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Corte di Cassazione

Delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato - Reato di truffa aggravata - Artifizi e raggiri - Sussidiarietà e specialità - Contributi ed erogazioni assistenziali - Illiceità del vantaggio e danno alla comunità.

Corte di Cassazione, SS.UU., Sentenza 25 febbraio 2011, n. 7537

La fattispecie criminosa della indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato si determina anche per il caso di mancato versamento del ticket per prestazioni sanitarie ed ospedaliere. Il fatto di chi riceve erogazioni pubbliche di natura assistenziale sine titulo rientra nell’ambito del concetto di conseguimento indebito di una erogazione da parte di enti pubblici giacché il richiedente consegue un vantaggio che si traduce in un beneficio economico il cui costo determina un danno per la carico della comunità (1).

(1) Si legge quanto appresso in sentenza:
1. La Corte di appello di Messina, con sentenza del 19 ottobre 2009, ha confermato la sentenza 19 dicembre 2006 del Tribunale monocratico di Patti, che aveva affermato la responsabilità penale di P.G.E. in ordine ai reati di cui all’art. 483 c.p., art. 61 c.p., comma 1, n. 2, in relazione al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, artt. 76 e 46, e all’art. 640 c.p., comma 2, in danno della A.U.S.L. n. (omissis) di Messina; per avere autocertificato, con dichiarazione falsa resa all’impiegato addetto all’ufficio ticket dell’ospedale di Patti, di percepire redditi non superiori a quelli previsti dalla legge per l’attribuzione del diritto alla fruizione delle prestazioni mediche in regime di esenzione contributiva, così procurandosi l’ingiusto profitto costituito dal risparmio sulla quota di partecipazione alla spesa con correlato danno per l’ente pubblico - in (omissis); e, riconosciute circostanze generiche equivalenti all’aggravante contestata per il delitto di truffa, unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 c.p., comma 2, lo aveva condannato alla pena (condizionalmente sospesa) di mesi quattro e giorni quindici di reclusione, nonché al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, il quale ne ha chiesto l’annullamento articolando due doglianze.
In particolare ha prospettato:
2.1. che la falsa attestazione in addebito, non essendo contenuta in un atto pubblico, non sarebbe idonea ad integrare il contestato reato di cui all’art. 483 c.p.. La falsità configurabile sarebbe, invece, quella di falso ideologico in scrittura privata e ciò perché la dichiarazione sostitutiva di certificazioni è un documento con lo stesso valore giuridico di un atto di notorietà soltanto se ad essa è allegato un valido documento di identità. Opinando diversamente si resterebbe esposti al serio pericolo che il dichiarante possa indicare false generalità, spacciandosi per altri;
2.2. che la falsità contestata non sarebbe altresì idonea ad integrare l’elemento degli "artifici e raggiri", proprio del reato di truffa, perché il mero mendacio acquista tale idoneità soltanto a condizione che inerisca ad un attestato o documento avente carattere fidefacente. Il carattere fidefacente mancherebbe in relazione ad un’autocertificazione alla quale non è allegato alcun documento di riconoscimento e sarebbe stato necessario, pertanto, un quid pluris per integrare l’elemento degli artifici e raggiri.
3. Il ricorso è stato assegnato alla seconda sezione penale, la quale, all’udienza del 21 ottobre 2010 (con ordinanza depositata il successivo 29 ottobre), ne ha rimesso la trattazione alle Sezioni Unite, rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale riferito alla assorbente questione della qualificazione giuridica della condotta consistente nel rendere una falsa dichiarazione circa le condizioni di reddito indicate in quelle di legge, allo scopo di fruire dell’esenzione dal pagamento del c.d. ticket sanitario. La Sezione rimettente ha evidenziato, in proposito, che alcune decisioni di questa Corte (Sez. 2: n. 24817 del 25 febbraio 2009, dep. 16 giugno 2009, Molonia; n. 32849 del 26 giugno 2007, dep. 13 agosto 2007, Mannarà) qualificano la condotta sopra descritta in termini di truffa aggravata in danno di ente pubblico e non già come reato di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato o di altri enti pubblici, muovendo da quanto statuito dalle Sezioni Unite - con la sentenza n. 16568 del 19 aprile 2007, dep. 27 aprile 2007, Carchivi - circa i rapporti tra le fattispecie criminose di cui agli artt. 316 ter e 640 bis c.p.
Le Sezioni Unite hanno ricondotto l’ambito di operatività dell’art. 316 ter c.p., a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale, e dai principi affermati si evincerebbe che il reato di cui all’art. 316 ter ricorre quando l’erogazione del contributo non presupponga l’effettivo accertamento, da parte dell’erogatore, dei presupposti necessari per la concessione del contributo richiesto. L’oggetto dell’attività dell’autore è costituito dal conseguimento, secondo quanto recita la norma, di "contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate". Esula, invece, dalla previsione normativa dell’art. 316 ter c.p., il caso in cui non ricorra la percezione di una pubblica sovvenzione ma la esenzione dalla corresponsione di una somma. Il concetto di contributo o di finanziamento o di mutuo agevolato non è assimilabile a quello di esenzione da un pagamento, ma va ricompreso nella generica accezione di sovvenzione, ossia di aiuto economico concesso sotto forma di elargizione o prestito agevolato, che si concretizza nell’attribuzione pecuniaria giustificata dall’attuazione di un interesse pubblico e che si correla, nella commissione del reato di cui all’art. 316 ter, al danno patrimoniale dell’ente, identificabile esclusivamente con il danno emergente sorto al momento dell’elargizione del denaro.
La seconda sezione ha quindi dato atto di un diverso ed opposto orientamento, secondo il quale la condotta di cui si discute non integra il reato di truffa, bensì quello di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato o di altri enti pubblici, restando in esso assorbito il reato di falsità ideologica del privato in atto pubblico, e ciò anche nel caso in cui, dato il livello quantitativo dell’indebita percezione, il fatto integri una mera violazione amministrativa.
Anche questo secondo orientamento fa richiamo alla già citata sentenza Carchivi delle Sezioni Unite, ma valorizza quel passo della decisione in cui si afferma che nella nozione di "erogazioni pubbliche" rientrano pure quelle di natura assistenziale. Trae dunque la conseguenza che nel concetto di erogazione rientra non solo l’ottenimento di una somma di denaro a titolo di contributo ma altresì l’esenzione dal pagamento di una somma dovuta a enti pubblici, perché anche in tal caso il richiedente ottiene un vantaggio, che è posto a carico della comunità.
La Sezione rimettente cita, in proposito, alcune decisioni che esplicitamente interpretano il concetto di erogazione di cui all’art. 316 ter come comprensivo "sia di somme versate dall’ente pubblico, sia di somme non richieste o richieste in misura minore per servizi resi da detto ente" (Sez. 5, n. 39340 del 9 luglio 2009, dep. 9 ottobre 2009, Nicchi; Sez. 5, n. 31909 del 26 giugno 2009, dep. 5 agosto 2009, Arcidiacono; Sez. 6, n. 28665 del 31 maggio 2007, dep. 18 luglio 2007, P.M. in proc. Piga).
4. Il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissando per la trattazione l’odierna udienza pubblica.

Motivi della decisione
1. La questione di diritto per la quale i ricorsi sono stati rimessi alle Sezioni Unite è la seguente: "quale sia la corretta qualificazione giuridica del fatto criminoso consistente nella falsa attestazione del privato di trovarsi nelle condizioni di reddito per fruire, a termini di legge, delle prestazioni del servizio sanitario pubblico senza il versamento della quota di partecipazione alla spesa sanitaria".
2. Sul punto si rinviene effettivamente un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte.
2.1 Alcune decisioni hanno affermato che la condotta dianzi descritta, connotata, com’è, dall’artificiosa rappresentazione di circostanze di fatto, deve essere qualificata in termini di truffa, ex art. 640 c.p., comma 2. Si è sostanzialmente di fronte ad una falsificazione della realtà, consistente nella dichiarazione di trovarsi nelle condizioni di reddito previste dalla legge per l’esenzione, e questo è un dato di fatto che da corpo all’elemento degli artifici e dei raggiri richiesto dalla fattispecie criminosa come sopra individuata.
La condotta medesima non può essere ricondotta alla previsione di cui all’art. 316 ter c.p., anche perché l’elemento dell’esenzione da un pagamento resta estraneo alla nozione di "contributo, finanziamento o mutuo agevolato", elementi questi ricompresi tutti nella generica accezione di "sovvenzione" (vedi Sez. 2, n. 32849 del 26 giugno 2007, dep. 13 agosto 2007, Mannarà; Sez. 5, n. 38478 del 9 luglio 2008, dep. 14 ottobre 2008, Nicotera, Sez. 2, n. 24817 del 25 febbraio 2009, dep. 16 giugno 2009, Molonia).
L’orientamento in esame risulta organicamente delineato, da ultimo, nella sentenza della Sez. 2, n. 32578 del 27 aprile 2010, dep. 1 settembre 2010, Di Costanze che - a fronte di una pronunzia di condanna ai sensi dell’art. 483 c.p., e art. 640 c.p., comma 2, n. 1, in un contesto fattuale di mero mendacio riferito alle condizioni di reddito e finalizzato ad ottenere l’esenzione dal pagamento del ticket sanitario - ha rigettato la tesi difensiva della riqualificazione ai sensi dell’art. 316 ter, evidenziando che:
- la fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p., ha carattere residuale rispetto a quella della truffa, con la quale non è in rapporto di specialità e può con essa concorrere, ove della stessa siano integrati i presupposti (se, ad esempio, le falsità e le omissioni si risolvano in un’artificiosa rappresentazione della realtà capace di indurre in errore);
- la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 95 del 2004, ha escluso la sovrapponibilità delle condotte individuate dall’art. 316 ter c.p., con quelle integranti il reato di truffa;
- le Sezioni Unite penali - con la sentenza n. 16568 del 19 aprile 2007, dep. 27 aprile 2007, Carenivi - hanno precisato che l’ambito di applicazione dell’art. 316 ter si riduce a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale, aggiungendo come l’erogazione delle pubbliche sovvenzioni possa non dipendere da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’erogatore nella misura in cui può legarsi, almeno in via provvisoria, all’esistenza della formale dichiarazione del richiedente;
- il concetto di contributo, finanziamento o mutuo agevolato, di cui alla enunciazione della fattispecie incriminatrice posta dall’art. 316 ter, non è assimilabile a quello di esenzione da un pagamento, ma va ricompreso nella generica accezione di "sovvenzione", ossia di aiuto economico concesso sotto forma di elargizione o prestito agevolato.
2.2 In senso contrario si esprimono altre pronunzie, secondo le quali la condotta di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato si distingue da quella di truffa aggravata in ragione dell’assenza dell’elemento dell’induzione in errore realizzata attraverso la messa in atto di artifici o raggiri.
Nell’ambito delle erogazioni pubbliche di natura assistenziale, indicate dall’art. 316 ter c.p., rientrano anche quelle concernenti l’esenzione dal ticket per prestazioni sanitarie. Nel concetto di erogazione deve ritenersi compreso, infatti, non solo l’ottenimento di una somma di denaro a titolo di contributo, ma pure l’esenzione dal pagamento di una somma dovuta ad enti pubblici, perché anche in tal caso il richiedente ottiene un vantaggio che viene posto a carico della comunità (così Cass.: Sez. 5, n. 41383 del 17 settembre 2008, dep. 6 novembre 2008, Capalbo; Sez. 6, 21 ottobre 2010, dep. 22 novembre 2010, Gelsi).
3. Appare utile ricordare che - sempre sulla premessa che nel termine "erogazioni", che si rinviene nell’art. 316 ter c.p., rientrano non solo le somme versare dall’ente pubblico, ma anche le somme non richieste o richieste in misura minore per servizi resi dal predetto ente - sono state inquadrate nell’ambito applicativo dell’art. 316 ter c.p., le condotte del privato che dichiari un reddito familiare inferiore a quello effettivamente percepito al fine di ottenere:
- un canone agevolato per la locazione di alloggio appartenente all’Amministrazione provinciale (Sez. 5, n. 39340 del 9 luglio 2009, dep. 9 ottobre 2009, Nicchi);
- un abbonamento mensile, con tariffa agevolata, al servizio municipale di trasporto pubblico (Sez. 5, n. 31909 del 26 giugno 2009, dep. 5 agosto 2009, Arcidiacono).
4. Le Sezioni Unite - con la sentenza n. 16568 del 19 aprile 2007, dep. 2aprile 2007, Carchivi - hanno risolto un duplice contrasto relativo sia alla riconducibilità o meno delle sovvenzioni pubbliche a carattere assistenziale o previdenziale alle previsioni degli artt. 316 ter e 640 bis c.p., (a seconda il diverso conformarsi delle singole fattispecie) sia alle differenze tra gli elementi costitutivi di tali delitti.
Nella citata decisione - quanto ai rapporti tra il reato di truffa aggravata e quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato o di altri enti pubblici - le Sezioni Unite hanno posto anzitutto in rilievo che l’art. 640 bis c.p., "prevede una circostanza aggravante del delitto di truffa, che si pone in rapporto di specialità con la circostanza aggravante di cui all’art. 640 c.p., comma 2, n. 1, (così già Sez. Unite, 26 giugno 2002, Fedi).
Infatti, se si raffrontano le due norme, risulta immediatamente evidente come sia concentrico l’ambito di applicazione delle circostanze aggravanti da esse previste. La circostanza prevista dall’art. 640 c.p., comma 2, n. 1, si applica a qualsiasi truffa commessa a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare. La circostanza prevista dall’art. 640 bis c.p., si applica solo quando la truffa abbia comportato l’indebita erogazione di contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee".
Hanno quindi osservato - in congruenza con l’ordinanza della Corte Costituzionale n. 95 del 2004 - che l’introduzione nel codice penale dell’art. 316 ter ha risposto all’intento di estendere la punibilità a condotte "decettive" (in danno di enti pubblici o comunitari) non incluse nell’ambito operativo della fattispecie di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.
Con questa premessa hanno condotto il problema a una secca alternativa: o la riduzione dell’ambito di applicazione dell’art. 316 ter in termini di radicale marginalità o la riduzione sostanziosa dell’ambito di applicazione della fattispecie di truffa.
Rispetto alla delineata alternativa, che riassumeva il contrasto giurisprudenziale allora esistente, le Sezioni Unite hanno optato per la soluzione di tenere fermi i limiti tradizionali della fattispecie di truffa e di ricondurre alla fattispecie di cui all’art. 316 ter le condotte alle quali non consegua un’induzione in errore o un danno per l’ente erogatore, con la conseguente compressione dell’art. 316 ter a situazioni del tutto marginali, "come quello del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale".
Una falsa rappresentazione della realtà in capo all’erogatore può dipendere, oltre che dalle modalità del procedimento di volta in volta in rilievo ai fini della specifica erogazione, anche dalle modalità effettive del suo svolgimento nel singolo caso concreto, sicché l’accertamento dell’esistenza di una induzione in errore, quale elemento costitutivo del reato di truffa, ovvero la sua mancanza in favore dell’applicabilità dell’art. 316 ter, è questione di fatto riservata al giudice del merito.
5. La Corte Costituzionale - con la citata ordinanza n. 95 del 2004 - ha affermato, come dato inequivoco, il carattere sussidiario e residuale dell’art. 316 ter rispetto all’art. 640 bis c.p., chiarendo che, alla luce del dato normativo e della ratio legis, l’art. 316 ter assicura una tutela aggiuntiva e "complementare" rispetto a quella offerta agli stessi interessi dall’art. 640 bis, coprendo in specie gli eventuali margini di scostamento - per difetto - del paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode. Ha quindi rinviato all’ordinario compito interpretativo del giudice l’accertamento, in concreto, se una determinata condotta formalmente rispondente alla fattispecie dell’art. 316 ter integri anche la figura descritta dall’art. 640 bis, dovendosi, in tal caso, fare applicazione solo di quest’ultima.
6. A fronte del quadro interpretativo dianzi delineato, queste Sezioni Unite ritengono che debba essere affermato il principio secondo il quale: "l’art. 316 ter c.p., punisce condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate (oltre che dal silenzio antidoveroso) da false dichiarazioni o dall’uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l’erogazione non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perché in realtà si rappresenta correttamente solo l’esistenza della formale attestazione del richiedente".
Rileva in proposito il Collegio che la giurisprudenza di questa Corte, in relazione al reato di truffa, ha gradualmente svalutato il ruolo della condotta, orientandosi sempre più verso una configurazione del delitto in senso causale, ove ciò che rileva non è tanto la definizione dei concetti di artifici e raggiri, quanto, piuttosto, la idoneità di quelle condotte a produrre l’effetto di induzione in errore del soggetto passivo. Si è così assistito al consolidarsi della affermazione secondo la quale, ai fini della sussistenza del reato di truffa, l’idoneità dell’artificio e del raggiro deve essere valutata in concreto, ossia con riferimento diretto alla particolare situazione in cui è avvenuto il fatto ed alle modalità esecutive dello stesso.
Le Sezioni Unite, già con la sentenza 24 gennaio 1996, Panigoni, ebbero ad evidenziare la rilevanza della questione "se il concetto di artifizi e raggiri sia integrato anche dalla menzogna pura e semplice e cioè dalla menzogna che, senza particolari modalità ingannatorie aggiuntive, abbia determinato l’errore nel soggetto passivo": questione - avvertivano le Sezioni Unite - senz’altro seria, "potendosi ritenere che la menzogna pura e semplice integra soltanto la condotta che induce in errore, ma non la condotta posta in essere con artifizi e raggiri".
A fronte di tale avvertimento, poi, sempre le Sezioni Unite - con la sentenza n. 16568 del 2007, Carchivi - hanno statuito che "vanno ricondotte alla fattispecie di cui all’art. 316 ter - e non a quella di truffa - le condotte alle quali non consegua un’induzione in errore per l’ente erogatore, dovendosi tenere conto, al riguardo, sia delle modalità del procedimento di volta in volta in rilievo ai fini della specifica erogazione, sia delle modalità effettive del suo svolgimento nel singolo caso concreto". Questo principio va ribadito ed alla stregua di esso la truffa va ravvisata solo ove l’ente erogante sia stato in concreto "circuito" nella valutazione di elementi attestativi o certificativi artificiosamente decettivi.
La sussistenza della induzione in errore, da un lato, e la natura fraudolenta della condotta, dall’altro, deve formare oggetto (come segnalato dalla Corte Costituzionale) di una disamina da condurre caso per caso, alla stregua di tutte le circostanze che caratterizzano la vicenda in concreto.
Significazioni in tal senso possono trarsi, del resto, dalla stessa collocazione topografica dell’art. 316 ter c.p., e dagli elementi descrittivi che compaiono tanto nella rubrica che nel testo della norma, chiaramente evidenzianti la volontà del legislatore di perseguire sostanzialmente la percezione sine titulo delle erogazioni in via privilegiata rispetto alle modalità attraverso le quali l’indebita percezione si è realizzata.
7. Il principio dianzi enunciato va poi specificato nel senso che: "integra il delitto di cui all’art. 316 ter c.p., anche la indebita percezione di erogazioni pubbliche di natura assistenziale, tra le quali rientrano quelle concernenti la esenzione del ticket per prestazioni sanitarie ed ospedaliere, in quanto nel concetto di conseguimento indebito di una erogazione da parte di enti pubblici rientrano tutte le attività di contribuzione ascrivibili a tali enti, non soltanto attraverso l’elargizione precipua di una somma di danaro ma pure attraverso la concessione dell’esenzione dal pagamento di una somma agli stessi dovuta, perchè anche in questo secondo caso il richiedente ottiene un vantaggio e beneficio economico che viene posto a carico della comunità". La nozione di "contributo" va intesa, infatti, quale conferimento di un apporto per il raggiungimento di una finalità pubblicamente rilevante e tale apporto, in una prospettiva di interpretazione coerente con la ratio della norma, non può essere limitato alle sole elargizioni di danaro. Appare utile rilevare, in proposito, che l’art. 316 ter è stato inserito nel codice penale dalla L. 29 settembre 2000, n. 300, nel quadro delle misure di adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalla Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee redatta a Bruxelles il 26 luglio 1995, e nessun argomento contrario all’inclusione anche delle prestazioni assistenziali nelle previsioni dello stesso art. 316 ter potrebbe trarsi dalla locuzione "contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo", che pure nella normativa comunitaria viene formulata con termini del tutto generici e privi di uno specifico significato tecnico riferibile soltanto a sovvenzioni in danaro e non anche ad agevolazioni ed ausili economici di qualsiasi tipo, attribuiti con scopi sociali. Deve considerarsi, poi, che - mentre la norma peculiare posta dall’art. 316 bis c.p., è rivolta specificamente a reprimere la distrazione dei contributi pubblici dalle finalità per le quali sono stati erogati - l’art. 316 ter, sanziona la percezione di per sè indebita delle erogazioni, senza che vengano in rilievo particolari destinazioni funzionali, e ciò può ritenersi ulteriore elemento confermativo della possibilità di ricondurre nell’ambito di quest’ultima fattispecie anche erogazioni a destinazione non vincolata quali quelle assistenziali.
8. Esaminato secondo l’impostazione dianzi delineata, il caso che ci occupa appare caratterizzato dalla inesistenza di quella "induzione in errore", che integra elemento costitutivo del reato di truffa. La vicenda, invero, nei suoi elementi fattuali, non è integrata dall’esistenza di un attestato o di un certificato di esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria, in relazione al reddito, rilasciato dall’azienda USL in seguito alla compilazione di un’autocertificazione del beneficiario, ma l’assistito ha apposto la propria firma in calce ad un timbro impresso sul retro dell’impegnativa di prescrizione (riferita ad accertamenti specialistici) recante la dichiarazione "Sono licenziato e disoccupato. Il mio nucleo familiare non supera il reddito previsto per l’esenzione". In base a ciò solo la struttura sanitaria ha erogato le prestazioni in regime di esonero. Nella Regione Siciliana soltanto con la L.R. 31 maggio 2004, n. 9 (attuata con decreto assessoriale n. 3665 del 18 giugno 2004 ed ulteriormente integrata nel novembre del 2007) è stata introdotta una disciplina delle esenzioni del ticket sanitario, secondo la quale, per essere esentati dal pagamento, è necessario munirsi del certificato ISEE (indicatore della situazione economica equivalente), ottenibile presso i CAF o CAAF previa compilazione, da parte dell’utente, di una dichiarazione sostitutiva unica D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, ex artt. 38, 46 e 47, avente validità di 12 mesi dalla data di rilascio.
Tale normativa non era vigente all’epoca dei fatti per i quali si procede (agosto 2002) e - tenendosi comunque presente che nel concetto di "induzione in errore" non può essere assorbito quello di "falsa rappresentazione" - la esenzione del ticket venne ammessa quale conseguenza automatica della formale dichiarazione del richiedente (questo regime è stato successivamente emendato in senso restrittivo proprio a cagione del rilevante numero di abusi che ad esso si riconnettevano). Per la relazione di residuante e sussidiarietà rispetto alla ipotesi di truffa (già evidenziata dianzi), dunque, trova applicazione la fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p.
9. Le Sezioni Unite, con la citata sentenza Carchivi, hanno già dato risposta alla ulteriore questione dei rapporti della fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p., con i reati di falso ed in proposito hanno concluso che il reato di cui all’art. 316 ter assorbe quello di falso previsto dall’art. 483, in quanto l’uso o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituisce un elemento essenziale per la sua configurazione, nel senso che la falsa dichiarazione rilevante ex art. 483, ovvero l’uso di un atto falso, ne costituiscono modalità tipiche di consumazione.
Le Sezioni semplici si sono conformate a tale orientamento ed hanno ribadito che il concorrente reato di cui all’art. 483 c.p., resta assorbito nella fattispecie di cui all’art. 316 ter, dal momento che tale ultimo delitto ne contiene tutti gli elementi costitutivi, dando così luogo ad un reato complesso, e ciò pure quando occorra avere riguardo alla previsione dell’art. 316 ter, comma 2, non superandosi i livelli quantitativi dell’indebitamente percepito posti dalla legge come spartiacque tra il fatto di mera rilevanza amministrativa e quello di rilevanza penale (vedi Cass.: Sez. 6, n. 28665 del 31 maggio 2007, dep. 18 luglio 2007, P.M. in proc. Piga; Sez. 5, n. 41383 del 17 settembre 2008, dep. 6 novembre 2008, Capalbo; Sez. 5, n. 31909 del 26 giugno 2009, dep. 5 agosto 2009, Arcidiacono; Sez. 6, 21 ottobre 2010, dep. 22 novembre 2010, Gelsi).
10. Nel quadro giurisprudenziale come sopra delineato ritiene questo Collegio di dovere ribadire i principi secondo i quali:
a) "Il reato di cui all’art. 316 ter c.p., assorbe quello di falso previsto dall’art. 483 c.p., in tutti i casi in cui l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscono elementi essenziali per la sua configurazione". La fattispecie di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato o di altri enti pubblici, infatti, si configura come fattispecie complessa, ex art. 84 c.p., che contiene tutti gli elementi costitutivi del reato di falso ideologico. Né può attribuirsi rilevo alla diversità del bene giuridico tutelato dalle due norme, considerato che in ogni reato complesso si ha, per definizione, pluralità di beni giuridici protetti, a prescindere dalla collocazione sistematica della fattispecie incriminatrice;
b) "l’assorbimento del falso ideologico nel delitto di cui all’art. 316 ter c.p., si realizza anche quando la somma indebitamente percepita o non pagata dal privato, non superando la soglia minima dell’erogazione (euro 3.999,96), integri la mera violazione amministrativa di cui al secondo comma dello stesso art. 316 ter".
Rientra, infatti, nelle valutazioni discrezionali del legislatore la scelta della natura e qualità delle risposte sanzionatorie a condotte antigiuridiche, e quindi l’assoggettabilità dell’autore, in una determinata fattispecie, a sanzioni amministrative, pure se frammenti di queste condotte, ove non sussistesse la fattispecie complessa, sarebbero sanzionabili con autonomo titolo di reato.
11. Nella vicenda in esame, in conclusione, i fatti contestati vanno ricompresi nello schema descrittivo dell’art. 316 ter c.p., ivi assorbiti i reati di falso e di truffa, ed a ciò consegue la declaratoria di non previsione del fatto come reato, in quanto non risulta superata la soglia di punibilità, ragguagliata al valore di Euro 3.999,96, indicata nel secondo comma della richiamata previsione legislativa. Vanno revocate, quindi, le statuizioni civili e, per l’applicazione della prevista sanzione amministrativa, gli atti devono essere trasmessi al Prefetto di Messina.

P.Q.M.
Qualificati i fatti come fattispecie ex art. 316 ter c.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Dispone la trasmissione degli atti al Prefetto di Messina per l’applicazione della sanzione amministrativa prevista dallo stesso art. 316 ter, comma 2. Revoca le statuizioni civili della sentenza impugnata




Mancato versamento del ticket per prestazioni sanitarie ed ospedaliere

La vicenda processuale

Il Tribunale monocratico di Patti nel 2006 condannava P.G.E. in ordine ai reati di cui all’art. 483 c.p. (Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico), ed al comma 2 dell’art. 640 c.p. (Truffa) per avere autocertificato, in danno della A.U.S.L. di Messina, attraverso una dichiarazione mendace resa all’impiegato addetto all’ufficio ticket dell’ospedale di Patti, di percepire redditi inferiori nel complesso al limite fissato dalla legge per l’esenzione dal versamento del ticket dovuto per la fruizione delle prestazioni mediche, così procurandosi un ingiusto profitto costituito dal risparmio sulla quota di partecipazione alla spesa e contemporaneamente arrecando un danno per l’ente pubblico erogatore della prestazione.
L’imputato ricorreva al Giudice del secondo grado. La Corte di Appello di Messina adita confermava l’impianto della sentenza impugnata e, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata per il delitto di truffa, unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 c.p., comma 2, condannava il ricorrente alla pena (condizionalmente sospesa) di mesi quattro e giorni quindici di reclusione, nonché al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
Avverso tale sentenza l’imputato ricorreva al giudice del diritto chiedendone l’annullamento giacché la attestazione falsa non appariva di per sé idonea ad integrare il contestato reato di cui all’art. 483 c.p., non essendo contenuta in un atto pubblico, né quello di cui all’art. 640 c.p. in considerazione del fatto che il mero mendacio integra l’ipotesi di "artifizi e raggiri", presupposto tipico del reato di truffa, soltanto nel caso in cui attiene ad un attestato od ad un documento avente carattere fidefacente e non già, come nel caso di specie, ad un’autocertificazione alla quale non è stato allegato alcun documento di riconoscimento.
Il ricorso veniva assegnato alla Seconda Sezione penale della Corte che, a sua volta, provvedeva a rimetterne la trattazione alle Sezioni Unite "…rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale riferito alla assorbente questione della qualificazione giuridica della condotta consistente nel rendere una falsa dichiarazione circa le condizioni di reddito…".
In diverse occasioni, infatti, la Corte di Cassazione si era pronunciata in merito qualificando condotte analoghe a quelle di cui alla sentenza in commento in termini di "…truffa aggravata in danno di ente pubblico e non già come reato di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato o di altri enti pubblici…" ed, ulteriormente, specificando che la fattispecie relativa a tale ultimo delitto ricorrerebbe solo nell’ipotesi di effettiva percezione di una pubblica sovvenzione e non già in quella della mera esenzione dalla corresponsione di una somma(1).
La condotta si concretizzerebbe, secondo tale tesi, nella falsificazione della realtà determinata dalla dichiarazione di trovarsi nelle condizioni di reddito previste dalla legge per l’esenzione; falsificazione che darebbe corpo e sostanza all’elemento degli artifizi e dei raggiri richiesto dalla fattispecie criminosa di cui all’art. 640 c.p.
In altre pronunce la Corte medesima aveva, per contro, affermato che la condotta in argomento avrebbe comportato la violazione del reato di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato o di altri enti pubblici, "…restando in esso assorbito il reato di falsità ideologica del privato in atto pubblico, e ciò anche nel caso in cui, dato il livello quantitativo dell’indebita percezione, il fatto integri una mera violazione amministrativa…".
La particolarità, aggiunge chi scrive, era che i diversi orientamenti sostenuti di volta in volta dalle Sezioni della Suprema Corte muovevano entrambi da quanto statuito dalle Sezioni Unite in altra sentenza del 2007 (afferente i rapporti tra le fattispecie criminose di cui agli artt. 316-ter c.p. e 640-bis c.p.) di cui venivano valorizzati di volta in volta passaggi diversi(2).
Nel provvedimento del 2007 le SS.UU., infatti, ricondussero l’ambito di operatività del delitto di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato o di altri enti pubblici a "…situazioni del tutto marginali…", asserendo che non rientravano nella fattispecie di siffatto reato l’ipotesi di esenzione dalla corresponsione di una somma, ma avevano pur affermato che "…nella nozione di erogazioni pubbliche rientravano pure quelle di natura assistenziale…". Con la conseguenza di poter utilmente affermare che, nel concetto di erogazione, era inevitabilmente destinato a rientrare ugualmente il caso della esenzione dal pagamento di una somma perché, anche in tale contesto, il richiedente ottiene un vantaggio economico il cui costo è a carico della comunità(3).

L’intervento della suprema corte

La questione di diritto sulla quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a decidere riguarda, dunque, la corretta qualificazione giuridica del fatto criminoso consistente nella falsa attestazione del privato di trovarsi nelle condizioni di reddito per fruire, a termini di legge, delle prestazioni del servizio sanitario pubblico senza il versamento della quota di partecipazione alla spesa sanitaria. Relativamente a tale tematica nel tempo si sono sviluppati i due distinti orientamenti di cui si è dato atto nella sezione che precede. L’uno, che potremmo definire tradizionale, propende, ove ricorrano condotte analoghe a quelle di cui alla sentenza in commento, per l’applicabilità della fattispecie del delitto di truffa in ragione di quella "…falsificazione della realtà…" che si concretizza attraverso il carattere mendace della dichiarazione dell’agente.
La fattispecie dell’art. 316-ter c.p., secondo tale assunto, avrebbe carattere "…residuale rispetto a quello della truffa…" con la quale non è in rapporto di specialità e con cui non può concorrere. Con la conseguenza che l’ambito di applicazione di tale ultimo articolo si ridurrebbe a situazioni del tutto marginali quali il mero silenzio antidoveroso ovvero quelle di condotte che non inducano effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale. L’altro orientamento è quello che ritiene ben distinta la condotta di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato da quella di truffa aggravata in ragione della sussistenza o meno dell’elemento dell’induzione in errore realizzata attraverso la messa in atto di artifizi o raggiri che caratterizzano una condotta di natura fraudolenta. Entrambe le tesi nel comune convincimento che nel concetto di erogazione debba ricomprendersi, non solo l’ottenimento di una somma di denaro a titolo di contributo, ma pure l’esenzione dal pagamento di una somma dovuta ad enti pubblici(4).
La Suprema Corte, nell’accogliere la tesi che propende per la rigida distinzione tra le fattispecie summenzionate, ha osservato in via preliminare che la ratio dell’introduzione nel codice penale dell’art. 316-ter, di cui più approfonditamente nella sezione successiva, era quella di prevedere la punibilità anche per quelle condotte "decettive", in danno di enti pubblici o comunitari, non incluse nell’ambito operativo della fattispecie di truffa (aggravata - n.d.a.) per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Tale convinzione nasce dalla consapevolezza del giudice del diritto che ogni altra interpretazione sarebbe difficilmente compatibile con l’impianto normativo della materia ed in palese contrasto con la volontà del Legislatore penale.
Infatti, argomentando a contrario, qualora la vigenza dell’art. 316-ter c.p. non fosse limitata al semplice mendacio, sorgerebbe tutta una serie di difficoltà sistematico-interpretative atteso che sarebbe punita assai più gravemente ai sensi dell’art. 316-bis c.p. la distrazione di contributi, sovvenzioni o finanziamenti legittimamente ottenuti da Stato, enti pubblici o da Comunità europee destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere od allo svolgimento di attività di pubblico interesse, (l’art. 316-bis c.p., introdotto dalla Legge 86/90 prevede la reclusione da sei mesi a 4 anni a prescindere dall’importo) piuttosto che il loro indebito conseguimento sanzionato appunto dall’art. 316-ter c.p. con la reclusione da sei mesi a tre anni (e nei casi meno gravi solo in sede amministrativa. - n.d.a.).
Una situazione sicuramente in controtendenza rispetto all’evoluzione del quadro normativo mirante, appunto, a rafforzare la tutela penale nel settore delle erogazioni comunitarie.
In tal senso la Cassazione ha affermato il principio secondo il quale: "…l’art. 316-ter c.p., punisce condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate (oltre che dal silenzio antidoveroso) da false dichiarazioni o dall’uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l’erogazione non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perché in realtà si rappresenta correttamente solo l’esistenza della formale attestazione del richiedente…".
Tale orientamento appare veppiù in linea con quel processo giurisprudenziale che, nell’ambito dell’esame della idoneità della condotta ad integrare la fattispecie del delitto di truffa, ha privilegiato non già la definizione dei concetti di artifizi e raggiri, quanto, piuttosto, la loro idoneità in concreto a "…produrre l’effetto di induzione in errore del soggetto passivo…". ossia con riferimento diretto alla situazione in cui si è determinato il fatto ed alle modalità esecutive del medesimo (c.d. configurazione del delitto in senso causale).
Attraverso al disamina delle circostanze che caratterizzano il fatto di reato occorrerà verificare, appunto in concreto, se sussista una induzione in errore (che è cosa più ampia e ben diversa dalla mera "falsa rappresentazione") e che tale induzione sia dovuta ad una condotta di natura fraudolenta. Solo nel caso in cui l’ente erogante sia stato in concreto "circuito" nella valutazione di elementi attestativi o certificativi artificiosamente decettivi, potrà ascriversi a carico dell’agente il reato di truffa. Significativo è al riguardo il dato letterale dell’art. 316-ter c.p. che evidenzia la chiara volontà del Legislatore di perseguire la percezione sine titulo delle erogazioni in via privilegiata rispetto alle modalità attraverso le quali l’indebita percezione si è realizzata od alle eventuali destinazioni funzionali del vantaggio indebitamente percepito.
E su tale dato letterale la Suprema Corte fissa in principio la nozione di "contributo" che altro non è che il "…conferimento di un apporto per il raggiungimento di una finalità pubblicamente rilevante…" e, pertanto, non può essere limitato concettualmente all’ipotesi della elargizione di una somma di danaro ma inerire anche il caso della concessione dell’esenzione dal pagamento di una somma agli stessi dovuta giacché, anche in tal caso, l’istante ottiene un vantaggio e beneficio economico che viene posto a carico della comunità. Ulteriore conferma alla tesi fatta propria dagli ermellini evincesi dal fatto che, mentre l’art. 316-bis c.p. è rivolto specificamente a reprimere la distrazione dei contributi pubblici dalle finalità per le quali sono stati erogati, analoga previsione non si rintraccia nell’impianto dell’art. 316-ter c.p. che sanziona la percezione di per sé indebita delle erogazioni, senza che vengano in rilievo particolari destinazioni funzionali (disfunzionali - n.d.a.).
Nel caso di cui alla sentenza in commento l’analisi degli elementi fattuali della vicenda dimostra l’assenza dell’elemento della induzione in errore, tipico del reato di truffa, non avendo il richiedente esibito allo un certificato di esenzione dal ticket sanitario rilasciato dall’azienda USL in seguito alla compilazione di un’autocertificazione essendosi limitato ad apporre la propria firma in calce ad un timbro impresso sul retro dell’impegnativa di prescrizione recante la dichiarazione "Sono licenziato e disoccupato. Il mio nucleo familiare non supera il reddito previsto per l’esenzione".
L’orientamento adottato dagli ermellini comporta, inoltre, che la fattispecie dell’art. 316-ter c.p. assorbe quello di cui all’art. 483 c.p. (Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico), in quanto l’uso o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi è elemento essenziale per la sua configurazione. La falsa dichiarazione, rilevante ex art. 483 c.p. cit., ovvero l’uso di un atto falso, sono modalità tipiche di consumazione del delitto ex art. 316-ter c.p. che si configura come fattispecie complessa, ex art. 84 c.p., contenendo tutti gli elementi costitutivi del reato di falso ideologico.
Né, prosegue la Corte, deve attribuirsi rilevo alla diversità del bene giuridico tutelato dalle due norme, considerato che in ogni reato complesso vi è, per definizione, una pluralità di beni giuridici protetti, a prescindere dalla collocazione sistematica della fattispecie incriminatrice.
Preso atto che gli elementi della vicenda rientrano a pieno titolo nello schema descrittivo dell’art. 316-ter c.p., in cui risultano assorbiti per il caso de quo i reati di falso e di truffa, il Giudice del diritto ha provveduto a formulare apposita declaratoria di non previsione del fatto come reato, in quanto non risultava superata la soglia di punibilità, ragguagliata al valore di euro 3.999,96, indicata nel secondo comma della precitata norma, con revoca delle statuizioni civili e rinvio degli atti al Prefetto per l’applicazione della prevista sanzione amministrativa.

Il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello stato

Introdotto con Legge 29 settembre 2000 n. 300 la fattispecie dell’art. 316-ter c.p. sanziona, come abbiamo visto, l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, andandosi ad inserire in un contesto normativo già saturo in cui si sono posti, nel tempo, seri problemi di coordinamento.
La dottrina dell’epoca riteneva la fattispecie de qua una "…obiettiva duplicazione dell’art. 640-bis c.p…."(5) introdotto a sua volta nel 1990 allo scopo di inasprire le pene previste dal reato di truffa(6) ed estenderne l’applicabilità anche alle ipotesi in cui parte lesa fossero organismi di carattere sovranazionale, attese le difficoltà incontrate dalla dottrina e dalla giurisprudenza nel ricomprendere questi ultimi nel concetto di "altro ente pubblico" (di cui al punto 1 del comma 2 dell’art. 640 c.p.).
A ben vedere si trattava, già all’epoca, di un intervento non nuovo per il nostro Legislatore che nel 1986, con l’art. 2 della legge 23 dicembre n. 898 di conversione del D.L. 701/86 aveva introdotto il reato di truffa in danno del fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (c.d. FEOGA) prevedendo che chiunque, mediante l’esposizione di dati o notizie falsi, avesse conseguito indebitamente aiuti, premi, indennità, restituzioni, contributi od altre erogazioni a carico anche parziale del FEOGA, sarebbe stato punito con la reclusione da tre mesi a tre anni(7).
Norma che secondo la Suprema Corte era indiscutibilmente in rapporto di specialità con la truffa di cui ne ripeteva "…tutte le modalità esecutive della condotta e degli eventi naturalistici, specificando da un lato gli artifizi e raggiri e dall’altro la qualifica comunitaria dell’ente destinatario…"(8).
E tale disposizione di legge, anche successivamente all’entrata in vigore nel 1990 dell’art. 640-bis c.p., mantenne la sua sfera di applicazione prevedendo e punendo meno severamente una condotta truffaldina particolare a danno di un altrettanto particolare organismo comunitario quale il FEOGA(9).
Il regime di specialità appariva giustificato dal più specifico oggetto giuridico della norma che lo aveva individuato nella tutela della corretta destinazione delle risorse erogate a livello comunitario ma, sotto il profilo sanzionatorio, determinava una disparità di trattamento così evidente da non poter essere ritenuta coerente con l’intendimento del Legislatore.
Al fine di ovviare a tale incongruenza la Suprema Corte precisò che "…il reato di frode comunitaria (ex art. 2, Legge 898 del 1986) ha carattere sussidiario (e non speciale) rispetto a quello di truffa aggravata. Ne deriva che esso è configurabile solo quando il soggetto si sia limitato all’esposizione di dati e notizie falsi, e non anche quando alle false dichiarazioni si accompagnino artifici e/o raggiri di altra natura, che integrano invece il delitto di truffa aggravata…"(10).
Tale tesi sarebbe stata fatta propria dal Legislatore che, nel corso del 1992, sostituì appunto il citato articolo 2 con l’art. 73 della legge n. 142 introducendo la clausola di riserva di cui all’inciso iniziale: "ove il fatto non configuri il più grave reato previsto dall’art. 640-bis c.p." che, secondo la Corte Costituzionale ha reso evidente il carattere di sussidiarietà della norma rispetto a quest’ultimo articolo di legge(11).
Per il criterio di sussidiarietà, sintetizzato nel brocardo "lex primaria derogat legi subsidiariae", la norma principale esclude l’applicabilità di quella sussidiaria la quale tutela un grado inferiore del medesimo interesse tutelato dalla norma principale in grado superiore(12), nel caso di specie rappresentata dall’art. 640-bis c.p. in cui, pertanto, si esaurisce l’intero disvalore del fatto laddove l’agente non si limiti a esporre dati falsi, ma faccia ricorso ad ulteriori "malizie" costituite da modalità ingannevoli diverse al fine di indurre in errore il soggetto passivo. E stante il fatto che la giurisprudenza di legittimità tra gli "ulteriori artifizi o raggiri" da sempre annoverava la formazione ed allegazione di documenti falsi poteva supporsi che il Legislatore nel citato art. 2 avesse inteso enucleare dall’’ambito degli "artifizi e raggiri" quello di minore gravità rappresentato dalla mera "esposizione di dati e notizie falsi".
In questo già complesso quadro normativo si è inserito a suo tempo il disposto dell’art. 316-ter c.p. che, sino ad oggi, non è riuscito nell’intento di rafforzare la tutela degli interessi salvaguardati dalla normativa, ma anzi l’ha indebolita afflievolendone il relativo regime sanzionatorio.
In analogia a quanto sin qui detto, l’inciso iniziale dell’art. 316-ter, che recita "…salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’art. 640-bis c.p….", riproducendo quasi letteralmente l’incipit dell’art. 73 della Legge 142/92, sembra collocare la norma in rapporto di sussidiarietà e non di specialità con l’art. 640-bis c.p.
L’art. 316-ter sanziona, infatti, l’indebita percezione di erogazioni concessi da Stato, altri enti pubblici o Comunità europee "…mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute…" delineando tipologie di condotte da un lato diverse e più fraudolente rispetto alla mera "esposizione di dati e notizie falsi" (c.d. "mendacio documentale" cui fa riferimento l’art. 2 summenzionato) e dall’altro suscettibili di rientrare nel novero di quegli "artifizi o raggiri" di cui all’art. 640-bis c.p., tra i quali rientrano ancora, secondo buona parte della giurisprudenza, l’utilizzazione o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi.
La nuova norma, collocata dunque in un ambiente eccessivamente affollato, rischierebbe di rimanere sostanzialmente inapplicata per mancanza di spazio normativo.
Il concorso apparente di norme venutosi a creare si risolve, per quanto detto, facendo ricorso al citato criterio di sussidiarietà sussistendone entrambi i presupposti costituiti dal rapporto di specialità reciproca tra fattispecie e dall’assorbimento dell’interesse tutelato da una norma nell’interesse tutelato dall’altra. Nel caso di specie, inoltre, l’assorbimento è espresso dalla stessa legge con la precitata clausola di riserva a favore della norma che prevede un trattamento più severo che confina il profilo di applicazione dell’art. 316-ter c.p. alla marginale ipotesi di omissione di informazioni dovute(13).
Secondo parte della dottrina, l’applicazione dell’art. 316-ter c.p. a fattispecie di per sé idonee ad essere ricomprese nelle previsioni ex art. 640-bis c.p. proporrebbe, in modo fondato, i problemi di legittimità costituzionale, con riferimento all’art. 3 della Costituzione, già posti in relazione all’art. 2 Legge 898/86 nella parte in cui prevede un trattamento sanzionatorio meno rigoroso di quello previsto dagli artt. 640 e 640 bis c.p.
Trattasi, invero, di una problematica affrontata a più riprese dalla Corte che, attraverso una serie di sentenze interpretative di rigetto, ha sempre affermato la piena costituzionalità dell’art. 2 in riferimento al fatto di colui che consegue indebitamente erogazioni a carico del FEOGA attraverso la mera esposizione di dati o notizie falsi.
Una soluzione interpretativa che non appare, a chi scrive, estendibile all’art. 316-ter c.p. giacché si rischierebbe di frustrare l’intento, perseguito dal Legislatore con l’introduzione dell’art. 640-bis c.p., di sanzionare con pene edittalmente più aspre e severe le condotte truffaldine finalizzate al conseguimento di finanziamenti ed erogazioni statali o comunitarie rispetto a quelle rivolte a profitti di diversa tipologia, anche se ugualmente forieri di un danno erariale.
In definitiva l’art. 316-ter pare destinato ad avere un margine di applicazione residuale limitato alle sole ipotesi di mendacio descritte dall’art. 2, L. 898/86, relativamente alle quali ne estende la punibilità per le ipotesi di illecita captazione di contributi provenienti non già e non solo dal FEOGA, ma anche da qualsiasi altro ente statale o comunitario.
Una breve considerazione, per concludere.
Pur riconoscendo l’utilità del lodevole tentativo della Suprema Corte di contribuire a dare una sistematica collocazione alla fattispecie di cui all’art. 316-ter c.p., il cui carattere residuale emerge dall’analisi interpretativa del disposto delle norme vigenti in materia che si è tentato sin qui di condurre, l’intervento degli ermellini rischia di compromettere l’impianto della Legge 300/2000 complessivamente ispirata alla esigenza di garantire una maggiore tutela delle risorse e degli enti comunitari i quali, con il procedere dell’integrazione europea, "…appaiono maggiormente esposti a condotte lesive di quegli stessi beni ed interessi che gli ordinamenti nazionali hanno ritenuto meritevoli delle speciali tutele che solo sanzioni di rango penale sono in grado di assicurare…"(14).

Cap. CC Luigi Aquino



Approfondimenti
(1) - Corte di Cassazione, Sez. II: Sent. n. 24817 del 25 febbraio 2009, dep. il 16 giugno 2009, Rel. Molonia; Sez. II, Sent. n. 32849 del 26 giugno 2007, dep. 13 agosto 2007, Rel. Mannarà; Sez. V, Sent. n. 38478 del 9 luglio 2008, dep. 14 ottobre 2008, Rel. Nicotera; Sez. II, Sent. n. 32578 del 27 aprile 2010, dep. 1° settembre 2010, Rel. Di Costanze.
(2) - Corte di Cassazione, SS.UU., Sent. n. 16568 del 19 aprile 2007, dep. 27 aprile 2007, Rel. Carchivi.
(3) - Assumendo, successivamente, tutta una serie di decisioni che esplicitamente definivano il concetto di erogazione di cui all’art. 316-ter c.p. come comprensivo "…sia di somme versate dall’ente pubblico, sia di somme non richieste o richieste in misura minore per servizi resi da detto ente…". Al riguardo, vedasi: Corte di Cassazione, Sez. V, Sent. n. 39340 del 9 luglio 2009, dep. 9 ottobre 2009, Rel. Nicchi; Sez. V, Sent. n. 31909 del 26 giugno 2009, dep. 5 agosto 2009, Rel. Arcidiacono; Sez. VI, Sent. n. 28665 del 31 maggio 2007, dep. 18 luglio 2007, P.M. in proc. Piga; Sez. V, Sent. n. 41383 del 17 settembre 2008, dep. 6 novembre 2008, Rel. Capalbo).
(4) - Nel termine "erogazioni" rientrano ormai, secondo consolidata giurisprudenza anche le somme non richieste o richieste in misura minore per servizi resi dal predetto ente a seguito della condotta del privato che dichiari un reddito familiare inferiore a quello effettivamente percepito al fine di ottenere un canone agevolato per la locazione di alloggio appartenente all’Amministrazione provinciale (Corte di Cass., Sez. V, Sent. n. 39340 cit.) ovvero un abbonamento mensile, con tariffa agevolata, al servizio municipale di trasporto pubblico (Corte di Cass., Sez. V, Sent. n. 31909, cit.).
(5) - O. Forlenza, in Guida al Diritto, n. 42 del 18 novembre 2000, pag. 54; duplicazione di cui il nostro Ordinamento non avvertiva il bisogno aggiungevano i primi commentatori della norma.
(6) - Fino ad allora l’unica fattispecie ascrivibile a condotte analoghe conosciuta dal nostro Ordinamento; con l’introduzione della norma de qua la pena edittale fu elevata nel massimo fino a sei anni di reclusione.
(7) - A meno che la somma percepita illecitamente fosse stata inferiore ad un decimo del beneficio legittimamente spettante e comunque non superiore a lire 20 milioni; in tali ipotesi infatti era prevista l’irrogazione di una semplice sanzione amministrativa.
(8) - Corte di Cassazione, Sez. III, del 9 settembre 87, Rel. Coluccio.
(9) - M. Mannucci, Prospettive di applicazione dell’art. 316-ter c.p. introdotto dalla l. 300/2000, in www.penale.it, commenti.
(10) - "…per i fatti anteriori alla modifica introdotta con l’art. 73 della Legge 19.2.92 n. 142…"; Corte di Cassazione, SS.UU., Sent. n. 2780 del 15 marzo 96, Rel. Panigoni; nella fattispecie la Corte ha ritenuto che il certificato veterinario allegato alle varie domande degli istanti, attestante falsamente l’esistenza del gregge ovvero di capi ovi-caprini in numero superiore a quello reale, lungi dal costituire la mera esposizione di dati e notizie falsi, secondo il dettato di cui all’art. 2, rappresentasse l’artifizio connotante la condotta del reato di truffa. Ed ancora Corte di Cassazione, Sez. V, Sent. n. 11497 del 4 novembre 98 Rel. Cimieri e Sez. II, Sent. n. 375 del 13 gennaio 1998 Rel. Gennarelli.
(11) - Corte Cost., Sent. n. 433/98 che richiama la Sent. n. 25/94 della Corte medesima sulla legittimità costituzionale dell’art. 2 L. 898/1986.
(12) - F. Mantovani, in Manuale di diritto penale, Cedam, 1992, pag. 473.
(13) - Con il definitivo superamento di quella la giurisprudenza che affermava che l’ artifizio o raggiro è integrabile anche da una condotta omissiva che può consistere talvolta anche nel "silenzio maliziosamente serbato" laddove l’agente, violando norme giuridiche, anche extrapenali, omette di osservare il dovere giuridico (art. 40 c,p,) di informare il soggetto passivo dell’esistenza di determinate circostanze che, se conosciute, avrebbero indotto la controparte a comportarsi diversamente.
(14) - M. Mannucci, Prospettive di applicazione dell’art. 316-ter c.p. introdotto dalla l. 300/2000, cit.