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  • N.3 - Luglio-Settembre
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Corte di Cassazione

Difesa legittima - Presupposti - Principio di proporzionalità tra offesa e reazione - Effetti nella violazione del domicilio.

Corte di Cassazione, Sez. V penale, Sentenza 27 giugno 2011, n. 25608

L’esimente della difesa legittima trova applicazione laddove la reazione del soggetto aggredito sia necessaria, volta a proteggere un di lui diritto e proporzionale all’offesa ingiusta ricevuta.
Ove ricorra il caso di violazione da parte del terzo del domicilio dell’aggredito, ovvero di ogni altro luogo in cui questi eserciti un’attività commerciale, professionale od imprenditoriale, sussiste la presunzione ex lege della proporzionalità tra la reazione e l’offesa del terzo (1).

(1) Ricorre tramite difensore di fiducia avverso la sentenza dei Tribunale Monocratico di Siracusa del 20.01.2009 che, per quanto interessa, aveva confermato la condanna pronunciata in suo danno dai giudice di pace dì Lentini per il reato di lesioni volontarie in danno di (... omissis …).
Il reato era stato consumato nel corso di un litigio insorto in casa di (... omissis …) ove la (... omissis …) s’era recata nella qualità di medico INPS per effettuare una visita fiscale.
Deduce la ricorrente contraddittorietà della motivazione in ordine alla valutazione dei fatti ed in particolare all’omesso riconoscimento dell’esimente della legittima difesa, a suo avviso sussistente atteso che era stata costretta a difendersi dall’aggressione patita ad opera della sua antagonista (...omissis…) a sua volta condannata per lesioni volontarie in danno dell’attuale ricorrente.
Il ricorso è fondato e la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale dì Siracusa.
Infatti sussiste chiaramente il vizio di contraddittorietà della motivazione denunciato, atteso che la sentenza impugnata dà atto della circostanza che la (... omissis …) aggredì per ben due volte la dottoressa (... omissis …) medico dell’INPS che nell’appartamento stava effettuando una visita fiscale ed era pertanto nell’esercizio di funzioni di Pubblico Ufficiale, non riconoscendo alla reazione della predetta le caratteristiche di azione difensiva, con la motivazione pretestuosa che la reazione appariva eccessiva, non considerando che chi è reiteratemente aggredito di regola reagisce come può secondo la concitazione del momento, e non è tenuto a calibrare l’intensità della reazione, finalizzata ad indurre la cessazione della avversa condotta lesiva, salva l’ipotesi di eventuale manifesta sproporzione, che nel caso di specie non sussiste secondo quanto la stessa sentenza impugnata riferisce.
Il Tribunale Monocratico di Siracusa, in persona di diverso magistrato, provvedere a nuovo giudizio, facendo applicazione delle regole di giudizio testé enunciate.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Siracusa per nuovo esame.


L’Istituto della legittima difesa

1. La vicenda processuale

La vicenda attiene ad un litigio insorto in abitazione privata ove l’imputata s’era recata nella qualità di medico INPS, quindi nell’esercizio di funzioni di Pubblico Ufficiale, per effettuare la visita medico-legale della proprietaria dell’abitazione che nell’occasione e per ben due volte, la aggrediva rifiutando di sottoporsi agli accertamenti di rito.
La dottoressa, reiteratemente aggredita, reagiva, secondo il Giudice di merito, in modo sicuramente eccessivo e non proporzionale all’offesa ricevuta e ciò determinava la di lei condanna in primo grado(1) per il reato di lesioni volontarie in danno della sua antagonista, a sua volta condannata per lesioni volontarie (in suo danno - n.d.a.).
Investita della vicenda in ordine alla presunta contraddittorietà della motivazione circa la valutazione dei fatti da parte del Giudice di merito, con particolare riferimento all’omesso riconoscimento dell’esimente della legittima difesa, la Suprema Corte annullava la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale Monocratico di Siracusa per il nuovo esame.
Il Giudice del diritto, infatti, nel sottolineare l’assunto, più volte confermato dalla giurisprudenza, che colui il quale "…è reiteratemente aggredito di regola reagisce come può secondo la concitazione del momento, e non è tenuto a calibrare l’intensità della reazione, finalizzata ad indurre la cessazione della avversa condotta lesiva…" sottolineava la fondatezza dell’istanza della ricorrente che lamentava la contraddittorietà della pronunzia del giudice di merito laddove mancava di riconoscere alla di lei condotta le caratteristiche di azione difensiva relativamente alla quale avrebbe potuto/dovuto essere semmai effettuato un esame circa l’ipotesi di eventuale manifesta sproporzione rispetto all’azione di aggressione(2).

2. L’Istituto della legittima difesa

A mente dell’art. 52 c.p. (difesa legittima) il nostro Ordinamento prevede la non punibilità del fatto commesso da chi vi è stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta stabilendo che, affinché siffatta esimente possa trovare valida applicazione, deve comunque esservi proporzionalità tra la difesa e l’offesa.
Si tratta di una scriminante la cui ratio è ravvisata dalla dottrina maggioritaria nella volontà del Legislatore di tutelare l’interesse del soggetto ingiustamente aggredito rispetto a quello di chi aggredendo si è volontariamente posto contro la Legge(3).
L’azione di colui che resiste ad un’aggressione, secondo i più, manca, infatti, di quella dannosità sociale che giustifica l’intervento e l’applicazione della norma penale(4).
Alcuni autori, per contro, scorgono nella legittima difesa l’esercizio vero e proprio di una funzione pubblica eccezionalmente delegata dallo Stato in ragione della materiale impossibilità di intervenire tempestivamente nei confronti del soggetto che pone in essere l’aggressione iniziale(5).
Tale delega al privato di potestà di polizia è un’ipotesi residuale di autotutela riconosciuta in favore del cittadino(6) in deroga al principio costituzionale che ne prevede l’esercizio esclusivamente in capo allo Stato ed alle Istituzioni che ne sono diretta emanazione (nel caso di specie le forze di polizia in azione congiunta con la magistratura)(7).
A ben vedere l’istituto in argomento fa, comunque, venir meno l’elemento soggettivo della colpevolezza in considerazione dell’elemento psicologico che è sotteso all’azione di colui che, resistendo all’aggressione di un proprio od altrui diritto, non intende violare la Legge ma tutelare un interesse ingiustamente in pericolo per il fatto di un terzo. Elementi cardine dell’istituto della Legittima difesa sono, dunque, l’aggressione, che deve essere ingiusta per legittimare la reazione, e la reazione medesima che, per rimanere nell’alveo della legittimità, deve essere proporzionale all’aggressione subita.
L’aggressione deve provenire da una condotta umana, ovvero anche da animali (o cose), sempre che sia individuabile un soggetto giuridicamente responsabile giacché tenuto ad esercitare una vigilanza su di essi, e non deve necessariamente essere frutto di un comportamento violento in quanto la norma fa esplicito riferimento al più ampio concetto di offesa(8).
Il Legislatore ha poi precisato che oggetto dell’aggressione deve essere un diritto (sia personale che patrimoniale(9)) superando d’un colpo le perplessità che aveva destato il testo del codice previgente che indicava genericamente un bene (giuridico - n.d.a.) lasciando alla dottrina ed alla giurisprudenza il compito di completare la norma(10).
Al riguardo, in questa sede, occorre sottolineare che la giurisprudenza in materia è intervenuta più volte a chiarire che nel termine diritto (oggetto di tutela - n.d.a.) deve essere ricompresa ogni situazione giuridica attiva a prescindere dalla sua specifica qualificazione formale, rimanendo esclusa la tutela delle c.d. situazioni di fatto ossia di quelle situazioni dalle quali ogni cittadino può trarre o trae determinati vantaggi(11).
La norma de qua nel fare espresso riferimento anche all’ipotesi di altruità del diritto stabilisce che il soggetto passivo dell’aggressione può essere diverso da quello che pone materialmente in essere la reazione. Si parla, al riguardo, di soccorso difensivo(12).
L’aggressione, inoltre, deve essere attuale ossia determinare in concreto e nell’immediato il rischio della lesione di un diritto sussistente in capo al soggetto che reagisce non potendo trovare, dunque, applicazione l’esimente in argomento per il caso in cui la reazione sia volta a contrastare un pericolo futuro ovvero un pericolo passato (nel qual caso si concretizzerebbe un’ipotesi di ritorsione ovvero di vendetta).
Gli ermellini hanno, in merito, sottolineato che nel novero dei comportamenti tutelati dalla norma rientrino anche quelli di ritorsione avverso un pericolo perdurante(13) (ossia protratto nel tempo) nel novero del quale rientrano non soltanto "… le situazioni statiche di minaccia di offesa ingiusta…" ma anche le "…ipotesi nelle quali la situazione di pericolo si protrae nel tempo, per non essersi esaurita in un solo atto l’offesa portata dall’aggressore; ma in questi casi non si può prescindere dal postulare che la condotta dell’aggressore manifesti apertamente la sua decisione all’offesa e si protragga quindi con continuità di comportamenti minacciosi, non interrotti da intervalli innoqui …"(14).
Il pericolo, inoltre, non deve essere volontariamente cagionato dal soggetto che reagisce giacché in tal caso mancherebbe secondo il Giudice del diritto la necessità della difesa(15). Secondo la dottrina, invece, verrebbe a mancare il requisito dell’ingiustizia dell’offesa; ma a ben vedere si tratta di una differenza di poco conto atteso che l’esito comune delle due teorie è che verrebbe meno la possibilità di applicare l’esimente in argomento.
Ulteriore requisito della condotta aggressiva è che deve arrecare un pericolo di un’offesa ingiusta; non solo antigiuridica (c.d. contra ius) ma più latamente ingiustificata(16) (ossia non iure) cioè arrecata al di là di qualsiasi norma che la imponga (adempimento del dovere legittimo) o la autorizzi (esercizio del diritto). Si tratta di una interpretazione che, adottata dalla totalità della dottrina, è stata ripresa e fatta propria dalla giurisprudenza che in più pronunce non ha mancato di sottolineare come solo adottando tale tesi l’antigiuridicità complessiva della condotta possa essere riassunta in termini oggettivi(17).
Relativamente al comportamento posto in essere dal soggetto che subisce l’aggressione occorre preliminarmente rilevare che questa deve essere assolutamente necessaria; l’agente, dunque, deve trovarsi nella materiale impossibilità di adottare soluzioni alternative, meno dannose, per sottrarsi al pericolo(18).
In tale contesto si inserisce il problema della c.d. fuga; secondo una interpretazione ormai datata della norma, tale atteggiamento manifestava la viltà del soggetto che subiva l’aggressione. Ma si tratta di una esegesi ormai superata giacché, come ha fatto notare più di un autorevole autore, l’ordinamento non può voler premiare la spavalderia(19); la dottrina più recente risolve la problematica del rapporto tra reazione e fuga ricorrendo, invece, al principio del bilanciamento degli interessi.
In base a siffatto principio il soggetto non è tenuto alla fuga nei casi in cui tale atteggiamento di rinuncia esporrebbe i suoi beni personali o di terzi a maggiori rischi di quelli incombenti a seguito dell’aggressione(20).
Certo è che la reazione deve essere valutata, nella sua portata offensiva, non già in astratto ma in concreto, caso per caso, tenendo conto di ognuna delle circostanze che hanno concorso a caratterizzare la dinamica degli eventi (costituzione dei soggetti coinvolti, stato dei luoghi, condizioni meteorologiche, etc.) che devono essere analizzate compiendo una valutazione ex ante(21) ossia verificandone la portata così per come è apparsa all’epoca dei fatti (ai soggetti coinvolti) e non ex post (che determinerebbe l’oggettivizzazione delle circostanze medesime e quindi renderebbe vana l’analisi del fatto in concreto).
La reazione, inoltre, deve essere rivolta esclusivamente nei confronti dell’aggressore, nel caso in cui vengano coinvolti soggetti terzi, l’agente risponderà a titolo di colpa se è ravvisabile nella reazione pericolosa.
Laddove lo stesso abbia adottato, nonostante la prevedibilità del danno a terzi, idonee misure cautelari ad impedire che detto danno si verificasse, non ne risponderà poiché "…ha agito nell’ambito di un rischio consentito ed accettato dall’ordinamento nel momento in cui autorizza la reazione…"(22) .
Infine l’art. 52 c.p. precisa che la difesa deve essere proporzionata all’offesa.
Se in passato la dottrina e la giurisprudenza utilizzavano come parametro di verifica i mezzi reattivi che l’aggredito aveva a disposizione e quelli effettivamente utilizzati (immaginandosi la possibilità di un eccesso colposo nella difesa) ad oggi tale tesi appare superata preferendosi utilizzare il rapporto tra bene minacciato e bene leso. In base a tale assunto non è consentito ledere un bene dell’aggressore evidentemente superiore a quello che questi con la sua azione illecita è addivenuto a ledere(23).
Il confronto tra i due beni deve essere effettuato in concreto ossia tenendo conto delle circostanze di tempo e di luogo in cui effettivamente si svolse l’aggressione e delle modalità attraverso le quali questa si era venuta ad estrinsecare. E tale valutazione in concreto non può non tenere conto che non sempre, invero raramente, l’aggredito è in grado di valutare l’esatta portata delle proprie azioni.
In merito la giurisprudenza ha più volte sottolineato che ove tali azioni siano il frutto di negligenza, imperizia ed imprudenza, e solo in tale caso, si concretizza l’ipotesi di eccesso colposo a carico di colui che reagisce. Laddove, invece, l’eccesso sia frutto di una condotta consapevole l’evento che si determina è pienamente voluto dall’agente interrompendosi ogni collegamento causale con l’aggressione; in tal caso ricorrerà l’ipotesi dolosa del reato posto in essere con la condotta di reazione(24).

3. Le linee evolutive dell’istituto

Il 6 luglio 2005 il Senato approvò il disegno di legge n. 1899, relativo alla riforma della legittima difesa; il successivo 24 gennaio 2006 con il sì definitivo del Parlamento (con 244 voti favorevoli su 175 contrari) il provvedimento divenne legge riformulando l’intestazione dell’art. 52 c.p. da legittima difesa a difesa legittima.
La novella 2006 ha introdotto una presunzione "iuris et de iure" del rapporto di proporzione tra offesa e reazione nei casi, previsti dal primo e secondo comma dell’art. 614 c.p. (violazione di domicilio), in cui "… taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere la propria o altrui incolumità ovvero i beni propri o altrui, quando non vi sia desistenza e vi sia pericolo d’aggressione …"(25).
Presunzione che trova applicazione, prosegue il Legislatore nel successivo comma introdotto nel 2006, anche se il fatto avviene all’interno di ogni altro luogo ove "… venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale …".
Diviene, pertanto, legittima la condotta di colui che, per difendere la propria o l’altrui persona dal pericolo di un’aggressione da parte di chi ne abbia violato il privato domicilio, colpisca o addirittura uccida il malvivente con un’arma legittimamente detenuta, che sia da taglio o un mero oggetto contundente, sempre che non vi sia desistenza da parte dell’intruso.
Il rapporto di proporzionalità, che si poneva come spartiacque tra azione legittima e reato, trova un’espansione tale da consentire di comprendere nell’alveo del lecito talune fattispecie fino ad allora ritenute illegittime(26).
Con l’introduzione di tale presunzione ex lege la novella di fatto stabiliva un cambiamento di prospettiva nei riguardi dell’istituto in argomento non limitandosi ad una mera variazione formale della norma. Si trattava di elementi di novità che, sin dalle prime battute, suscitarono opinioni contrastanti non solo tra gli operatori del settore ma anche, dato eccezionale legato al fatto che interessavano fatti ampiamente richiamati dalla cronaca quotidiana, tra i comuni cittadini che, da un lato, chiedevano al Legislatore, una tutela più ampia del proprio privato e dall’altra mostrarono preoccupazione circa gli effetti di una norma in cui si intravvedeva la possibilità di un temuto ritorno ad una sorta di "ritorno al Far West".
Secondo autorevole dottrina, l’intenzione più o meno velata del Legislatore sarebbe stata quella di reintrodurre nel nostro codice penale quell’ipotesi di "fur nocturnus" che, nel diritto romano, era vera e propria eccezione alla proporzione tra offesa e difesa.
Il diritto a difendersi uccidendo il ladro notturno che si era introdotto nella propria abitazione era giù riconosciuto da diversi Statuti delle città italiane all’epoca del diritto comune nonché dal Codice napoleonico, dai Codici italiani preunitarie e dal Codice Zanardelli.
La dottrina dell’epoca per evitare un intensificarsi di reazioni che avrebbero aggiunto violenza a violenza e sottratto di fatto alla pubblica autorità ampia parte della tutela dell’ordine e della sicurezza, aveva dettato una interpretazione, comunque, restrittiva del diritto ponendo come indefettibile limite il pericolo per l’incolumità delle vittime di furto(27).
Certo è che la vecchia codicistica non doveva confrontarsi con le disposizioni costituzionali attualmente vigenti ovvero, per il Codice Zanardelli, ad esse conformarsi.
La stessa novella, se interpretata in forma estensiva, ben potrebbe, infatti, anch’essa presentare profili di incostituzionalità. Il bene della vita (compreso tra i diritti inviolabili dell’uomo ex art. 2 Costituzione) è principio generale del nostro ordinamento il cui valore è sicuramente superiore rispetto al diritto di proprietà, di cui all’art. 42 della Costituzione, ai cui limiti non è soggetto. Nella Legge n. 59/2006 sembra, invece, intravedersi nella presunzione ex lege di proporzione tra vita (integrità fisica - n.d.a.) e proprietà una pericolosa equiparazione di beni giuridici finora collocati, come detto, costituzionalmente su livelli differenti.
Secondo altra parte della dottrina la scelta adottata dal Legislatore deve essere interpretata alla luce di quel "principio federalista di sussidiarietà" che ha caratterizzato la riforma di intere parti della Carta Costituzionale e di cui, peraltro, si fa cenno nella relazione al Disegno di legge laddove gli estensori della riforma specificarono che ratio della riforma sarebbe stata quella di riconoscere ad ogni cittadino il diritto naturale all’autodifesa "…restituendogli la sovranità almeno nel proprio domicilio…".
Si sarebbe trattato, secondo i fautori della riforma, di una norma dal carattere "estremamente liberale" giacché volta a garantire la libertà all’individuo di difendersi anche quando non è presente la forza pubblica, avvalendosi di un suo diritto naturale. Norma atta a garantire la "vitale" esigenza di contrasto alla criminalità organizzata, sempre più temuta in ragione di frequenti ed agghiaccianti fatti di cronaca, attraverso la quale verrebbe finalmente sancito il principio per cui un aggressore e un aggredito non sono più sullo stesso piano e riconosciuto il diritto dell’aggredito di difendersi. Un’impostazione, a parere di chi scrive, sicuramente discutibile e pericolosa; l’estensione dei confini della legittima difesa potrebbe infatti sortire l’effetto contrario, e sicuramente non voluto dall’estensore della norma, di promuovere un incremento dell’acquisto di armi da parte di soggetti non professionali, spesso non in grado di gestirne l’utilizzo e la detenzione, e causare il probabile aumento dell’aggressività dei ladri, coscienti della possibilità di trovarsi di fronte vittime armate e pronte a far uso delle armi stesse giacché tutelati dalla norma(28).
Tra l’altro, la stessa Convenzione europea dei diritti dell’uomo ammette la privazione della vita altrui esclusivamente nell’ipotesi in cui l’uccisione avvenga "…per assicurare la difesa di una qualsiasi persona da violenza illecita…", ossia senza fare alcun riferimento alla tutela delle proprie (od altrui) proprietà.
Sarebbe, secondo i più, stato auspicabile che il Legislatore fosse intervenuto non già ad estendere la difesa legittima ma, secondo l’esperienza codicistica tedesca, portoghese, olandese, norvegese e spagnola (solo per fare qualche esempio), sul profilo della colpevolezza stabilendo che il turbamento del soggetto che vede violato il proprio privato domicilio possa, ricorrendone determinati presupposti nell’azione aggressiva, escludere la colpevolezza del difensore (intesa quale rimproverabilità dell’evento, la cui assenza limiti l’imputazione soggettiva del fatto criminoso). Da ultimo una breve ma significativa considerazione. La riforma dell’istituto della difesa legittima suscita, come evidenziato nelle pagine che precedono, notevoli perplessità in merito agli effetti della sua applicazione relativamente ai quali mancano, a quattro anni dall’approvazione della novella, ancora interventi della giurisprudenza in grado di fare maggiore chiarezza in una materia tanto delicata in quanto incidente sui beni supremi della vita e dell’integrità fisica.

Cap. CC Luigi Aquino



Approfondimenti
(1) - Successivamente conferma in appello.
(2) - Prosegue in sentenza il Giudice di merito adito che "… nel caso di specie non sussiste, secondo quanto la stessa sentenza impugnata riferisce …".
(3) - Mantovani F., Diritto penale. Parte generale, ed. CEDAM, Milano, 2007.
(4) - Antolisei F., Manuale di diritto penale. Parte generale, ed. Giuffrè, Roma, 2003.
(5) - Manzini V., Trattato di diritto penale italiano, ed. UTET, 1986.
(6) - Fiandaca G. e Musco E., Diritto penale parte generale, ed. Zanichelli, 2009.
(7) - Ancora, in dottrina qualche autore fa riferimento al bilanciamento di interessi effettuato dal Legislatore, altri alla sanzione giuridica espressa nella forma dell’impredibilità del fatto altrui (Grosso).
(8) - La legittima difesa è ammessa anche contro il comportamento di chi si pari davanti alla porta di casa per impedire al proprietario di rientrarvi ovvero contro la condotta omissiva di chi, tenutovi, non provvede alla demolizione di un manufatto pericolante (l’azione per il cui abbattimento sarà, dunque, legittima ove ricorrano i presupposti di cui all’art. 52 c.p.).
(9) - La Suprema Corte ha precisato che ai diritti patrimoniali l’esimente in argomento può applicarsi solo "… ove vi sia proporzione tra il potenziale danno e la risposta posta in essere…" e per il caso in cui "…la violenza (esercitata da colui il quale reagisce - n.d.a.) sia l’unico mezzo per evitare l’aggressione al patrimonio e non costituisca esclusivamente occasione per una ritorsione…", così Corte di Cassazione, Sez. IV, Sent. n. 20727 del 12 maggio 2003.
(10) - Per alcuni trattavasi, addirittura, di una sorta di norma penale in bianco ma il riferimento ad una categoria così particolare appare a chi scrive sicuramente eccessivo.
(11) - Corte di Cassazione, Sez. VI, Sent. n. 3692 del 3 marzo 2000.
(12) - Che è per sua natura facoltativo in quanto può tradursi in pericolo anche per il terzo soccorritore; per contro, detto soccorso diventa obbligatorio nel caso in cui il pericolo non sussista o ne siano cessate le cause. L’eventuale azione omissiva determinerebbe, in tal caso, una responsabilità penale in capo al non-agente ai sensi dell’art. 593 c.p.
(13) - è il caso della vittima di una rapina che reagisce per rientrare nel possesso del bene sottrattogli.
(14) - Così Corte di Cassazione, Sent. del 10 marzo1992 in Riv. Giust. Pen., 1993, II, pagg. 21 e ss.
(15) - Corte di Cassazione, Sent. del 18 gennaio 2008 n. 2911; è inapplicabile la legittima difesa a colui il quale "…agisce nella ragionevole previsione di determinare una reazione aggressiva, accettando volontariamente la situazione di pericolo da lui determinata…". L’esimente non è, ad esempio, applicabile alla figura del provocatore, a meno che la reazione alla di lui provocazione non risulta sproporzionata ed assolutamente imprevedibile ovvero al caso della rissa laddove entrambi i contendenti sono aggressori.
(16) - Mantovani F., Diritto penale. Parte generale, op. cit.
(17) - è, dunque, sufficiente che l’aggressore ponga in essere comportamenti oggettivamente contrastanti con l’ordinamento giuridico anche se eventualmente manchi l’illiceità penale per difetto di requisiti oggettivi (l’incapacità di intendere dell’agente, ad esempio).
(18) - Corte di Cassazione, Sez. VI, Sent. n. 25653 del 24.06.2008.
(19) - Antolisei F., Manuale di diritto penale. Parte generale, op. cit.
(20) - E così la salvaguardia della dignità umana potrà legittimare la reazione di chi percuote od immobilizza l’aggressore ma non la sua uccisione laddove l’aggredito aveva la possibilità di sottrarsi al pericolo attraverso la fuga.
(21) - Corte di Cassazione, Sent. n. 3507 del 27 gennaio 2010.
(22) - Mantovani F., Diritto penale. Parte generale, op. cit.
(23) - Il riferimento di scuola è quello del soggetto che colpisce a morte con un’arma da fuoco il ladro che si stava impossessando della di lui autovettura. In casi non dissimili la Suprema Corte ha ritenuto non applicabile l’esimente della difesa legittima in considerazione del fatto che lo strumento utilizzato per porre in essere l’azione difensiva, anche se l’unico a disposizione, ben poteva essere utilizzato in altro modo (colpo in aria a scopo intimidatorio); Corte di Cassazione, Sent. n. 6979 del 20 giugno 1997 in Riv. Polizia, 1999, pagg. 227 e ss.
(24) - Corte di Cassazione, Sent. del 16 giugno 1992 in Mass. Cass. Pen., 1992, fasc. 12, pagg. 110 e ss. . L’eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante dei quali testimonia il superamento. Ogni altro comportamento è frutto di una scelta consapevole e volontaria la quale comporta "… il superamento doloso degli schemi della scriminante …", Corte di Cassazione, Sent. n. 45425 del 15 dicembre 2005.
(25) - Legge 13 febbraio 2006, n. 59 recante "Modifica dell’art. 52 del codice penale in materia di diritto all’autotutela in privato domicilio".
(26) - La presunzione ex lege della proporzionalità o meno tra la difesa e l’offesa sollevò il giudice dal difficile compito di dover propendere, caso per caso, fra la tutela dell’onesto cittadino e la garanzia dei diritti dei malviventi. Oggi è, dunque, legittimo l’utilizzo delle armi da parte del cittadino, non solo per difendere la "propria o altrui incolumità", ma anche a tutela di meri interessi patrimoniali, ove l’offesa verta su beni "propri o altrui". Ancora, andrà assolto anche colui il quale si difenda con le armi da un delinquente che non ne faccia utilizzo.
(27) - Per completezza occorre sottolineare che nel vigente Codice francese (1994) è stata riconfermata l’antica eccezione della possibilità di uccidere il "fur nocturnus" prevista dal Codice napoleonico.
(28) - In un articolo apparso sul quotidiano "La Stampa" del 25 gennaio 2006, Carlo Federico Grosso affermò che in Italia si era voluta introdurre una sorta di licenza di uccidere, che avrebbe potuto indurre i cittadini a dotarsi di armi, su un modello di violenza di tipo "americano". In altro articolo apparso nel medesimo giorno sul quotidiano "Repubblica" a firma di Vittorio Zucconi, l’autore affermava che la Legge 59/2006 era figlia diretta di quella cultura della frontiera che ha sempre incoraggiato il principio del "shoot first and ask questions later" (prima spara e poi fai domande). Negli Stati Uniti, da secoli laboratorio sociale dove si sperimenta quel diritto alla difesa individuale della proprietà, e non solo della persona, il numero di crimini violenti, proseguiva il giornalista, restava dove era sempre stato; e gli Stati più violenti dell’Unione (il South Carolina in primis e la Florida in secundis) rimanevano quelli in cui la vendita delle armi è talmente diffusa da non essere infrequente vedere per strada camioncini che esibivano il fucile nel lunotto posteriore.