzabile l’appropriazione di energia umana, essendo incontestabile che questa e, quindi, l’uomo che la produce non è una ‘cosa mobile’ e non se ne può perciò immaginare il possesso o la disponibilità da parte dell’agente” (cfr. tra molte e da ultimo Sez. 6, sent. n. 35150 del 9 giugno 2010, Fantino, Rv. 249368, che puntualmente evidenzia come la bontà di tale tesi - che non ignora precedenti soluzioni in senso contrario - è confermata, nel sistema positivo, dall’apposita previsione dell’art. 78, legge 1 aprile 1981, n. 121, nonché dai due progetti - n. 1250/85 e n. 2709/85 - presentati nel corso dei lavori preparatori alla legge di riforma del 1990, volti alla previsione di autonome incriminazioni delle condotte di sfruttamento dell’attività lavorativa prestata da un subalterno).
Inoltre, quale che sia il potere gerarchico esercitato sul lavoratore per costringerlo ad asservirsi al volere del superiore anziché ad agire nell’interesse dell’amministrazione, deve quantomeno decisamente escludersi che possa in relazione ad esso determinarsi quell’effetto “espropriativo” che parimenti è richiesto per la realizzazione dell’appropriazione: salvo ovviamente che si produca una riduzione in schiavitù; ma ricorrerebbe in codesto caso altro delitto, quello dell’art. 600 c.p.
Mediante l’utilizzo a proprio vantaggio delle prestazioni lavorative di dipendenti dell’amministrazione a lui subordinati, il pubblico ufficiale realizza invece senz’altro una “destinazione indebita di risorse pubbliche al di fuori dei fini istituzionali dell’ente”. Come ricordava già C. cost. n. 448 del 1991, questa è una ipotesi di “distrazione” che, pur dopo l’abolizione della figura del peculato per distrazione, non è in radice decriminalizzata, perché laddove comporta “un’illecitabutilizzazione dei poteri di ufficio (e quindi un ‘abuso’)” e procura “all’agente o a terzi un vantaggio (o un danno) qualificabile come ‘ingiusto’”, è idonea ad integrare il delitto configurato dall’art. 323 c.p.
Anche per le condotte così qualificate, deve per conseguenza riconoscersi che la cognizione spettava al giudice ordinario”.

Immediatezza delle deliberazioni - Utilizzabilità delle deposizioni di ufficiali ed agenti di p.g. - Diritto alla prova. (C.p.p., artt. 525 e 195, 4° comma, e 190)

Corte di cassazione, Sez. I, sent. del 20 gennaio 2011 n. 76, Pres. Chieffi, Est. Capozzi; P.G. Gentile, concl. conf., imp. e P.G. presso la Corte Militare di Appello ricorrenti avversi sent. della C.M.A. di Roma (rigetta entrambi).

Il lamentare, in un ricorso per cassazione, che la sentenza impugnata abbia violato la norma di cui all’art. 525 c.p.p. in materia di immediatezza delle deliberazioni; nonché la norma di cui all’art. 195, 4° comma, c.p.p. in materia di utilizzabilità delle deposizioni rese da ufficiali ed agenti di p.g.; e la norma di cui all’art. 190 c.p.p., concernente il diritto alla prova, si risolvono in censure del tutto generiche e prive del requisito dell’autosufficienza, se il ricorrente non provveda a suffragare la validità delle censure addotte, mediante la completa allegazione ovvero la trascrizione dell’integrale contenuto degli atti dai quali potesse evincersi la sussistenza in concreto delle violazioni lamentate, dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il “fumus” del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (1).

(1) - Cfr. anche Cass., Sez. I, 18 marzo 2008, n. 16706; Cass., Sez. I, 22 gennaio 2009, n. 6112; Cass., Sez. I, 29 novembre 2007, n. 47499; Cass., Sez. feriale, Sent. 13 settembre 2007, n. 37368; Cass., Sez. I, (Ord.), 18 maggio 2006, n. 20344.

Peculato. (C.p., art. 314, secondo comma)

Corte di cassazione, Sez. I, sent. del 11 maggio 2011 n. 603, Pres. Giordano, Est. Di Tomassi; P.G. Intelisano, imp. ricorrenti avversi sent. della C.M.A. di Roma.

L’impiego ad uso personale di velivoli militari e di automezzi militari, sia pure per lunghe tratte, ma restituiti subito dopo l’uso all’amministrazione militare per il reimpiego ai fini istituzionali cui erano destinati, può essere ritenuto come un’appropriazione temporalmente delimitata e perciò può essere considerata destinata ad un uso “momentaneo”, secondo il significato assegnato dalla giurisprudenza al termine adoperato dal legislatore nel secondo comma dell’art. 314 c.p.
L’aggettivo “momentaneo” che distingue l’uso della cosa oggetto dell’appropriazione nella fattispecie del peculato d’uso non sta a significare istantaneo, bensì temporaneo.
Perché possa configurarsi la minore ipotesi del peculato d’uso occorre, ed è sufficiente, che, appropriandosi il bene - comportandosi cioè come se ne fosse proprietario e contemporaneamente escludendo così la signoria del vero proprietario -, l’agente intendesse farne, e ne abbia fatto, uso uti dominus per un tempo limitato, subito dopo restituendola (1).
Insomma, ove la condotta appropriativa, idonea a compromettere, anche se in misura più contenuta, la funzionalità della pubblica amministrazione, non sia tale da comportare né la definitiva apprensione (impropriazione) del bene, né la definitiva sottrazione dello stesso alla sua destinazione istituzionale (espropriazione), il fatto è da qualificare ai sensi del capoverso dell’art. 314 c.p.
Per conseguenza, le condotte appropriative contestate, per la parte in cui sono riferite all’uso - uti dominus ma temporalmente limitato, al più, a otto giorni - dei mezzi di trasporto, aerei e terrestri, poi resi, non possono che essere qualificate ai sensi dell’art. 314, cpv., c.p., e, integrando un reato comune, sono di competenza del giudice ordinario e non di quello militare.

(1) La stessa sentenza richiama come precedenti, Corte di cassazione, Sez. 6, sent. 10 marzo 1997, Federighi, Rv. 207594; Sez. 6, sent. n. 9216 del 1°  febbraio 2005, Triolo; Sez. 6, sent. 25541 del 21 maggio 2009, Cenname, Rv. 244287.

a cura del Dott. Giuseppe Scandurra Magistrato Militare