La delega amministrativa

Enzo Fanelli



Enzo Fanelli
Generale di Brigata dei Carabinieri.
Capo Ufficio Generale Affari Giuridici dello SMD
e Consigliere Giuridico del Capo di SMD.




1. Premessa

La competenza amministrativa è retta dal principio della inderogabilità, in quanto il complesso di poteri e di funzioni che un organo della Pubblica Amministrazione può esercitare sono rimesse alla volontà del legislatore. Tuttavia, esistono istituti mediante i quali - con provvedimento amministrativo e nei casi previsti dalla legge - pur non operandosi un trasferimento della titolarità della competenza, è possibile determinare lo spostamento dell’esercizio di essa.
La delega amministrativa è proprio uno di questi istituti in quanto non comporta un trasferimento definitivo di competenza in ordine all’atto o all’affare che ne è oggetto, ma crea soltanto una competenza derivata in capo ad altro organo, sempre revocabile dall’organo agente.
La delega (o delegazione) amministrativa, secondo la definizione generalmente condivisa dalla dottrina, è “un atto amministrativo organizzatorio per effetto del quale, nei casi espressamente previsti dalla legge, un organo o un ente, investito in via originaria della competenza a provvedere in una determinata materia, conferisce ad un altro organo o ad un altro ente, autoritativamente ed unilateralmente, una competenza di tipo derivato in quella stessa materia”(1).
Solitamente, trattandosi di un atto discrezionale e non dovuto, ci si avvale di esso nei casi in cui determinati organi si trovino ad essere gravati da un’elevata mole di affari, per cui si rende necessario, al fine di garantire un miglior funzionamento della struttura amministrativa, affidare lo svolgimento di alcuni di detti affari ad altri organi, appartenenti allo stesso ente (delega interorganica, es.: delega del Prefetto al Questore; del Sindaco agli Assessori) o a diverso ente (delega intersoggettiva: si pensi all’originaria previsione dell’art. 118 Cost., novellato dalla L. cost. 3/2001, che disponeva un’ipotesi di delega della Regione al Comune).
La delega amministrativa è ammessa nei soli casi previsti dalla legge, atteso che l’art. 97 Cost. pone una espressa riserva in tal senso(2), cosicché la fonte della competenza è un atto normativo nella forma disciplinata dalla Costituzione e non un atto diverso imputabile in modo esplicito o implicito ad un particolare soggetto giuridico(3). Ciò comporta che la delegazione amministrativa sia rinvenibile soltanto nelle ipotesi particolari in cui l’ordinamento preveda esplicitamente la possibilità di derogare all’ordine prestabilito nel quadro generale delle competenze dettato dal legislatore(4). La forma del conferimento è sempre quella scritta(5).


2. Origini e ratio

L’Istituto trae la sua origine da un’esigenza elementare di funzionalità dell’apparato amministrativo e tende a salvaguardare il principio di legalità, pur garantendo una certa flessibilità operativa in un contesto sostanzialmente rigido. In un momento storico in cui l’ordinamento conosceva come vigente un potere di auto-organizzazione della Pubblica Amministrazione, poteva apparire logicamente consequenziale che la norma consentisse all’organo istituzionalmente competente di non agire direttamente, ma di attivare un altro organo, eventualmente equiordinato ma più spesso subordinato. Condizione è che che la norma stessa lo riconoscesse idoneo in astratto ad esercitare la competenza indicata, sulla base di una valutazione puntuale dell’opportunità circa tale esercizio, fondata, in concreto, su motivi di migliore funzionalità o comunque di più efficace ripartizione del lavoro.
Tale esigenza non viene meno in un contesto che conosce una più incisiva salvaguardia circa il riparto delle competenze e sottrae il potere di organizzazione all’apparato della pubblica amministrazione per riservarlo al legislatore formale.
Sulla base della constatazione che l’attribuzione di competenza è fatta dalla legge, si è osservato che l’istituto, in effetti, non comporta un vero e proprio trasferimento di essa, in quanto verrebbe attribuita dallo stesso legislatore in modo alternativo, o, se si vuole, cumulativo tanto al delegante quanto al delegato, con il limite che l’attribuzione al delegato diverrebbe operante solo in presenza di un atto esplicito del delegante.
Le prospettazioni di delega più risalenti nel tempo si richiamavano a due diverse scuole di pensiero: da un lato, vi era un filone(6) che, muovendo dal principio di necessaria continuità delle funzioni pubbliche e di tendenziale inderogabilità delle stesse, contempla l’istituto in esame tra le soluzioni organizzative possibili per far fronte ai casi straordinari in cui il titolare originario della funzione non può agire direttamente. In definitiva, essa sarebbe una sorta di “supplenza volontaria”, una situazione di surrogazione disposta sulla base di una disposizione legislativa.
Un altro indirizzo dottrinale(7) configurava invece la delegazione come autorizzazione discrezionale del delegante al delegato a svolgere competenze altrimenti proprie, sulla base di un potere attribuito dalla legge. Da tali risalenti impostazioni di fondo sono derivate poi le ulteriori analisi, soprattutto, per quello che qui interessa, in ordine al carattere originario o derivato dei poteri e delle facoltà devoluti, sui caratteri essenziali della delega, nonché in ordine alla sua revocabilità anche tacita.


3. Natura ed effetti dell’atto di delega

Giuridicamente la delega si qualifica come un atto di natura organizzatoria, poiché viene utilizzata per attuare una forma indiretta di decentramento. Vi si ricorre, infatti, generalmente quando alcuni organi sono particolarmente gravati di affari di propria competenza e, quindi, affidano ad altri lo svolgimento di alcuni di essi.
Sotto il profilo degli effetti, quest’atto (organizzatorio) si presenta certamente più similare ad una concessione, che non ad un’autorizzazione o ad un atto dichiarativo(8). Ciò perché attraverso la delega non si trasferisce la competenza (che non può essere trasferita), ma semplicemente l’esercizio di essa: cioè la legittimazione ad adottare uno o più atti che rientrano nella sfera di competenza del delegante.
Con la delega si instaura un vero e proprio rapporto (interorganico o intersoggettivo) fra delegante e delegato, in virtù del quale il primo, proprio perché conserva la competenza originaria (anche se conferisce al delegato la legittimazione), ha poteri di direzione (spesso contenuti nei limiti della delega) e la possibilità, in ogni momento, di controllare l’operato del secondo, nonché di revocare ut libet l’incarico conferito.
I caratteri essenziali della delega possono essere così sintetizzati:
-  è un atto dispositivo di un soggetto o dell’organo di un soggetto;
-  con cui questo, fondandosi sulla propria competenza a provvedere in ordine ad un determinato oggetto;
- attribuisce ad un altro soggetto od organo i poteri e le facoltà che reputa necessari affinché questo possa, in modo altrettanto legittimo ed efficace, provvedere in ordine all’oggetto stesso, entro i limiti e secondo i criteri stabiliti nell’atto di delegazione(9).
La delega è, in base a questa definizione, un atto dispositivo, cioè un atto con cui, in buona sostanza, l’organo o il soggetto delegante dispone della propria competenza a provvedere in ordine ad un determinato affare.
Presuppone, altresì, che il delegante abbia la competenza in ordine all’oggetto di essa; senza questa, infatti, non si avrebbe una delega in senso proprio, ma un’attribuzione di competenza a titolo originario, e quindi varierebbero i principi e le condizioni che sono all’uopo richiesti.
La delega, infine, attribuisce al delegato i poteri e le facoltà necessari per provvedere in ordine all’oggetto della delegazione in modo altrettanto legittimo ed efficace di quello che sarebbe proprio dell’autorità delegante. Ciò vuol dire che l’estensione della competenza operata ha, per effetto, di apportare una deroga alle norme che la regolano, rendendo validi i provvedimenti emanati dal delegato in applicazione della delega. Gli atti di quest’ultimo perciò, se compiuti entro i limiti ed alle condizioni poste dalla legge che prevede la delega stessa, non saranno viziati d’incompetenza, come invece accadrebbe se non vi fosse stata la delega. Anzi, al riguardo, la giurisprudenza ha stabilito(10) che, ove la delega fosse per qualche motivo illegittima, non è annullabile per incompetenza l’atto delegato, se essa non sia stata previamente impugnata.
L’oggetto della delegazione può essere costituito dall’emanazione di un determinato atto per una volta sola o dall’emanazione di uno stesso tipo di atto per tutte le volte occorrenti (nei limiti di durata della delega), o di più tipi di atti o, ancora, dalla competenza a compiere tutti gli atti e fatti relativi ad una data materia o a più materie. Benché la delega muova da un’esigenza di decentramento od analoga al decentramento(11), un altro dei suoi caratteri essenziali è che essa non opera necessariamente un trasferimento di competenza, se per questo si intende la perdita di essa da parte del delegante ed un correlativo acquisto del delegato e non soltanto la creazione di una competenza derivata (nei limiti della delegazione) nel secondo. Ciò aiuta a risolvere la questione se sia legittima, eventualmente, una delega per tutte le materie di competenza del delegante. Posto, infatti, che il delegante non rimane privo, malgrado la delega conferita, della competenza originaria sull’oggetto della delegazione (egli può anche conservare la potestà di esercitare le funzioni delegate e, se occorre, revocare, sotto le condizioni proprie di ogni revoca, gli atti compiuti dal delegato). Se, per giunta, il delegante può prescrivere criteri e principi direttivi nell’atto stesso di delega od anche nel corso del conseguente rapporto, sembra che in linea di massima debba ammettersi anche una delega per tutte le attribuzioni assegnate alla competenza originaria del delegante, eccettuate ovviamente quelle che esigono per la loro natura la sua diretta attività.
La delega amministrativa può anche essere conferita senza definire a priori un termine di durata, mentre, d’altronde, può essere fatta cessare in ogni tempo, anche prima della data eventualmente stabilita, in quanto atto revocabile, per sua natura, in ogni momento.
Si prefigura, a questo punto, un’altra domanda: deve la revoca essere espressa, o può anche essere tacita? Si potrebbe ritenere che l’ammissibilità di quest’ultima non possa escludersi in linea di principio, quando non risulti per diritto positivo il contrario, mentre l’idoneità di un comportamento del delegante a valere come revoca tacita è una questione da decidersi di volta in volta. Se, infatti, per revoca tacita si intende, come per ogni manifestazione di tale tipo, un comportamento del delegante incompatibile con la volontà di mantenerla in vita (si pensi a un comportamento che consista nell’assumere nuovamente la funzione delegata), va osservato che siffatto comportamento può anche equivalere ad una revoca, se oggetto della delega era un singolo e concreto atto (che ovviamente il delegato non aveva ancora posto in essere al momento in cui esso è stato compiuto dal delegante). Se, invece, oggetto della delega era il compimento di una serie di atti, anche di una sola specie, per il tempo della delega, o il complesso dei provvedimenti ed operazioni relativi a una materia o a un gruppo di materie, allora il compimento di uno di questi atti da parte del delegante difficilmente potrebbe avere il valore univoco di una revoca, sia per il carattere isolato dell’intervento, sia perché questo potrebbe essere dettato da tutt’altre ragioni, come l’assenza o l’impedimento del delegato, la sua inerzia a provvedere, ecc. Soltanto se gli interventi assumessero un carattere continuativo e non concorressero circostanze del genere ora indicato, si avrebbero le condizioni per attribuire ad essi il valore e l’efficacia di una revoca.


4. I casi positivi di delegazione

Indipendentemente dalla terminologia usata dal legislatore possono essere riconosciute come delegazione due situazioni diverse:
-  la delegazione da parte del titolare di un ufficio a titolari di uffici che già hanno una propria differente competenza con rilevanza esterna. È il caso della delega del Ministro dell’Interno ai Prefetti per alcune incombenze indicate dalla legge, o del Consiglio Comunale e Provinciale alle rispettive Giunte;
-  la delegazione da parte del titolare di un ufficio a titolari di uffici privi di propria competenza o a persone fisiche non titolari di un ufficio. È il caso della delega del Ministro al Sottosegretario o del Sindaco all’Assessore.
Di fatto, le suddette ipotesi prescindono dall’esistenza di un rapporto di natura gerarchica tra delegante e delegato, che per contro ha costituito a lungo il contesto usuale nel cui ambito l’istituto si è sviluppato. Il rapporto di gerarchia è caratterizzato dalla teorica identità di competenza dell’ufficio superiore e di quello inferiore: la competenza del superiore si caratterizza per coprire in modo completo quella dell’inferiore, che invece incontra una serie di limiti, per territorio, per valore, e così via. Il superiore gerarchico, così, è in grado di determinare il concreto esercizio delle attribuzioni dell’inferiore, impartendo ordini qualificati da una precisa obbligatorietà, oppure avocando a sé la trattazione del singolo affare, mentre l’inferiore non può assumere la trattazione di questioni che, pur rientrando nella sua generica competenza e nella sua specifica capacità, esorbitassero dai limiti di valore o di territorio attribuitigli. In questo quadro, l’istituto della delega ha svolto un ruolo specifico di razionalizzazione, consentendo di ottenere un sostanziale riordino delle competenze.
A seconda dell’opportunità, si rendeva possibile l’estensione della competenza a casi di valore o comunque di portata più ampia che non quella solitamente considerata, ma sempre nell’ambito di un settore di materia al quale sono già preposti il delegante ed il delegato.
I rapporti tra gli enti e gli uffici della pubblica amministrazione, oggi, non sono necessariamente configurati in termini gerarchici. Le norme organizzative in vigore tendono a concretare una netta distinzione dei ruoli spettanti all’apparato centrale ed a quello periferico. La competenza delle autorità centrali è, almeno tendenzialmente, differenziata rispetto a quella delle autorità periferiche ed i rapporti di sovraordinazione (e rispettivamente di sotto ordinazione) si riconoscono per un’attività di indirizzo e di direzione tenuta distinta da quella di concreta gestione.


5. Il contenuto attuale del rapporto di delegazione

Per quanto sopra detto, la delegazione amministrativa assume una nuova e diversa caratteristica, poiché non è solo momento di puntuale razionalizzazione nella distribuzione delle competenze nei singoli settori della pubblica amministrazione, ma è strumento di distinzione tra la responsabilità di indirizzo, che spetta al titolare della competenza principale, e la responsabilità di gestione dell’attività che viene trasferita in via derivata al delegato. Se, pertanto, il rapporto che si instaura tra i due attori prescinde da un preesistente rapporto di gerarchia - che, se c’è, ovviamente si mantiene - va comunque ricordato che la delega fa nascere un rapporto specifico fra organo (o ente) eventualmente delegante e organo (o ente) eventualmente delegato.
Il contenuto di tale rapporto può essere diverso: certamente esiste una soggezione del delegato alla potestà di delega del delegante, poiché non pare in alcun caso richiesto il consenso del primo per addivenire alla delegazione; con l’atto dispositivo, poi, potranno essere ulteriormente precisati gli ambiti ed i modi d’esercizio dell’attività oggetto del provvedimento ed in questa sede il delegante potrà riservarsi adeguati spazi per ulteriori interventi, attraverso direttive od ordini o in altre forme ritenute opportune.
Con l’istituto in esame, infatti, la legge prevede l’attribuzione della competenza al delegato e l’instaurazione di uno specifico rapporto tra le due figure. La competenza che prima spettava in modo esclusivo al delegante, una volta intervenuto l’atto di delegazione, si trasferisce al delegato. A questo punto i due soggetti si trovano in una situazione di contitolarità rispetto alla competenza stessa, poiché se al delegato spetta il momento operativo, il delegante non per questo rimane del tutto estraneo all’esercizio delle funzioni connesse.
I poteri di quest’ultimo sono ristretti attraverso l’esercizio della delegazione e si collegano a quelli del delegato in uno schema che si potrà definire in modo approssimato di “direzione” ed “esecuzione”. Il primo non potrà più agire esercitando quella competenza che ha delegato, ma potrà intervenire a guidare l’effettiva gestione dell’attività. Appare da escludere, pertanto, un suo potere di annullamento degli atti del delegato, così come non sembra sussistere un potere di vincolare autoritativamente l’attività delegata. Per contro, è più appropriato individuare un momento collaborativo che, fondandosi sull’applicazione della legge al fine di ottenere l’esercizio in concreto di una funzione, assume un carattere fiduciario, com’è ovvio, se si considera che l’istituto non prevede che il delegante si privi della propria competenza, bensì che possa modificare la propria funzione da direttiva e operativa insieme, in direttiva soltanto, secondo espressa statuizione legislativa.

a. La responsabilità per gli atti compiuti

In virtù di questo rapporto, comunque, il delegato assume in proprio la responsabilità degli atti che compie anche nei confronti dei terzi, imputandone gli effetti al delegante, per conto del quale agisce.
Al più il problema può porsi per quegli atti che vengono delegati ad un altro organo e che si pongono come dovuti, per i quali il delegato non può far altro che adeguarsi all’obbligo giuridico di adottarli così come predisposti dal delegante. Per questi, infatti, si ritiene che possa ipotizzarsi anche una responsabilità diretta del delegante perché, qui, il delegato non è che una longa manus. Lo stesso deve dirsi per quei comportamenti che siano attuativi di atti già adottati dal delegante: è quanto avviene, ad esempio, in materia di espropriazione, quando la delega riguarda esclusivamente la liquidazione della relativa indennità.
In tali casi, tuttavia, sembra sussistere in maggior misura la figura dell’“avvalimento(12)” piuttosto che quella della delega, per l’assenza di ogni potere decisorio in capo al delegato e perché il fatto di avvalersi di uffici altrui è circoscritto ad attività meramente esecutive, oltre che preparatorie e strumentali.
Si tratta, comunque, di evenienze che attengono esclusivamente alle deleghe intersoggettive.

b. L’impugnabilità degli atti del delegato con ricorso gerarchico al delegante

Proprio con riferimento all’autonomia decisoria, e, quindi, all’assunzione diretta di responsabilità del delegato, si pone anche l’ulteriore quesito se sia possibile impugnare l’atto da lui posto in essere mediante il ricorso gerarchico al delegante, quando tra i due organi sussiste un rapporto di gerarchia.
Se si parte dalla premessa indiscussa che il delegato, in quanto direttamente responsabile del suo operato, non può considerarsi rappresentante del delegante, né suo mandatario, dovrebbe darsi al quesito risposta positiva.
Tale soluzione non è del tutto pacifica in quanto, in senso contrario, si afferma che, rientrando l’atto adottato dal delegato in ogni caso nella sfera di competenza del delegante, cui vengono imputati, se non altro, gli effetti dell’operazione, il termine di riferimento sarebbe pur sempre, sotto il profilo soggettivo, quest’ultima sfera di competenza(13).

c. Il regime giuridico degli atti adottati dal delegato

Altro problema è quello che riguarda il regime degli atti del delegato, in quanto è discusso se debba essere quello proprio o quello riferibile al delegante. Ciò investe soprattutto il profilo del procedimento, delle forme di adozione dell’atto, nonché il sistema dei controlli.
Partendo dal presupposto che il delegato assume in proprio la responsabilità dell’atto, si dovrebbe optare per la tesi che, quantomeno per il procedimento e le forme, si debbano osservare le regole che la legge pone per gli atti adottati dal delegato(14).
Più problematica è, invece, la questione dei controlli che si diversificano generalmente in ragione della competenza. Poiché gli atti adottati dal delegato, pur essendo a lui direttamente imputati, rientrano nella sfera di competenza del delegante, il regime dei controlli dovrebbe essere quello ad essa riferibile. Ma anche tale soluzione non è pacifica(15).

d. Invalidità dell’atto di delega e sua conseguenza

Infine, si pone un ultimo interrogativo: l’illegittimità dell’atto di delega si ripercuote sulla validità degli atti del delegato?
In linea di massima si ritiene che, proprio perché la delega conferisce la legittimazione, ove essa sia illegittima, l’atto adottato dal delegato sul suo presupposto debba considerarsi viziato da incompetenza (rectius difetto di legittimazione). In tal caso è il sistema di impugnativa degli atti che condiziona la soluzione della questione. Infatti si può ritenere che l’illegittimità dell’atto di delega comporti un’invalidità derivata dell’atto del delegato, in quanto incidente sulla legittimazione alla sua adozione.
Occorre, tuttavia, verificare se l’atto produca effetti favorevoli o sfavorevoli nella sfera giuridica dei terzi.
In quest’ultima evenienza, per far valere il vizio di legittimazione, occorrerebbe o la pregressa caducazione dell’atto di delega o che, comunque, siano ancora aperti i termini per la sua impugnativa. Invece, per gli atti favorevoli, si può utilizzare il principio di conservazione, analogamente a quanto avviene per gli atti adottati dal funzionario di fatto.
L’atto di delega potrebbe essere, poi, radicalmente nullo, perché emesso in carenza di potere. In questo caso verrebbe meno lo stesso presupposto soggettivo dell’atto del delegato comportandone l’automatica caducazione.

6. Comparazione con altre figure

La delega va distinta dai seguenti istituti:
-  la supplenza che consiste in un fenomeno di duplice legittimazione ad esercitare la competenza, ossia una legittimazione primaria del titolare ed una legittimazione secondaria del vicario che ha il potere di sostituirlo in caso di impedimento o assenza per evitare la paralisi dell’attività. è un fenomeno previsto dalla legge che diventa operativo al verificarsi di un solo presupposto di fatto, l’impedimento o l’assenza del titolare. Al contrario, la delega è una sostituzione che non avviene automaticamente, ma trae origine da un atto discrezionale del titolare, il quale può anche determinarne la durata. La supplenza non modifica l’ordinamento delle competenze, bensì la legittimazione ad agire;
-  l’avvalimento che si ha quando un ente pubblico (che è e resta titolare delle proprie competenze) conferisce una delega ad uffici di un altro ente solo per determinate operazioni tecniche o per taluni compiti di natura preparatoria, istruttoria, esecutiva, ecc., finalizzati all’attività principale dell’ente titolare;
-  la c.d. delega di firma che risponde a semplici esigenze di deconcentrazione del lavoro amministrativo e non crea particolari rapporti tra delegante e delegato. In particolare, tale tipo di delega comporta semplicemente l’autorizzazione, concessa da un soggetto ad un altro, di apporre la firma in calce ad un provvedimento che rimane proprio del delegante sotto il profilo dell’imputazione e non diventa di pertinenza di chi lo ha firmato per c.d. delega, con la conseguenza che seguirà il regime giuridico degli atti del delegante, unico responsabile. Ne deriva l’inesperibilità del ricorso gerarchico innanzi al delegante in relazione agli atti emanati dal delegato in base a mera delega di firma.


7. Conclusioni

L’analisi della caratteristiche precipue dell’istituto induce ad affermare che quello della delega amministrativa è un fenomeno estremamente vario e complesso, per il quale non sembra possibile fornire soluzioni interpretative generalmente valide per ciascuna delle ipotesi che il diritto positivo disciplina.
Ipotesi di delegazione intervengono tanto nell’ambito di rapporti interorganici quanto in quello di rapporti intersubiettivi. Inoltre, oggetto di delegazione è talora la titolarità di funzioni o, addirittura, di attribuzioni (cioè di un complesso di funzioni unitariamente considerato), talaltra il mero esercizio di determinate funzioni o il compimento di specifici atti o attività. La delega, poi, può essere frutto di una libera scelta del titolare di determinate funzioni ovvero può dipendere dal ricorrere di condizioni obiettive discrezionalmente valutabili dallo stesso soggetto o, ancora, può essere configurata come un atto necessario o dovuto.
Né quelle considerate sono le sole alternative rilevanti ai fini della caratterizzazione giuridica della delegazione amministrativa. Nel diritto positivo, infatti, si riscontrano deleghe che comportano trasferimento di uffici (mezzi e personale) e deleghe che non lo comportano, ve ne sono alcune conferibili (o revocabili) solo esplicitamente e altre anche implicitamente, alcune che prevedono in capo al delegante un potere di supremazia (se pure impropria) o di direttiva e altre che non lo prevedono, alcune che autorizzano il delegante ad adottare istruzioni vincolanti ed altre sulla cui base possono essere adottate istruzioni aventi un’efficacia meramente direttiva. Esistono, altresì, quelle che conservano al delegante un potere di intervento concorrente sulla materia delegata e altre che lo escludono, alcune su oggetti determinati e altre su oggetti generici o indeterminati, alcune a tempo prestabilito e altre a tempo indeterminato.
Si tratta, a ben vedere, di più alternative in grado di caratterizzare il fenomeno in esame in modo di volta in volta diverso e che, se si rimane legati al diritto positivo attualmente vigente, è assai difficile, se non impossibile, catalogare secondo tipologie omogenee e generali.
Anche se tale aspetto, sicuramente non secondario, può apparire come una complicazione nella gestione complessiva dell’istituto, occorre considerare anche i lati positivi evidenziati da un uso oramai consolidato: siamo di fronte ad uno strumento utilissimo e flessibile che ha consentito e consente il costante adeguamento dell’attività burocratica alle mutevoli esigenze della società e all’evoluzione incessante della struttura amministrativa.



Approfondimenti(1) - Cfr.: A. Quaranta, Lineamenti di diritto amministrativo, Novara, 1978.
(2) - Art. 97 Cost. "I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari".
(3) - F. Caringella, Manuale di Diritto Amministrativo, ed. Giuffrè, Milano, 2006, pag. 555: "Va del resto rimarcato che le previsioni legislative di delegazione sono talmente numerose e generali da consentire la delega di qualsivoglia competenza, svuotando di ogni significato il principio di cui trattasi (n.d.r.: necessità di previsione legislativa)".
(4) - Il potere di delega, poiché altera l’ordine delle competenze degli organi abilitati ad emettere atti con efficacia esterna, necessita di un supporto normativo di valore almeno pari a quello attributivo della competenza ordinaria, in quanto diversamente si renderebbe l’amministrazione arbitra di spostare, caso per caso, e senza alcuna previsione di limiti oggettivi e soggettivi, le competenze precostituite, con l’effetto di privare l’amministrato delle garanzie che sono insite nelle attribuzioni di uno specifico organo, (così C.d.S., Sez. VI, sent. 20/1979).
(5) - Ad es. vedasi: Artt. 9 e 10 L. 400/1988 rispettivamente sulla delega di funzioni del Presidente del Consiglio al Ministro senza portafoglio e sulla delega dei compiti dai Ministri ai Sottosegretari.
(6) - D. Caruso e Inghilleri, La funzione amministrativa indiretta, Società editrice libraria, Milano, 1909.
(7) - L. Duguit, L’Etat, les gouvernants et les agents, Paris, 1903, pagg. 510 ss.
(8) - Cfr.: R. Galli, Corso di diritto amministrativo, 2007, Padova.
(9) - Cfr.: G. Miele, Delega (diritto amministrativo), in Enc. del dir.
(10) - Cons. Stato, sez. VI, 6 agosto 1960, n. 528, in Foro amm., 1960, 1076.
(11) - Quella di alleggerire il delegante di alcuni compiti o di affidare al delegato quelle incombenze che, in ragione della posizione e dei mezzi di cui dispone, paiono meglio esercitabili da questo, almeno nelle circostanze considerate o talvolta in generale.
(12) - Ossia la mera utilizzazione di uffici di altro ente, ferma restando l’imputazione degli atti all’ente utilizzatore.
(13) - Cfr.: Cons. di Stato, sez. V, n. 484/1957; contra Sandulli, op. cit., 140 e ss. e Cons. di Stato, sez. V, n. 291/1974.
(14) - Cfr.: R. Galli, Corso di diritto amministrativo, 2007, Vol. I, Padova.
(15) - Cfr.: R. Galli, Corso di diritto amministrativo, 2007, Vol. I, Padova, pag. 189.