L'adolescente ed il consumo di sostanze stupefacenti

Brevi considerazioni sulle metodologie e strategie di intervento in ambito penale minorile

Francesco Giacca

Francesco Giacca
Funzionario della Professionalità Pedagogica,
Dipartimento Giustizia Minorile,
Ufficio Servizio Sociale Minorenni, Napoli






1. Adolescenti, droga, aggressività

Solitamente, le questioni trattate nei manuali, nei testi sulla devianza e sulla criminalità considerano stati patologici o alterazioni della funzionalità della mente, della personalità come la malattia, il trauma oppure il deficit.
Il problema della tossicodipendenza, invece, è in parte strutturalmente diverso, in quanto legato a qualcosa di esogeno, la sostanza che viene diffusa nell’organismo e che genera dei mutamenti di tipo fisiologico e psicologico.
La tossicodipendenza è, di continuo, preda di un forte stereotipo sociale che vede nell’uso di sostanze psicoattive un inevitabile collegamento con la criminalità. Tale consuetudine è generalmente sostenuta da notizie provenienti dall’opinione pubblica e dalle numerose valutazioni statistiche che appaiono sui quotidiani. Ma, entrambe queste fonti, presentano i soliti limiti già visti più volte, ovvero come la tendenza delle informazioni tenda, sempre più spesso, ad una eccessiva generalizzazione e semplificazione.
In ambito criminologico, come è noto, si distingue fra un rapporto diretto, che riguarda i reati commessi "sotto l’effetto delle droghe", e un rapporto indiretto, inerente invece la delinquenza strumentale alla necessità di procurarsi la droga, alla criminalità legata allo spaccio, al traffico delle droghe, a certe aree e subculture devianti (De Leo, 1999; Ponti, 1980; Bandini, Gatti, 1987).
è certo però che il dilemma del determinismo scientifico della sostanza va analizzato tenendo conto di diverse prospettive e di diversi livelli problematici. è fuori di dubbio, infatti, che le sostanze psicoattive, fra le quali va inserito ovviamente anche l’alcol, alterano i processi fisiologici e psicologici, li alterano in un senso che questa area di studio - sostenuta anche da studi internazionali - ha ormai ampiamente chiarito: vi sono sostanze stimolanti, altre che rallentano l’attività della mente, altre che modificano la percezione della realtà e così via. è però necessario tener presente che queste alterazioni non sono uniformi e costanti, ma derivano da una serie di variabili, di dimensioni psicologiche, culturali, interattive che modificano lo stesso effetto che la sostanza fornisce sia a livello psicologico che fisiologico (De Leo, Salvini, 1977).
Sono determinanti, infatti, i fattori legati al singolo individuo che fa uso di droghe, come l’età, la personalità, le aspettative, l’atteggiamento, le componenti imitative, suggestive, di sfida che sono alla base di questi comportamenti. Di grande importanza hanno anche le circostanze, le situazioni, il tipo di contesto in cui avviene l’assunzione, se c’è o meno l’approvazione dell’ambiente circostante, il tipo di rapporto e di legame che si viene a creare tra i consumatori (Ponti, 1980).
Si può dire che, nonostante le numerose ricerche effettuate in questo settore, non è stato mai dimostrato alcun tipo di relazione causale diretta e costante tra assunzione di droga e commissione di reati; è la persona in senso complesso a mettere in atto i propri comportamenti. Certamente la sostanza può essere un elemento che interagisce insieme a una serie di altri fattori, ma non impedisce la mediazione cognitiva, anche se può alterarla. è necessario quindi fare delle distinzioni, per esempio riguardo al tipo di droga o al grado di tossicodipendenza; in altre parole, cambia molto il livello di coinvolgimento della persona rispetto alla sostanza, e si trasformano anche le conseguenze dal punto di vista delle scelte di vita della persona (De Leo, 1999, 52).
Per quanto riguarda il rapporto diretto fra diversi tipi di droga e comportamenti devianti e criminali, si è visto che le sostanze a effetto depressivo, come gli oppiacei (morfina, eroina), generalmente non sono associate alla violenza, in quanto provocano uno stato di rilassamento generale, sia pure con variabili soggettive piuttosto differenziate. Il legame tra eroina e criminalità è quindi prevalentemente di tipo indiretto, dovuto alla necessità di procurarsi dosi sempre maggiori a prezzi altissimi; difficilmente infatti gli eroinomani sono persone aggressive, mentre frequenti, fra questa popolazione, sono i reati contro la proprietà.
Sotto l’aspetto criminologico vengono considerate sostanze particolarmente dannose gli stimolanti, soprattutto le anfetamine e la cocaina, le quali, se assunte per lungo tempo ed in dosi massicce, possono alterare la percezione della realtà alimentando idee allucinatorie di tipo paranoico che, in alcuni casi ed in situazioni particolari, possono incoraggiare comportamenti aggressivi nel soggetto che si sente minacciato e perseguitato.
In realtà, neppure in questo caso si può parlare di una relazione univoca tra droghe e comportamento criminale; in base agli studi compiuti da Scherer, Abeles e Fischer (1984) è più opportuno affermare che queste sostanze "preparano il terreno" alla violenza in persone che hanno già strutturato disposizioni violente e aggressive. Anche per quanto riguarda droghe come l’LSD e altri allucinogeni che producono alterazioni a livello cognitivo, percettivo, motorio non ci sono prove che dimostrano che queste sostanze di per sé causino violenza ed aggressività.
I loro effetti sono sempre estremamente soggettivi e mediati da dimensioni cognitive, interazionali, del gruppo in cui avviene l’assunzione.

2. Tossicodipendenza e processi psico-sociali. Identità, comportamento e carriera deviante

Molteplici sono le manifestazioni e le correlazioni criminologiche del problema droga che riguardano la produzione, lo spaccio, la raffinazione, il trasporto, la richiesta da parte dei drogati, la criminalità organizzata con le sue radicazioni istituzionali e politiche, il riciclaggio dei capitali originati dal traffico delle sostanze, fino ad arrivare a un complesso sistema interattivo fra tossicodipendenza, mercato e controllo (De Leo, 1987; Goffman, 1971).
Ebbene, è importante ricostruire la complessità dei nessi e dei problemi rispetto a questi due fenomeni, una complessità che si accentua ancora di più quando si parla di tossicodipendenza e delinquenza minorile.
Per un adolescente, infatti, il cosiddetto effetto "diretto" è ancora più marcato, in quanto per una personalità in evoluzione, per una identità psicofisica non consolidata, le varie droghe possono avere conseguenze più forti, più problematiche e più articolate.
La dinamica della sostanza, in questa fase, può avere un effetto sia di disorganizzatore che di organizzatore dell’identità: di disorganizzatore momentaneo, situazionale e di organizzatore perché la cultura della droga in genere e la cultura della droga collegata alla criminalità possono rappresentare contenuti che, in qualche maniera, vengono assunti dal soggetto per elaborare la propria identità. In questo senso, tali contenuti possono essere, quindi, degli stabilizzatori del comportamento deviante. Anche gli effetti indiretti, per quanto riguarda gli adolescenti, sono più forti e più problematici.
La commissione di reati per procurarsi la droga, ad esempio, sarà ancora più verosimile e frequente per i giovani tossicodipendenti, in quanto soggetti di regola senza reddito, o per lo meno con un reddito troppo basso rispetto al notevole costo delle sostanze. Ciò che si ritiene che debba anche emergere, in questa breve analisi, è l’importante contributo del modello funzionalistico e costruttivistico (come anche vari filoni nelle scienze umane: l’interazionismo simbolico e l’approccio sistemico), il quale ha messo in evidenza come i fattori di rischio e i fattori causali della tossicodipendenza giovanile non sono qualcosa di "oggettivo" e "necessario", ma sono il risultato di processi sociali selettivi che hanno investito l’area giovanile in quanto la più idonea e la più esposta in relazione alla ricerca di funzioni di ordine, di consenso, di legittimazione; gli adolescenti ed i giovani sarebbero quindi una area ad alto rischio di controllo attraverso la droga (De Leo, Patrizi, 1992).
Questa circolarità tra rischi da condizioni sociali e psicologiche e rischi legati al controllo sociale risulta valida anche dal punto di vista della criminalità, nel senso che i ragazzi ad alto rischio di tossicodipendenza e ad alto rischio di controllo per tossicodipendenza sono anche soggetti ad alto rischio di controllo dal punto di vista della criminalità e ricevono, quindi, una pressione maggiore dal punto di vista del controllo sociale. Nella letteratura specifica sul consumo di droghe negli adolescenti si fa generalmente rilevare la necessità di distinguere forme diverse di consumo:
- Gottesfeld (1972) contrappone l’uso coatto all’uso di droga a fini edonistici;
- Levi (1970) distingue gli adolescenti per i quali l’uso della droga è poco più di una attività rilassante e poco frequente dai giovani che vi ricorrono molto più spesso, ad esempio per superare sensazioni spiacevoli;
- Keniston (1969) scrive che per molti giovani l’uso di droghe occupa solo una posizione subordinata nella loro vita e serve a fare esperienze piacevoli e stimolanti (seekers);
- una piccola, ma vistosa, minoranza vi ricorre, però molto più spesso ed è per loro che l’uso della droga ha assunto una posizione centrale nella vita quotidiana (heads).
Partendo da una concezione psicodinamica, possiamo distinguere consumatori di droga sperimentali, depressivi e caratterologici; nel primo gruppo si tratta di uso occasionale da parte di giovani peraltro sani; negli altri due gruppi si tratta di un uso molto più frequente legato a determinate forme di disturbo nello sviluppo della personalità (Proskauer, Rolland, 1973).
In tutte queste suddivisioni sembrano rilevanti due dimensioni, ossia la frequenza e la funzione del consumo della droga.
Alcuni autori, come ad esempio Conger e Petersen (1984), per gli adolescenti, distinguono le seguenti forme di consumo:
1) consumo sperimentale, ovvero quando il motivo per cui si comincia è la curiosità o il bisogno di fare una nuova esperienza. In questa categoria si potrebbe far rientrare anche quello che a volte viene definito consumo esperienziale: si tratta di fare esperienze piacevoli o di vivere cambiamenti nella percezione;
2) consumo sociale, quando la sostanza viene assunta nel quadro di attività sociali come ad esempio le feste. In questo caso si potrebbe anche parlare di uso integrato. Non si tende a smettere, ma non si presentano neppure complicazioni nell’ambito psichico o sociale;
3) consumo finalizzato all’effetto personale. La sostanza ha una funzione nel risolvere tensioni psichiche o serve a riempire un vuoto. Ciò porta di solito ad un consumo eccessivo e, quando si tratta di sostanze il cui uso è socialmente accettato, non si è in grado di attendere le situazioni in cui ciò sia possibile. Il suo consumo diventa un momento centrale della vita del consumatore: è una fase critica. Può essere l’inizio o può accompagnarsi all’assunzione graduale di una identità deviante, all’ingresso in una subcultura di consumatori e a cambiamenti nel sistema di valori;
4) enslavement. Il consumo della sostanza o delle sostanze provoca danni e si autoperpetua. In pratica si è entrati in un circolo vizioso da cui non si esce più. Tra i molteplici fattori in grado di favorire la prima sperimentazione di una droga, quelli relativi alle influenze di altri significativi sono indicati dalla letteratura come i più rilevanti.
Si ritiene, infatti, che chi proviene da famiglie in cui uno o entrambi i genitori e/o i fratelli fumano, bevono alcolici o assumono altre droghe, ha in generale una probabilità più alta di provare a sua volta; la stessa cosa accade per chi ha degli amici stretti che sono consumatori (Ravenna, 1993; Needle, 1986).
Il clima intrafamiliare, gli eventi che ne modificano la struttura, lo stile educativo e i modelli proposti dai genitori, sono tutti fattori che influenzano in modo considerevole l’andamento e le caratteristiche dello sviluppo psicosociale dell’adolescente e indirettamente il suo stile di vita. Comunque, il fatto di interagire maggiormente con i pari che non con i familiari non ci sembra tuttavia una spiegazione del tutto accettabile del perché un adolescente stabilisca di provare una droga.
Parecchio più convincente sembra essere invece la tesi proposta da Becker (1953) nella sua famosa ricerca sui consumatori di marijuana. Si tratta di un modello di analisi che permette di cogliere i diversi aspetti della tossicodipendenza così come i cambiamenti che avvengono nel tempo è quello sequenziale che valorizza la dimensione processuale.
Secondo Becker, un concetto utile in questo modello è quello di carriera. Attraverso lo studio delle carriere devianti è possibile cogliere le diverse fasi nelle quali il tossicodipendente si impegna. In questa ottica, ogni fase richiede una spiegazione, e una "causa" che può agire durante una delle fasi della sequenza può avere trascurabile importanza in una altra fase. In altri termini, l’autore interpreta l’iniziazione come il frutto di una successione complessa di esperienze psicologiche e sociali che consentono al soggetto di attribuire certi significati ad uno specifico comportamento, di prefigurare la funzione che esso può avere per lui, di valutarne i rischi e le conseguenze e di considerarlo come desiderabile. Sulla base di questo modello sequenziale, si può provare a prefigurare tre fasi del percorso costruttivo della devianza.
La prima fase riguarda tutti gli antecedenti storici della devianza evidenziati dalle teorie deterministiche come quelle psicologiche, quelle centrate sulla famiglia e quelle sociologiche. Si tratta di fattori quali le carenze infantili, le deprivazioni genitoriali, i rapporti conflittuali, i nodi psicopatologici, il cui significato rispetto alla devianza viene ridimensionato.
La seconda fase riguarda in genere un periodo di breve durata, ma intenso, in cui emerge nella storia del soggetto una crisi che si esprime in comportamenti devianti. Si tratta di una fase molto rischiosa, una vera sfida rispetto a un possibile esito deviante, in cui gli antecedenti storici possono riorganizzarsi ed essere filtrati dalla crisi con il risultato della comparsa della devianza. Spesso, però, questo processo tende a rimanere flessibile e aperto verso altri percorsi con un aumento di sensibilità verso le interazioni devianti.
La terza fase riguarda la probabilità di stabilizzazione del percorso deviante che può risultare tormentata e molto lunga nel tempo. Sembra caratterizzata dalla tendenza a usare la devianza come funzione selettiva per attrarre comportamenti, emozioni e pensieri, con il risultato di un progressivo irrigidimento del percorso e una meno probabile apertura verso altri percorsi di vita alternativi alla devianza (De Leo, 1999).
Sia che il soggetto abbia già strutturato una certa disponibilità, una accettazione ancora del tutto astratta della possibilità di sperimentare delle droghe, sia invece che abbia un atteggiamento negativo o neutro, è comunque nel contesto dell’interazione con altri consumatori che può rafforzare o modificare l’immagine della droga.
Il gruppo rappresenta, così, il contesto privilegiato in cui il soggetto riconsidera se stesso nel rapporto possibile e irreale con la droga. Il momento e le condizioni in cui ciò si verifica è particolarmente importante perché è proprio a quel punto che può concretizzarsi o meno il passaggio dalla semplice disponibilità alla sperimentazione diretta di una sostanza.

3. Appunti per una prevenzione. Tendenze, relazioni e sviluppo delle risorse personali nell’adolescente a rischio

Le considerazioni e le idee fin qui espresse in questo lavoro, che hanno il solo scopo di portare una ulteriore riflessione sul fenomeno in esame, hanno solo cercato di evidenziare alcuni punti che, probabilmente, almeno sotto il profilo criminologico, sono stati spesso sottovalutati da coloro - persone ed istituzioni - che hanno le responsabilità di dover progettare interventi attenti e mirati.
L’impressione che oggi sembra prevalere è quella che occorre piuttosto attrezzarsi in modo serio e consapevole per affrontare una lunga convivenza con il fenomeno droga, anzichè ridurre, o addirittura eliminarne, con interventi specifici la produzione a livello mondiale. Tale fenomeno, proprio perché ha origine nell’interazione tra individuo ed il suo ambiente sociale e non in una sostanza dalle caratteristiche particolari è assai difficile da sopprimere. D’altra parte è evidente che trovare delle valide soluzioni rappresenta ancora un problema del tutto aperto, che richiede strategie mirate, ancora del tutto inedite.
Sebbene i dati sull’iniziazione diano molto rilievo al ruolo dei fattori interpersonali, cioè l’interazione con i familiari e coetanei, per l’influenza specifica che essi esercitano sui comportamenti di consumo, e per quella aspecifica sui processi di sviluppo, le ipotesi di prevenzione avanzate in letteratura risultano piuttosto generiche specie nel caso della famiglia. Proprio perché l’adolescenza rappresenta un periodo in cui sono particolarmente intensi il desiderio di sperimentare nuovi stili di comportamento, al limite della trasgressione, e il bisogno di sentirsi adulti e indipendenti, l’uso di droga è entrato a far parte dello stile di vita di molti ragazzi e ragazze.
Tutti i ricercatori e gli studiosi del settore sono più o meno concordi a ritenere che - come sintetizza in alcuni punti che seguono Marcella Ravenna (1993) - occorra un impegno a lungo termine volto a:
1) evitare o almeno a ritardare quanto più possibile il primo contatto di un soggetto in via di sviluppo con una droga;
2) ridurre e contenere gli stili di consumo più pericolosi. Gli studiosi sono attualmente convinti della necessità di affrontare il problema della prevenzione in una prospettiva ecologica di ampio respiro come ben hanno evidenziato gli studi di Rhodes e Jason (1988), Hurrelmann (1990), ed infine Kumpfer e Turner (1991).
Idea condivisa è che occorrano degli interventi non esplicitamente rivolti a scoraggiare i comportamenti di droga ma prevalentemente orientati a incrementare l’insieme delle risorse personali (abilità, competenze, aspetti del sé) e sociali (opportunità, ruoli) dell’adolescente, in modo che egli sia in grado di evitare le suggestioni proposte dalla cultura della droga, così come quella che riguarda anche altri tipi di comportamento a rischio (Ravenna, 1993).
Per quanto riguarda le risorse personali si ritiene che, con il sostegno di adulti competenti, l’adolescente sia soprattutto da aiutare e stimolare a rafforzare il suo livello di autostima, la capacità di autocontrollo e le abilità a riconoscere ed affrontare le pressioni culturali verso l’uso delle diverse sostanze psicoattive. Si ritiene inoltre indispensabile che egli giunga ad elaborare delle strategie cognitive e comportamentali (esercizi di rilassamento, tecniche yoga) che lo aiutino ad alleviare eventuali stati d’ansia e di disagio, e ad aumentare le sue capacità di farvi fronte in modo costruttivo; che egli incrementi le abilità e le competenze interpersonali (la capacità di iniziare e portare avanti una conversazione, di comunicare con efficacia esprimendo il proprio accordo o disaccordo su certi eventi o sulle posizioni assunte da altri, proponendo punti di vista diversi, facendo domande, esprimendo le proprie emozioni).
Gli obiettivi di questo modello sono quelli di poter raggiungere elevati livelli di autostima e di fiducia in se stesso, in modo tale da sfidare in modo attivo e consapevole emozioni e circostanze; quanto più dispone delle competenze necessarie per comunicare produttivamente con gli altri, tanto minore sarà il rischio che egli possa scegliere compagnie problematiche o devianti, che si distacchi dalla scuola o dalla famiglia, tutti fattori in grado di favorire una scelta di droga. Un’altra esigenza da tenere presente è quella che deriva dagli studi di Robins e McEvoy (1990), ancora attuali per le valutazioni delle conseguenze, in particolare sulla opportunità di intervenire anticipatamente di fronte all’insorgere di eventuali comportamenti dubbi ed evitare che si possano ulteriormente strutturare.