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Giustizia Militare

a cura del Dott. Giuseppe Scandurra Magistrato Militare

Abolizione della pena di morte nel codice penale militare di guerra - Conseguente abrogazione dell’art. 54 c.p.m.p. - Vigenza dell’art. 72 c.p.

(L. 13 ottobre 1994, n. 589)

Corte di  Cassazione, sez. I, sent. n. 1147 del 17 settembre 2008, Pres. Mocali, Est. Vecchio, P.G. Gentile, concl. conf.; P.G. mil. presso la CMA di Roma ric. da sent. della C.M.A. di Roma in c. Nordhorn Heinrich (annulla, senza rinvio, limitatamente alla esclusione della pena dell’isolamento diurno, che ripristina nella misura di anni due; rigetta per il resto).

La disposizione del primo comma dell’art. 1 della legge 13 ottobre 1994, n. 589, - e secondo cui per i delitti previsti dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra, la pena di morte è abolita ed è sostituita dalla pena massima prevista dal codice penale - deve essere interpretata restrittivamente, nel senso che il duplice effetto giuridico - distintamente scandito: di abolizione e di sostituzione della pena di morte con "la pena massima prevista dal codice penale" - concerne esclusivamente le previsioni edittali dei delitti contemplati dal c.p.m.g. e delle leggi militari di guerra.
Il richiamo alla "pena massima prevista dal codice penale" concerne la sola pena dell’ergastolo e non già l’ergastolo con il congiunto isolamento diurno (1).
La abrogazione espressa e formale dell’art. 54 c.p.m.p., per effetto dell’art. 1, secondo comma, della stessa legge 589/1994, comporta l’applicazione della legge penale comune e nella specie dell’art. 72 c.p., che commina la sanzione dell’isolamento diurno al colpevole di più delitti per ciascuno dei quali deve essere inflitta la pena dell’ergastolo.

(1) Su questo punto, la sentenza richiama come precedenti conformi Corte di  Cassazione, sez. I, 4 novembre 1986, n. 7370, massima n. 176167, e 27 febbraio 2007, n. 16400, massima n. 236158.



Abolizione della pena di morte nel codice penale militare di guerra.

(L. 13 ottobre 1994, n. 589, art. 1, comma 2)

Corte di  Cassazione, sez. I, sent. n. 1147 del 27 settembre 2008, Pres. Mocali, Est. Vecchio, P.G. Gentile, concl. conf.; P.G. mil. presso la CMA di Roma ric. da sent. della C.M.A. di Roma (annulla, senza rinvio, limitatamente alla esecuzione della pena dell’isolamento diurno, che ripristina nella misura di anni due; rigetta il ricorso).

Per effetto della disposizione contenuta nel secondo comma, dell’art. 1 della legge 13 ottobre 1994, n. 589, la quale sancisce l’abrogazione dell’art. 241 c.p.m.g. e di tutte le altre disposizioni dello stesso codice di guerra che fanno riferimento alla pena di morte, deve ritenersi abrogato l’art. 54 c.p.m.p. (1), per il rinvio ricettizio operato dall’art. 47 c.p.m.g.
 Ne consegue l’applicazione della legge penale comune e, nella specie, dell’art. 72 c.p., che commina la sanzione dell’isolamento diurno al colpevole di più delitti per ciascuno dei quali deve essere inflitta la pena dell’ergastolo (2).

(1) L’articolo 54 c.p.m.p. (richiamato dall’articolo 47 c.p.m.g.) comminava l’applicazione della pena di morte, con degradazione, nel caso di concorso di delitti puniti con l’ergastolo.
(2) Secondo la motivazione della sentenza della Cassazione, entrambi i giudici di merito, di prime cure e dell’appello, avevano concordato nel ritenere che la suddetta disposizione (dell’art. 54 c.p.m.p.) fosse ancora in vigore, in combinato disposto con l’articolo 1 della legge 13 ottobre 1994, n. 589, e, pertanto, comportasse l’effetto della sostituzione della pena capitale con la pena massima prevista del codice penale.
Il dissenso tra il Tribunale militare e la Corte militare di appello concerneva la individuazione della sanzione comminata in sostituzione, se, cioè, oltre all’ergastolo, comprendesse, anche l’isolamento diurno (come sostiene il primo giudice) ovvero no (secondo il contrario avviso del giudice del gravame).
Invero, entrambi i Collegi giudicanti militari avevano preso le mosse dal presupposto affatto errato della perdurante vigenza dell’articolo 54 c.p.m.p., a dispetto della legge 13 ottobre 1994, n. 589, intitolata: Abolizione della pena di morte nel codice penale militare di guerra.
A tale riguardo la Corte di Cassazione ha ancora ritenuto che la legge consta di due articoli.
Il primo articolo recita al primo comma: Per i delitti previsti dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra, la pena di morte è abolita ed è sostituita dalla pena massima prevista dal codice penale e al secondo: Sono abrogati l’articolo 241 del c.p.m.g. e tutte le disposizioni dello stesso codice e delle leggi militari di guerra che fanno riferimento alla pena di morte.
L’articolo 2 stabilisce l’immediata entrata in vigore nello stesso giorno della pubblicazione della legge nella Gazzetta Ufficiale.
Orbene, la disposizione del primo comma dell’articolo 1 della legge 13 ottobre 1994, n. 589 deve essere interpretata restrittivamente, nel senso che il duplice effetto giuridico - distintamente scandito: di abolizione e di sostituzione della pena di morte con la pena massima prevista dal codice penale - concerne esclusivamente le previsioni edittali dei delitti contemplati dal c.p.m.g. e dalle leggi militari di guerra.
L’ermeneutica in parola riceve conforto proprio dalla successiva disposizione contenuta nel secondo comma la quale sancisce (ancora) la abrogazione di tutte (le altre) disposizioni dello stesso codice che fanno riferimento alla pena di morte, tra le quali appunto deve annoverarsi l’articolo 54 c.p.m.p., pel rinvio recettizio operato dall’articolo 47, comma 1, c.p.m.g. (sez. un., 10 aprile 1954, n. 5, Vedana, massima n. 97401).
Infatti, se la abrogazione e la sostituzione, stabilite nel precedente comma, operassero indiscriminatamente in relazione a tutte le disposizioni recanti qualsivoglia riferimento alla pena di morte (e non alle sole previsioni edittali delle singole norme incriminatici), la ridetta disposizione dell’articolo 1, comma 2 della legge cit. sarebbe assolutamente superflua.
Epperò, da un canto, deve tenersi fermo il principio esattamente affermato dalla Corte militare, secondo cui il richiamo la pena massima prevista dal codice penale, contenuto nel primo comma dell’articolo cit., concerne la (sola) pena dell’ergastolo e non già (come erroneamente ritenuto dal giudice di prime cure) l’ergastolo col congiunto isolamento diurno: la flessione al singolare del lemma pena esclude il preteso riferimento cumulativo vuoi all’ergastolo, vuoi alla (ulteriore e distinta) sanzione dell’isolamento diurno (non costituente, a differenza dell’isolamento notturno, modalità di esecuzione della pena principale, v. Cass., sez. I, 4 novembre 1986, n. 7370, Adiamoli, massima n. 176167 e 27 febbraio 2007, n. 16400, Stilo, massima n. 236158).
Dall’altro canto la abrogazione espressa e formale dell’articolo 54 del c.p.m.p. (per effetto appunto della generale disposizione dell’articolo 1, comma secondo della legge 13 ottobre 1994, n. 589) comporta la applicazione della legge penale comune (Cass., sez. I, 8 maggio 2000, n. 6676, D’Agostino, massima n. 216162; Cass., sez. I, 16 novembre 1998, n. 12595, Hass, massima n. 211773), e, nella specie, dell’articolo 72 del Codice Penale, che commina la sanzione dell’isolamento diurno al colpevole di più delitti per ciascuno dei quali deve essere inflitta la pena dell’ergastolo.
Consegue l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla esclusione
dell’isolamento diurno, senza necessità di rinvio a termini dell’articolo 620, comma 1, lettera l), c.p.p.
Questa Corte, infatti, provvede direttamente a ripristinare, nella misura inflitta dal primo giudice (in ragione di anni due), la sanzione dell’isolamento diurno, in quanto la doglianza (peraltro generica) formulata, in proposito, dall’imputato nei motivi di appello (v. l’atto di gravame del 18 aprile 2007, pagg. 34-35), non concerne la quantificazione della pena in questione.


Concorso di persone nel reato - Concorso morale - Obbligo di motivazione.

(C.p., art. 110)

Corte di  Cassazione, sez. I, sent. n. 1362 del 6 novembre 2007, Pres. Gemelli, Est. Silvestri; P.G. Garino; imp. ric. avverso sent. C.M.A. di Roma (rigetta).

In tema di concorso di persone nel reato, la circostanza che il contributo causale del concorrente morale possa manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all’esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso) non esime il giudice di merito dall’obbligo di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall’art. 110 c.p., con l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà (1).

(1) La Corte intende così conformarsi all’insegnamento delle sez. un. della stessa Corte, espresso con la decisione 30 ottobre 2003, rv. 226101.




Connessione di procedimenti.

(C.p.p., art. 13, comma 2)

Corte di  Cassazione, sez. I, sent. n. 1362 del 6 novembre 2007, Pres. Gemelli, Est. Silvestri; P.G. Garino; imp. ric. avverso sent. C.M.A. di Roma (rigetta).

La connessione tra procedimenti compresi nella giurisdizione del giudice ordinario e procedimenti la cui cognizione è riservata al giudice militare determina, ai sensi dell’art. 13, comma 2, c.p.p., l’attrazione di questi ultimi nella giurisdizione ordinaria solo se, trattandosi di procedimenti per reati diversi, il reato comune è più grave di quello militare, mentre negli altri casi le sfere di giurisdizione, ordinaria e militare, rimangono separate e pertanto, se la connessione concerne procedimenti relativi ad uno stesso reato militare commesso da militari in concorso con civili, il giudice militare mantiene integra la giurisdizione nei confronti dei militari ed il giudice ordinario esercita la giurisdizione nei soli confronti dei concorrenti civili (1).

(1) Principio affermato da Cass., sez. Un., 25 ottobre 2005, ric. Maldera.




Persone soggette alla legge penale ed alla giurisdizione penale militare - Corpo delle SS naziste.

(Cost., art. 103, comma 3;
C.p.m.p., artt. 1 e 2)

Corte di  Cassazione, sez. I, sent. n. 1362 del 6 novembre 2007, Pres. Gemelli, Est. Silvestri; P.G. Garino; imp. ric. avverso sent. C.M.A. di Roma (rigetta).

Il corpo delle SS naziste era organizzato secondo gli schemi delle vere e proprie formazioni militari, al comando tattico dell’esercito tedesco, sicchè, avuto riguardo ai criteri di identificazione delle persone soggette alla legge penale militare dettati negli artt. 1 e 2 c.p.m.p., gli appartenenti a detto corpo devono ritenersi ricompresi nella denominazione di "militari" e sono, pertanto, sottoposti alla giurisdizione militare (1).

(1) In questi sensi, anche Corte di  Cassazione, sez. I, 10 febbraio 1997, confl. Compet. in proc. Priebke.




Riconoscimento del danno - Legittimazione all’azione civile nel processo penale.

(C.p., art. 185;
C.p.p., art. 74)

Corte di  Cassazione, sez. I, sent. n. 1362 del 6 novembre 2007, Pres. Gemelli, Est. Silvestri; P.G. Garino; imp. ric. avverso sent. C.M.A. di Roma (rigetta).
In tema di risarcimento del danno, il soggetto legittimato all’azione civile nel processo penale non è solo il soggetto passivo del reato (cioè, il titolare dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice), ma anche il danneggiato, ossia chiunque abbia riportato un danno etiologicamente riferibile all’azione o all’omissione del soggetto attivo del reato (1) (2).

(1) Trattasi di un principio unanimemente condiviso. V. (Corte di  Cassazione, sez. VI, 21 febbraio 2005, Caprini, rv. 231210; sez. V, 12 maggio 2000, Toscano, rv. 216115; sez. VI, 10 novembre 1997, Mozzati, rv. 208820).
(2) Osserva ancora la sentenza che "è stato giustamente osservato in dottrina che l’identificazione della legitimatio ad causam con la titolarità del diritto sostanziale in capo alla persona alla quale il reato ha cagionato un danno (Corte di  Cassazione, sez. VI, 18 marzo 1994, Spallanzani, rv. 198507) comporta che il codice vigente ha senz’altro ampliato il novero dei soggetti aventi titolo alla costituzione di parte civile, il cui presupposto è, dunque, costituito dall’esistenza di un rapporto di derivazione causale tra il reato e la lesione di un interesse giuridicamente protetto, in cui è individuabile il titolo per la costituzione di parte civile diretta ad ottenere dall’autore del reato la restituzione e il risarcimento del danno, patrimoniale o non patrimoniale, a norma dell’art. 185 c.p.".
(Omissis) "Nella giurisprudenza di legittimità è consolidato il principio della risarcibilità del danno morale a favore degli enti pubblici, nel senso che anche nei confronti di tali soggetti un fatto previsto dalla legge come reato può costituire titolo per il ristoro dei pregiudizi, patrimoniali e non, previsti dall’art. 185 c.p. (Corte di  Cassazione, 5 dicembre 2003, Agate, rv. 229393; sez. V, 2 maggio 1983, Amitrano, rv. 160519). In una siffatta prospettiva la Corte, nel riconoscere che lo Stato, e per esso il Presidente del consiglio che lo rappresenta come organo di vertice dell’esecutivo, ha il potere e la legittimazione ad agire in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni cagionatigli dal delitto di banda armata finalizzato alla associazione sovversiva, all’insurrezione armata contro i poteri dello Stato e alla guerra civile, ha precisato che sono risarcibili non solo gli eventuali danni patrimoniali, ma anche quelli non patrimoniali rappresentati, oltre che da sofferenze fisiche o psichiche logicamente non rapportabili alle persone giuridiche, anche da turbamenti morali della collettività pregiudizievoli all’attività dello Stato (Corte di  Cassazione, sez. I, 14 dicembre 1988, Paticchia, rv. 182283).
Alla stregua dei precedenti rilievi, tenuto conto che nel presente giudizio gli imputati sono stati chiamati a rispondere del delitto di cui all’art. 185 c.p.m.g., incluso tra i reati contro le leggi e gli usi di guerra, deve sottolinearsi che il fatto di reato è stato commesso con lo sterminio di buona parte della popolazione di Sant’Anna di Stazzema, composta prevalentemente da vecchi, donne e bambini, ed è stato attuato con modalità efferate, in totale dispregio del più elementare senso di umanità e dei valori comunemente accolti in ogni società civile, anche in tempo di guerra.
Alla luce di tali premesse non si vede come possa porsi in dubbio che il crimine di guerra, che forma oggetto del presente processo, abbia provocato dolore, sofferenze, sbigottimento nella collettività di cui le parti civili costituiscono enti esponenziali, creando nella memoria collettiva - per l’inimmaginabile livello di spietatezza e di crudeltà - una ferita non rimarginata, che ancora oggi è fonte di in delebile turbamento ed è produttiva di danno non patrimoniale risarcibile. Quest’ultima considerazione è idonea a dare base giustificativa alla legitimatio ad causam della Regione Toscana e rende, quindi, non rilevante l’obiezione che tale ente è stato costituito soltanto successivamente alla consumazione del fatto di reato, tanto più che - come è stato puntualmente osservato nella sentenza impugnata - più leggi regionali hanno accollato a detto ente oneri finanziari per interventi tesi a testimoniare il valore storico e civile della frazione di Sant’Anna di Stazzema, onde è sicuramente configurabile anche un danno patrimoniale direttamente riferibile all’eccidio del 12 agosto 1944, del quale gli imputati sono stati riconosciuti responsabili".