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Giustizia Militare

a cura del Dott. Giuseppe Scandurra Magistrato Militare

Collusione del militare della Guardia di Finanza con estranei

(L. 9 dicembre 1941, n. 1383, art 3)

Corte di Cassazione, Sez. I, sent.  n. 1049 del 1 dicembre 2009, Pres. Chieffi, Est. Bricchetti; P.G. Gentile, concl. parz. conf.; ric. PGM  avverso sent. C.M.A. di Roma (rigetta).

Il reato di collusione del militare della Guardia di Finanza con estranei, previsto dall’art. 3 della Legge 9 dicembre 1941, n. 1383, è integrato dal raggiunto accordo (incontro delle volontà) tra intraneus ed estraneus, inteso come mezzo per il conseguimento di un certo risultato offensivo (la frode alla finanza) il cui verificarsi non è necessario per la consumazione del reato medesimo, che appartiene al novero dei reati così detti a dolo specifico (1) (2) (3) (4).

(1) Giurisprudenza costante. Ex plurimis, Cass. I, 6 giugno 2007, Vitale, RV 236894; Cass. I, 15 dicembre 2005, Moscuzza, RV 234010; Cass. VI, 22 aprile 1989, Morelli, RV 182575. Premesso che l’art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383 incrimina il fatto del "Militare della Guardia di Finanza che collude con estranei per frodare la finanza", pare opportuno ricordare che nella specie, l’imputazione mossa a carico di un sottufficiale della Guardia di Finanza concerneva la violazione degli articoli 56 C.p. e 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383, in relazione all’art. 215 C.p.m.p., per aver tentato di giungere ad un accordo con un imprenditore edile, affinché questi fatturasse soltanto una parte del corrispettivo pattuito per lavori di ristrutturazioni svolti nell’abitazione del padre.
(2) Sul punto, la Corte precisa ancora che la stessa giurisprudenza ha chiarito che l’accordo (purché abbia un contenuto specifico, concreto, determinato, non generico, incerto, legato ad evenienze future e non controllabili dalle parti stesse, perché affidate al caso o a scelte di terzi: cfr. Cass. VI, 7 febbraio 1992, Liotino, cit.) segna il momento di concreta offensività della condotta, realizzando al contempo la messa in pericolo dell’interesse tributario dello Stato e la lesione dello specifico e funzionale obbligo di fedeltà inerente allo status di chi appartiene al corpo preposto alla salvaguardia della finanza pubblica (così, anche Cass. I, 15 dicembre 2005, Moscuzza, cit., in motivazione). Soltanto questa pluralità di interessi giuridici protetti giustifica l’arretramento della soglia di punibilità al semplice accordo e solo l’accordo è ritenuto poter dare vita alla duplice offesa; non anche, dunque, condotte che lo precedano, qual è appunto la proposta di accordo promanante dal militare.
(3) V. anche le massime che seguono, tratte dalla medesima sentenza.
(4) Sul tema specifico v. Vincenzo Santoro, "Reati speciali del Militare della Guardia di Finanza (art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383)" in "Incontri di studio organizzati dal Consiglio della Magistratura Militare", anno 2004, pag. 9.



Collusione del militare della Guardia di Finanza con estranei

(L. 9 dicembre 1941, n. 1383, art 3)

Corte di Cassazione, Sez. I, sent. n. 1049 del 1 dicembre 2009, Pres. Chieffi, Est. Bricchetti; P.G. Gentile, concl. parz. conf.; ric. PGM avverso sent. C.M.A. di Roma (rigetta).

Il reato di collusione del militare della Guardia di Finanza con estranei va inquadrato tra quelli a consumazione anticipata, la cui struttura oggettiva non coincide con quella del delitto tentato.



Collusione del militare della Guardia di Finanza con estranei

(L. 9 dicembre 1941, n. 1383, art 3)

Corte di Cassazione, Sez. I, sent. n. 1049 del 1 dicembre 2009, Pres. Chieffi, Est. Bricchetti; P.G. Gentile, concl. parz. conf.; ric. PGM avverso sent. C.M.A. di Roma (rigetta).

Il reato di collusione del militare della Guardia di Finanza costituisce un’eccezione alla regola della non punibilità dell’accordo criminoso, quando non sia commesso il delitto concertato come previsto dal primo comma dell’art. 115 C.p., secondo il quale, salvo che la legge disponga altrimenti, qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell’accordo (1).

(1) "Deve rilevarsi (continua ancora la sentenza), che il menzionato art. 115 C.p., come chiarito dalla dottrina dominante, individua il limite della rilevanza penale del tentativo e si è reso necessario una volta abbandonata la distinzione tra atti preparatori ed atti esecutivi, nonché la limitazione a questi ultimi della punibilità a titolo di tentativo.
In altre parole, la norma afferma la penale irrilevanza di accordo (primo comma) e istigazione (terzo comma) cd. sterili; quand’anche gli stessi fossero in concreto idonei ed univoci rispetto alla commissione del delitto, non sarebbero punibili (a titolo di delitto tentato).
Quest’affermazione è da porre alla base della non configurabilità del tentativo rispetto all’accordo in esame.
Da tali complessive considerazioni deriva, invero, che la proposta di accordo rivolta dal militare all’extraneus, in assenza di norme in deroga (recte di disposizione legislativa che preveda esplicitamente la punibilità della istigazione, genus cui è riconducibile detta proposta) integra, se non accolta, mera istigazione a commettere un reato (lo stesso reato che intende commettere l’istigatore, nella specie un reato - accordo, quindi un reato a concorso necessario, a nulla rilevando, a tal fine, che l’istigato, concorrente necessario, non sia, per volere del legislatore, sanzionato per la propria condotta) non punibile alla luce del più volte menzionato articolo 115 C.p.; integra, in altre parole, soltanto l’ipotesi del "tentativo di accordo criminoso" e non quella del delitto tentato.
Alla base di siffatta conclusione vi è la menzionata ratio delle disposizioni di cui all’articolo 115 C.p., consistente - come si è detto - nell’esigenza di individuare il limite della rilevanza penale del tentativo.
Va detto, peraltro, che alla stessa conclusione si perverrebbe anche qualora si ritenesse che la prevista impunità di accordo ed istigazione infruttuosi derivasse (non  dall’anzidetto limite di rilevanza fissato dalla legge), ma dalla loro natura di "atti preparatori", inidonei in quanto tali a dar vita al tentativo.
In tal caso, invero, come autorevole dottrina ha affermato in relazione all’accordo delittuoso di cui all’articolo 304 C.p. (cd. cospirazione politica mediante accordo), il tentativo non è comunque ammesso giacché l’arretramento della soglia di punibilità al mero accordo o, come anche si dice, l’estrema anticipazione della condotta preparatoria non consente un suo ulteriore frazionamento e comunque precede il momento di sviluppo dell’iter criminis supposto come necessario e sufficiente dalla fattispecie di cui all’articolo 56 C.p.".



Collusione del militare della Guardia di Finanza con estranei

(L. 9 dicembre 1941, n. 1383, art 3)

Corte di Cassazione, Sez. I, sent. n. 1049 del 1 dicembre 2009, Pres. Chieffi, Est. Bricchetti; P.G. Gentile, concl. parz. conf.; ric. PGM avverso sent. C.M.A. di Roma (rigetta).

La norma di cui all’art. 3 della L. 9 dicembre 1941, n. 1383, contempla una fattispecie necessariamente plurisoggettiva "impropria", che, a differenza di quella "propria", in cui tutte le persone "necessarie" alla configurabilità del fatto tipico (nella specie, l’accordo) sono indicate tra i soggetti attivi del reato, mentre nella fattispecie "impropria" vi sono soggetti necessari (nel caso esaminato, l’extraneus), non punibili per la condotta tipica (il consenso manifestato all’accordo avente come specifico contenuto l’obiettivo di frodare la finanza) (1).
 
(1) Sul punto, v. Vincenzo Santoro, op. avanti citata, paragrafo 13, "Sulla punibilità dell’estraneo".