La strategia di sicurezza e difesa dell’Amministrazione americana

Il mantenimento della leadership globale

Giuseppe Battaglia


Giuseppe Battaglia
Tenente Colonnello t.ISSMI,
Addetto Aggiunto per la Difesa e la Cooperazione per la Difesa
Ambasciata d’Italia negli Stati Uniti - Washington DC - USA.





1. Premessa

Il 5 gennaio 2012 il Presidente Obama e il Segretario alla Difesa Panetta hanno presentato la nuova revisione della strategia della Difesa americana, "Sustaining US Global leadership. Priorities for 21 Century Defense".
Il documento assume un’importanza particolare non solo perchè, come ha sottolineato lo stesso Obama, è la prima volta che un Presidente / Commander in Chief è intervenuto per presentare la strategia del Pentagono, ma anche in quanto l’attuale situazione di crisi economico / finanziaria si presenta in concomitanza con il termine di un decennio caratterizzato da due importanti campagne in Medio Oriente: il momento è dunque propizio per operare una svolta storica, sia per definire gli obiettivi strategici sia nell’individuare come perseguirli.
Nel corso del 2011, la discussione politica si è concentrata sulla ineludibile necessità di procedere alla riduzione di 487 miliardi di dollari in dieci anni del budget di base della Difesa, per evitare la c.d. procedura di sequestration, taglio delle spese che potrebbe essere operato automaticamente dal Congresso nel 2013 e ritenuto potenzialmente disastroso dal Segretario alla Difesa.
Proprio la necessità di evitare l’applicazione di tale procedura ha spinto l’Amministrazione a individuare una strategia nuova, orientata allo scenario del XXI secolo, per poi procedere ai necessari tagli sulla base di queste linee guida.
Tuttavia, per comprendere appieno il senso delle scelte odierne, tale strategia deve essere inquadrata nell’ambito della complessiva policy di questa Amministrazione dal 2008 in materia di sicurezza e difesa, ad opera del già Segretario R. Gates prima e dell’attuale Segretario alla Difesa L. Panetta. Una breve analisi del documento presentato in gennaio e delle prime successive elaborazioni dottrinali, nonchè del dibattito che ne è scaturito, possono poi illuminare sul percorso che la Difesa americana potrà compiere nel prossimo futuro, con le intuibili conseguenze anche per gli Alleati europei, dato che uno dei pilastri di tale nuova impostazione è proprio la relazione e la complementarietà con le capacità dei partners.


2. 2008/2009: l’insediamento della nuova Amministrazione americana

Uno sguardo all’evoluzione delle campagne maggiori in Iraq e Afghanistan, condotte nel decennio nell’ambito della guerra al terrorismo, è essenziale per capire la trasformazione della dottrina e dello strumento militare avviata dall’Amministrazione Obama al fine di proteggere l’obiettivo primario statunitense a lungo termine: il mantenimento della leadership americana nel mondo.
All’indomani della vittoria di Obama alle presidenziali del 2008, la Difesa è concentrata sulle operazioni in Iraq. L’allora segretario alla Difesa Gates, con un deciso cambio di linea rispetto al suo predecessore Rumsfeld - concentrato decisamente sulle operazioni, su nuove dottrine e su una posture incentrata sul mantenimento di basi all’estero - inizia a imprimere una svolta alla difficile situazione della sicurezza sul terreno, supportato dalla leadership del Gen. Petraeus in Iraq.
Già nel 2008 l’allora Segretario alla Difesa Gates aveva rese chiare le sue priorità, tra le quali il Renewal Replacement Warhead Program in materia di policy nucleare.
Il programma, non del tutto condiviso da Obama che ha sempre insistito per una riduzione complessiva degli arsenali a livello globale, prendeva in considerazione la necessità di riammodernamento delle testate.
Al tempo stesso, Gates si rese conto della necessità di maggiore sviluppo di capacità soft - power, aumentando i fondi per le iniziative di cooperazione non esclusivamente militare, in coordinamento con il Dipartimento di Stato. Proprio questo impegno della Difesa nell’Institution building diviene il perno di una strategia che poi diverrà nota anche in ambito NATO come comprehensive approach, particolarmente utile nell’ambito delle operazioni di counterinsurgency.
Il documento più importante del 2008 è comunque la National Defense Strategy dell’agosto 2008, emessa allo scadere del mandato del Presidente Bush, nella quale Gates afferma che la guerra ai movimenti estremisti rimane l’obiettivo centrale degli Stati Uniti per il prevedibile futuro.
Tuttavia, il focus di Gates rimane a lungo termine; egli resiste ai tentativi di settori militari di supportare ancora maggiormente le forze in teatro, che volevano procedere all’acquisizione del Mine Resistant Protected Vehicle (MRAP) a danno di programmi a più lungo orizzonte.
Già nel settembre, in un discorso alla National Defense University(1), egli si mostra cosciente del fatto che la Difesa americana necessita di un cambiamento in termini di priorità, cultura istituzionale e metodo di procurement.
Gates ritiene che sia necessario un cambio di mentalità per conseguire un equilibrio tra capacità tradizionali e non tradizionali per far fronte ai possibili conflitti attuali e futuri, tenendo conto dei limiti della forza militare e della necessità di considerare le dimensioni psicologica, umana, politica e culturale della guerra. Notando l’esasperato e continuo aumento dei costi, osserva che le "risorse non sono infinite": la modernizzazione degli armamenti convenzionali è necessaria, è certo indispensabile contare su tecnologia d’avanguardia, ma è importante anche disporre di equipaggiamento specializzato, a bassa tecnologia e costi limitati ma utile per le operazioni di counterinsurgency, alla luce delle contingenze del momento e delle difficoltà incontrate nell’immissione in teatro di nuovi mezzi [il citato Mine Resistant Ambush Protected Vehicle - (MRAP); High Mobility Multipurpose Wheeled Vehicle - (HMMWV)] e più avanzate capacità di Intelligence, Surveillance and Reconnaissance (ISR) in Iraq. È sempre più essenziale, poi, poter contare sulla collaborazione interistituzionale, per superare ostacoli procedurali e conseguire in tempo utile le capacità necessarie.
Queste idee, legate essenzialmente alle innovazioni dottrinali sulla counterinsurgency di cui al celebre Counterinsurgency Field Manual, firmato dal Gen. Petraeus per l’US Army e dal Gen. Amos del Corpo dei Marines nel 2006, avviarono una prima riflessione sui programmi maggiori a lungo termine proposti dalle Forze Armate, determinando un ripensamento sull’allocazione delle risorse. Gates, già durante il secondo mandato di Bush, aveva costruito sull’idea della trasformazione avviata dal suo predecessore Rumsfeld, rinnegandone tuttavia gli eccessi. Tuttavia, sarà compito dell’Amministrazione Obama la revisione delle priorità a lungo termine della difesa, con particolare riferimento alla verifica del focus del Pentagono e delle sue acquisizioni: occorre verificare se la counterinsurgency e le altre missioni connesse alla long war on terror sono da considerare ancora una definita priorità nel prossimo futuro.


3. 2009: la definizione del quadro strategico

Subito dopo la sua elezione, Obama ha confermato Gates nel suo incarico di Segretario alla Difesa. Seguendo i suggerimenti dello stesso Gates e del Gen. Petraeus, ha poi accettato di rallentare il piano di ritiro entro 16 mesi dall’Iraq promesso in campagna elettorale, ipotizzando anche il mantenimento in quel Teatro di cinque Advisory and Assistance Brigades(2) anche dopo aver completato il ritiro delle truppe.
Nel frattempo, specifica attenzione è stata richiesta dalla situazione in Afghanistan, e il Presidente ha aderito alla linea del Pentagono volta ad aumentare le forze per attuare un più tradizionale approccio di counterinsurgency, di cui al citato Manuale del Gen. Petraeus, basato su rinforzi di truppe per migliorare la situazione della sicurezza sul territorio, a sostegno di un approccio volto al recupero del rapporto con la popolazione (comprehensive approach).
Sul piano del procurement, Gates ha continuato la razionalizzazione sui programmi maggiori, con riferimento alla cancellazione del Future Combat System dell’Esercito, di sistemi missilistici, al caccia F22, all’elicottero presidenziale, al velivolo da trasporto C17, con pochi incrementi ad altri programmi principali, quali il caccia di quinta generazione F35-JSF. Gates ipotizzava anche il rallentamento dei programmi navali, ma questa prospettiva sarà poi abbandonata nel futuro.
Nel novembre 2009, la National Defense Strategy del 2008 (con la connessa centralità della guerra al terrorismo) è ancora l’unico documento di riferimento, in attesa della Quadrennial Defense Review (QDR) prevista per il 2010. Comunque, il contesto della strategia della nuova Amministrazione è quindi costruito in gran parte dallo stesso Gates, sin dal 2006, e quindi si riesce a prevedere una certa continuità nell’azione dell’Amministrazione.
In attesa di un ripensamento generale che avverrà con la QDR, nel 2009 è comunque chiaro che le operazioni in Iraq e Afghanistan assumono nel breve periodo ancora grande priorità rispetto a possibili conflitti egemonici, che però si intravedono per il futuro. La visione della difesa dell’Amministrazione Obama inizia a prendere forma, e già nell’agosto 2009 emerge la percezione che i futuri trend dell’evoluzione della minaccia per gli Stati Uniti sono più complessi, e richiedono che gli USA mantengano le loro forze pronte per le minacce "ibride" o asimmetriche ad alto profilo, o contro nemici (stati ostili e attori non statali) che possono impiegare un misto di tecniche evolute, irregolari e asimmetriche, magari in connessione con capacità convenzionali.
Inoltre, ci sono anche tendenze verso l’acquisizione di capacità pensate come risposta a minacce probabili, piuttosto che una trasformazione intesa come semplice salto in avanti futuristico. Nell’incertezza dello scenario, tuttavia, si ritiene ancora necessario un complesso di capacità e forze per far fronte a una vasta gamma di diverse possibilità.
La QDR quindi si preannuncia come una equilibrata e accurata rassegna di rischi e capacità, senza direttamente delineare ancora una specifica minaccia esistenziale per gli Stati Uniti. Gates infatti ha dichiarato che l’Amministrazione USA deve considerare la giusta combinazione di armamenti e piattaforme per affrontare prudentemente l’intero insieme di minacce che si possono presentare nel futuro. Lo scopo del procurement quindi sarà di sviluppare un portafoglio di capacità utili per fronteggiare flessibilmente l’interno spettro di contingenze. La QDR darà una visione d’insieme per definire le priorità: Gates, coerentemente, rimanda le decisioni sulle principali acquisizioni aeronautiche e marittime.
Ma dove l’esigenza è già chiara, egli ha richiamato le sue precedenti osservazioni sulla necessità di insistere sul procurement interforze o su soluzioni multi-service.
Altri sviluppi dottrinali del 2009 concernono la Counterinsurgency Guide, pensata per fornire un approccio governativo coordinato in un’area operativa che sino a quel momento era stata oggetto di vari studi accademici o di iniziative di forza armata, tra cui il citato Cointerinsurgency Field Manual.
Nel gennaio, inoltre, è stato pubblicato il Capstone Concept for Joint Operations (CCJO), che affronta le potenziali minacce alla sicurezza americana attraverso il riferimento all’ambiente operativo Joint del 2008 (definito incerto, complesso, in rapido cambiamento e caratterizzato da conflitti persistenti) e la possibile risposta della Difesa a livello interforze.
Il tema è stato anche oggetto del Capstone Concept dell’US Army "Operational Adaptability - Operating under conditions of complexity and uncertainty in an era of persistent conflict", volto a supportare la costruzione dell’Esercito del futuro, che si troverà a fronteggiare una combinazione di minacce ibride, nemici adattabili, e operanti in ambienti operativi complessi. Questo documento, che contiene molti interessanti spunti che troveremo poi nella futura dottrina anche interforze, conserva un’attenzione particolare per le manovre e le capacità net-centriche, con un focus anche sull’assistenza alle forze di sicurezza estere. Per far fronte alla endemica situazione di incertezza, il documento ritiene importante incrementare la capacità di comprensione in profondità della situazione e avviare una decentralizzazione del comando e controllo attraverso il concetto di mission command, nonché con l’abilità di sviluppare la situazione "attraverso l’azione".
Nel 2009 il Presidente lancia anche la sua visione della difesa missilistica in Europa, con lo sviluppo del Phased, Adaptive Approach (PAA(3)), articolato su un approccio graduale, la cui quarta e ultima fase è dedicata alla difesa territoriale degli Stai Uniti. L’approccio è basato su una valutazione della minaccia missilistica iraniana e su un impegno a impiegare una tecnologia che si è dimostrata, secondo un rapporto costo-efficacia, più versatile e quindi più adattabile ad un ambiente legato alla sicurezza in continua evoluzione.
A partire dal 2011, l’architettura di difesa missilistica sarà, quindi, caratterizzata dallo schieramento di missili intercettori sempre più avanzati, e di una serie di sensori in Europa per la difesa contro la minaccia dei missili balistici da parte dell’Iran. Il piano prevede, in sostanza, la difesa più completa e attenta, rispetto al passato, delle forze USA dispiegate e degli alleati in Europa, attraverso sistemi più flessibili e durevoli.
La possibilità che gli Stati Uniti siano in grado, in tempi relativamente brevi, di rendere operativo uno "scudo" molto più ampio di quello immaginato, attraverso l’impiego di lanciatori navali, ha indotto la Russia a rappresentare il suo fastidio verso un sistema che preveda la difesa strategica degli Stati Uniti con basi in Europa. Nel marzo 2010 ha avuto luogo tra Russia e Stati Uniti la conclusione del trattato Strategic Arms Reduction Treaty (START) che rinnova il negoziato sulla riduzione delle armi nucleari strategiche avviato nel 1991 e poi proseguito nel 2002 con l’Accordo di Mosca, con un quantitativo di armi nucleari dei due paesi, fissato a 1550 testate strategiche, con un limite separato per i vettori. L’impegno di Obama nella riduzione dell’armamento nucleare è noto sin dal suo insediamento e ha anche contribuito alla sua premiazione con il Nobel per la Pace nel 2009.
Il voto del Congresso è stato bi-partisan, ma alcuni senatori repubblicani hanno criticato l’impostazione generale che non affronterebbe sufficientemente il problema della modernizzazione di tali arsenali.
Anche il Vertice NATO di Lisbona ha segnato uno storico successo sul tema della difesa missilistica in Europa. Preoccupati dalla proliferazione missilistica, i leader della NATO hanno deciso di proteggere i membri europei dell’Alleanza proprio sulla base del Phased, Adaptive Approach. Le resistenze della Russia sono state superate attraverso l’invito a partecipare allo stesso programma, e con la concessione che il sistema non sarebbe servito a proteggere gli Stati Uniti ma solo i Paesi europei. Questa concessione ha rappresentato tuttavia un elevato prezzo da pagare a Mosca per l’Amministrazione americana.
Oltre a essere poco coerente con i principi fondatori di mutua difesa transatlantica propri della NATO, escludendo dalla difesa missilistica NATO proprio il territorio nordamericano, il sistema che la NATO si appresta a predisporre non sarà quindi dotato dei potenti intercettori strategici Aegis di terza generazione, di cui alla fase 4 del PAA, il cui possibile dispiegamento in Est Europa aveva allarmato i russi. Gli intercettori che invece figurano nella fase 3 dello stessa PAA sono intesi dai russi come armi nucleari tattiche e quindi tollerabili in Europa.
In tal modo, quindi, mentre gli Stati Uniti contribuiscono alla difesa missilistica dell’Europa tramite la NATO, dovrebbero realizzare in proprio la difesa missilistica del territorio nordamericano, nei confronti di altre minacce che possono venire da ovest, con particolare riferimento alla Corea del Nord. Ma le ristrettezze di bilancio pongono già seri dubbi allo sviluppo della fase 4 del PAA.
Nel 2009 viene pubblicato il primo di una lunga serie di documenti strategici di ampio respiro. Il Director of National intelligence (DNI) ha pubblicato la National Intelligence Strategy, che esprime la visione per la intelligence community americana nel mondo post guerra fredda e post 11 settembre, basata su una comprensione incisiva ed efficace delle minacce e delle opportunità globali, associata a una agilità intrinseca. Tale approccio vede la comunità intelligence sempre più integrata, agile nel senso di adattabile, innovativa, con personale orientato alla missione che agisce nel rispetto dei valori americani, tra cui i diritti umani e la legalità.
Il contesto strategico comprende nazioni (Iran, Corea del Nord, Cina, Russia) e attori non statali (estremisti, insorgenti, gruppi criminali organizzati) che presentano sfide agli interessi americani a livello globale. Non sono sottovalutate anche le opportunità di cooperazione con tali nazioni. Tuttavia, il contesto va visto anche sotto la luce delle tendenze attuali, tra cui la crisi economica, i cambiamenti climatici e la connessa competizione per l’accesso alle risorse energetiche, lo sviluppo tecnologico e la potenzialità di pandemie. In tale quadro, l’intelligence community ha quattro obiettivi strategici: due relativi alla missione (garantire lo sviluppo di oculate politiche nazionali di sicurezza e supportare l’azione) e altri due relativi a ciò che l’insieme (enterprise) dell’intelligence community può fare per migliorarsi (capacità costantemente sviluppate, bilanciate e integrate). I primi due obiettivi strategici sono perseguiti attraverso missioni specifiche: contrasto all’estremismo, alla proliferazione, produzione di intelligence strategica, integrazione delle attività di controspionaggio a tutti i livelli, supporto alle operazioni e miglioramento della cybersecurity. L’enterprise intelligence dovrà svilupparsi, invece, attraverso un miglioramento dell’integrazione, della partnership e della capacità di condivisione delle informazioni e dei processi di acquisizione.


4. 2010: la strategia di sicurezza e difesa dell’Amministrazione Obama

Finalmente, nel 2010 l’Amministrazione Obama ha la possibilità di imporre il proprio marchio sulla strategia di sicurezza e di difesa nazionale, portando a compimento queste tendenze. Si completa la pubblicazione di una serie di documenti strategici, che riflettono una più misurata visione concettuale dell’uso della forza rispetto a quello dell’era Bush. Pur senza rinunziare esplicitamente al c.d. eccezionalismo americano (diritto ad agire unilateralmente), l’intervento militare, a differenza della National Security Strategy del 2006, viene infatti visto come l’ultima opzione disponibile, nel quadro di auspicabili alleanze o coalizioni. Tale impostazione porta taluni osservatori a definire questi documenti un pò generici e poco assertivi, ma forse era la mancanza di chiarezza del momento a consigliare prudenza e il mantenimento di tutte le opzioni aperte. In generale, le nuove strategie vengono ben recepite.
La conferma di Gates alla guida del Pentagono - prima volta nella storia che un Segretario alla Difesa serve in due diverse amministrazioni - dimostra il rispetto di cui godeva da parte del Presidente. Per quanto riguarda i teatri, nel suo mandato ha curato il ritiro delle forze in Iraq (con contestuale cambio della missione principale da combat ad advise, per consentire la crescita di capacità delle forze irachene in modo da garantire il completo ritiro americano per il 2011) e l’aumento delle forze in Afghanistan.
Quest’ultimo teatro rimane la principale priorità per Obama, il quale subito dopo la sua elezione aveva annunciato una strategia integrata civile-militare per l’Afghanistan e il Pakistan.
Nel 2009, il Gen. Mc Chrystal, Comandante di ISAF, aveva presentato tre opzioni diverse, ciascuna delle quali proponeva un incremento delle truppe, se pur in misura diversa (10.000 uomini per addestrare le forze locali; 40.000 uomini per eseguire operazioni di contro-insorgenza incentrate sulla popolazione e 85.000 per eseguire robuste operazioni di counterinsurgency). Mc Chrystal consigliava la seconda, mentre l’unica alternativa veniva suggerita dal Vicepresidente Biden, il quale raccomandava una sorta di counterterrorism - plus, basato essenzialmente sulle forze speciali e sugli attacchi mirati alla leadership di al Qaeda.
Obama ha determinato una fusione tra questi due approcci, decidendo il celebre surge di 30.000 uomini, volto a riacquistare l’iniziativa e ad avviare il paese verso la transizione. Il Presidente poteva così dichiarare che in 18 mesi le truppe avrebbero iniziato a tornare a casa. Lo scopo della missione comincia ed essere circoscritto alla distruzione di Al Qaeda e non più alla vera counterinsurgency.
Il Gen. Petraeus, succeduto a Mc Chrystal, ha seguito l’impostazione precedente, sviluppando una più coerente strategia e impostando azioni coordinate civili / militari a tutti i livelli, d’intesa con il governo afghano a livello centrale e locale, suggellate poi dal Summit NATO di Lisbona, che ha supportato l’obiettivo del Presidente afghano Karzai di completare la transizione nel 2014, con contestuale passaggio delle forze internazionali a un ruolo di monitoraggio e supporto dal 2015. Obama, nell’Afghanistan - Pakistan Security Review di dicembre(4) è chiaro sul punto: l’obiettivo non è sconfiggere il nemico in tutto l’Afghanistan nè di realizzare compiutamente il nation building, che sono in ultima analisi responsabilità degli afghani. Invece, il focus è posto sulla sconfitta definitiva di Al Qaeda in modo che non possa più recare danni all’America in futuro. Tuttavia, non è chiaro come l’Afghanistan potrà assumere, al termine del 2014, la responsabilità della sicurezza senza una forte azione di nation building, la quale a sua volta richiede un forte impegno internazionale, in termini di sicurezza e finanziari. La Quadrennial Defense Review (QDR), finalmente pubblicata nel febbraio 2010, è stata definita dallo stesso Segretario Gates una vera e propria "wartime QDR", ponendo i conflitti in atto in cima alle priorità di programmi, finanziamento e policy.
Lo scopo principale del documento è di ricostituire l’equilibrio tra la capacità di prevalere nelle guerre in atto e costruire le potenzialità necessarie per il futuro. Inoltre, si pone l’obiettivo di riformare i processi e le la struttura della difesa per garantire un più snello ed efficace processo di procurement.
La QDR identifica quattro priorità per l’apparato di difesa e sicurezza: prevalenza nei conflitti attuali, prevenzione e deterrenza dei conflitti, preparazione alla sconfitta dell’avversario e successo in un’ampia serie di contingenze, preservazione e miglioramento delle forze. Viene enfatizzata la necessità di disporre di forze flessibili e gli investimenti nelle capacità chiave. Inoltre, si cerca di organizzare un percorso di rotazione sostenibile per le forze in teatro. Particolare importanza poi riveste anche la integrazione della Difesa con le altre Agenzie governative, e la collaborazione con alleati e partner, avviando un approccio mirato e cooperativo verso la definizione della defense global posture.
Le operazioni in corso in Iraq e Afghanistan rimangono una priorità, soprattutto attraverso il concetto che gli sforzi attuati per conseguire la sconfitta di Al Qaeda e dei suoi alleati nel mondo determineranno la struttura e le dimensioni delle forze USA nei prossimi anni.
Lo scenario della sicurezza internazionale, tuttavia, viene percepito come più ampio, e comprende l’ascesa di nuove potenze e di attori non statali, unita anche alla maggiore facilità di accesso a tecnologie di armi di distruzione di massa. Inoltre, lo scenario presenta anche rischi endemici derivanti dalla scarsità di risorse, dai cambiamenti climatici, dalle malattie e dalla demografia, tutti fattori che portano instabilità specie nei confronti dei Paesi più "fragili".
Più vaga è invece l’indicazione sul futuro oltre queste contingenze, pur includendo i temi che ritroveremo negli anni successivi: un rinnovato supporto alle autorità civili per la difesa degli USA, il nuovo air/sea battle concept, le capacità di long-range strike, lo spazio e il cyberspazio, e la contro interdizione d’area, i rischi di proliferazione.
Si inizia a prevedere un sempre maggiore numero di conflitti "ibridi", o multidimensionali, e la minaccia ai global commons, quali l’alto mare, l’aerospazio, il dominio cyber, aree oltre la giurisdizione nazionale che costituiscono il tessuto connettivo del sistema internazionale e sui quali pertanto, gli Stati Uniti rivendicano la completa libertà d’azione.
Oltre a ribadire l’impegno in Iraq e Afghanistan, la QDR si limita ad annunciare l’avvio di attività "fondative" volte a prevenire e dissuadere attacchi agli USA o l’emergere di nuove minacce terroristiche transnazionali. La difesa USA, nel breve termine, dovrà quindi rimanere preparata a sconfiggere un aggressore a livello regionale, sostenendo nel contempo le agenzie civili.
A medio/lungo termine, si possono presentare tre scenari:
1. l’esecuzione di operazioni di stabilizzazione, la sconfitta di un aggressore molto capace e il supporto alle autorità civili;
2. la sconfitta di due aggressori e una aumentata posture negli USA continentali e nelle aree geografiche limitrofe;
3. operazioni di stabilizzazione e deterrenza a lungo termine, più azioni di counterinsurgency e supporto alle autorità civili.
Per conseguire tali obiettivi, viene prospettata una ristrutturazione delle forze volta a ridare priorità alla difesa del territorio e al supporto all’homeland security, nonché al successo nella counterinsurgency e al contro-terrorismo. Viene poi citata subito, quale priorità, la costruzione delle capacità dei paesi partner. Gli USA si avvarranno sempre più di alleati e partners e svilupperanno la cooperazione multiagenzia e interistituzionale più ampiamente che nel passato.
Infine, vengono annunciate riforme chiave nel supporto alle forze per la sostenibilità (anche con riferimento al risparmio energetico), nell’incremento della cooperazione internazionale, ricercando una posture attagliata e cooperativa a livello globale, e riformando gli approvvigionamenti, sia nell’approccio all’assistenza nei Teatri sia attraverso il procurement.
Gates sottolinea con forza il collegamento tra la strategia e il budget, nel tentativo di avviare un processo top-down che conferisca maggiore razionalità all’intero sistema. Non va dimenticato, in questo contesto, che il periodo vede anche l’inizio di riduzioni di spesa tra gli alleati NATO.
In sintesi, la QDR afferma che occorre una nuova identificazione della struttura delle forze, alla luce delle operazioni in corso ma anche della futura composizione delle forze, rivisitata a seconda delle esigenze.
Nell’aprile 2010, il Dipartimento della Difesa ha anche pubblicato la Nuclear Posture Review (NPR), che esprime l’obiettivo a lungo termine dell’Amministrazione di un mondo libero da armi nucleari, tuttavia realisticamente ammettendo che ciò può non essere possibile nel prevedibile futuro. Tuttavia, il documento avvia alcuni paesi dei questa amministrazione, compreso il numero di armi nucleari e il loro ruolo nella strategia di difesa. Contiene anche la pledge che, finché le armi nucleari esisteranno, gli USA manterranno un arsenale safe and secure, sia ai fini di deterrenza che di assicurazione degli alleati.
Nel febbraio 2010 è stata anche pubblicata la Ballistic Missile Defense Review (BMDR), che riconosce la crescente minaccia missilistica ai danni degli USA e delle forze sul terreno, ma cerca di presentare un approccio leggermente diverso da quello dell’Amministrazione Bush, evidenziando la necessità che le nuove capacità siano rigorosamente testate e giudicate sostenibili sul piano finanziario, prima di essere dispiegate sul terreno.
Nel giugno dello stesso anno, la National Space Policy (NSP) ha anche sottolineato l’importanza della cooperazione internazionale nello spazio, esprimendo l’impegno di Washington all’impiego dello spazio per fini di difesa attraverso investimenti di space awareness capabilities e tecnologie di lancio, e per lo sviluppo di capacità piani e opzioni per la deterrenza e la difesa e anche il contrasto di sforzi volti a interferire od attaccare i sistemi spaziali USA o alleati.
La sezione militare della National Security Strategy (NSS) del 2010 riprende la Quadrennial Defense Review, in termini generali. Nella sezione dedicata alla più ampia nozione di sicurezza si sottolinea la necessità di aumentare la resilienza in patria, di sconfiggere al Qaeda in Afghanistan/Pakistan e nel mondo, e di combattere la proliferazione, di promuovere pace e prosperità nel Medio Oriente, di investire nelle capacità dei partner e di mettere sicurezza nel cyberspazio.
La National Security Strategy afferma inoltre che gi USA si riservano il diritto di usare la forza per difendere gli interessi degli alleati e i propri, ma solo quale ultima opzione, e comunque nell’ambito di un ampio supporto internazionale, lavorando a questo fine con la NATO e le UN.
Il focus della NSS parte del mondo quale è attualmente, caratterizzato dalla globalizzazione e minacciato da suo "lato oscuro". Gli Stati Uniti rimangono in possesso di tutti quegli attributi che anno determinato il successo della loro leadership mondiale, tra cui l’assoluta supremazia militare. Tale leadership continuerà per la sicurezza globale, ma si riconosce che nessun paese può fare da solo. Come avvenuto dopo la II Guerra Mondiale, l’America deve prepararsi per il futuro, forgiando approcci cooperativi con gli alleati.
La NSS è orientata quindi a rinnovare la leadership USA per affrontare meglio gli interessi strategici americani nel XI secolo, rinforzandosi in patria e promuovendo un ordine internazionale che possa far fronte alle sfide del momento. Viene riconosciuto il nesso fondamentale tra sicurezza, competitività, resilienza e valori morali. Alla difesa dei diritti fondamentali dell’uomo, a maggiori opportunità e libertà corrispondono responsabilità precise. L’obiettivo a lungo termine rimane la protezione della leadership americana nel mondo, che necessita di azioni immediate. In patria occorre perseguire il recupero dell’economia e limitare la dipendenza energetica. Sul piano internazionale, è necessario favorire la modernizzazione delle istituzioni multitalerali e il rafforzamento degli alleati.
L’implementazione di tale agenda passa attraverso l’equilibrio e l’integrazione di tutti gli elementi della potenza nazionale, adattando la struttura della sicurezza nazionale al XXI secolo. Deve essere mantenuta la supremazia militare convenzionale, ma devono essere anche fronteggiate le minacce asimmetriche. Le capacità di diplomazia e sviluppo devono essere modernizzate, e rafforzata la capacità d’intervento civile. L’intelligence e la homeland security devono essere integrate con la policy di sicurezza nazionale e d quella degli alleati.
Nella Quadrennial Diplomacy and Develoment Review (QDDR) del 2010, il Segretario di Stato Hillary Clinton presenta la propria visione del futuro delle missioni civili nel mondo, che devono ricercare una sempre maggiore integrazione tra le loro diverse componenti per agire efficacemente nei paesi di destinazione. Il potere civile deriva proprio dall’integrazione di diplomazia e sviluppo; sono le componenti civili del governo che agiscono unite come le FF.AA. nel mondo militare.
La prima QDDR parte dagli sforzi dei precedenti Segretari di Stato (Transformational Diplomacy della C. Rice), puntando proprio su un’agenda di riforma del Dipartimento di Stato volta a fornire chiare priorità per lavorare con maggiore efficacia ed efficienza, identificando parallele responsabilità.
La Sec. Clinton, all’inizio del suo mandato, aveva già evidenziato la necessità di elevare il potere civile allo stesso rango di quello militare nell’importanza per la politica estera degli Stati uniti, lanciando l’idea di uno smart power quale approccio per risolvere i problemi globali, concetto poi ripreso dalla National Security Strategy e dalla NATO.
Naturalmente, a tale scopo occorre ricordare che tale potere civile è proprio di tutte le agenzie governative, che debbono quindi lavorare insieme, ed è a loro che dunque si dirige la QDDR, non solo al DoS, per guidarle al cambiamento complessivo e alla sinergia.
La QDDR si articola in quattro settori. La Diplomazia per il XXI secolo, nella quale il sistema diplomatico è chiamato a riformarsi ed evolversi per agevolare il coordinamento da parte di capi missione, far fronte ai nuovi scenari e soprattutto per incontrare la società civile. Il settore della cooperazione per lo sviluppo, deve anch’esso trasformarsi, per ottenere risultati, e al riguardo viene citata la NSS nella parte in cui lo sviluppo dei paesi partner è visto come una capacità chiave per la stabilità contro i gruppi criminali organizzati. A tal fine, l’US Agency for International Development (USAID) si concentrerà su salute e nutrizione, settori del futuro, avviando una filosofia ad alto impatto e trasformando il metodo di lavoro per fornire ai paesi destinatari capacità sostenibili, anche attraverso la creazione di un laboratorio per l’innovazione. Priorità sarà data sostegno alle politiche di genere, e alla necessità di garantire risultati e trasparenza. USAID deve ritornare ad essere la preminente agenzia globale di sviluppo, e a tal fine lo sviluppo deve costituire un pilastro della politica estera USA.
La prevenzione e la risposta ai conflitti, poi, è un altro settore prioritario, con focus sui paesi fragili, volta all’institution building. Il Dipartimento di Stato e l’USAID devono dettare un approccio quali agenzie guida dell’azione USA in paesi quali Iraq e Afghanistan, per agevolare una chiara divisione di responsabilità tra risposta a crisi politiche e di sicurezza, e crisi umanitarie o naturali.
Sarà importante anche coinvolgere sempre più le altre agenzie governative per disporre delle migliori expertise, anche espandendo i contributi dei partner internazionali, costruendo le loro capacità di politica estera in operazioni di gestione delle crisi e supportando riforme per modernizzare e migliorare peace support operations delle Nazioni Unite.
Un particolare settore di intervento deve essere la costruzione di un efficiente sistema di giustizia e polizia, attraverso una costante integrazione tra settore giudiziario, sicurezza e sviluppo a tutti i livelli governativi sia americani che del paese destinatario.
Un ultimo capitolo è poi dedicato alla riforma del personale, del procurement e della pianificazione, per cambiare la mentalità passata che valutava gli sforzi in termini di spesa anziché di risultati ottenuti, che divengono un obiettivo centrale anche di fronte all’opinione pubblica dei contribuenti americani.
La Quadrennial Homeland Security Review, sempre del 2010, la prima pubblicata tra i numerosi documenti di policy di quell’anno, è volta a delineare il quadro strategico d’insieme delle attività di tutti gli attori coinvolti nella sicurezza interna, non solo contro il terrorismo, ma al fine di garantire libertà, privacy e sicurezza nei canali con cui gli americani hanno contatti con il mondo: immigrazione, commercio, dominio cyber, senza dimenticare i disastri naturali e le epidemie.
L’interazione nel mondo di oggi tra singoli e gruppi al di fuori degli USA è tale che si possono materializzare minacce che vengono da molto lontano, anche di natura asimmetrica o ibrida, portate da gruppi criminali organizzati, da terroristi o da stati che non rispettano l’ordine internazionale.
L’homeland security, in tale quadro, viene intesa come l’intersezione tra queste minacce in evoluzione e l’attività di polizia, di dogana, di difesa civile, di controllo delle frontiere e dell’immigrazione, di protezione delle infrastrutture critiche. La natura della minaccia richiede uno sforzo congiunto proprio allo scopo di impedire che tali settori possano essere sfruttati come canale privilegiato per portare minacce agli USA.
L’homeland security viene anche definita come una enterprise, diffusa a tutti i livelli, pubblici e privati. La Casa Bianca ha la responsabilità della sicurezza della Nazione e il Dipartimento dell’ Homeland Security dirige la policy e il coordinamento in materia, che però come competenza generale rimane diffusa ai vari livelli federale, statale e locale, i quali tutti devono sentirsi in dovere di applicare la QHSR.
Tre sono i concetti chiave per pervenire a un comprehensive approach nell’Homeland Security: sicurezza, resilienza, dogana e scambi, che devono essere facilitati ma rafforzati.
Le missioni dell’homeland security in senso diffuso e allargato si identificano sia nel garantire la sicurezza contro il terrorismo, dei confini, dell’immigrazione, del cyberspace e la resilienza contro i disastri, ma anche nel far maturare lo stesso concetto di diffusa HS enterprise.
Come avverrà anche nel 2012, gli sviluppi concettuali statunitensi sono rispecchiati anche da una parallela evoluzione in ambito NATO.
Il 2010 è infatti anche l’anno dell’adozione, a Lisbona, del nuovo NATO Strategic Concept. Il documento finale, denominato Combattimento attivo, difesa moderna, esprime una dichiarazione consensuale su come la NATO cerca di posizionarsi per il prossimo decennio.
L’attuazione delle linee di guida concordate a Lisbona proverà se l’Alleanza sia riuscita, o meno, ad adattarsi alle esigenze moderne. Il concetto strategico include numerosi messaggi principali. In primo luogo, La NATO si concentrerà su tre compiti centrali: la difesa collettiva, la gestione delle crisi (prima, durante e dopo il conflitto) e la sicurezza cooperativa. La NATO è, fondamentalmente, un’alleanza politica, che deve inserirsi nel contesto globale. Di conseguenza, qualsiasi problematica connessa con la sicurezza, di interesse a ogni alleato, può essere discussa. Nell’ambito della sicurezza, la NATO fa fronte a un ambiente diffuso che unisce una varietà di minacce e sfide, compresi la proliferazione di missili balistici e armi di distruzione di massa, terrorismo, instabilità e conflitti internazionali, cybersecurity, la sicurezza delle linee di comunicazione, le correnti tecnologiche e le limitazioni ambientali e delle risorse.
La posizione di deterrenza della NATO continuerà a prevedere un ruolo chiaro per le armi nucleari: "Finché esistono le armi nucleari, la NATO rimarrà un’alleanza nucleare". La NATO poi svilupperà un sistema di difesa antimissili balistici per l’alleanza allo scopo di proteggere le popolazioni, le forze ed i territori alleati. Inoltre acquisirà un ruolo nella prevenzione, individuazione, difesa e recupero da attacchi cyber, nonché nella protezione delle infrastrutture critiche.
Nell’impegno di rendere operativo il comprehensive approach, la NATO si attrezzerà di "una capacità appropriata ma modesta di gestire le crisi civili allo scopo di poter interagire con maggiore efficacia con i nostri partners civili".
La NATO è disposta a cooperare con terzi su problematiche di interesse comune e promette ai paesi che contribuiscono alle proprie operazioni "un ruolo strutturale nella formazione di strategie e decisioni" nel contesto di tali operazioni.
In un’apertura verso la Russia, il concetto strategico dichiara inequivocabilmente che la NATO non pone alcuna minaccia alla Russia, con la quale al contrario, si auspica una vera partnership strategica. Nell’ambito del Consiglio NATO-Russia è stato deciso che la cooperazione NATO-Russia sulla difesa antimissili balistici dovrebbe iniziare con una valutazione congiunta delle minacce prima che si possano intraprendere passi tecnici. Oltre alla difesa missilistica, le problematiche dell’antiterrorismo, della lotta antidroghe e contro la pirateria sono state identificate quali pronte per la cooperazione pratica e consultazione tra l’alleanza NATO e la Russia.
Al vertice, i leaders della NATO hanno inoltre sottolineato che intendono cominciare a trasferire la responsabilità per la sicurezza in Afghanistan alle autorità locali a partire dal 2011 e completare la transizione entro il 2014. Il Segretario Generale Rasmussen ed il Presidente afgano Hamid Karzai hanno inoltre steso un accordo a lungo termine per dimostrare che gli alleati NATO rimarranno impegnati nei confronti dell’Afganistan anche dopo il suddetto limite di tempo.
Il 2010 è anche l’anno in cui le conseguenze della crisi economica e finanziaria del 2008/2009 iniziano a incidere anche sui bilanci della Difesa, stimolando un processo sia in ambito europeo e NATO (il c.d. pooling and sharing), sia negli Stati Uniti. I tagli alla difesa infatti diverranno il tema dominante, anche per ragioni politiche, dell’anno successivo.
Il dibattito sui tagli e su come l’Europa deve far fronte alle proprie responsabilità in ambito NATO è stato al centro dell’attenzione nel 2011 a seguito delle ultime dichiarazioni di un ormai dimissionario Gates(5), che faceva notare ai Paesi europei e NATO la mancanza di capacità e volontà, palesatesi anche in occasione dell’operazione Unified Protector in Libia. Gates argomentava che non era solo un problema di tagli la budget della difesa: la mancanza di adeguati investimenti e modernizzazioni rende molti Paesi incapaci di contribuire, determinando un risultato complessivo inferiore agli stessi fondi stanziati. Si apre così la discussione sul come tali fondi vengono spesi, e il Segretario Generale della NATO, in un suo articolo del luglio/agosto del 2011 su Foreign Affairs(6) introduce il concetto di smart defence (definizione delle priorità, sulla base della minaccia, del rapporto costo/efficacia e della performance) e della cooperazione internazionale nel procurement, temi che saranno ampiamente dibattuti nel corso dell’anno successivo.
Alla fine del 2010 si comincia a riflettere sul futuro della prontezza e delle capacità delle Forze Armate una volta terminate le campagne della guerra al terrorismo, e soprattutto quali contingenze dovranno essere affrontate dopo il ritiro dall’Iraq. Generalmente, dopo ogni conflitto maggiore c’è sempre stata una frettolosa riduzione delle forze di terra, non sempre condotta in modo razionale. Ma le lezioni apprese dall’11 settembre dimostrano che gli USA si trovano ancora in una "era di conflitti persistenti" e che la stessa patria è vulnerabile.
Le stesse Forze Armate hanno quindi avviato una riflessione sulla base della Quadrennial Defense Review. L’Esercito aveva già pubblicato il citato l’Army Capstone Concept, che richiede la disponibilità di unità in grado di sviluppare l’azione a contatto con il nemico e con la popolazione. Questo concetto costituisce un importante sviluppo rispetto alla concezione precedente della revolution on military affairs (RMA, in cui la superiorità veniva intesa come basata prevalentemente sulla comprensione della situazione ottenuta tramite le nuove tecnologie) e il ritorno a una visione classica, basata sull’incertezza e sull’attrito, nonché sull’importanza del fattore umano. Naturalmente la tecnologia rimane un perno fondamentale, ma non più la struttura base dell’applicazione della forza militare.
I Marines sono alla ricerca di mantenere la propria identità quali unità adatte agli assalti anfibi, e anche di un nuovo veicolo da combattimento dopo la cancellazione del programma Expeditionary Fighting Vehicle.
La Marina vede la prospettiva del termine delle maggiori campagne su terra come un’occasione per accrescere la propria importanza nel sistema di sicurezza, rivitalizzando il proprio ruolo per assicurare la prosperità e l’influenza globale USA e contrastando le azioni di interdizione in caso di conflitti.
Anche l‘Aeronautica si posiziona sostanzialmente su tale linea, abbracciando il nascente Air - Sea Battle Concept (v. infra). La collaborazione e l’integrazione con la Marina, che si intuisce sarà cruciale per il futuro, si sviluppa secondo tre pilastri: concettuale, istituzionale e nei materiali. Gli sviluppi rendono probabile anche un mutamento di missione e di riallineamento tra le quattro FF.AA. anche in termini di missioni. L’Esercito e i Marines, oltre che ridimensionarsi, dovranno ritrovare identità e concentrarsi maggiormente nell’assistenza, nella cooperazione e nell’addestramento, piuttosto che sulle missioni combat. Lo stesso Presidente Obama afferma alle Nazioni Unite(7) che nel futuro le forze americane dovranno essere in grado di rafforzare i partner e distruggere le reti terroristiche senza richiedere un largo dispiegamento di truppe all’estero. Lo stesso Gates è stato coerente su tale linea, spingendo affinché la counterinsurgency in Afghanistan (sino a quel momento basata su grandi numeri) si muovesse verso un approccio più misurato, guidato dall’intelligence e basato sugli interventi delle forze aeree e speciali, richiedendo la presenza di minori contingenti in aree chiave.
Le forze di terra dovranno continuare, comunque, a mantenersi versatili e caratterizzate da elevate capacità expeditionary. L’esercito, in particolare, nell’Army Operating Concept, afferma che nell’ambiente operativo futuro le forze di terra dovranno essere in grado di affermarsi nell’ampio spettro delle operazioni, anche in contesti decentralizzati.
La Marina e l’Aeronautica già vedono il loro futuro legato all’Asia, attraverso una maggiore attenzione alla Cina, con il rafforzamento delle alleanze asiatiche e la revisione della posture nel Pacifico. La questione centrale è quindi per gli USA la capacità di proiezione di una forza credibile a distanza, e di reagire alla minaccia iraniana, sotto i profili della proliferazione e dell’interdizione d’area. Ancora più centrale, naturalmente, è la problematica connessa alle risorse e più in generale al peso del bilancio della difesa nel budget federale complessivo.


5. 2011: la ridefinizione delle priorità

Nel 2011, a seguito dell’acquisizione di un maggiore respiro dopo la riduzione di forze in Iraq, il focus passa alla definizione delle future emergenze alle quali occorre prepararsi. Storicamente, all’indomani dei maggiori conflitti, le forze statunitensi sono state repentinamente ridimensionate, con danni alla preparazione e all’efficienza generale dello strumento militare. È avvenuto così dopo la II Guerra Mondiale, la Guerra in Corea e quella del Vietnam. Nell’era attuale, ove gli USA si trovano dinanzi a un’epoca di conflitti persistenti e globalizzati, le capacità militari complessive USA devono essere conservate, per confrontarsi con le minacce portate a una nazione che non è più isolata dal resto del mondo. La tragica lezione dell’11 settembre quindi deve indicare agli USA le capacità e la struttura delle forze necessarie anche dopo le campagne in Iraq e Afghanistan.
Per quanto concerne queste ultime, il Presidente Barack Obama ha perseguito il mantenimento dei suoi programmi. In Iraq, a seguito del fallimento di arrivare ad un accordo sui termini di una continua presenza militare USA (principalmente sulla questione dell’immunità delle forze americane), Obama ha dichiarato che le truppe statunitensi rimanenti avrebbero lasciato il Paese entro la fine del 2011.
Per quanto riguarda l’Afghanistan, l’uccisione del fondatore di al-Qaeda Osama bin Laden il 2 maggio 2011 in Abbottabad, Pakistan, da parte delle forze speciali USA è stata senza dubbio una vittoria importante nella decennale guerra contro il terrorismo che ha rafforzato la posizione del Presidente.
In un discorso il 22 giugno(8), Obama ha quindi potuto annunciare l’inizio del ritiro delle forze inviate con il celebre "surge" del 2009 in Afghanistan, così come promesso. Obama ha inoltre dichiarato che "dopo tale riduzione iniziale, i nostri militari continueranno a rientrare progressivamente lasciando il primo posto alle forze di sicurezza afgane. La nostra missione assumerà natura di supporto anziché di combattimento. Entro il 2014 tale processo di transizione sarà completo ed il popolo afgano sarà responsabile per la propria sicurezza".
Tale intendimento segue la Dichiarazione di Lisbona sull’ISAF del 20 novembre 2010(9), che se da un lato pone le basi per un passaggio agli afghani della responsabilità sulla sicurezza, dall’altro impegna i partners a una conferma del sostegno al Paese a più lungo termine.
Il 2011 è stato anche un anno denso di sviluppi di policy e dottrinali.
La National Security Strategy (NSS) del 2006 rilevava che "se necessario, ai sensi dei principi di autodifesa", gli Stati Uniti "non escludono l’uso della forza preventiva". Il mutamento filosofico dell’Amministrazione Obama, riguardo il c.d. "eccezionalismo americano" (diritto ad agire unilateralmente) nel modificare tale posizione è stato codificato nella Quadrennial Defense Review (QDR) del 2010, che ha asserito che mentre talvolta è necessario l’uso della forza, saranno esaurite per quanto possibile tutte le altre opzioni alla guerra e saranno considerati con cura i costi ed i rischi dell’azione contro i costi ed i rischi dell’inattività. Il documento comunque continuava col dire che gli Stati Uniti "devono riservare il diritto di agire unilateralmente quando necessario per difendere la nostra nazione ed i nostri interessi".
Il Segretario Gates ha anticipato in maniera lucida e specifica i lineamenti della strategia statunitense nel post Iraq e Afghanistan in un suo discorso all’Accademia di West Point(10): "gli scenari più plausibili per le forze armate USA sono principalmente combattimenti navali ed aerei - in Asia, nel Golfo Persico o altrove".
La National Military Strategy (NMS), pubblicata in aprile 2011, la prima revisione dal 2004, è conforme all’impostazione dell’Amministrazione Obama di adottare una nuova policy della difesa in questo senso. Tale documento, che essenzialmente fornisce i modi ed i mezzi per eseguire gli obiettivi nazionali militari stabiliti nell’NSS e QDR (contrasto dell’estremismo violento; deterrenza e sconfitta dell’aggressione; rinforzo della sicurezza internazionale e regionale; determinazione della posture futura e dell’entità delle forze), riporta quale sottotitolo "Ridefinire la leadership militare dell’America". Nell’introduzione, l’Ammiraglio M. Mullen, Chairman of the Joint Chiefs of Staff, ha sottolineato "come la forza congiunta ridefinirà la leadership militare americana allo scopo di adattarsi ad una nuova epoca di sfide" ma allo stesso tempo ha ammesso che "a breve termine bisognerà fare delle scelte difficili alla luce delle vaste ristrettezze economiche". Le forze armate statunitensi dovranno, secondo Mullen, "trovare modi innovativi, con costi accessibili, per procurare l’intera gamma di capacità necessarie per realizzare la suddetta strategia pur effettuando dei compromessi difficili tra modernizzazione, capacità, posizionamento e rischio".
L’evoluzione della leadership è un elemento chiave nel quadro di questa concezione integrata. "Questa strategia riconosce la necessità di una leadership militare ridefinita per un ambiente strategico sempre più complesso". La strategia definisce l’estremismo violento quale minaccia diretta nei confronti degli americani, il loro modo di vivere e gli interessi vitali dell’America. Al-Qaeda è il gruppo principale e rimane una minaccia. Le forze armate continueranno ad operare insieme ai paesi NATO ed alleati in Afghanistan per inseguire i talebani, rinforzare il governo afghano ed addestrare ed equipaggiare le forze di sicurezza afghane. Gli estremisti violenti operano in altre parti del mondo; la comunità internazionale deve affrontare le cause principali che portano le persone all’estremismo e non solo eseguire operazioni volte all’eliminazione dei terroristi.
Per quanto riguarda la non proliferazione, gli Stati Uniti devono mantenere una credibile forza deterrente contro le armi di distruzione di massa: la deterrenza non raggiunge sempre i risultati desiderati e la missione militare deve essere finalizzata a combattere e vincere.
Gli Stati Uniti devono affrontare inoltre potenziali avversari con strategie di interdizione, compresa la difesa dello spazio e del cyberspazio, dotandosi di un più ampio spettro doi capacità. In relazione allo scenario futuro, particolarmente complesso e incerto, gli Stati Uniti potranno agire da soli ma dovranno anche ricercare sinergie con attori sempre diversi, anche in ragione delle attuali ristrettezze finanziarie.
Le forze statunitensi rimarranno posizionate globalmente e saranno in grado di adoperare basi, porti ed aeroporti di altri paesi. Gli USA continueranno ad operare insieme a fianco di paesi responsabili ed all’interno di alleanze.
La NATO rimarrà l’alleanza principale ma si lavorerà anche insieme all’Unione Africana, all’ASEAN ed ad altri gruppi che favoriscono la cooperazione militare. La zona Asia-Pacifico, sede di due potenze crescenti - India e Cina - e numerose potenze regionali, sarà sempre più importante, determinando una migrazione delle capacità USA in quella regione.
I leaders sono il cuore della nuova strategia. "Per formare la forza futura, dobbiamo sviluppare leaders che possono creare ed innovare più dell’avversario ed allo stesso tempo guadagnare la fiducia, la comprensione e la cooperazione da parte dei nostri partners in un ambiente sempre più complesso e dinamico".
Anche se la NMS parla dell’intera gamma di sfide a livello globale, le priorità sono ormai chiaramente le aree dell’Asia-Pacifico e Medio Oriente. Data la pressione esercitata dalle riduzioni nel bilancio sulle capacità militari statunitensi, l’importanza relativa delle suddette regioni potrà solamente aumentare a livello globale.
La Cina è al primo posto sull’agenda. La strategia indica una chiara preferenza per una relazione costruttiva con la Cina anziché una competizione militare ed esprime il desiderio di "espandere aree di interesse e beneficio comune, migliorare la comprensione, ridurre i fraintendimenti ed evitare i giudizi sbagliati, attraverso un miglioramento nelle relazioni militari". Pertanto, il messaggio principale comunicato dall’NMS è la preoccupazione per la modernizzazione e l’aumentata autoaffermazione della Cina, che potrebbero avere delle conseguenze sugli interessi statunitensi, sugli equilibri regionali, sull’accesso e uso del cyberspazio e degli spazi marittimi e sulla stabilità della regione. Il miglioramento delle capacità militari cinesi, soprattutto con le acquisite capacità d’interdizione, hanno dato allo sviluppo del già citato Air-Sea Battle Concept.
L’insistenza da parte dell’NMS che "le priorità strategiche e gli interessi della Nazione emanano dalla regione Asia-Pacifico" ripete la politica generale statunitense descritta dal Segretario di Stato Hillary Clinton che scrive, in un articolo apparso in Foreign Policy a novembre 2011, che "uno dei compiti più importanti della diplomazia americana nel prossimo decennio sarà di investire maggiormente - nei campi della diplomazia, economia, strategia ed altri - nella regione Asia-Pacifico(11)".
Quindi si vede nell’NMS un impegno di aumentare la nostra cooperazione militare per la sicurezza, scambi ed esercitazioni con i paesi alleati del Sud Est asiatico e dell’Oceania. La Corea del Nord costituisce comunque la maggiore instabilità dell’Asia, date le ricorrenti incertezze sulle intenzioni militari e sulle attività nucleari di tale Paese.
Per quanto riguarda il Medio Oriente, la NMS, pubblicata prima della Primavera Araba e delle operazioni NATO in Libia, parla di "un regime iraniano che continua a sviluppare le armi nucleari ed a fornire supporto ad organizzazioni terroristiche attraverso tutta la regione del Medio Oriente" quale minaccia principale alla stabilità regionale. Fino ad ora, tutto indica che l’Iran procede con il programma nucleare nonostante le sanzioni internazionali. Evitare che l’Iran aumenti le armi nucleari è un obiettivo della politica statunitense, ma si rimane incerti su come conseguirlo. Lo sventato complotto iraniano contro l’ambasciatore dell’Arabia Saudita a Washington(12), come anche i risultati del rapporto dell’IAEA sull’Iran rilasciato a novembre(13), hanno successivamente aumentato le tensioni.
La situazione che si sta sviluppando in Medio Oriente costringerà gli Stati Uniti a rivalutare la loro strategia militare in tale regione, particolarmente a seguito della fine del regime di Mubarak in Egitto e l’incertezza causata dalla rimozione di quel sostegno della politica regionale USA. Inoltre, la presenza militare statunitense in Iraq è terminata. Nonostante gli USA cerchino una "partnership a lungo termine con l’Iraq", l’orientamento a lungo termine dell’Iraq e l’influenza americana su tale paese rimangono incerti.
Nell’area delle capacità, l’NMS dichiara che la strategia statunitense è concentrata "sulla messa in campo di forze modulari, adattabili ed a scopo generale che possono essere impiegate attraverso l’intera gamma di operazioni militari". Ciò non va necessariamente interpretato quale sostanziale riduzione di enfasi sulle operazioni tipo anti-insurrezione: "la forza opererà con una predisposizione per le azioni precise e discriminate e possederà una crescente competenza nel campo dell’assistenza alle forze di sicurezza".
Esiste inoltre una forte indicazione nell’NMS che le future operazioni potrebbero venire lanciate dagli Stati Uniti o da aree all’estero che richiedono "una minore impronta logistica", data l’enfasi sulle capacità expeditionary. Infine, l’NMS riafferma la politica nucleare USA: le forze nucleari congiunte continueranno a rinforzare la stabilità strategica attraverso il mantenimento di una sicura second-strike capability, contro mutamenti geopolitici inattesi, problemi tecnologici e vulnerabilità operative.
L’operazione Unified Protector in Libia ha consentito di sperimentare sul campo queste nuove tendenze, che saranno poi definitivamente consacrate nella Strategic Guidance del 2012. La combinazione di attacchi aerei, forze speciali e assetti ISR della NATO con le forze locali dei ribelli hanno ottenuto un successo, senza richiedere dispiegamento di truppe di terra. Inoltre, gli USA hanno agito in supporto - determinante - di una coalizione internazionale, diversamente dal passato.
La Strategy for Combating Transnational Organized Crime del 2011 punta all’impiego di tutte le risorse disponibili in ambito nazionale per proteggere i cittadini e gli interessi statunitensi dalla convergenza di minacce provenienti dalla criminalità del XXI secolo. Tale Strategia è strutturata proprio intorno a tale principio unificatore: costruire, equilibrare e integrare gli strumenti a disposizione, promuovendo analoghe azioni da parte dei partners all’estero. La criminalità organizzata transnazionale si presenta infatti come una crescente minaccia alla sicurezza nazionale ed internazionale, con implicazioni anche sulla sicurezza e sanità pubblica e per la tenuta e stabilità democratica ed economica a livello globale. I network criminali si espandono e si diversificano, secondo il modello della globalizzazione criminale, determinando convergenze di minacce che possono divenire destabilizzanti, specie nei confronti di Paesi in via di sviluppo, a debole struttura politico/democratica. Tali Paesi sono anche caratterizzati da un crescente livello di corruzione e di infiltrazione di tali gruppi negli apparati politici, istituzionali (comprese le forze di polizia e l’intelligence) e finanziari, determinando un considerevole ed ulteriore indebolimento delle loro strutture pubbliche, sino a pervenire, in alcuni casi, anche alla perdita del controllo del territorio da parte delle autorità e allo sviluppo di forme incontrollate di criminalità o pirateria.
Tale situazione costituisce una minaccia alla governabilità di tali Paesi, prima che un problema di polizia. Inoltre, operando a livello di gruppi che vantano strette connessioni a livello statale, colpisce in tali Paesi l’economia, la correttezza e trasparenza della concorrenza e dei mercati finanziari, con ripercussioni sul sistema internazionale anche delle forniture di energia e di materie prime.
Di particolare importanza, poi, viene ritenuto il nesso tra criminalità organizzata e terrorismo: i gruppi terroristici o di insorgenti trovano nelle reti criminali e nelle loro attività illecite comode e virtualmente inesauribili fonti di finanziamento. Sino ad ora tale legame rimane opportunistico e non strutturale, ma non va sottovalutato il rischio che, per il tramite delle organizzazioni criminali attive nel contrabbando e nell’immigrazione clandestina, i gruppi terroristici possano riuscire a far entrare nel paese armi di distruzione di massa o attentatori.
Il traffico di stupefacenti, ad opera di cartelli di trafficanti sempre più potenti, spregiudicati e violenti, continua a espandersi, con alleanze a livello globale per far giungere gli stupefacenti negli Stati Uniti o in Europa. L’espansione internazionale di tali organizzazioni determina spesso un aumento esponenziale dei livelli di criminalità e violenza all’interno degli stessi paesi produttori o di transito degli stupefacenti. Altri settori di particolare importanza per gli Stati Uniti sono il traffico di persone e di armi, queste ultime in grado di rifornire anche gruppi terroristici e trafficanti di stupefacenti, e la pirateria intellettuale. I gruppi criminali transnazionali sono poi coinvolti nel cybercrime, determinando rischi per la tenuta del sistema finanziario e per le stesse infrastrutture critiche.
Un ruolo centrale viene riconosciuto, in questo processo di globalizzazione del crimine, ad attori semi-legittimi che operano nel mercato legale, ovvero a specialisti dei vari settori di trasporto, tecnici o finanziari, che assolvono le imprescindibili funzioni di facilitatori per agevolare i traffici illeciti transnazionali di stupefacenti, armi o persone.
Seguendo il medesimo modello, i gruppi criminali transnazionali, pur se impegnati in traffici di diversa natura, condividono luoghi, società o persone utili per la riemersione dei profitti nel mercato legale, specie dislocati in Paesi a rischio.
Lo scopo della strategia è ridurre la criminalità organizzata trasnazionale da minaccia alla sicurezza nazionale a problema di sicurezza pubblica, negli Stati Uniti ed in regioni di importanza strategica all’estero. La Strategia raggiungerà tale fine tramite il proseguimento di cinque obiettivi chiave: protezione dei cittadini americani, supporto dei paesi alleati nel rafforzamento della governance e della trasparenza; distruzione del potere economico delle reti criminali e protezione dei mercati e del sistema finanziario; disarticolazione delle reti che minacciano la sicurezza nazionale individuando le loro infrastrutture, privandoli dei mezzi e impedendo il supporto criminale alle attività terroristiche, agevolazione della cooperazione multilaterale e delle partnerships tra il settore pubblico e quello privato. La Counterterrorism Strategy del 2011, che si inquadra nella National Security Strategy del 2010, delinea l’approccio del Presidente per affrontare una delle principali priorità per la sicurezza americana: la lotta ad Al Qaeda.
A dieci anni dall’11 settembre 2001, l’America si trova più forte; il contrasto al terrorismo ha conseguito numerosi successi sia negli USA che in Afghanistan e Pakistan, e la ideologia di Al Qaeda appare in declino. Contestualmente, i nuovi movimenti democratici che sono sorti in Nord Africa e Medio Oriente e la morte dello stesso Bin Laden segnano un ulteriore positivo cambiamento nello scenario generale del contrasto al terrorismo, che dovrà essere tenuto in considerazione.
Nonostante la favorevole situazione, la minaccia non è stata eliminata; si rendono quindi necessarie azioni "mirate" nei confronti di Al Qaeda, in un momento in cui anche la sua ideologia appare sotto pressione. Tuttavia, pur confermando la continuità con gli sforzi sinora compiuti, la Strategia punta all’innovazione, estendendo il conflitto alla propaganda di Al Qaeda, al fine di contrastare anche la diffusione della sua ideologia e il reclutamento di nuovi aderenti in occidente e nei Paesi in via di transizione democratica. Il documento adotta un approccio pragmatico e integrato, imperniato sul concetto di guerra ad Al Qaeda (non più al "terrorismo" in quanto tale) attuata con un efficace coordinamento di tutte le componenti dell’Amministrazione americana e degli alleati.
Il documento delinea gli obiettivi generali per sconfiggere al Qaeda, fra i quali la protezione del territorio, lo smantellamento del suo network, la prevenzione dell’eventuale entrata in possesso da parte di tali gruppi di armi di distruzione di massa, l’eliminazione di safe-heavens per terroristi; il supporto alle capacità antiterrorismo dei partners, militari, di polizia e civili e il contrasto all’ideologia estremistica, anche su internet e nei social network. Viene richiamata l’importanza dell’unità degli sforzi delle diverse amministrazioni impegnate nel contrasto e dell’adozione di un approccio strategico di lungo periodo, evidenziando che il contrasto al terrorismo deve ssere condotto nell’ambito dei valori fondanti la società americana, quali il rispetto dei diritti umani, della legalità e della trasparenza. È anche riconosciuta la necessità di incrementare la resilience nazionale per dissuadere gli aggressori e resistere ad eventuali attacchi e di proseguire la collaborazione con le istituzioni multilaterali e a livelo bilaterale, anche adottando approcci diversificati di cooperazione, distinguendo tra alleati consolidati e altri Paesi.
Nel maggio 2011 la Casa Bianca ha rilasciato la International Strategy for Cyberspace, volta a definire la policy USA in materia di Internet e le linee di cooperazione con Paesi e popoli del mondo. L’approccio strategico del documento riconosce l’immenso potenziale per l’innovazione e lo sviluppo costituito dal cyberspazio, con le connesse sfide per la sicurezza che però devono essere affrontate tenendo conto dell’irrinunciabile diritto alla libertà di espressione e associazione.
Si rende quindi necessario promuovere un ambiente caratterizzato da norme di comportamento responsabile, che possono guidare l’azione degli stati nel garantire l’esercizio di tali libertà, nel mantenere la rete aperta, interoperabile e stabile, nell’assicurare la legittima difesa e nel combattere la criminalità, proteggendo la proprietà intellettuale e la privacy.
A tal fine, le linee guida individuate si articolano nei consueti pilastri di defence, diplomacy, development. Per quanto riguarda la difesa, gli USA promuovono comportamenti responsabili in rete e intendono contrastare coloro che intendono danneggiare networks e sistemi con la dissuasione o la deterrenza, riservandosi anche il diritto di autodifesa qualora siano minacciati interessi vitali della Nazione. In caso di attacco ostile al cyberspazio, gli Stati Uniti si riservano il diritto di reagire come in occasione di ogni atto ostile con ogni possibile mezzo, per difendere la Nazione, i suoi interessi e i suoi alleati, in conformità al diritto internazionale. La forza militare sarà utilizzata quando saranno esaurite altre opzioni, perseguendo un ampio supporto a livello internazionale.
La diplomazia è indispensabile, con un’azione comune a tutti livelli, pubblici e privati, per pervenire alla definizione del cyberspazio come ambiente in grado di sviluppare tutto il suo potenziale. Gli Stati Uniti intendono contribuire a tutti i livelli allo sviluppo di un cyberspazio aperto, interoperabile, affidabile e sicuro.
Le priorità di policy previste prevedono, in particolare, la promozione di innovativi ed efficaci standard internazionali sul comportamento nel cyberspazio, caratterizzati da sicurezza ed interoperabilità, per sostenere le attività economiche tutelando la proprietà intellettuale, anche attraverso l’estensione della cooperazione internazionale di polizia nel settore del contrasto al cybercrime, e all’uso di internet da parte del terrorismo.
Essenziale è anche una rafforzata tutela delle infrastrutture critiche, con una maggiore resilience delle reti informative. Lo strumento militare deve essere preparato per le sfide del nuovo ambiente operativo, attraverso l’adozione di network sicuri ed affidabili, il rafforzamento e la promozione delle alleanze internazionali e lo sviluppo della governance di internet, intesa come rete inclusiva, libera e capace di svilupparsi in modo sicuro.
La Casa Bianca ha presentato il documento come la visione del Presidente sul futuro di internet, sottolineando che per la sua attuazione sarà necessaria l’azione congiunta di vari dipartimenti in seno all’amministrazione americana. Nel contempo, viene sottolineata l’alta valenza di tale nuova strategy a livello internazionale, in quanto richiama la necessità di una sempre maggiore cooperazione internazionale nel settore ai diversi livelli.
Il Dipartimento della Difesa ha poi rilasciato nel 2011 la Department of Defense Strategy for Operating in Cyberspace, che delinea una nuova direttrice per la difesa nella esecuzione delle operazioni militari e di "intelligence" e nei rapporti con l’industria. Lo scopo principale della nuova strategia è "difensivo" e si focalizza sulla negazione dei benefici derivanti da un attacco piuttosto che sulla rappresaglia. Lo scopo è quello di passare da un tipo di protezione passiva "puntiforme" (ove ogni rete/computer è protetta dai propri firewall e antivirus) che reagisce staticamente agli attacchi, ad un sistema integrato con protezione a strati ove l’attacco può essere più facilmente scoperto ed identificato.
Il cyberspazio viene trattato come un "dominio" operativo, al pari dell’aria, terra, mare e spazio, implicando la necessità ed il diritto di organizzarsi, equipaggiarsi, ed addestrarsi per poter operare anche in condizioni di degrado del citato dominio. Per proteggere reti e sistemi occorre inoltre impiegare nuovi concetti operativi, implementando una cosiddetta cyber hygiene da parte del personale per ridurre il rischio interno all’amministrazione ed impedire fughe di informazioni.
Altra priorità è la cooperazione sia con gli altri dipartimenti (in particolare con l’Homeland Security), con le agenzie governative, e con il settore privato, anche a livello internazionale, per sviluppare una strategia governativa integrata per ottenere capacità comuni di allarme, incrementare le capacità di difesa e condurre addestramento congiunto.
La difesa degli interessi di sicurezza nazionale nel settore del cyberspazio dipende anche dal talento e dalla preparazione della popolazione. La Difesa catalizzerà il comparto scientifico, accademico per accrescere globalmente le conoscenze nel settore del ciberspazio.
La strategia non fa menzione circa l’uso offensivo dell’ambiente cyber per un attacco diretto e non da indicazioni circa il "come" e "quando" misure offensive debbano/possano essere usate, è quindi essenzialmente difensiva e sembra rassicurare contro la minaccia di una "militarizzazione" del ciberspazio spostando il "focus" dalle azioni di rappresaglia a quelle di dissuasione attraverso la l’interdizione dei potenziali benefici di un attacco cibernetico.
Lo stesso Dipartimento della Difesa ha anche pubblicato nel 2011 la National Security Space Strategy, firmata congiuntamente dal Segretario della Difesa e dal Director of National Intelligence (DNI).
Tale strategia, che deriva dalla National Security Strategy e dalla National Space Policy, riporta le modifiche necessarie per rafforzare la sicurezza nazionale mediante le attività di difesa e di intelligence nello spazio. Rappresenta il punto di arrivo di una lunga e dettagliata Space Posture Review, condotta in stretta collaborazione con altre agenzie ed alleati.
Il Segretario della Difesa R. Gates ha dichiarato che la National Security Space Strategy rappresenta un significativo scostamento rispetto alla prassi seguita in passato, quale approccio pragmatico per mantenere i vantaggi tratti dallo spazio, affrontando le nuove sfide.
Lo spazio è un ambiente la cui importanza strategica è in costante evoluzione, e fondamentale per le operazioni militari e per la raccolta di intelligence, ma è sempre più conteso tra varie potenze, e congestionato dai satelliti, detriti orbitali ed interferenze di radiofrequenze. Il suo uso è anche rivendicato dai paesi in via di sviluppo, e non si esclude anche che ossa essere utilizzato da attori non statali.
Al fine di implementare tale strategia, il dipartimento promuoverà norme di comportamento internazionali volte a mettere ordine in un dominio ormai congestionato e conteso, sviluppare una partnership internazionale per operare nelle coalizioni e rafforzare le capacità spaziali militari, perseguire soluzioni di cross-domain per operare in un ambiente spaziale degenerato. La NSS sarà implementata mediante l’aggiornamento di guide, piani, dottrine, programmi ed operazioni per riflettere il nuovo approccio strategico.
Nel presentare il documento, il Vice Segretario alla Difesa per la space policy ha inoltre precisato che bisogna iniziare a pensare in modo diverso come si opera nello spazio. Per esempio è necessario incoraggiare altri paesi ad agire in modo responsabile nell’ambiente spaziale e a come gli Stati Uniti possano fungere da guida al riguardo. È necessario individuare il modo in cui si possono meglio sfruttare le capacità commerciali straniere presenti attualmente nello spazio.
Come in passato, il Dipartimento della Difesa deve proteggere le capacità spaziali al fine di proteggere i combattenti, che si tratti di comunicazioni, di sorveglianza o di posizionamento globale. I militari devono anche iniziare a considerare di operare all’interno di coalizioni nello spazio. I partner potenziali includono i membri della NATO, il cui recente nuovo concetto strategico concetto ha riconosciuto l’importanza di affrontare direttamente la problematica della disciplina dell’accesso allo spazio.
Nell’aprile 2011 Obama ha firmato un altro documento importante per la difesa, l’Unified Command Plan (UCP). Tale documento stabilisce le missioni, responsabilità ed aree geografiche ricoperte dai comandi combattenti statunitensi. Tra i cambiamenti principali, spicca il conferimento dell’area di responsabilità della regione dell’Artico all’US Northern Command, allo scopo di influenzare le relazioni con i partner regionali e agevolare l’unicità degli sforzi.
Viene poi soppresso l’US Joint Forces Command, al fine di semplificare la struttura, e viene aumentata la responsabilità dell’US Strategic Command nel contrasto alla proliferazione e per lo sviluppo del Global Missile Defence Concept of Oerations. All’US Transportation Command viene assegnata la responsabilità di sincronizzare la progettazione di operazioni logistiche globali.
Alla pubblicazione dell’NMS e dell’UCP ha fatto seguito la pubblicazione della Defense Planning Guidance (classificato). Tale documento contiene le più importanti priorità di progettazione e programmazione a supporto della National Military Strategy e per guidare l’attuazione di tagli nella struttura delle forze.
Alla fine di dicembre 2011, gli ultimi militari statunitensi avevano lasciato l’Iraq ma le forze armate USA continuavano ad essere ingaggiate in operazioni di combattimento e stabilizzazione in Afganistan. Le conseguenze di tali guerre, in combinazione con l’impatto della crisi finanziaria sul bilancio del governo e con le percezioni da parte USA della sempre minore disponibilità degli alleati di sostenere il peso del conflitto, avranno senz’altro un impatto sulla natura e l’ampiezza del coinvolgimento statunitense in crisi future.
Ciò non vuol dire una riduzione globale su vasta scala: è difficile che una superpotenza si ritiri dagli impegni internazionali. Inoltre, gli Stati Uniti mantengono numerose alleanze, trattati e relazioni di sicurezza, che potrebbero portare allo schieramento di assetti militari. Nemmeno si prevede che le circostanze attuali indurranno gli USA a non fornire supporto militare ad alleati impegnati in operazioni.
Come avvenuto proprio nel 2011 nel caso dell’operazione NATO Unified Protector in Libia, tale concorso può in alcuni casi consistere nel supporto delle forze o nel diretto (e risolutivo) coinvolgimento in combattimenti nell’ambito di una coalizione a leadership internazionale.
È dunque probabile che Washington rifletta nel futuro con prudenza sui seguenti fattori: se l’intervento nelle crisi è necessario agli interessi USA; la natura e durata di qualsiasi reazione militare; il tipo di forze che gli Stati Uniti dovrebbero sviluppare e mantenere. Non tutte le emergenze militari potranno essere selezionate da Washington, ma la pianificazione dovrà mantenere forze flessibili, capaci di operare in una vasta gamma di contingenze.
La discussione sul futuro della politica e strategia statunitense si svolge in un momento in cui si profilano forti tagli negli stanziamenti per la difesa ed i candidati alla presidenza, in previsione delle elezioni di novembre 2012, hanno iniziato ad avanzare loro posizioni sulla politica estera. Le strategie e le realtà finanziarie che emergono finiranno per dare forma alle dimensioni, ruolo e posizione delle forze militari statunitensi nel futuro. Le spese federali devono essere tagliate; è questione di quanto e di come le forze armate USA cambieranno di conseguenza.
Nel quadro generale della crisi economica, si è aperto infatti il dibattito pubblico sul budget generale della difesa, nell’ottica ormai impellente di riduzione del debito federale.
Nonostante le riduzioni attese dal progressivo ridursi dell’impegno in Iraq e Afghanistan (circa il 20 % del totale delle spese complessive per la Difesa, che per il 2011 ammontano a 710 miliardi di dollari), a livello politico e di opinione pubblica si è fatta pressante l’esigenza di contenere al massimo le spese a lungo termine, come quelle per i programmi militari, rispetto alla sanità o alla protezione sociale.
Nell’agosto, il Congresso ha approvato, con voto bipartisan, il Budget Control Act, che impone un totale di 487 miliardi di dollari di tagli in dieci anni, la maggior parte dei quali sulle spese discrezionali federali (tra cui la Difesa) istituendo altresì un meccanismo automatico di tagli dal 2013 (c.d. sequestration) di 1,2 trilioni di dollari (la metà dei quali a carico della difesa), qualora il Congresso non raggiunga un accordo sulla riduzione della spesa.
Già dal 2010, nella Quadrennial Defense Review, il Segretario Gates aveva promosso con convinzione all’interno del Pentagono e nell’opinione pubblica la necessità di conseguire efficienze nel sistema della Difesa (Budget Review) attraverso l’eliminazione delle ridondanze, la riforma del procurement e in generale l’adozione di un approccio top-bottom per la definizione delle priorità.
Nel contempo, aveva anche spronato gli alleati - anch’essi allo prese con le medesime ristrettezze finanziarie - a unire gli sforzi e a non contare sempre e solo sugli Stati Uniti per far fronte ad eventuali necessità.
Queste impostazioni, come vedremo, avranno un significativo impatto nell’anno seguente.


6. 2012: la nuova Strategic Guidance e il Summit NATO di Chicago. Verso il 2020

Quale naturale evoluzione di queste tendenze politico/strategiche e di budget review, il gennaio 2012 si apre subito con la presentazione della nuova Strategic Guidance, intitolata Sustaining US Global Leadership. Priorities for21st Century defense.
La Guidance prende le origini da un approccio politico bipartisan, volto a alla modernizzazione e a tagli al budget della difesa, quale conclusione del citato processo di Budget Review avviato dal Segretario alla Difesa Gates nel 2011.
Proprio l’esigenza di operare i tagli richiesti dal Congresso nel Budget Control Act all’Amministrazione di porre un freno alle spese federali, di cui la Difesa rappresenta circa il 25%, costituiscono il punto di partenza della nuova strategia, ma il Presidente Obama fa derivare le economie dalle scelte strategiche, conservando quindi la capacità di gestire il dibattito. Lo stesso Presidente, nel presentare il documento, indica chiaramente che è la strategia a guidare i tagli e non viceversa. Il documento costituisce un’evoluzione/modificazione rispetto alla Quadrennial Defense Review del 2010, girando pagina rispetto a un decennio di guerra e grandi incrementi di spese per la difesa. Dopo le esperienze in Iraq e Afghanistan, la nuova strategia, in particolare, prevede un passo indietro rispetto alla two-war doctrine che è stata per lungo tempo un pilastro della policy americana.
Obama definisce il momento attuale una transizione verso nuovi scenari, dopo i successi nella guerra al terrorismo (compreso l’aver reso giustizia a Bin Laden), la fine della guerra in Iraq, le operazioni in Libia, i progressi in Afghanistan. Nel contempo, il momento è anche fortemente critico per la situazione finanziaria.
Gli Stati Uniti hanno assunto un ruolo guida nella trasformazione del sistema internazionale negli ultimi 65 anni. Poi, hanno intrapreso estese operazioni in Iraq e Afghanistan per stabilizzare quelle nazioni. Ora ci si trova di fronte a un inflexion point, nel momento in cui si decide di chiudere queste due operazioni e, nel contempo, di proteggere la vitalità economica statunitense in uno scenario internazionale in evoluzione e dovendo tener conto della necessità di ridurre il debito americano.
Come Comandante in Capo Obama quindi ridefinisce le priorità per a Difesa del prossimo decennio, volte a mantenere la leadership globale USA attraverso la superiorità militare. Gli obiettivi della sicurezza nazionale americana e degli alleati si identificano non solo nella protezione del territorio, ma anche nella prosperità economica connessa a un ordine mondiale libero e aperto, e anche giusto e sostenibile, che comprenda la protezione dei diritti umani. Gli Stati Uniti devono conservare la global leadership anche nel futuro, e, a tal fine, considerata l’interdipendenza economica a livello mondiale, il mantenimento di una sicura supremazia militare sarà di giovamento per influire sul settore finanziario.
Le sfide quindi sono molteplici: l’Asia/Pacifico, il Medio Oriente, il supporto alle nuove generazioni arabe che lottano per i propri diritti. Gli strumenti partono innanzitutto dall’assistenza e dal capacity building in favore degli alleati. Anzi, le accresciute capacità dei partner hanno consentito di sviluppare l’efficace missione in Libia secondo un corretto approccio di burden - sharing.
Queste sfide non possono essere affrontate dal solo strumento militare: Obama conferma il rafforzamento di tutti gli strumenti a disposizione, diplomazia, sviluppo, homeland security e intelligence.
La Guidance richiede che le forze USA conservino le capacità di agire ad ampio spettro; tuttavia, serve una forza ridimensionata, più flessibile, mobile e tecnologicamente avanzata e pronto a ricostruire le proprie capacità per ogni contingenza.
La ristrutturazione militare dovrà essere condotta cercando di evitare gli errori del passato, come spesso avvenuto al termine di ogni conflitto maggiore. A tal fine si continuerà ad investire in capacità chiave per il successo negli scenari futuri, con particolare riferimento all’intelligence, surveillance and reconnaissance, al controterrorismo, al contrasto alle armi di distruzione di massa, le operazioni di controinterdizione, e in sintesi alle capacità utili per prevalere in ogni dominio, incluso quello cyber.
Lo scopo è mutare l’enfasi dai conflitti in atto alla preparazione dello strumento del futuro, proteggendo gli interessi USA a più ampio raggio e riformando la capacità di spesa del Dipartimento della Difesa, attraverso non solo un più basso livello di costi ma anche tramite un riequilibrio generale.
La Guidance quindi si propone di descrivere lo scenario e le priorità future per le quali la Difesa si deve preparare, presentando una visione per le forze armate nel 2020, parallela alla costruzione di una Joint Force NATO 2020, che di lì a breve sarà poi lanciata a Chicago al Vertice dell’Alleanza.
Le efficienze vengono realizzate in vari modi. Obama ha sottolineato che l’inevitabile riduzione della spesa federale in tutti i settori non potrà non riguardare anche la Difesa, secondo priorità definite in base ad una strategia ben precisa che tenga conto del nuovo quadro internazionale dopo il decennio apertosi con l’11 settembre 2011. Comunque, tra le priorità, viene ribadito l’impegno a non lasciare le FF.AA. impreparate davanti a un futuro eventuale conflitto, pur ritenendo necessario procedere a un ridimensionamento generale della forza. Forze armate ridotte nel numero ma pronte ad operare ad ampio spettro sono preferibili a una grande forza la cui preparazione ed equipaggiamento non è più sostenibile. Anche il nation building, sforzo rivelatosi insostenibile dopo l’Afghanistan, viene escluso come compito per la Difesa e assegnato al Dipartimento di Stato.
Il Segretario alla Difesa Panetta, nella sua introduzione alla Guidance, ha sottolineato il valore aggiunto della preparazione acquisita nel decennio precedente dalla difesa, che si avvarrà nel futuro di un strumento all’avanguardia e caratterizzato da capacità in grado di sfruttare il vantaggio tecnologico, della collaborazione interforze e della promozione del network.
Lo scenario globale di sicurezza viene definito challenging: nonostante i successi della lotta al terrorismo, Al Qaeda rimane attiva e quindi gli USA continueranno a mantenere un ruolo attivo contro tutti gli attori non statali, sia lavorando con gli alleati per riportare il controllo su territori a rischio sia colpendo direttamente gruppi e individui pericolosi.
Tuttavia, oltre a tale situazione, che può esser definita come eredità dell’ultimo decennio, la sfida economica e di sicurezza per gli USA viene identificata subito nell’Asia/Pacifico, caratterizzata da ampie sfide e opportunità, che richiedono un riequilibrio della presenza strategica USA verso quella regione, mentre comunque le forze armate continueranno a contribuire alla sicurezza globale. Il primo obiettivo è il rafforzamento delle alleanze e l’investimento in nuove partnership, a cominciare dall’India.
Naturalmente, si delinea subito il problema cinese: il documento sottolinea che nel lungo termine l’emergere della Cina come potenza regionale potrà danneggiare gli interessi economici e di sicurezza statunitensi in vari modi. I due Paesi possono e debbono cooperare per la pace e la stabilità, ma la crescita militare cinese deve avere obiettivi più chiari per non rischiare di creare fraintendimenti. Il linguaggio è quello della National Security Strategy. Altrettanto chiaramente, gli USA dichiarano che continueranno a lavorare per mantenere il libero accesso a livello regionale e l’abilità di operare nel rispetto dei degli accordi assunti e del diritto internazionale. Inoltre, viene sottolineata la promozione di un ordine internazionale basato sulle regole che consenta lo sviluppo pacifico di nuove potenze, e incoraggi la stabilità e la cooperazione per una difesa costruttiva.
La c.d. "Primavera araba" in Nord Africa e nel Medio Oriente presenta opportunità ed incertezze per il futuro, e può sfociare nella istituzione di governi più rispondenti alle aspirazioni dei loro popoli, più stabili e più affidabili partner degli USA.
Oltre all’estremismo, in Medio Oriente lo sforzo principale degli USA sarà costituito dal contrasto alla proliferazione, in particolare contro i progetti iraniani di sviluppo di capacità nucleari e in ultima analisi di destabilizzazione. In tale quadro, si agirà a supporto di Israele per una pace globale in Medio Oriente, ma soprattutto tramite una consistente presenza nella regione a supporto ai Paesi alleati, con particolare riferimento ai Paesi del Golfo.
L’Europa rimane il partner principale nella ricerca di una sicurezza globale ed economica, e ne viene riconosciuto il sacrificio nell’ultimo decennio a fianco degli USA. Gli Stati Uniti continueranno a promuovere la pace e la stabilità in Eurasia, così come la forza la vitalità della NATO.
Molti Paesi europei sono ora tuttavia produttori e non solo consumatori di sicurezza, e questa situazione - unitamente alla chiusura ormai prossima delle due guerre principali in atto - crea l’opportunità strategica di ribilanciare la presenza in Europa, con un focus verso le sfide future, ovviamente fermo restando l’impegno rappresentato dall’art. 5 NATO.
Nell’attuale scenario finanziario, è anche importante lavorare con la NATO per la creazione della forze del 2020 e per lo sviluppo di una smart defense che sappia mettere in comune e specializzare le capacità.
Sarà anche perseguita una sempre maggiore cooperazione con la Russia, che non deve sentirsi aggredita, individuando aree di comune interesse.
L’idea di condividere costi e responsabilità è la chiave anche per affrontare le relazioni con Africa e Sud America. Con quei Paesi, gli Stati Uniti cercheranno di presentarsi come il partner privilegiato per la cooperazione, attraverso programmi innovativi, a basso costo ed impatto basati su esercitazioni, presenza a rotazione, capacità di supporto e advisory.
A livello globale, l’America e gli alleati continueranno a perseguire l’obiettivo di una crescita economica e commerciale attraverso la protezione della libertà di accesso ai global commons, (aerospazio, alto mare, cyberspazio). La sicurezza dei flussi di merci per via aerea o marittima, dell’ambiente cyber, dello spazio è minacciata in vari modi. Lo sforzo sarà quindi quello di sviluppare un quadro normativo internazionale e di mantenere capacità militari adeguate ed interoperabili. Da ultimo, viene naturalmente riaffermato l’impegno della Difesa contro la non proliferazione.
In sintesi, le capacità di cui lo strumento militare deve disporre sono identificate innanzitutto nelle operazioni antiterrorismo e contro l’irregular warfare, in particolare attraverso la sconfitta definitiva di al Qaeda.
Ma l’aspetto più innovativo della guidance è costituito dalla nuova definizione di deterrenza e capacità di sconfitta di ogni aggressione, che per essere credibile deve essere ottenuta attraverso l’interdizione all’avversario della possibilità di raggiungere i suoi obiettivi, coniugata con costi inaccettabili. Naturalmente, avendo gli USA interessi in varie regioni del mondo, sarà indispensabile che tale deterrenza sia possibile anche nei confronti di un opportunistico avversario che tenti un’aggressione quando le forze sono impegnate in operazioni su larga scala altrove. La pianificazione prevede forze capaci di impedire il successo a un aggressore operando in una regione conducendo operazioni multi-dominio, incluso quello cyber. Ciò comprende essere in grado di stabilizzare un territorio e agevolare la transizione a una governance stabile su una scala minore, per un limitato periodo, utilizzando le forze in teatro e, successivamente rese necessario, con altre forze mobilitate. Gli Stati Uniti opereranno quando possibile con alleati e coalizioni. Le forze di terra rimarranno pronte e si riequilibreranno al fine di mantenere l’agilità necessaria per far fronte alle eventuali esigenze.
Altra novità importante è l’enfasi fornita alla capacità di proiezione contro tentativi di anti access/area denial (A2/AD) che impediscano la proiezione nei c.d. global commons, attraverso l’implementazione del Joint Operational Area Concept (v. infra), capacità sottomarine, lo sviluppo di un nuovo bombardiere stealth, la difesa missilistica e le operazioni nello spazio. Viene citato, naturalmente, contrasto alla diffusione di armi di distruzione di massa e il mantenimento della potenzialità di deterrenza nucleare, vagliando se sia possibile una riduzione degli arsenali. Per quanto riguarda le operazioni nello spazio e nel cyberspazio, la guidance nota che l’esecuzione di efficaci operazioni ad alto ritmo è basata sulla disponibilità di informazioni e comunicazioni affidabili.
Un ulteriore punto è riservato alla protezione del territorio nazionale anche in supporto alle autorità civili, compresa la difesa missilistica. Sarà mantenuta una sostenibile presenza stabilizzatrice in varie aree del mondo, anche attraverso la rotazione dei dispiegamenti di truppe all’estero e le esercitazioni multilaterali, utili a rafforzare la deterrenza, la presenza nel mondo e le partnership. Le forze stanziate all’estero saranno comunque ridotte di numero, e ciò richiederà maggiore riflessione su dove tali attività di cooperazione dovranno essere sviluppate.
La conduzione di operazioni di stabilizzazione e counterisurgency sarà incentrata sulle lezioni apprese nei recenti conflitti, per enfatizzare i concorsi non militari e la cooperazione militare per far fronte alle instabilità e ridurre la necessità di larghi dispiegamenti di truppe. Anche nelle operazioni di carattere umanitario ci si avvantaggerà della vasta esperienza e della capacità di rapido dispiegamento di cui godono le FF.AA. americane.
Il Segretario Panetta ha poi insistito sul fatto che la leadership globale USA non può basarsi solo sulla potenza militare ma deve necessariamente avvalersi anche delle capacità diplomatiche, di sviluppo e di gestione delle diverse forze di sicurezza, anche degli alleati, i quali devono essere incoraggiati a sviluppare l’autoprotezione.
L’Europa è riconosciuta quale alleato e partner fondamentale, ma senza particolare "sentimento", annunciando una parziale contrazione delle forze USA sul territorio europeo, a conferma di una avviata razionalizzazione degli sforzi ottenuta anche tramite un certo disimpegno dallo scacchiere continentale europeo.
Le economie della Difesa saranno operate - preservando la base industriale nazionale - su programmi ritenuti non più in linea con questo quadro strategico, ma comunque effettuando nuovi investimenti in capacità Intelligence, Surveillance and Reconnaissance (ISR), per veicoli non pilotati, per le operazioni in ambiente cyber, nello spazio e per incrementare la potenzialità di rapido dispiegamento delle forze. Una particolare attenzione sarà riservata inoltre alle forze speciali.
Rispondendo indirettamente alle polemiche subito scattate tra gli addetti ai lavori e sui media riguardo alla rinuncia alla capacità di condurre due conflitti contemporaneamente (two wars doctrine), Panetta ha poi precisato che gli USA saranno pronti a sostenere più di un conflitto, ma dato il ridimensionamento previsto delle forze di terra, si deve intendere conflitti del XXI secolo, ovvero più frequenti e di scala più limitata, che richiedono un più flessibile e qualificato impiego di forze rispetto alle concezioni strategiche della Guerra Fredda, degli anni ’90 e soprattutto del decennio appena concluso. In sostanza, le forze armate statunitensi non saranno più in grado di sostenere due maggiori conflitti simultaneamente, ma dovranno impedire a un eventuale nemico di profittare di un conflitto in atto per porre in essere azioni ostili.
Per assicurare queste missioni, alcuni principi devono guidare le forze e lo sviluppo dei programmi. Anzitutto, data l’incertezza complessiva dello scenario, sarà mantenuto un ampio e versatile portafoglio di capacità. Inoltre, la ristrutturazione sarà effettuata definendo priorità tra queste nuove missioni e tra esse e gli altri programmi della difesa. Non si deve "smantellare" soltanto, al fine di poter eventualmente rigenerare partendo da un capitale umano e qualitativo in caso di necessità.
La Strategic Guidance non può essere pienamente compresa se non viene letta unitamente al successivo documento presentato sempre a gennaio dal Segretario Panetta, Defense Budget Priorities and Choices, che illustra la richiesta presidenziale di budget per la difesa dell’anno finanziario 2013 e che quindi costituisce l’applicazione pratica della stessa guidance per addivenire alla ristrutturazione delle forze ritenuta necessaria.
Come in ogni fase post-bellica, i budget della difesa sono destinati a contrarsi, ma in questa occasione il Pentagono intende evitare gli errori post guerra fredda, quando fu mantenuta una struttura delle forze maggiore di quanto il budget potesse consentire.
Occorre invece contare su una forza pronta capace di essere impiegata in un più ampio spettro di missioni, dopo il decennio caratterizzato dagli impegni in Iraq e Afghanistan. Viene quindi adottato un pacchetto di misure articolato su un più disciplinato uso dei fondi pubblici, cambiamenti e modernizzazioni nella struttura delle forze promossi dal livello strategico, e maggiore attenzione al personale.
Sotto il primo profilo, sarà proseguito lo sforzo di razionalizzazione già avviato dal 2010, volto tra l’altro alla riduzione di costi generali e delle ridondanze, al più efficace uso delle tecniche manageriali e delle nuove tecnologie alla riduzione delle spese per contratti, nonché alla valutazione idi chiusura per alcune basi (Base Realignment and Closure).
Sotto il secondo profilo, la Difesa si rende conto che non è possibile ottemperare all’entità dei tagli richiesti dal Congresso nel 2011 senza procedere a una rivisitazione della dimensione delle forze e degli investimenti connessi, alla luce comunque delle priorità strategiche individuate nella guidance.
Per quanto riguarda il focus su Asia/Pacifico, sarà fornita nuova enfasi alle forze aeronavali, sostenendo nel contempo la presenza di forze di terra. Con l’avvio della annunciata transizione in Afghanistan, la regione diventerà progressivamente sempre più "marittima". Conseguentemente, saranno mantenuti gli attuali assetti di portaerei, di bombardieri, la flotta anfibia; sarà sostenuta la struttura delle forze dell’Esercito e dei Marines nei Pacifico, assicurando comunque la presenza in Medio Oriente. Saranno poi finanziati il dispiegamento di unità costiere e da pattugliamento, e lo sviluppo di una base avanzata galleggiante per il supporto di missioni antisminamento in aree che non consentono l’accesso da terra.
Per mantenere l’operatività di tali forze, saranno necessari investimenti volti a garantire la libertà d’azione anche di fronte a nuove tecnologie atte a limitare l’accesso. La priorità è assicurare la proiezione delle forze e la capacità di colpire rapidamente a distanza. Quindi saranno finanziati un nuovo bombardiere, le comunicazioni e l’electronic warfare, nuove potenzialità per l’impiego di missili da crociera per i futuri sommergibili classe "Virginia", nuovi missili aria - aria e radar.
Per assicurare le risorse necessarie allo sviluppo di queste priorità, sarà ridotto il numero complessivo di navi di nuova costruzione e accelerata la radiazione di unità esistenti, nonché ridotta la struttura\generale dell’Aeronautica, privilegiando le unità multi ruolo rispetto alle capacità "di nicchia".
Per ciò che concerne la posture americana nel mondo, di particolare interesse è il parziale disimpegno nel continente europeo, con un previsto ritiro di due Brigade Combat Teams (BCT). Naturalmente il Pentagono ha chiarito che già da vari anni tali unità erano impegnate in Afghanistan e Iraq, e che altre due BCT saranno impegnate a rotazione sul suolo europeo; inoltre, saranno mantenuti gli assetti aerei e sarà incrementata la collaborazione tra forze speciali e, soprattutto, nella difesa missilistica NATO.
Sarà avviato un intenso e diffuso programma di ricerca di partnership a tutti i livelli (NATO, comandi Combattenti, Comando Operazioni Speciali, Centri di Studi Strategici, etc.), a basso impatto ma di grande efficacia, anche attraverso il Global Security Contingency Fund, che sarà operato congiuntamente al Dipartimento di Stato(14).
Una struttura delle forze ridotta comporterà minore capacità di condurre operazioni in regioni diverse, non più in grado di sostenere due maggiori campagne contemporaneamente. L’evoluzione dalla two war strategy, adottata ai tempi della guerra fredda, necessita di comprendere la diversa natura dei conflitti, che richiedono nuovi concetti operativi resi possibili dai progressi nell’aerospazio, nelle operazioni speciali, nella capacità di precision-strike e nel dominio cyber.
Si rende quindi necessaria una forza rapidamente proiettabile e capace di svolgere una vasta gamma di missioni: da qui la necessità di mantenere gli assetti aeronavali e anfibi.
La deterrenza strategica sarà mantenuta attraverso la c.d. triade (bombardieri nucleari e convenzionali, missili balistici intercontinentali e sottomarini lanciamissili). Sarà approvvigionato un nuovo bombardiere, ma saranno rallentati i programmi di sostituzione dei sommergibili, nell’ottica generale della Casa Bianca di rivedere la deterrenza con una differente forza nucleare.
La forza sarà ridimensionata, ma potrà avvantaggiarsi delle esperienze acquisite nell’ultimo decennio di guerra, che hanno indicato la necessità di aumentare gli investimenti in capacità chiave. In particolare, le forze speciali, le unità di Unmanned Aerial Vehicles (in particolare i Predator, per disporre di 65 - 85 combat air patrols dell’Aeronautica, rallentando l’acquisizione di Reaper e proteggendo il programma Gray Eagle dell’Esercito) e gli assetti ISR (Intelligence, Surveillance, Reconnaissance) senza equipaggio in mare. Sono esplicitamente citate inoltre le operazioni cyber (offensive e difensive), la difesa missilistica (Phased Adaptive Approach in Europa, preservato attraverso altre riduzioni nei programmi missilistici regionali e con un maggiore ricorso ai partner), i sistemi spaziali, il contrasto alla proliferazione di armi di distruzione di massa e in genere gli investimenti in scienza e tecnologia. La componente chiave della guidance è comunque la capacità di proiezione, anche in ambienti sottoposti alla minaccia d’interdizione d’area, che sarà preservata attraverso la protezione di importanti capacità quali le portaerei, il nuovo bombardiere, la modernizzazione della flotta di superficie, miglioramenti alle bombe di piccolo diametro e le capacità cyber, gli assetti antisommergibile e per lo sminamento.
Tali investimenti dovranno trovare un’adeguata compensazione nel ripensamento della dimensione e dei costi di alcuni programmi. Il trasporto tattico aereo vede la dismissione dei C27J, considerata capacità di "nicchia".
Altri programmi vengono terminati o rallentati in quanto soffrono di aumenti di costi e problemi di performance, tra cui il F35-JSF (di cui verrà diminuita la quantità approvvigionata), l’Army Ground Combat Vehicle, il Defense Weather Satellite System, diverso munizionamento e capacità missilistiche, e il Global Hawk Block 30, che pur riguardando un settore chiave quale l’ISR, è ritenuto eccessivamente costoso e ridondante rispetto alle capacità già in possesso di USA (il Global Hawk Block 40 e l’U2 dell’Aeronautica, il Broad Area Maritime Surveillance della Marina) e NATO (Alliance Ground Surveillance).
Anche l’High Mobility Multipurpose Wheeled Vehicle (HMMWV) viene ritenuto eccessivo rispetto alle esigenze e terminato, per focalizzare le risorse sulla modernizzazione del Joint Light Tactical Vehicle.
Le forze non saranno più dimensionate per operazioni di stabilizzazione a lungo termine. Con la fine delle campagne maggiori, le forze di terra subiranno una contrazione di effettivi: l’Esercito passerà da 562.000 a 490.000 e il Corpo dei Marines da 202.000 a 182.000 in sei anni, conservando l’expertise maturata per condurre addestramento in tema di counterinsurgency e assistenza a forze dei paesi partner(15). Ne consegue anche un diverso approccio per il procurement di tali forze, con una modernizzazione focalizzata sull’irregular warfare.
Centrale, comunque, nel documento e nell’intera visione della guidance, è il concetto di mantenimento del potenziale per futuri aggiustamenti o contingenze (reversibilità), attraverso la possibilità di rigenerale le forze, la mobilitazione della Riserva e in generale preservando struttura, organizzazione di formazione e quadri dell’Esercito.
Infine, si comincia a pensare a soluzioni future per la limitazione dei costi del personale, divenuti insostenibili, pur preservando l’attuale forza duramente provata da un decennio di conflitti.
Naturalmente, anche la preparazione e le conclusioni del Summit NATO di Chicago(16) del maggio 2012 riflettono i più recenti orientamenti: da parte USA, l’obiettivo è agevolare la predisposizione della struttura delle forze NATO per il 2020, analogamente a quanto proceduto per quelle americane, tenendo conto delle nuove priorità della Strategic Guidance.
Oltre a riaffermare gli impegni per la conclusione della transizione in Afghanistan (2014, con un sostegno assicurato comunque anche successivamente), il vertice ha ribadito le priorità individuate a Lisbona, alla luce delle più recenti ristrettezze economiche(17), che hanno fatto spostare in avanti, sino al 2020, l’orizzonte temporale degli obiettivi.
A Lisbona, i leaders NATO avevano ritenuto necessaria una revisione della posture dell’Alleanza nella deterrenza e difesa dall’intero spettro delle minacce, tenendo conto dell’evoluzione della situazione. A Chicago, sono stati resi pubblici i risultati di tale revisione (Deterrence and Defence Posture Review(18)).
La NATO è impegnata a mantenere un giusto mix di capacità nucleari, convenzionali e di difesa missilistica, per far fronte ai diversi impegni assunti nel Concetto Strategico approvato a Lisbona.
Sarà quindi garantito il possesso di capacità necessarie per assolvere i compiti essenziali di difesa collettiva, gestione delle crisi e sicurezza cooperativa cui la NATO si è vincolata.
A tal fine, è stato approvato anche un separato documento, la Summit Declaration on Defence Capabilities: Toward NATO Forces 2020(19), che enuclea le capacità che saranno sviluppate per definire le forze NATO nel prossimo ventennio.
La partenership transatlantica è ritenuta ancora più importante, specie in un momento di acuta crisi finanziaria, e si vede con favore un maggiore impegno dell’Europa e un accrescimento della capacità militari europee, affermando la complementarietà della iniziativa europea di pooling and sharing(20) alla Smart Defence NATO, che si rafforzano reciprocamente.
Gli obiettivi fissati a Lisbona per le forze NATO sono disporre, nel 2020, di forze moderne e interconnesse, equipaggiate, addestrate e comandate in modo tale da poter operare congiuntamente o con altri partner in qualunque dominio operativo.
Nella Summit Declaration viene dichiarata la interim ballistic missile defence capability, come passo iniziale per l’istituzione di un sistema di difesa missilistica NATO a protezione dell’Europa e delle forze europee, dalle minacce costituite dalla proliferazione di missili balistici, basato sui concetti di indivisibilità della sicurezza dell’Alleanza, della solidarietà e della condivisione di rischi e costi. Inoltre, viene annunciato il dispiegamento dell’Alliance Ground Surveillance system, basato su Unmanned Aerial Vehicles (UAV) e sensori radar per aumentare le capacità intelligence, surveillance and reconnaissance (ISR) della NATO in un vasta gamma di missioni, quali, la roteazione delle forze, la gestione delle crisi, le peace support operations, la sicurezza delle frontiere e marittima, l’assistenza umanitaria.
Vengono poi citati la missione di air policing nel Baltico, lo snellimento della struttura di comando, e il progresso nello sviluppo di un numero di capacità critiche, già individuate a Lisbona: la difesa dagli attacchi cyber, il sistema di comando e controllo aereo, e l’incremento delle capacità in Afghanistan per lo scambio di informazioni intelligence e contro gli improvised explosive devices (IED). Naturalmente, grande enfasi è attribuita al concetto di smart defense, intesa quale modo in cui le capacità sono sviluppate e acquisite secondo le giuste priorità.
Occorre individuare un approccio innovativo, cooperativo, per acquisire le capacità chiave, definire le priorità e consultarsi preventivamente in caso di mutamento dei piani di difesa.
La cooperazione a livello di Paesi NATO e partner, così come a livello industriale, è ritenuta essenziale per acquisire le capacità necessarie nel 2020.
La smart defense si incentra proprio sulla necessità di sviluppare progetti comuni, quali la force protection, le capacità intelligence, surveillance and reconnaissance (ISR) e l’addestramento, che facilitano l’efficienza operativa, le economie di scala e la cooperazione.
La Smart Defence quindi rappresenta un profondo cambio di mentalità incentrato sulla partnership e sulla cooperazione. Sulla stessa linea, devono essere moltiplicati gli sforzi per sempre maggiori connessioni e interoperabilità tra alleati e con i partners, come l’operazione in Libia ha dimostrato. In tale ambito, particolare importanza riveste la Connected Forces Initiative, per espandere l’interoperabilità attraverso l’addestramento e le esercitazioni al fine di complementare gli sforzi nazionali e integrare sempre più le forze a livello di dottrina, procedure, linguaggi, comando e controllo, al fine soprattutto di ridurre i tempi d’intervento.


7. I più recenti sviluppi
 
Subito dopo la pubblicazione della Strategic Guidance, il Chairman of the Jont Chiefs of Staff Gen. M. Dempsey ha presentato il Joint Operational Access Concept (JOAC) inteso quale parte integrante di un approccio più ampio volto a fronteggiare le minacce di anti access/area denial (A2/AD), già affrontate dalla Guidance. L’ambiente operativo odierno e futuro è caratterizzato da complessità e crescente rapidità di evoluzione, quest’ultima legata essenzialmente alla quantità di informazioni accessibili, disponibili e che si riescono a processare. Il mondo, inoltre, diviene sempre più pericoloso anche a causa della "democratizzazione" della tecnologia, resa disponibile per un crescente numero di di attori statali e non. La situazione di crisi economico/finanziaria contribuisce a complicare il quadro.
Un simile futuro ambiente operativo richiede quindi necessariamente un approccio olistico, comprensivo, interforze, per garantire alle forze l’accesso operativo ai diversi ambienti. L’accesso delle forze USA ai domini operativi può essere complicato, oltre che dalle precondizioni anteriori ai conflitti, anche dai recenti trends nella proliferazione di armi e tecnologie idonee ad azioni di A2/AD, nonchè dalla stessa evoluzione della posture statunitense nel mondo e dalla crescente importanza dello spazio e del cyberspazio.
Le ipotizzabili limitazioni a tale accesso non sono specifiche, ma sono legate ai singoli domini: possono quindi essere geografiche, o anche virtuali, come nel caso dell’ambiente cyber, ovvero legate a capacità tecnologiche acquisite dal nemico, quali quelle missilistiche o le armi di distruzione di massa. Si può solo anche trattare di un aumento del tempo reso necessario per l’accesso nei diversi domini.
A tali possibili ostacoli, vanno poi aggiunte le minacce asimmetriche c.d. low tech, sia nei domini tradizionali (dagli Improvised Explosive Devices ai piccoli natanti, o ai laser), che in quelli nuovi (cyber e spazio) che si preannunciano particolarmente contesi nel futuro.
Nel documento, l’Operational Access viene inteso come possibilità di proiezione della forza in qualsiasi ambiente operativo (compreso l’ambito cyber), con sufficiente libertà d’azione per poter concludere la missione, ed è propedeutico alla protezione di interessi nazionali più ampi, volti a garantire l’utilizzabilità dei c.d. global commons (spazio aereo, marittimo e cyberspazio).
In tale contesto, il documento affronta le possibili minacce derivanti dalle azioni anti - access (a lungo raggio, volte a impedire l’ingresso in un dominio operativo), ovvero di area denial, a breve raggio, funzionali a limitare la libertà di movimento in un determinato ambiente.
Il rischio che un eventuale nemico possa trarre un eccezionale vantaggio operativo dalla capacità di A2/AD è ritenuto uno dei principali problemi militari del prossimo futuro.
Per fronteggiare tale sfida, l’idea centrale è costituita dalla cross-domain synergy, attraverso la quale le joint forces dovranno garantire la superiorità complessiva in una combinazione di domini, consentendo lo sviluppo della missione. Conseguentemente, la superiorità in ciascun dominio può essere anche solo momentanea, agendo nelle dimensioni spazio/tempo.
Tale impostazione richiede naturalmente un’integrazione interforze sempre maggiore, anche a livelli bassi, aggiungendo costantemente la pianificazione nello spazio e nel cyberspazio ai domini operativi tradizionali.
A tal fine, il concetto operativo, oltre a individuare una serie di principi volti ad assicurare l’accesso operativo ai singoli domini alla luce della più ampia missione, identifica 30 capacità chiave delle Joint Forces, il cui sviluppo e mantenimento è considerato di importanza profonda nel futuro e che dovranno riflettersi anche nella corrispondente evoluzione di soluzioni comprensive da parte delle singole forze armate, non solo riguardo ai materiali, ma anche alla dottrina, all’organizzazione, all’addestramento, al personale. Tale vasta gamma di capacità può essere utilizzata anche per costruire partnership che possono rivelarsi fondamentali.
Lo scopo del JOAC è fornire un quadro comune concettuale per lo sviluppo di soluzioni interforze atte a garantire l’accesso, specie nella nuova ottica generale del comando definita mission command, ovvero funzione del comando intesa in senso decentrato, in un ambiente in cui l’accesso è potenzialmente limitato, ove ciascun comandante, spesso isolato, si trova meno vincolato da una rigida catena di comando e controllo, e quindi deve agire in modo più indipendente per perseguire l’intento generale alla base della missione.
Come ricordato dal Gen. Flynn(21), gli USA si rendono conto che la superiorità indefinita in tutti i domini di cui godono dalla fine della guerra fredda, da quando cioè hanno potuto avere un accesso quasi illimitato ai c.d. global commons e in sintesi una completa libertà d’azione, protetta da una assoluta superiorità tecnologica si sta avviando alla sua conclusione, e quindi occorrerà presto combattere per la superiorità nei singoli ambienti operativi. Lo stesso Flynn ha poi evidenziato che il concetto di mission command costituirà nel futuro un pilastro di tale impegno.
La ormai prioritaria tematica dell’anti access/area denial viene affrontata dal Dipartimento della Difesa anche attraverso il c.d. Air/Sea Battle Concept (ASBC), previsto dalla Quadriennial Defense Review del 2010 e avviato nel 2011 dal Segretario Panetta nella citata Defense Planning Guidance (classificata), che prevede l’integrazione tra le forze in tutti i domini operativi al fine di fronteggiare minacce alla libertà d’azione e all’accesso ai global commons da parte delle forze statunitensi. Tale concetto, tuttora all’esame di un gruppo di lavoro congiunto, prevederebbe, in particolare, un aumento degli investimenti per la Navy e l’Air Force, destinatarie dei più significativi sforzi d’integrazione.
Il Dipartimento della Difesa ha precisato che le minacce alla libertà d’azione statunitense si avvalgono della recente evoluzione tecnologica di piattaforme missilistiche sottomarine, aeree, navali e cibernetiche sviluppate da attori statali - tra i quali la Cina e l’Iran - e, in misura minore, anche non statali quali Hezbollah e gruppi talebani.
L’ASBC costituisce il frutto di anni di elaborazioni dottrinali, volte a definire le modalità con cui gli Stati Uniti possono confrontarsi con competitori di rango corrispondente, o minacce asimmetriche di alto profilo. Tale concetto, che si ritiene influenzerà notevolmente la posture e la dottrina delle forze areonavali statunitensi nel futuro, assume importanza anche per gli alleati, soprattutto per quelli regionali in Asia/Pacifico e nel Golfo Persico, considerato il teatro nel quale sono più presenti le c.d. minacce di anti access/area denial (cit. A2/AD, interdizione d’area), e rappresenta anche un segnale significativo alla Cina.
Si tratta di proteggere la libertà d’azione statunitense - specie nel dominio marittimo - nei c.d. choke points, quali lo stretto di Hormuz, il Canale di Suez, il Golfo di Aden e il mar Cinese Meridionale, che alcune nazioni rivierasche potrebbero tentare di interdire al passaggio delle forze statunitensi(22).
Occorre poi contrastare la capacità d’interdizione acquisita da alcune nazioni, tra le quali potenziali avversari, che si sono dotati di armamento convenzionale di alta precisione, quasi al livello di quelle statunitensi.
Il Capo di SM dell’Air Force, Gen. Schwartz e il Chief of Naval Operations della US Navy Amm. Greenert hanno esplicitato le basi del concetto (tuttora in elaborazione) in un articolo su The American Interest nel febbraio 2012, (Air-Sea Battle: Promoting Stability in an Era of Uncertainty(23)), con uno specifico focus su messa in rete e integrazione delle forze, al fine di consentire attacchi in profondità. Ciò implica la possibilità di attaccare forze nemiche direttamente ovunque si trovino, piuttosto che raggiungere un obiettivo solo dopo aver eliminato tutte le sue difese.
La logica conseguenza sarà lo sviluppo di rafforzate e più efficienti comunicazioni interforze, a diversi livelli di comando, che consentiranno il coordinamento di operazioni nei diversi domini.
Essenzialmente, quindi, l’ASBC è volto a consentire libertà di accesso e manovra per la distruzione di piattaforme e reti di comunicazione, comando e controllo di un potenziale nemico, che potrebbero interdire tale libertà d’azione proprio all’inizio di un ipotetico conflitto, e quindi fornire all’avversario un vantaggio politico/strategico. Ciò potrebbe anche quindi includere l’attacco diretto sul territorio nemico piuttosto che a unità proiettate in teatro.
Lo scopo di tale concetto, tuttora in elaborazione, è comunque anche di agevolare l’integrazione interforze, sul piano sia dottrinale che del procurement. Riguarda specificamente la Marina e l’Aeronautica, ma il Pentagono si è preoccupato di menzionare anche le altre forze armate.
Il contrasto alla controinterdizione richiede infatti assetti aerei unmanned aerial vehicles (UAV), marittimi (sommergibili, capacità di sminamento), ma anche anti-IED (Improvised Explosive Devices) con robot terrestri, e cyber.
Naturalmente, tale approccio riflette il maggiore peso che sta acquisendo complessivamente il dominio marittimo, anche a seguito dell’inedito rinnovato interesse cinese alla proiezione della sua forza navale. In realtà, si presenta come l’erede delle operazioni condotte nel Pacifico durante la II Guerra Mondiale, basate sul dispiegamento navale e sugli sbarchi anfibi, protetti dalla copertura aerea. La cross-domain synergy quindi si delinea non solo come una necessità operativa ma anche come una via per aumentare l’efficacia e l’efficienza dello strumento in ogni operazione.
In sintesi, la sinergia e l’integrazione dovrebbero consentire alle forze americane appartenenti a diverse forze armate e anche dislocate in basi diverse di operare secondo "multiple, indipendenti linee di operazioni", permettendone un impiego congiunto per "manovrare contro obiettivi chiave da una distanza strategica". Si tratta quindi di un concetto che definisce come consentire alle forze di raggiungere l’obiettivo - superando gli sforzi del nemico per impedire l’accesso all’ambiente operativo - ma non come ingaggiare poi il nemico stesso in un eventuale futuro combattimento ovvero permanere nella stessa area, superando l’interdizione nemica. L’obiettivo vitale politico/strategico degli Stati Uniti è il mantenimento della capacità di giungere e operare nei diversi teatri.
Attualmente il Pentagono è impegnato poi nella elaborazione del nuovo Capstone Concept for Joint Operations (CCJO), (destinato a sostituire il precedente documento del 2009), che ha lo scopo di connettere la Strategic Guidance a una futura dottrina interforze che definirà meglio nel dettaglio la concezione e il supporto delle operazioni militari, e che fungerà da guida per il procurement. Tale concetto che segue [ma in teoria dovrebbe aver preceduto il citato Joint Operational Access Concept - (JOAC)] richiede alle forze armate una nuova e forte sinergia per garantire il mantenimento dell’accesso a domini "contestati" marittimi, aerospaziali, cyber e terrestri, di fronte all’emersione di nuove tipologie di armamenti, a corto e lungo raggio, atte a impedire libertà d’azione.
Il processo in atto si basa sull’importanza attribuita alle forze speciali, alle operazioni nel dominio cyber e soprattutto, al fine di prepararsi al rapido passo richiesto dalle minacce future, sulla sinergia interforze fino ai più bassi livelli, per sostenere l’unità degli sforzi pur conservando l’agilità e sviluppando una common operating picture per operazioni cinetiche e cyber, adottando altresì un approccio decentralizzato, espandendo il concetto di mission command e prevedendo operazioni più distribuite da parte di unità più piccole.
L’attuale Chairman of the Joint Chief of Staff Gen. Dempsey, in un discorso in febbraio ad Harvard(24), ha dichiarato che il mondo sembra attualmente meno pericoloso che in passato, ma la realtà è ben diversa: "essenzialmente lo descriverei quale paradosso della sicurezza. Anche se le correnti geopolitiche portano ad aumentati livelli di pace e stabilità mondiale, le tecnologie distruttive sono alla portata di un gruppo di avversari più ampio ed eterogeneo". Dempsey ha dichiarato di essere preoccupato che tali tecnologie si diffondano orizzontalmente attraverso le forze armate dei vari paesi e proliferino verticalmente verso attori non statali, quali gli insorti, i gruppi terroristici e la criminalità organizzata transnazionale. "Il risultato è che un maggior numero di persone ha la capacità di danneggiarci o di negarci la capacità di agire. E questo è il paradosso della sicurezza".
Le munizioni guidate con precisione e le capacità sofisticate di guerra elettronica non sono più esclusivi alle forze armate statunitensi. "L’accesso dei nostri potenziali avversari alla microelettronica dà loro la capacità sempre maggiore di ostacolare proprio i sistemi che ci danno il vantaggio nel campo di battaglia: le nostre reti di computer, i nostri sensori e la nostra navigazione di precisione. Abbiamo ancora diversi vantaggi ma il margine di errore si è ridotto".
Da ultimo, il Congresso ha chiesto alla Difesa un rapporto su come poter procedere a fronteggiare e invertire eventuali cost imposing strategies che potrebbero essere state messe in atto da Cina ed Iran per indurre gli USA a mantenere un’alta spesa complessiva per la difesa per fronteggiare le nuove capacità d’interdizione d’area di quei due Paesi. Tali strategie, note per aver a suo tempo agevolato di fatto il crollo dell’URSS, potrebbero ora essere utilizzate ai danni degli americani da parte di attori, statali e non, che dotandosi di minori capacità di carattere asimmetrico possono indurre gli Stati Uniti a sostenere costi notevolmente superiori per fronteggiarle.
In tale contesto, si inserisce anche il dibattito sull’esigenza di non investire eccessivamente risorse in quei settori [quali gli unmanned aerial vehicles (UAV)] che sono stabilmente dominati degli USA e sui quali non si intravedono nuovi contendenti a livello internazionale.


8. Lezioni apprese dopo l’11 settembre 2001

Dopo la fine della Guerra fredda, e dopo le numerose operazioni sia di mantenimento della pace che di combattimento contro attori statali condotte sino al 2001, le forze americane si sentivano fiduciose della loro capacità, e nella "Rivoluzione negli affari militari" [revolution of military affairs (RMA), l’integrazione delle componenti informative ed operative per creazione di capacità di distruggere il centro di gravità avversario a distanza, con minime perdite], sfruttando un vantaggio tecnologico evidente e incolmabile. Dopo il 2003, nel teatro iracheno la natura degli insorti e le tattiche asimmetriche adottate hanno tuttavia mitigato tale vantaggio, determinando una riflessione.
Il fattore principale del successo tattico in Iraq è stata la riscoperta dei principi di counterinsurgency (COIN) appresi nelle guerre precedenti, applicate tramite la concentrazione di un numero di truppe a terra sufficiente per fornire sicurezza alla popolazione e attraverso l’adozione dell’approccio sistematico di "liberare, mantenere e costruire". Man mano che progrediva la guerra in Iraq, gli eserciti e le forze aeree hanno adattato alcuni strumenti della RMA alla controinsurrezione, compreso l’impiego di velivoli senza pilota per fornire costante sorveglianza, armi di precisione e reti di comando e controllo ad alta capacità per un accurato targeting, avvalendosi anche di una migliore raccolta, analisi e integrazione delle informazioni tattiche e strategiche.
Le operazioni in Iraq e Afganistan, e successivamente in Libia, sono state, fin dall’inizio, "interforze" data la necessità di una integrazione ravvicinata delle forze aeree e terrestri e, in seconda battuta, anche navali. Inoltre, la militare e l’ampliamento delle operazioni al c.d. nation building coinvolgono sempre più agenzie e dipartimenti non militari, a tutti i livelli governativi, con particolare riferimento alle forze di polizia.
Le forze armate devono spesso operare in aree nella quale si sovrappongono insurrezioni e criminalità, traffici illeciti e ordine pubblico. Inoltre, devono tener conto di nuovi ambienti operativi, come il dominio cyber.
Tutti questi fattori hanno influito sul futuro sviluppo delle forze armate occidentali che, dopo le guerre dell’ultimo decennio, saranno chiamate a concentrarsi maggiormente su sfide strategiche sempre più diversificate e vaste, con effetti anche sullo sviluppo delle forze armate non occidentali.
Tali tendenze sono evidenti nello sviluppo delle diverse tipologie di forze. Per quanto riguarda quelle terrestri, durante l’ultimo decennio la guerra tradizionale è stata sostanzialmente limitata al primo mese dell’Operazione Iraqi Freedom nel 2003 ed alla breve guerra fra Russia e Giorgia nel 2008. In ambo i casi è stata dimostrata la vulnerabilità degli eserciti convenzionali nei confronti di un avversario con superiorità di potenza di fuoco, potenza aerea e capacità  intelligence, surveillance, target acquisition and reconnaissance (ISTAR).
Il cambiamento di regime in Iraq e Afganistan è stato invece seguito da protratte operazioni counterinsurgency, comprese le iniziative per stabilire nuove forze di sicurezza locali attraverso l’addestramento e il mentoring. Tali esperienze hanno cambiato molto la struttura degli eserciti occidentali e le lezioni apprese - con i connessi sviluppi nei sistemi d’arma - probabilmente influiranno a loro volta sullo sviluppo degli eserciti non occidentali.
Mentre le guerre in Iraq e Afganistan hanno confermato la validità dei principi classici della counterinsurgency (compreso il primato della politica, del rivolgersi alle cause fondamentali dell’insurrezione e del progresso in tutte le aree di governo e sviluppo) è evidente che, assente una efficace sicurezza locale, non c’è nulla che possa sostituire un gran numero di truppe a terra o la capacità di condurre operazioni multinazionali di combattimento armato.
Benché i conflitti principali dopo il 2001 si siano principalmente svolti a terra, le forze navali sono state comunque coinvolte in una vasta gamma di ruoli, dall’assalto anfibio al supporto aereo, al pattugliamento marittimo e alle manovre costiere. Tuttavia, l’obiettivo principale è stato comunque il contrasto alle minacce asimmetriche, particolarmente al terrorismo, alla pirateria, alla lotta contro traffici illeciti e alla minaccia proveniente da unità di attacco veloce (fast attack craft).
Le forze navali hanno sviluppato l’utilità e la progettazione delle piattaforme, l’integrazione con le forze aeree e speciali ed il ruolo, in via di sviluppo, delle armi non letali. I paesi sviluppati stanno seguendo programmi che coinvolgono unità multiruolo, anche in funzione della necessità di mantenere flotte sufficienti e migliorare le capacità delle piattaforme nel contesto della limitazione dei fondi.
L’importanza crescente del controllo dei mari è comunque ormai palese e connessa all’esigenza di riaffermare la leadership americana nel mondo, specie nello scacchiere asiatico, ove la libertà d’azione statunitense nel dominio marittimo può essere messa in discussione in futuro.
I conflitti avvenuti dopo l’11 settembre in Iraq, Afganistan e Libia hanno poi sottolineato l’importanza strategica della potenza aerea nel produrre effetti cinetici e non, e nel fornire intelligence, surveillance, reconnaissance (ISR). La crisi economica influisce profondamente sulle forze militari aerospaziali, particolarmente in Europa, e, unitamente alle lezioni apprese dei recenti conflitti, aiuta a portare avanti sviluppi nella tecnologia, nell’uso e perfino nella teoria della potenza aerea e spaziale.
Anche se nessuno mette in dubbio l’utilità attuale della potenza aerea, negli Stati Uniti (dove la potenza aerea è da molti anni centrale alla capacità nazionale di combattimento e deterrenza) si riflette molto sulla direzione futura da intraprendere. I conflitti recenti hanno creato una incertezza dottrinale su come meglio configurare la forza aerea e l’aviazione militare USA di fronte ad un caleidoscopio di minacce emergenti.
Tali conflitti hanno quindi modificato profondamente il tipo di operazioni militari eseguite dalle forze armate occidentali. L’adattarsi alle condizioni terrestri in Iraq e Afganistan ha costituito una sfida che è stata affrontata con successo solamente quando è stato schierato un numero di truppe sufficiente per permettere un’anti-insurrezione sostenuta; tale strategia ha necessitato la riacquisizione di specifiche capacità e risorse e l’adattamento di equipaggiamenti attuali e l’acquisto di nuovi equipaggiamenti per poter soddisfare le esigenze di teatro.
La difesa e l’industria sono quindi impegnate ora a definire come aumentare la ricettività nella programmazione degli acquisti in modo che le capacità possano essere adattate piuttosto attraverso il flusso tradizionale di acquisizione anziché tramite urgenti requisiti operativi, per limitare i vertiginosi aumenti di costi dei programmi e facilitare economie di scala. Allo stesso tempo, gli stati occidentali stanno definendo la ridestinazione di mezzi a materiali resi disponibili dopo il ritiro dall’Afghanistan.
Inoltre, da parte di tutte le forze armate coinvolte nelle recenti campagne occidentali, è sempre più apprezzata la capacità di proteggere la vita dei civili, molto importante dal punto di vista politico, con conseguenti restrizioni nelle regole di combattimento. Viene data maggiore importanza agli equipaggiamenti speciali e alle forze snelle, a configurazione variabile e siano relativamente poco costose, quali appunto le special forces.
Alcune lezioni apprese negli ultimi dieci anni sono destinate a prolungare i loro effetti nel tempo, come ad esempio l’importanza dell’ISR e della protezione delle forze, che vedranno un aumento di investimenti. La flessibilità delle piattaforme e delle forze forniscono ulteriori lezioni: è stata dimostrata l’importanza dell’addestramento e dell’adattamento alle mutevoli esigenze delle campagne militari.
Inoltre, grande importanza va attribuita alla scoperta da parte del nemico del vantaggio asimmetrico, che potrà essere perseguito nei diversi domini, ad esempio con azioni nell’ambiente cyber o con gli Improvised Explosive Devices (IED).
L’impopolarità delle guerre in Iraq e Afghanistan potrebbe rendere in futuro più difficile la considerazione dell’uso della forza che non a seguito dei conflitti balcanici degli anni ’90, particolarmente se è probabile che un conflitto coinvolgerà un considerevole impegno di terra. Inoltre, con i bilanci per la difesa già in diminuzione e che rischiano di diminuire ancora di più per via del ritiro dall’Afghanistan, sarà più difficile un mantenimento in teatro del numero considerevole di personale utilizzato nelle recenti campagne di counterinsurgency.
I governi non occidentali, che spesso hanno differenti esperienze e priorità di carattere regionale o locale, potrebbero guardare verso l’occidente per acquisire e mutuare capacità, organizzazioni e tattiche, ma potrebbero essere meno limitati dall’aspetto finanziario.
Dopo le recenti decisioni di avvio del ritiro dall’Afghanistan, la dottrina sulla counterinsurgency è entrata al centro del dibattito(25), tra coloro che ritengono che lo sforzo in termini di perdite umane e costi finanziari sia stato eccessivo rispetto agli obiettivi, e i sostenitori invece dell’originale concezione del nation building e del comprehensive approach. È chiaro a tutti ormai, comunque, che alcuni successi sono indubbiamente stati ottenuti - a caro prezzo - ma che un duraturo nation building è uno sforzo realmente dispendioso, che necessita di investimenti a lungo termine, forse non sostenibili. Un’attività nella quale invece si sono registrati successi unanimemente riconosciuti è costituita dalla sinergia intelligence/forze speciali, cui si affianca l’azione dei droni per l’acquisizione di informazioni e l’attacco a obiettivi mirati. Tali azioni, nonostante abbiano comportato in alcuni casi vittime civili, hanno consentito di decimare la leadership di al Qaeda e quindi in sostanza di vedere all’orizzonte una vittoria importante al termine del decennale conflitto contro le reti del terrore.
Infine, tutte le lezioni apprese comunque confermano l’essenzialità per il futuro dell’interoperabilità tra le singole forze armate e tra queste e i partners internazionali, e l’importanza di non riporre eccessiva fiducia nel c.d. network-centric warfare, che potrebbe essere oggetto di attacchi asimmetrici da parte di un eventuale nemico. Il problema futuro tuttavia è la sostenibilità complessiva: le capacità militari e la struttura delle forze, che non possono essere modificate celermente, si trovano di fronte oggi a serie minacce asimmetriche, ad alta o bassa tecnologia(26).
La prima tipologia interessa soprattutto la net-centric warfare, l’integrazione in rete delle componenti informative ed operative prodotta dalla Revolution of Military Affairs (RMA), pensata per travolgere rapidamente le forze convenzionali.Il secondo tipo di minaccia asimmetrica, a bassa tecnologia, colpisce al cuore le strategie di counterinsurgency e il relativo comprehensive approach, deteriorando la situazione di sicurezza generale dell’area di responsabilità e quindi rendendo insostenibile un intervento a lungo termine. Inoltre, armi, tecniche e mezzi a basso costo, agendo nell’ambito dei c.d. global commons (come l’ambiente cyber) possono agevolare l’interdizione d’area, con grandi effetti sul piano politico - strategico.


9. Il Focus sull’Asia - Pacifico

I pilastri della politica estera e di difesa americana, dall’inizio della Guerra fredda, sono tradizionalmente la deterrenza nucleare e il containment, volto a limitare l’espansionismo del blocco avversario.
Anche oggi, in realtà, la difesa si sta riposizionando secondo quelle che sono state definite le sue costanti geopolitiche(27): dominare gli oceani(28), garantirsi la libertà d’azione sui global commons, evitare la creazione di potenze egemoni in Eurasia e nel regioni critiche come il Golfo, proteggere il suo territorio dai missili e dal terrorismo. Dopo le "distrazioni" della guerra al terrorismo, l’America riscopre le sue reali priorità di leader mondiale e le possibili sfide a questa leadership.
Il rapporto annuale che il Pentagono presenta a Congresso sulla Cina(29) conferma i sospetti americani sullo sviluppo della difesa cinese, giudicata poco trasparente e diretta verso la proiezione di potenza, che viene giudicata potenzialmente competitiva con quella americana verso il 2020/2030, anche attraverso capacità d’interdizione d’area.
Washington teme che il proprio vantaggio strategico - inarrivabile sul piano tecnologico e della potenza militare complessiva - sia nel tempo colmato da Pechino attraverso capacità missilistiche anti-nave e asimmetriche, tra cui quelle operanti negli ambienti spaziali e cyber.
La Cina può dotarsi di un missile balistico in grado di colpire la VII flotta, da sempre espressione della presenza americana nel mar Cinese Meridionale, di armi antisatellite, e sta sviluppando elevate capacità cyber e nella gestione di informazioni. Anche l’impegno nelle operazioni antipirateria avrebbe in realtà un doppio fine.
Questi atteggiamenti, giudicati pericolosi da Washington, potrebbero però essere ritenuti normali per una potenza emergente(30).
Per capire esattamente la direzione in cui si sta muovendo la difesa cinese, Washington quindi punta molto sui contatti tra i due livelli militari e sulla possibilità di costruire una cooperazione "dal basso", così come procede anche con molti altri paesi. I cinesi invece preferiscono un approccio "top/bottom", in cui i livelli militari sono coinvolti solo dopo la formazione di un consenso ad alto livello politico/strategico. La sensazione comunque è che si vada incontro a un latente confronto, nonostante la dichiarata intenzione di cooperare.
La Cina pensa sostanzialmente che gli USA vogliano impedirne un’ascesa a livello di potenza regionale, quindi vedono la proposta di cooperazione utile solo agli americani, e potenzialmente pericolosa per la corrosione del consenso interno e dei valori tradizionali. I partners regionali assumono un valore chiave nella questione, e temono la dominazione cinese al pari dell’accerchiamento americano.
La concezione cinese di sovranità è molto forte, e oltre alla questione centrale di Taiwan, si sente minacciata dalla costruzione da parte statunitense di una loro presenza sulla "doppia catena di isole"(31) intorno alla Cina. Quest’ultima quindi cerca di incrementare la potenza globale nazionale, per lo sviluppo dissimulato di capacità che possano dissuadere un intervento USA su Taiwan, e a sua volta costruisce una "collana di perle" di basi per allargare la propria presenza nonostante l’assenza di alleati, e tenta la promozione di sistemi nuovi di alleanze.
In ogni caso, la crescita del budget cinese per la difesa impensierisce il mondo occidentale e gli stessi Paesi asiatici anche a causa della mancanza di trasparenza(32).
A livello di dottrina, la Science of Military Strategy del 2005 del Peoplès Liberation Army (PLA) cinese afferma che pur essendo la "difesa attiva" il concetto centrale per la strategia cinese, si può considerare la necessità di attaccare per primi se un nemico pregiudica gli interessi nazionali, come se avesse "sparato per primo".
Il PLA, inoltre, dipende dal Partito Comunista Cinese, non quindi formalmente dal governo, e partendo da una forza ormai sproporzionata, ha avviato negli ultimi decenni una modernizzazione e messa in rete delle unità sul modello della Revolution on Military Affairs (RMA), attentamente studiata. I cinesi hanno trasformato la forza per renderla capace di imporsi in conflitti locali ad alta tecnologia, con campagne corte, veloci e limitate in orizzonte geografico e scopo politico.
Negli anni 2000 si è poi avviata l’informatizzazione generale degli assetti, adottando il concetto occidentale di C4ISR(33), avviando la fondazione delle forze moderne. Ora è in corso la necessaria e parallela "meccanizzazione" delle stesse (dispiegamento di piattaforme avanzate), solo al termine della quale tale processo di interconnessione potrà dirsi compiuto. Nel frattempo, la Cina si sta dotando di capacità chiave in ambito Intelligence, Surveillance and Reconnaissance (ISR), navale e sottomarino (convenzionale enucleare d’attacco) e di missili terra-aria e antinave, oltre che per operazioni nello spazio e nel cyberspazio. Si tratta, per la maggior parte, di capacità asimmetriche, non in grado di raggiungere quelle americane, ma di sfruttarne le vulnerabilità.
Lo scopo primo è naturalmente far fronte a un eventuale secessione ufficiale di Taiwan. Ma dal 2004 il PLA si è anche impegnato in altre missioni, quali il peacekeeping in ambito Nazioni Unite, e soprattutto i nuovi impegni di proiezione internazionale della marina, come le missioni antipirateria o l’evacuazione di lavoratori cinesi dalla Libia nel Mediterraneo. La Marina sembra costituire il vero e proprio "guardiano" degli interessi strategici cinesi sul Mar Cinese Meridionale, ricco di risorse (nel quale esistono contese territoriali con alleati degli Stati Uniti), nel proteggere i traffici commerciali globali. A tal fine, sta incrementando la propria flotta costiera e d’altura con incrociatori, fregate e catamarani con lanciamissili.
Tale crescita intimorisce i paesi confinanti, che temono che le capacità d’interdizione cinese possano far loro venir meno il supporto degli Stati Uniti nella regione. D’altronde, è da notare che le forze armate cinesi soffrono un notevole ritardo tecnologico (specie in ambito aeronautico), in gran parte dovuto agli effetti dell’embargo decretato dopo gli incidenti di piazza Tiananmen nel 1989.
Tuttavia, l’orgoglio ha spinto i cinesi a dar prova di crescita anche in questo settore, come avvenne clamorosamente nel 2011 in occasione della visita del Segretario alla Difesa americano Gates, durante la quale i cinesi divulgarono di aver contestualmente effettuato un test su un nuovo caccia stealth(34).
Gli USA hanno basato la loro strategia negli ultimi decenni attraverso grandi dispiegamenti di truppe (Vietnam, Iraq, Afghanistan). Ora che tali interventi sono terminati, la strategia americana si deve focalizzare su queste nuove potenziali sfide, basandosi non più sulla difesa territoriale ma sulla minaccia di punizioni inaccettabili nei confronti di potenziali aggressori o competitori.
La preoccupazione principale è di essere esclusi da uno scenario regionale quale il Pacifico, che farebbe perdere agli Stati uniti il ruolo di unica superpotenza globale(35).
Difficilmente, tuttavia, gli Stati Uniti possono perseguire obiettivi ideologici universali in tempi di fiscal constraint. Sono richieste forze capaci di essere rapidamente dispiegate a livello mondiale; invece, una serie di basi attorno alle frontiere cinesi sarebbe insostenibile e potrebbe anche impensierire eccessivamente. Cina e USA dovrebbero in realtà avere obiettivi comuni di stabilità nella regione e cooperare su un piano di parità. Gli Stati Uniti, per essere realmente una potenza globale e promuovere la stabilità generale, dovrebbero assumere un ruolo "duale"(36), procedendo a una unificazione ideologica dell’occidente, basato sulla condivisione dei principi comuni di democrazia e diritti umani, e a un engagement cooperativo, basato sulla promozione dell’equilibrio, con l’Asia.
Questo "focus" su Asia e Pacifico ha avuto rapidamente riscontro sia negli sviluppi delle relazioni a livello militare la Cina (con la visita del Ministro della Difesa cinese negli Stati Uniti in maggio(37), nella quale è stata riaffermata la volontà di evitare incomprensioni in ambito cyber, e sono state avviate attività di cooperazione quali la partecipazione congiunta a missioni navali, umanitarie ed esercitazioni), sia con i Paesi asiatici e del Pacifico alleati degli Stati Uniti (Vietnam, Filippine, Corea, Giappone, Australia, con i quali sono stati rinsaldati i vincoli con gli USA per la dislocazione di unità e per il procurement) e con l’India.
Il Segretario alla Difesa Panetta, in giugno, ha compiuto un lungo viaggio in Asia, ove ha spiegato la nuova strategia della Difesa ai partner regionali, annunciando, in particolare, che entro il 2020 la maggior parte delle unità navali statunitensi sarà dislocata nel Pacifico(38).


10. Conclusioni: la strategic guidance e l’Europa


La lunga serie di documenti esaminati ha consente di delineare il percorso compiuto dall’Amministrazione Obama nel "mettere ordine" alla politica di sicurezza e difesa americana dopo il decennio della war on terror, individuando le giuste priorità per il futuro.
Il Pentagono e lo stesso Obama hanno evidenziato in numerose occasioni che i documenti strategici rilasciati nel 2009, 2010 e 2011 sono frutto di uno sforzo congiunto, derivato da una visione comune sulle future sfide alla leadership statunitense, sulla necessità di superare l’Afghanistan, concludendo nel modo migliore la fase in atto, e di tenere conto della critica situazione finanziaria.
Il quadro, completato dalla Strategic Guidance del 2012 e dalle successive elaborazioni dottrinali, vede gli Stati Uniti impegnati nel prossimo futuro nel supporto alla propria leadership globale, attraverso lo sviluppo delle potenzialità di proiezione delle forze e nello sviluppo delle partnership, senza tralasciare le capacità maturate nella lotta al terrorismo, come l’integrazione tra l’intelligence - surveillance - reconnaisance e le forze speciali. Il principale elemento di novità è comunque rappresentato dal rinnovato focus sull’Asia/Pacifico, che si è posto al centro del dibattito negli Stati Uniti e con gli alleati.
Secondo taluni osservatori(39), comunque, la guidance è da considerarsi "di transizione": i principi della counterinsurgency non sono stati definitivamente abbandonati; grande enfasi viene data alla sinergia intelligence/UAV/forze speciali, mentre si avvia la costruzione di capacità di deterrenza aeree, navali, antisatellite. In ragione delle ristrettezze finanziarie, inoltre, l’orizzonte temporale è stato spostato al 2020 sia per gli Stati Uniti che per la NATO.
Il rischio quindi è la non scelta(40), e quindi una potenziale insostenibilità e la c.d. hollow force, "forza svuotata" nel breve termine dai tagli al bilancio.
Sinora gli aumenti continui di budget hanno permesso di finanziare sia le capacità convenzionali, sia lo sviluppo del nation building e del sostegno per forze armate e di polizia locali, anche attraverso contractors e il supporto degli alleati, per far fronte alla mancanza di specifiche capacità americane in taluni settori, e al fine di limitare le lunghe occupazioni.
Le ristrettezze finanziarie sono destinate quindi sia a mettere in discussione sia l’esecuzione in futuro di compiute operazioni di counterinsurgency, sia ad avviare una riflessione su come acquisire e mantenere le capacità richieste dalle nuove priorità strategiche, con particolare riferimento alla controinterdizione e alla protezione della libertà d’azione nei global commons.
L’attenzione posta dagli Stati Uniti e dalla NATO, ma anche a livello europeo, ai concetti di interconnessione, partnership, smart defense, pooling and sharing, dimostra l’importanza attribuita nei vari ambiti alla condivisione di costi e responsabilità per il mantenimento complessivo della leadership occidentale a livello globale.
Nel novembre 2012 si svolgeranno negli Stati Uniti le elezioni presidenziali. Qualunque ne sia l’esito, un "raffreddato" impegno degli Stati Uniti verso l’Europa è abbastanza prevedibile(41).
Il Presidente non ha un completo controllo della politica estera e di difesa, la quale viene sviluppata anche da altri attori, innanzitutto dal Congresso, il cui ricambio generazionale non favorisce i legami di vecchia data con l’Europa; il Pentagono conserva interesse per la NATO ma è ormai focalizzato sull’Asia e critico sui contributi europei alla sicurezza comune. Tale atteggiamento è condiviso anche dall’industria della difesa americana, a seguito dei recenti tagli ai budget difesa del vecchio continente.
In caso di vittoria di Obama, la Casa Bianca continuerebbe a mantenersi orientata a non impiegare truppe di terra in Medio oriente o nel Mediterraneo, e a contare sull’apporto di droni e intelligence per colpire le leadership di al Qaeda. Il multilateralismo sarebbe sostenuto allo scopo di rassicurare gli europei sull’importanza della NATO, ma occorrerà verificare nei fatti poi il reale concorso americano.
I tagli pianificati da Obama (487 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni) al budget Difesa sono notevoli (in totale, il budget della difesa calerà del 22% rispetto al 2010) ma comunque consentono al bilancio militare di crescere dell’1,6% nei prossimi cinque anni, da 525 miliardi di dollari nell’anno finanziario 2013 a 567 miliardi nel 2017, tenendo conto dell’inflazione.
I risparmi annunciati saranno ottenuti in realtà per la maggior parte dal progressivo disimpegno dall’Iraq e Afghanistan; non si tratta poi di veri e propri tagli, ma riduzioni sui previsti tassi di crescita.
Come sottolineato da Obama, per assicurarsi la leadership mondiale nel futuro il budget difesa USA dovrà corrispondere orientativamente alla somma dei bilanci militari dei dieci Paesi che spendono maggiormente dopo gli Stati Uniti. In tale visione, la supremazia militare è strettamente associata a quella economica globale.
Il candidato repubblicano Romney, in caso di vittoria, potrebbe essere tentato di ricorrere a tagli meno importanti, riaffermando nel contempo il c.d. eccezionalismo americano (diritto ad agire unilateralmente), che Obama non ha mai negato ma nemmeno sottolineato.
Questo atteggiamento potrebbe complicare le relazioni con l’Europa e non invertire la tendenza a un disimpegno generale nel vecchio continente.
Nonostante i tagli e l’incertezza, i rischi di demilitarizzazione non riguardano quindi certo l’America, ma l’Europa, che dovrebbe far fronte a una diminuzione del concorso americano con maggiori spese. Invece, come fatto notare dal Segretario Gates nel suo celebre discorso a Monaco poche settimane prima di lasciare il Pentagono(42), l’Europa è divisa, sta procedendo a tagli importanti, non investe e rischia quindi di trovarsi un giorno senza poter più contare sul prezioso alleato transatlantico, almeno nella misura in cui ne ha goduto sono ad ora.
Anche il Ministro della Difesa Amm. Di Paola ha recentemente sottolineato questo punto(43), ricordando proprio il discorso di Gates e la necessità di procedere, in ambito NATO e UE, all’abbandono di vecchie mentalità pre-guerra fredda e all’adozione delle corrette priorità, utili a posizionarsi in uno scenario di sicurezza ampio, tenendo conto dei limiti dell’attuale situazione finanziaria. Questa nelle sue parole, sarebbe la smarter defense, ovvero un approccio più orientato, guidato dall’alto al fine di individuare le capacità chiave di cui dotarsi. L’integrazione europea è, in questa chiave di lettura, funzionale anche allo sviluppo di una efficace partnership transatlantica con gli USA e la NATO.
In tale quadro, i Paesi europei possono interagire efficacemente con gli Stati Uniti attraverso lo sviluppo di capacità nuove, alternative e complementari a quelle USA e NATO (oltre alle iniziative di pooling and sharing, un esempio per tutti può essere costituito dalle forze di gendarmeria), che possano efficacemente anche inserirsi nelle numerose partnership che gli USA stanno sviluppando con molti paesi, e che costituiranno uno dei pilastri della strategia americana nel prossimo futuro.



Approfondimenti
(1) - Discorso pronunciato il 28 settembre 2008, http://www.defense.gov/speeches/speech.aspx?speechid=1279.
(2) - Queste Brigate, secondo Gates, hanno funzioni sia advisory, che di combattimento, nonché capacità logistiche e di comando e controllo necessarie per supportare entrambe le funzioni.
(3) - http://www.whitehouse.gov/the_press_office/FACT-SHEET-US-Missile-Defense-Policy-A-Phased-Adaptive-Approach-for-Missile-Defense-in-Europe.
(4) - http://www.whitehouse.gov/the-press-office/2010/12/16/overview-afghanistan-and-pakistan-annual-review.
(5) - The Security and Defense Agenda, discorso pronunciato dal Secretary of Defense Robert Gates in Bruxelles il 10 giugno 2011; http://www.defense.gov/speeches/speech.aspx?speechid=1581.
(6) - Anders Fogh Rasmussen, NATO After Libya: The Atlantic Alliance in Austere Times, luglio/agosto 2011.
(7) - Discorso pronunciato all’Assemblea Generale il 23 settembre.
(8) - http://www.npr.org/blogs/itsallpolitics/2011/06/23/137354849/president-obama-sounds-domestic-theme-in-afghanistan-speech.
(9)   - Declaration by the Heads of State and Government of the Nations contributing to the UN-mandated, NATO led International Security Assistance Force in Afghanistan, www.nato.int.
(10) - Discorso pronunciato il 25 febbraio 2011, http://www.defense.gov/speeches/speech.aspx?speechid=1539.
(11) - H. Clinton, Americàs Pacific Century, Foreign Policy, novembre 2011.
(12) - http://articles.cnn.com/2011-10-11/justice/justice_iran-saudi-plot_1_informant-iranian-plot-saudi-arabia?_s=PM:JUSTICE.
(13) - www.iaea.org/.../iaeairan/iaea_reports.shtml.
(14) - Tale Fondo, destinatario di una cospicua assegnazione finanziaria, è destinato ad assorbire le iniziative di assistenza alle forze di sicurezza estere, attualmente sviluppate dalla Difesa e dal Dipartimento di Stato, tra cui il programma GPOI (Global Peace Operations Initiative), che co-finanzia il Center of Excellence for Stability Police Units dell’Arma dei Carabinieri in Vicenza.
(15) - Il Gen. Raymond Odierno, Capo di SM dell’Army, su Foreign affairs del maggio/giugno 2012, "The US Army in a Time of Transition", individua tre maggiori cambiamenti nello scenario future: l’attenzione sull’Asia, le ristrettezze finanziarie e l’allargamento del focus oltre la counterinsurgency. La missione antiterrorismo continua, ma comprende anche il training e l’assistenza ai partner, per prevenire conflitti e continua e rafforzare la prontezza di risposta a complesse contingenze globali nell’intero ambiente strategico. Nonostante l’importanza del controllo degli oceani, l’Asia rimane dominata dagli eserciti, quindi l’Army possiede le capacità chiave per l’engagement delle leadership straniere in molti Paesi. Occorre valorizzare le esperienze acquisite anche nel futuro, in risposta a minace definite "ibride".
(16) - 20 maggio 2012, Chicago Summit Declaration Issued by the Heads of State and Government participating in the meeting of the North Atlantic Council, www.nato.int.
(17) - Alessandro Marrone, Aspenia online, 22 maggio 2012.
(18) - http://www.nato.int/cps/en/natolive/official_texts_87597.htm?mode=pressrelease.
(19) - http://www.nato.int/cps/en/natolive/official_texts_87594.htm.
(20) - Le aree in cui il pooling and sharing europeo è stato ritenuto di più elevato valore aggiunto sono l’addestramento nei campi campo elicotteristico, di pilotaggio e navale, lo sviluppo di capacità forensi per gli IED, il settore ISR, il rifornimento aereo, gli ospedali da campo, i centri di trasporto e la logistica navale, nonché il procurement satellitare.
(21) - Incontro con il Gen. Flynn press il CSIS di Washington, http://csis.org/event/military-strategy-forum-lieutenant-general-george-j-flynn-director-j-7-joint-staff.
(22) - Alcune tensioni tra USA e Iran nello stretto di Hormuz si sono verificate nel dicembre 2011, http://www.usatoday.com/news/world/story/2011-12-28/iran-hormuz-closure/52251414/1.
(23) - Gen. Norton A. Schwartz, Capo di USAF e Amm. Jonathan W. Greenert, USN, , 2012 Air-Sea Battle Promoting Stability in an Era of Uncertainty, The American Interest, 20 febbraio 2012.
(24) - http://forum.iop.harvard.edu/content/security-paradox-public-address-general-martin-e-dempsey-chairman-joint-chiefs-staff.
(25) - The New York Times, 28/5/12: West point debating a doctrine of two wars.
(26) - Carlo Jean, Difesa Americana, quale bilancio? Aspenia, dicembre 2009, n.47.
(27) - Carlo Jean, La difesa nei piani di Obama, Aspenia, novembre 2008, n. 43.
(28) - L’Amm. Mahan, sostenitore del dominio degli oceani, era consigliere del Presidente T. Roosevelt alla fine del XIX Sec.
(29) - http://www.defense.gov/pubs/pdfs/2012_CMPR_Final.pdf.
(30) - Ted Carpenter, La Cina del Pentagono, Aspenia, ottobre 2010, n. 50.
(31) - Carlo Jean, La strategia impero celeste, Aspenia, ottobre 2010, n. 50.
(32) - The Economist, 7 aprile 2012.
(33) - Command, Control, Communications, Computers, Intelligence, Surveillance and Reconnaissance.
(34) - http://articles.cnn.com/2011-01-09/politics/china.fighter.jet_1_stealth-fighter-radar-evading-capability-f-22?_s=PM:POLITICS.
(35) - Henry Kissinger, The future of US Chinese relations, Foreign Affairs, marzo/aprile 2012.
(36) - Zbigniew Brzezinski, Balancing the East, Uprading the West, Foreign Affairs, gennaio/febbraio 2012.
(37) - http://www.reuters.com/article/2012/05/08/net-us-usa-china-defense-idUSBRE84700Q20120508.
(38) - http://www.reuters.com/article/2012/06/03/us-asia-security-panetta-idUSBRE85205I20120603.
(39) - Ted Carpenter, Il Pentagono e i guai di Bilancio, Aspenia, novembre 20-11, n. 55.
(40) - Ted Carpenter, Broken Promise of Change: The Obama Administration’s Defense Strategy and Budget, Aspenia online, 16 gennaio 2012.
(41) - Alessandro Marrone, The next US president and Europès defense, Aspenia Online, 23 febbraio 2012.
(42) - The Security and Defense Agenda, discorso pronunciato dal Secretary of Defense, Robert Gates in Bruxelles il 10 giugno 2011; http://www.defense.gov/speeches/speech.aspx?speechid=1581.
(43) - Intervento al Center for Strategic and International Studies - CSIS di Washington DC, USA, del 30 aprile 2012; http://csis.org/event/statesmens-forum-admiral-giampaolo-di-paola-minister-defense-italy.