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Corte di Cassazione

Incidente stradale - Concorso nel reato - cooperazione nel delitto colposo - Legame psicologico nelle condotte - Violazione regole di prudenza e perizia.

Cassazione penale, Sez. IV, Sentenza 14 maggio 2009, n. 20406

Ove una pluralità di soggetti, consapevoli di contribuire all’azione od omissione altrui, ponga in essere, ciascuno per parte propria, una data ed autonoma condotta che determina la produzione dell’evento non voluto, ciascun agente risponde di reato colposo a titolo di cooperazione colposa, ai sensi dell’art. 113 c.p.. In particolare ciascuna di siffatte condotte, singolarmente considerata, deve caratterizzarsi per la violazione della regola cautelare ed essere riconducibile alle altre da un concreto legame psicologico (1).


Approfondimenti
(1) Si legge quanto appresso in sentenza:
1. La Corte di Assise di appello di Lecce, con sentenza del 5 febbraio 2004, confermava l’affermazione di penale responsabilità pronunciata dalla Corte d’Assise di Brindisi nei confronti di XXX e YYY in ordine al reato di cui agli artt. 113, 589, commi 1, 2 e 3, 61, n. 3, del codice penale, così diversamente qualificata l’originaria imputazione di omicidio volontario e tentato omicidio volontario aggravati. Il fatto era riferibile ad un incidente stradale che aveva coinvolto una Fiat Punto della Guardia di Finanza ed un fuori strada Range Rover. A seguito della violenta collisione erano deceduti i finanzieri AAA ed BBB mentre avevano riportato lesioni i loro colleghi CCC ed DDD. Era stato possibile accertare immediatamente che il fuoristrada apparteneva ad una colonna di automezzi di contrabbandieri, tenuto conto del carico che ancora trasportava e delle numerose tracce di frenata lasciate sull’asfalto da altri veicoli che seguivano il fuoristrada. Le indagini avevano portato all’identificazione dei due occupanti del fuoristrada, vale a dire XXX, conducente, e YYY che sedeva accanto al guidatore. La Corte stessa, escluso il riferimento all’aggravante ex art. 61 n. 2 contenuto nel dispositivo della sentenza di primo grado, eliminava le pene accessorie e rideterminava la pena inflitta in primo grado (dieci anni di reclusione) agli imputati - entrambi appellanti - riducendola ad anni cinque e mesi sei di reclusione, disattendendo le richieste difensive di eliminazione dell’aggravante prevista dall’art. 61 n. 3 del codice penale e di concessione delle attenuanti generiche.
2. La Corte di merito ripercorreva la vicenda ponendo in rilievo che il XXX, alla guida del fuoristrada, stava procedendo in ora notturna, alla testa della colonna di veicoli di contrabbandieri, allorquando aveva affrontato una curva sinistrorsa "contromano" occupando completamente la corsia di sinistra, mentre sopraggiungeva l’autovettura dei finanzieri in marcia sulla propria corsia e con i fari anabbaglianti in funzione; il XXX, avendo certamente visto la luce dei fari dell’auto dei finanzieri, aveva frenato energicamente e, dopo aver percorso con le ruote bloccate uno spazio di circa 10 metri, era entrato violentemente in collisione con detta auto che sopraggiungeva dalla parte opposta, nella propria corsia, ad una velocità di circa 65 km/h; l’impatto si era verificato al centro della semicarreggiata di pertinenza dell’auto dei finanzieri; anche i conducenti degli altri automezzi che componevano la colonna di contrabbandieri avevano frenato bruscamente. In risposta alle deduzioni del XXX e del YYY, e per la parte che in questa sede rileva, la Corte d’Assise d’appello motivava il proprio convincimento con argomentazioni che possono così riassumersi:
A) la responsabilità del YYY, a titolo di cooperazione colposa con il XXX, appariva evidente posto che:
1] il YYY non era un semplice "scaricatore" della merce di contrabbando trasportata, ma una persona abitualmente dedita al contrabbando, uomo di fiducia del capo della squadra impegnata nell’illecita operazione, ZZZ il quale lo aveva dotato anche di una scheda telefonica cellulare;
2] il ZZZ aveva chiamato il YYY anche affinché reclutasse altri "scaricatori";
3] la presenza del YYY sulla prima auto della colonna, quella cioè i cui occupanti dovevano essere a conoscenza delle particolarità del percorso da seguire, appariva sintomatica del ruolo ricoperto, essendo il percorso noto solo agli elementi più fidati;
4] anche il YYY sapeva dunque che l’auto condotta dal XXX - priva di dispositivi di illuminazione, parzialmente blindata nella parte anteriore - avrebbe dovuto percorrere alcuni tratti di strada "contromano" poiché vi era la necessità di viaggiare a cavallo della striscia di mezzeria, per orientarsi al buio, e di sfuggire ad eventuali controlli;
5] l’atteggiamento psicologico del YYY era dunque del tutto analogo a quello del XXX;
6] appariva impensabile che in tale contesto - di condivisione degli obiettivi illeciti, di conoscenza delle modalità di perseguimento di detti obiettivi, con il ricorso a condotte pericolose per i terzi (quali manovre, nonché modifiche dell’automezzo essendo stato questo dotato di rostri e sbarre di acciaio per rafforzare la protezione del carico) - la stessa condotta di guida e l’intera operazione non fossero state preventivamente concordate tra tutti i componenti degli equipaggi delle vetture della "colonna", come peraltro confermato dalla circostanza che anche i veicoli che seguivano la Range Rover guidata dal XXX avevano "tagliato contromano" la curva con il rischio di provocare un incidente con conseguenze ancor più tragiche;
7] a nulla rilevava che il YYY avesse riportato lesioni, vertendosi in ipotesi di colpa con previsione, vale a dire della tipica condotta - imprudente - posta in essere dal soggetto che si rappresenta il pericolo astratto ma lo esclude (gli imputati confidavano entrambi nelle capacità di guida del XXX);
B) alcun dubbio sussisteva sulla configurabilità dell’aggravante contestata di cui all’art. 61 n. 3 c.p. posto che:
1] l’automezzo sul quale viaggiavano gli imputati procedeva "contromano", in curva, a fari spenti ed a velocità sostenuta: il pericolo di collisione con altri veicoli era stato, dunque, certamente previsto, ma il suo verificarsi in concreto era stato escluso dagli imputati facendo affidamento sull’abilità di guida del XXX;
2] non era neanche risultata confermata l’asserita presenza di un complice con funzioni di "palo" che avrebbe dato il via libera al XXX, dal momento che KKK, il quale, a dire degli appellanti, avrebbe ricoperto tale ruolo, aveva negato la circostanza; d’altra parte il fatto che un soggetto incaricato di svolgere il ruolo di "palo" si trovasse posizionato in modo da essere in grado di avvistare ogni veicolo, risultava ulteriormente smentito dalla circostanza che l’auto dei finanzieri procedeva a luci accese così come accertato dal consulente del P.M.: questi aveva riferito che la leva delle luci dell’auto della Guardia di Finanza aveva la ghiera ruotata sulla posizione "luci abbaglianti o anabbaglianti", precisando altresì che la ghiera non poteva esser giunta in quella posizione a seguito della collisone "perché la sua posizione viene ottenuta ruotando la ghiera e non spingendola in avanti o indietro"; in ogni caso, pur a voler ammettere la presenza di un complice nella veste di "palo", costui non sarebbe stato in condizioni di escludere in assoluto la presenza di ostacoli sulla carreggiata stante la sua collocazione su un ponte per come dichiarato dal XXX; e, comunque, un eventuale "via libera" non avrebbe potuto mai significare garanzia che non vi fosse, al buio, qualche ostacolo sulla carreggiata, e che quindi non vi fosse una astratta prevedibilità di un incidente anche con qualche ignaro pedone, ovvero motoveicolo o autovettura che procedeva, come il veicolo sul quale viaggiavano gli imputati, a fari spenti;
C) pur potendo trovare accoglimento la richiesta di una diminuzione della pena inflitta dal primo giudice, avuto riguardo ai parametri di cui all’art. 133 c.p., andava però disattesa l’istanza della concessione delle attenuanti generiche, avuto riguardo alla gravità del fatto ed alla negativa personalità degli imputati, e non potendo attribuirsi significativo valore positivo alla confessione, in quanto intervenuta allorquando il quadro probatorio era ormai definito e non apparendo quindi la stessa indicativa di particolare resipiscenza.
3. Ricorrono per cassazione gli imputati con censure che possono sintetizzarsi come segue.
XXX - Denuncia violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 3 c.p. ed al diniego delle attenuanti generiche, e si duole dell’entità della pena; quanto al primo motivo, sostiene che la presenza del complice con funzioni di "palo" risulterebbe confermata da plurime dichiarazioni, e non solo dunque da quelle rese dagli imputati ma anche da quelle rilasciate da testimoni ivi compresi il brigadiere DDD, vale a dire una delle parti lese, ed il maresciallo FFF; ciò a fronte della sola dichiarazione di KKK, peraltro ad avviso del ricorrente, teste interessato ad evitare il coinvolgimento nell’accusa di associazione nel contrabbando: di tal che non potrebbe parlarsi di previsione dell’evento, posto che, ai fini della configurabilità dell’aggravante in parola, la previsione dell’evento non voluto dovrebbe presentarsi come altamente possibile e probabile in riferimento alla condotta posta in essere; per quel che riguarda la seconda doglianza, afferma il ricorrente che la Corte di merito sarebbe incorsa in errore di valutazione avendo omesso di attribuire valenza positiva alla confessione resa fin dalle prime battute ed al comportamento tenuto subito dopo il fatto dal XXX il quale telefonò chiedendo soccorso per i finanzieri; per quel che concerne il trattamento sanzionatorio, ad avviso del ricorrente, i giudici di merito avrebbero implicitamente argomentato nel senso di infliggere una pena particolarmente severa per aver il XXX causato la morte ed il ferimento di finanzieri piuttosto che di comuni cittadini, ma alcun elemento poteva consentire al XXX stesso di ipotizzare una collisione con un’autovettura appartenente alla Guardia di Finanza.
YYY - Denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di colpevolezza ed alla ritenuta sussistenza dell’aggravante ex art. 61 n. 3 c.p., dolendosi anch’egli dell’entità della pena in conseguenza del diniego delle attenuanti generiche. Per quel che riguarda il primo motivo di gravame, il ricorrente afferma che dagli atti non emergerebbe alcun dato concreto per attribuire al YYY una condotta legata da nesso di causalità con l’evento, non avendo il YYY influito in alcun modo sulla condotta tenuta dal XXX e non avendo fornito alcun ausilio al XXX stesso il quale era proprietario e conducente dell’auto a bordo della quale esso YYY si sarebbe trovato semplicemente come terzo trasportato: a sostegno delle proprie argomentazioni il ricorrente cita, con diffusi richiami, precedenti giurisprudenziali, ed opinioni di esponenti della dottrina, in tema di concorso di persone e cooperazione colposa nel reato; quanto alla seconda doglianza, vengono sostanzialmente svolte considerazioni analoghe a quelle addotte dal XXX a supporto della medesima censura; circa il diniego delle attenuanti generiche e l’entità della pena, il ricorrente afferma che la Corte avrebbe errato nell’accomunare le posizioni dei due imputati, sotto il profilo sanzionatorio, stante la diversità delle due condotte, ed aggiunge che la confessione non fu immediata perchè, a causa delle ferite riportate nell’incidente ed in conseguenza dello schok subito, non era in grado, a distanza di poco tempo dal fatto, di rendersi conto di quanto accaduto e della gravità dell’evento.
La memoria difensiva (depositata il 28/02/2009) è tardiva.

Motivi della decisione


4.I ricorsi vanno rigettati. Per ragioni di ordine logico e sistematico va esaminata preliminarmente la censura del YYY concernente l’affermazione di colpevolezza: le doglianze relative alla ritenuta sussistenza dell’aggravante ex art. 61 n. 3 c.p., al diniego delle attenuanti generiche ed all’entità della pena sono comuni ai due ricorrenti e quindi potranno essere vagliate congiuntamente. La tesi del YYY si fonda sull’asserita insussistenza dei presupposti per la configurabilità dell’ipotesi della cooperazione colposa. Il ricorrente sostanzialmente sostiene che la sua presenza sull’auto condotta dal XXX non avrebbe avuto influenza alcuna sull’eziologia dell’evento, dovendo l’incidente ritenersi riconducibile esclusivamente alla condotta del XXX e, comunque, a fattori estranei al suo comportamento. Siffatta impostazione non è condivisibile.
Devono ritenersi dati oggettivi acquisiti al processo, perché accertati in sede di merito con riferimento alla dinamica dell’evento quale ricostruita dai giudici di seconda istanza con un percorso argomentativo (innanzi ricordato nella parte relativa allo "svolgimento del processo", e da intendersi qui integralmente riportato onde evitare superflue ripetizioni) immune da vizi logici, i seguenti:
1) il YYY prendeva posto accanto al conducente XXX sulla prima auto alla testa dell’autocolonna composta da mezzi occupati da soggetti impegnati in un’operazione di trasporto di merce di contrabbando;
2) i conducenti dei veicoli procedevano a fari spenti, seguendo la linea di mezzeria - onde avere un punto di riferimento e di orientamento - e quindi in palese violazione delle norme sulla circolazione stradale;
3) gli occupanti della prima vettura, vale a dire il XXX ed il YYY, erano a conoscenza dell’itinerario da seguire e quindi anche delle manovre che sarebbe stato necessario effettuare per il perseguimento dello scopo;
4) il YYY era uomo di fiducia del capo squadra dal quale era stato direttamente reclutato e dal quale aveva ricevuto una scheda telefonica: tale ultima circostanza è rivelatrice del ruolo di rilievo ricoperto dal YYY, evidentemente incaricato di mantenersi in collegamento con gli occupanti degli altri mezzi che seguivano;
5) il YYY conosceva dunque sin dall’inizio l’itinerario programmato e le modalità con le quali lo stesso sarebbe stato percorso, ed era quindi perfettamente consapevole anche della specifica manovra pericolosa che sarebbe stato necessario eseguire - e che poi determinò l’incidente - vale a dire "allargare" la curva per poi immettersi in una stradina laterale. Il YYY, pertanto, quale braccio destro del capo, codeterminatore (dell’autista) di quel percorso e del modo di effettuarlo, aveva agito rappresentandosi il pericolo astratto e lo aveva escluso, facendo affidamento sulle capacità di guida del XXX. Ciò posto in punto di fatto, in alcun modo può essere posta in discussione la partecipazione del YYY al fatto delittuoso "de quo", a titolo di cooperazione colposa, tenendo presenti quelli che sono i principi affermati in materia nella giurisprudenza di legittimità. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di definire la nozione di cooperazione colposa nei seguenti termini: "La cooperazione nel delitto colposo di cui all’art. 113 cod. pen. si verifica quando più persone pongono in essere una data autonoma condotta nella reciproca consapevolezza di contribuire all’azione od omissione altrui che sfocia nella produzione dell’evento non voluto". E muovendo da siffatta nozione è stato ulteriormente precisato che "in tema di cooperazione nel delitto colposo, perché la condotta di ciascun concorrente risulti rilevante ai sensi dell’art. 113 cod. pen. occorre che essa, singolarmente considerata, violi la regola di cautela, e che tra le condotte medesime esista un legame psicologico. (Nella fattispecie, relativa al reato di cui all’art. 449 cod. pen., gli imputati avevano cooperato, il primo invitando pressantemente il secondo a gettare la sigaretta accesa dal finestrino dell’automobile, e il secondo agendo materialmente, e conformemente, alla sollecitazione)." Dunque, sulla scorta dei principi appena ricordati, può affermarsi che la condotta di ciascun concorrente, per risultare rilevante ai sensi dell’art. 113 c.p., deve caratterizzarsi per la violazione della regola cautelare, non essendo possibile qualificare un comportamento come colposo in mancanza di un tale requisito, e deve caratterizzarsi, inoltre, per la presenza del legame psicologico tra le condotte. Ebbene, facendo applicazione di questi principi al caso di specie, risulta evidente la cooperazione colposa del YYY. Quest’ultimo, per come accertato dai giudici del merito con argomentazioni immuni (come già detto) da vizi logico-giuridici, svolte sulla base dei dati di fatto acquisiti, era consapevole del percorso da seguire, già preventivamente stabilito, e delle modalità con le quali in concreto il piano sarebbe stato attuato, modalità tali da comportare una palese e macroscopica violazione delle norme sulla circolazione stradale e la cui concreta esecuzione era stata affidata al XXX, nella convinzione che il pericolo di incidenti, pur previsto, sarebbe stato scongiurato grazie alle capacità di guida dell’autista, a sua volta autore, all’evidenza, di una autonoma condotta (le modalità di guida) connotata da rilevanti profili di colpa. Orbene, se questi sono i fatti, è innegabile, anzitutto, il legame psicologico tra le condotte dei due, essendo entrambi consapevoli - e nel contesto descritto dai giudici di merito, questa consapevolezza è, logicamente, fuori discussione - della convergenza delle rispettive condotte, prescindendo dall’evento, ovviamente non voluto. È, poi, fuori discussione la violazione, da parte di entrambi, di una regola di condotta a contenuto cautelare, regola da ravvisarsi nel dovere di osservare le norme sulla circolazione stradale oltre che i basilari criteri di prudenza. Entrambi, dunque, hanno voluto quelle modalità di guida, con ruoli diversi e, ciò che rileva in ordine alla cooperazione colposa, ciascuno con la chiara consapevolezza della inosservanza della regola cautelare da parte dell’altro.
5. Parimenti infondate risultano le ulteriori doglianze, comuni ad entrambi i ricorrenti. Quanto alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 3 c.p., del tutto ininfluenti sono le argomentazioni difensive circa l’asserita partecipazione, all’operazione di trasporto della merce di contrabbando, di un complice, KKK, incaricato, nella funzione di "palo", di sorvegliare il tratto di strada teatro dell’incidente; la presenza del KKK, secondo la prospettazione della difesa, era tale da fugare qualsiasi preoccupazione di incidenti, di tal che gli imputati non avrebbero avuto motivo alcuno di prevedere pericoli di sorta. Orbene, al riguardo basta evidenziare che:
1) il soggetto interessato (il quale avrebbe svolto il ruolo di "palo") ha smentito tale circostanza;
2) come sottolineato opportunamente dalla Corte di merito, la presenza di un eventuale complice, con funzione di "sentinella", in alcun modo avrebbe potuto preventivamente garantire che nulla sarebbe sfuggito alla sua osservazione (pedoni, ostacoli sulla strada, altri veicoli a luci spente, etc.) e che egli sarebbe stato in grado di scongiurare qualsiasi pericolo: tant’è che l’incidente si verificò.
A quanto fin qui detto deve aggiungersi che questa Corte, nell’individuare la linea di demarcazione tra dolo eventuale e colpa con previsione dell’evento, ha puntualizzato che nel caso di colpa con previsione "la verificabilità dell’evento rimane come ipotesi astratta che, nella coscienza dell’agente, non viene percepita come concretamente realizzabile e perciò non può essere, in qualsiasi modo, voluta" (Sez. 1, n. 4583, ud. del 24/02/1994, dep. 21/04/1994, imp. Giordano, Rv. 198272).
6. Ai limiti dell’inammissibilità sono, infine, le censure relative al diniego delle attenuanti generiche e all’entità della pena. Gli imputati, invero, hanno sostanzialmente riproposto ragioni già vagliate e disattese dal giudice dell’appello; nella giurisprudenza di legittimità è stato affermato il seguente principio di diritto: "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità" (in termini, Sez. 4, N. 256/98 - ud. 18/9/1997 - RV. 210157; nello stesso senso Sez. 4, N. 1561/93 - ud. 15/12/1992 - RV. 193046). Per quel che riguarda le attenuanti generiche, giova ricordare che questa Corte ha affermato, e più volte ribadito, il principio secondo cui "la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato" ("ex plurimis", in termini, Sez. 6, n. 7707, ud del 4 dicembre 2003, dep. 23 febbraio 2004, Rv. 229768).
Quanto ai criteri per la determinazione della pena, mette conto sottolineare che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, non sono censurabili in sede di legittimità gli apprezzamenti e le valutazioni del giudice del merito concernenti il trattamento sanzionatorio, se il convincimento espresso al riguardo risulta sorretto da adeguato percorso argomentativo; orbene, nella concreta fattispecie, la Corte distrettuale, in risposta alle deduzioni difensive - e diminuendo peraltro significativamente la pena inflitta dal primo giudice, pressoché dimezzandola - ha fatto espresso richiamo ai parametri di cui all’art. 133 c.p. ed ha poi valutato esplicitamente le circostanze e le modalità del fatto, nonché la personalità degli imputati, senza trascurare alcun aspetto della vicenda, non mancando, in particolare, di dar conto della ritenuta irrilevanza della confessione resa dal YYY e delle lesioni dallo stesso riportate: trattasi di motivazione che si sottrae a qualsiasi censura, alla luce del principio secondo cui "deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 c.p." (Sez. 6, n. 9120 del 2 luglio 1998 Ud. - dep. 04/08/1998 - Rv. 211582).
7. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
I ricorrenti vanno altresì condannati, in solido, alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile FFF - il cui difensore è comparso all’odierna udienza, chiedendo, con le conclusioni scritte, il rigetto di entrambi i ricorsi - spese che si liquidano in complessivi euro 2.968,50, oltre accessori come per legge. Ritiene il Collegio che anche il XXX, pur non avendo censurato l’affermazione di colpevolezza, debba essere condannato, solidalmente con il YYY, alla rifusione delle spese sostenute per il presente giudizio dalla parte civile FFF: ed invero, da entrambi i ricorrenti è stata contestata la ritenuta sussistenza dell’aggravante ex art. 61 n. 3 c.p. che, avuto riguardo alla sua natura (l’avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell’evento), oltre ad incidere sul trattamento sanzionatorio, potrebbe eventualmente formare oggetto di valutazione anche in sede civile in relazione alla quantificazione del danno.
P.Q.M. la Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio che liquida in complessivi euro 2.968,50, oltre accessori come per legge.






La violazione delle regole di prudenza e perizia nell’infortunistica

1. Premessa

L’alto numero di veicoli circolanti, cresciuto a ritmi esponenziali negli ultimi venti anni, ha comportato il sensibile incremento del numero degli incidenti stradali i cui effetti, specie in termini di costo economico dei danni riportati dagli utenti della strada, rappresentano un problema di salute pubblica tutt’altro che trascurabile, seppure ancora oggi troppe volte sottovalutato.
Per l’Oms si tratta della nona causa di morte nel mondo fra gli adulti, la prima fra i giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni e la seconda per i ragazzi dai 10 ai 14 e dai 20 ai 24 anni. Si stima, inoltre, che senza adeguate contromisure, entro il 2020 rappresenteranno la terza causa globale di morte e disabilità. Il peso di questo problema non è distribuito in maniera uniforme ed è fonte di una crescente disuguaglianza tra i diversi Paesi, con svantaggi socioeconomici delle categorie di persone più a rischio. In Italia, secondo il rapporto Istat-Aci relativo agli incidenti stradali avvenuti nel 2007(1), ogni giorno si verificano in media 633 incidenti stradali, che causano la morte di 14 persone e il ferimento di 893.
Nel 2007 complessivamente si sono verificati 230.871 incidenti stradali che hanno provocato il decesso di 5.131 persone, mentre altre 325.850 hanno subito lesioni di diversa gravità con un certo calo, rispetto all’anno precedente nel numero degli incidenti (-3,0%), dei morti (-9,5%) e dei feriti (-2,1%), a fronte di una crescita del parco veicolare pari al 15,7%.
L’indice di mortalità evidenzia che gli incidenti più gravi avvengono, come nel caso oggetto della sentenza in epigrafe, nelle strade extraurbane (escluse le autostrade), dove si registrano 5,8 decessi ogni 100 incidenti. In quelle urbane il tasso di mortalità è pari a 1,3 morti ogni 100 incidenti; nelle autostrade, dove gli incidenti sono più gravi, questo valore sale a 3,9.
Comportamenti errati di guida, il mancato rispetto delle regole di precedenza, la guida distratta e la velocità troppo elevata sono le prime tre cause di incidente (45% dei casi).
Il comportamento scorretto del pedone o lo stato psico-fisico alterato dello stesso incide, invece, per il solo 3% sul totale delle cause di incidente ma viene percepito in modo sicuramente significativo tant’è che tale preoccupazione ha indotto il legislatore a prevedere pesanti sanzioni penali per i contravventori alle norme del codice della strada.
Le persone maggiormente colpite sono i conducenti dei veicoli coinvolti (il 71% dei morti e il 69,8% dei feriti). I passeggeri trasportati rappresentano il 16,7% dei morti e il 23,9% dei feriti mentre per i pedoni i dati sono più bassi (6,3% di feriti e 12,2% dei morti).
Il dato più allarmante, come anticipato, sono gli alti costi diretti ed indiretti di tale strage quotidiana. Tra gli stessi sono quelli che la comunità deve accollarsi in merito alle numerosissime e lunghissime dispute giudiziarie, siano esse penali o civili, la cui entità è possibile evincersi anche solo dando un breve sguardo alla corposissima e variegata giurisprudenza in materia, di cui un breve accenno nelle sezioni che seguono.

2. La vicenda e gli esiti processuali

Nel corso del 2004 nella provincia brindisina la violenta collisione tra una Fiat Punto della Guardia di Finanza ed un fuori strada Range Rover causò il decesso di due dei quattro finanzieri a bordo del veicolo di servizio, ed il grave ferimento degli altri due occupanti il mezzo militare.
Le indagini condotte nell’immediatezza del sinistro avevano consentito di accertare che il fuoristrada apparteneva ad una colonna di automezzi di contrabbandieri, tenuto conto delle numerose tracce di frenata lasciate sull’asfalto dagli altri veicoli che seguivano il fuoristrada nonché dalle modifiche di cui era stato oggetto il mezzo la cui parte anteriore risultava modificata in virtù di una serie di interventi di blindatura realizzati nella verosimile possibilità di dover speronare altre auto a protezione di quanto trasportato.
Nel merito la vicenda giudiziaria verte sulla responsabilità del conducente e del passeggero (seduto al suo fianco - n.d.a.) del fuoristrada utilizzato dai contrabbandieri.
Detto mezzo, che viaggiava in piena notte con i fari appositamente spenti, aveva affrontato una curva contromano invadendo la corsia opposta, proprio nel mentre in cui sopraggiungeva l’autovettura dei finanzieri.
Il conducente del fuoristrada, notata la luce dei fari dell’auto dei finanzieri, aveva frenato energicamente non riuscendo, comunque, ad evitare la collisione con l’auto dei militari, provocando gli eventi oggetto dell’intervento dell’Autorità Giudiziaria.
Accertata come indiscutibile la responsabilità del conducente del fuoristrada per omicidio colposo aggravata, ai sensi dell’art. 61 n. 3 c.p., dalla previsione dell’evento, il problema che il giudice di merito ha dovuto affrontare è stato quello relativo alla sussistenza in capo al passeggero di una responsabilità a titolo di cooperazione nel delitto colposo ex art. 113 c.p.(2), preso atto di alcuni elementi emersi in sede di indagini preliminari.
L’attività investigativa, infatti, aveva permesso di verificare che il passeggero non era un semplice scaricatore della merce di contrabbando trasportata, bensì una persona abitualmente dedita al contrabbando, uomo a tal punto di fiducia del responsabile della squadra impegnata nell’operazione illecita da essere dotato di apposita scheda telefonica cellulare "…al solo fine di tenervisi in contatto…", e la cui presenza a bordo del primo veicolo della colonna ossia di quello i cui occupanti dovevano esser perfettamente a conoscenza del percorso da seguire, appariva a tal proposito sintomatica del ruolo ricoperto, "…essendo detto percorso noto solo agli elementi più fidati…".
L’accertamento di siffatto ruolo primario del passeggero implica che questi era ben consapevole che il fuoristrada, condotto senza i dispositivi di illuminazione accesi e, come detto, parzialmente blindato nella parte anteriore, avrebbe dovuto percorrere tratti di strada in contromano "…dal momento che vi era la necessità di viaggiare a cavallo della striscia di mezzeria, al fine di orientarsi nel buio, nonché di sfuggire ad eventuali controlli…".
Gli esiti delle attività di indagine portavano, dunque, a ritenere che l’atteggiamento psicologico del passeggero era sicuramente affine a quello del conducente, nell’ambito dell’incontestabile condivisione degli obiettivi illeciti e dell’altrettanto certa conoscenza delle modalità di perseguimento degli obiettivi medesimi che, la complessità dell’attività di trasporto della merce di contrabbando richiedeva essere state preventivamente concordate fra tutti i componenti degli equipaggi delle vetture della colonna, elemento peraltro "…confermato dalla circostanza che anche i veicoli che seguivano il fuoristrada guidato da Tizio avevano tagliato in contromano la curva, con il rischio di provocare un incidente con conseguenze ancor più tragiche…".
Per quanto detto il giudice del merito concludeva ritenendo responsabile a titolo di cooperazione colposa il passeggero del fuoristrada. A riguardo la difesa di quest’ultimo ricorreva alla Suprema Corte lamentando in diritto come erroneo il convincimento della Corte d’Assise di Brindisi di accomunare le posizioni dei due imputati, sotto il profilo sanzionatorio, stante la presunta diversità delle condotte tenute dai due imputati.

3. Le conclusioni della corte di cassazione

La Suprema Corte, investita del ricorso nei termini di cui alla sezione che precede, preliminarmente evidenziava, aderendo a consolidata dottrina(3) e confermando quanto asserito in altro pronunciamento(4), che la cooperazione nel delitto colposo si determina allorquando due o più persone, nella reciproca consapevolezza di contribuire all’altrui azione od omissione, realizzano una data ed autonoma condotta, che violi le regole di cautela, la quale sfoci poi nella produzione dell’evento non voluto. Tale condotta, proseguiva la Cassazione, deve, inoltre, essere connessa a quella degli altri correi attraverso un solido legame psicologico.
In sintesi due sono gli elementi che devono qualificare, ai sensi del cit. art. 113 c.p., la condotta di ciascun concorrente: la violazione della regola cautelare intesa a prevenire il verificarsi di eventi dannosi(5) e la presenza di un legame psicologico tra le condotte.
A riguardo occorre evidenziare che, secondo la dottrina più recente, il concorso colposo può essere anche unilaterale nell’ipotesi, non del tutto residuale, che uno dei concorrenti sappia di cooperare con altri(6).
La Suprema Corte ha, dunque, ritenuto sussistente in capo al passeggero una responsabilità a titolo di cooperazione colposa nel reato in quanto questi aveva la chiara e manifesta consapevolezza circa l’inosservanza della regola cautelare da parte del conducente, con il quale condivideva il medesimo disegno criminale.
Il passeggero precitato, come detto nella sezione precedente, conosceva bene sin dall’inizio l’itinerario programmato e le modalità attraverso le quali lo stesso sarebbe stato percorso, ed era quindi perfettamente consapevole anche della pericolosa manovra che sarebbe stato necessario eseguire, ossia allargare la curva in contromano per poi immettersi in una traversa laterale.
Svolgendo un ruolo di diretta collaborazione con l’autista il passeggero aveva agito rappresentandosi astrattamente il pericolo, sebbene escludendolo, confidando nelle capacità di guida del conducente. Per questa ragione, secondo il Giudice del diritto, non può essere posta in discussione la di lui partecipazione, a titolo di cooperazione colposa aggravata dalla previsione dell’evento, al fatto delittuoso.

4. Il concorso nel reato

Il fenomeno del concorso nel reato è ricco di risvolti teorici particolarmente complessi, essendo com’è al centro di uno dei dibattiti più lunghi e controversi della scienza penale contemporanea.
L’importanza di tale istituto è sempre maggiore in quanto le forme di criminalità organizzata sono in continuo aumento. Il concorso di persone nel reato è sotto molti aspetti simile alla figura dell’associazione per delinquere; quest’ultima, tuttavia, presuppone che tra i soggetti dell’associazione esista un vincolo di carattere stabile e un programma preciso, mentre nel concorso di persone nel reato la pluralità di persone non ha carattere permanente bensì occasionale. Finalità della figura del concorso di persone nel reato è quella di rendere imputabili e dunque punibili comportamenti altrimenti irrilevanti (se considerati in modo autonomo – n.d.a.) ma che diventano veri e propri reati se considerati come partecipazione alla commissione di un reato.
L’istituto del concorso è disciplinato dall’art. 110 c.p. che prevede che "…quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita…".
Requisiti strutturali del concorso sono: la presenza di una pluralità di soggetti agenti(7), la realizzazione di un fatto illecito da parte anche solo di taluno dei compartecipanti, la partecipazione di ciascun concorrente alla determinazione dell’evento, l’elemento soggettivo che consiste non solo nella coscienza e volontà del fatto criminoso ma anche la consapevolezza che il reato viene commesso con altre persone(8).
La partecipazione di tutti i correi deve, inoltre, essere volta alla realizzazione del fatto illecito, a cui è necessario che ogni agente concorra causalmente attraverso una condotta materiale esteriore.
Non si determina, invece, l’ipotesi in argomento qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, ma non diano seguito al proposito criminoso, in ossequio al principio di materialità ed offensività che ispirano il nostro Ordinamento giuridico penale; ricorrendo tale ipotesi si potrebbe al più verificare l’ipotesi di applicazione di misure di sicurezza.
Il concorso può essere:
- materiale (il correo interviene personalmente nella serie di atti che danno vita all’elemento materiale del reato) o morale (il correo dà un impulso psicologico alla realizzazione di un reato che materialmente viene commesso da altre persone);
- eventuale (quando il reato può indifferentemente essere commesso da un singolo soggetto o da una pluralità di persone) o necessario (quanto la realizzazione del reato richiede necessariamente una pluralità di persone(9)).
Il codice Zanardelli, distinguendo tra compartecipazione primaria (fisica) e compartecipazione secondaria (psichica), prevedeva all’epoca per le due fattispecie un trattamento penale differente. Il successivo codice Rocco ritenne di mettere da parte simili distinzioni, adottando, in linea generale, il criterio di una eguale responsabilità per ognuna delle persone che abbia comunque partecipato al reato(10). La norma sul punto è inequivocabile: per tutti i concorrenti verrà applicata la pena prevista per il reato commesso e ciò a prescindere dal singolo apporto contributivo di ciascuno nella determinazione dell’illecito.
Agli articoli 112 e 114 c.p. il Legislatore penale ammette anche la possibilità per il Giudice di procedere ad una graduazione delle pene a seconda del singolo apporto contributivo dei concorrenti mediante l’applicazione di circostanze attenuanti e aggravanti.
è quindi previsto un aumento di pena per i promotori e per gli organizzatori del reato, per quanti abbiano determinato a commettere il reato a un incapace (o minore degli anni 18) od ad una persona sottoposta alla propria autorità. Una diminuzione di pena è invece prevista per i concorrenti che abbiano avuto una minima partecipazione al reato, per i minori degli anni 18 e per gli infermi di mente.
Nel caso di cui alla sentenza oggi in commento l’ipotesi che ricorre è quella del concorso eventuale (o contingente) e la Suprema Corte, senza soffermarsi sull’annosa disputa dottrinale circa il fatto che il concorso di più persone comporti la sussistenza di un solo reato (teoria c.d. monistica od unitaria) od, al contrario, una molteplicità di reati (c.d. teoria pluralista), ha ritenuto che la vera essenza della compartecipazione criminosa venga in luce soltanto laddove si consideri che essa altro non è che una manifestazione di quel generale fenomeno umano che va sotto il nome di "associazione".
Le azioni dei singoli, dunque, vanno ad integrarsi a vicenda costituendo un’operazione unica e perdendo, di conseguenza, la loro specifica individualità. Formano, dunque, un blocco unitario, appartenendo a tutti ed a ciascuno dei compartecipi.
Ne consegue, in definitiva, che non solo colui che esegue l’azione che appaia come principale, bensì ogni "socius sceleris" sarà autore del delitto.
Ai fini dell’accertamento del grado della responsabilità, occorrerà comunque distinguere l’autore in senso stretto (ossia chi compie un’azione che da sola sia conforme a quella descritta nel modello astratto del reato) dal semplice partecipe, vale a dire l’individuo che pone in essere un’azione che, di per sé sola, non realizza invece la fattispecie criminosa. Quest’ultima figura, poi, è - proprio in ragione del tipo di contributo che il partecipe apporta alla causa criminosa - suscettiva di ulteriori sottoclassificazioni: in particolare, sono stati delineati i profili del determinatore (laddove il compartecipe faccia insorgere in altri un proposito criminoso prima inesistente), dell’istigatore (allorquando, cioè, il compartecipe rafforzi invece il proposito criminoso già esistente) e dell’ausiliatore (o c.d. complice), caso, quest’ultimo, in cui la partecipazione sia prettamente materiale (in qualunque forma o modalità essa si estrinsechi)(11).
Elemento di riferimento deve, dunque, essere quella che più innanzi abbiamo avuto modo di definire come volontà di cooperare alla commissione del reato.
Sebbene il dato letterale dell’art. 113 c.p., preveda espressamente che "…nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso…" devesi osservare come la cooperazione che può verificarsi nel delitto colposo non sia mai, in realtà, del tutto completa: essa, infatti, è necessariamente limitata alla condotta esteriore, non potendo investire in modo alcuno l’evento, in considerazione del fatto che nel reato colposo il risultato dell’azione non deve essere voluto dall’agente.
La convergenza della volontà riguarda solo una parte del fatto che costituisce il reato. Nei reati colposi non ricorrono, dunque, tutti gli estremi della compartecipazione delittuosa, la quale implica, oltre alla mera conoscenza dell’azione altrui, anche la volontà di contribuire col proprio operato alla realizzazione del medesimo crimine.
In merito la dottrina è concorde nel ritenere che nel delitto colposo non è configurabile una vera e propria compartecipazione criminosa.
Si tratterebbe di una sorta di concorso "sui generis", da alcuni definito "concorso improprio", che ricorrerebbe, ad esempio, nel classico esempio (che è poi quello che ricalca la fattispecie di cui si occupa la sentenza in epigrafe) addotto a sostegno della dottrina dominante, e cioè del passeggero di un’automobile che inciti il conducente a guidare la vettura con modalità imprudenti dalle quali derivi poi un sinistro(12).
Rimane innegabile che una certa cooperazione tra gli agenti possa verificarsi anche nei delitti colposi e la riprova ne è, certamente, la scelta effettuata dal legislatore che fissando il quadro normativo dell’art. 113 c.p. cit. utilizza una specifica terminologia (cooperazione appunto, e non già concorso) dettando a riguardo norme particolari(13).
Alcuni autori hanno sottolineato come dalla cooperazione nel delitto colposo vada tenuto distinto il c.d. concorso di fatti colposi indipendenti, che si verifica allorquando vari individui contribuiscano inconsapevolmente a determinare un medesimo evento (ovverosia, tutte le volte che due o più soggetti operino l’uno all’insaputa dell’altro, come nel caso dei due automobilisti che si scontrino per aver entrambi violato il codice stradale); mancando in questi casi qualsivoglia connessione psicologica fra i vari agenti, si avrà dunque una pluralità di reati (con conseguenti distinte responsabilità).
Appare quindi chiara la posizione assunta nella sentenza in commento dalla Cassazione che, confermando un consolidato schema interpretativo, asserisce che la cooperazione nel delitto colposo si determina laddove più persone pongano in essere una data ed autonoma condotta nella reciproca consapevolezza di contribuire all’azione od omissione altrui, la quale sfocia appunto nella produzione dell’evento non voluto(14).
Muovendo da siffatta nozione è stato ulteriormente precisato che in tema di cooperazione nel delitto colposo, affinché la condotta di ciascun concorrente risulti rilevante ai sensi dell’art. 113 c.p. occorre che essa, singolarmente considerata, violi la regola di cautela e, inoltre, che tra le condotte medesime esista un effettivo legame psicologico(15).
La condotta di ciascun concorrente deve, dunque, caratterizzarsi per la violazione di una regola prudenziale (non essendo chiaramente possibile qualificare un comportamento come colposo in mancanza d’un simile requisito) e per la presenza di un legame psicologico tra le condotte. Preso atto delle elaborazioni dottrinali suesposte, la Corte Suprema, con sentenza in epigrafe, ha confermato la evidente cooperazione colposa del passeggero nel reato commesso (materialmente) dal conducente essendo ben consapevole del percorso da seguire (preventivamente stabilito), nonché delle dissennate modalità con le quali in concreto il piano sarebbe stato attuato, e la cui concreta esecuzione era stata dallo stesso affidata al conducente, "..nella convinzione, rivelatasi errata, che il pericolo di incidenti, ritenuto sicuramente altamente probabile, sarebbe stato scongiurato grazie alle capacità di guida di quest’ultimo…".

5. L’ultimo intervento della cassazione

Recentemente con altra Sentenza(16) la Suprema Corte è intervenuta in materia confermando che ciascun agente può rispondere di reato colposo a titolo di cooperazione colposa, e non invece di condotta colposamente indipendente, quando è consapevole della partecipazione degli altri, essendo sufficiente la coscienza dell’altrui partecipazione senza che sia invece altresì necessaria la conoscenza delle specifiche condotte o dell’identità dei partecipi.
Sulla scorta di tale assunto la Cassazione ha confermato la sentenza di condanna in secondo grado per omicidio colposo a titolo di cooperazione colposa nei confronti di alcuni elettricisti, dipendenti dell’Enel e della ditta appaltatrice, per la morte di un uomo rimasto folgorato mentre stava azionando una leva metallica di un impianto di irrigazione di un prato, a seguito degli effettuati lavori di spostamento di un contatore.
Il Giudice di primo grado a suo tempo aveva individuato due cause che avrebbero provocato la dispersione di energia elettrica, causa del decesso del malcapitato (l’effettuazione in modo scorretto e improvvido di una giunzione e la mancata messa in opera di un salvavita) e ritenuto che non fosse ravvisabile in capo di nessuno degli imputati l’obbligo giuridico di impedire l’evento(17), assolvendo gli stessi per non aver commesso il fatto.
Per contro, secondo il Giudice del secondo grado del giudizio andava escluso che la causalità nel caso di specie avesse carattere omissivo in quanto l’evento si era verificato per una condotta attiva e a questa condotta avevano partecipato, ponendo in essere diversi frammenti dell’azione, tutti gli imputati che avrebbero agito in violazione delle regole cautelari del caso.
Avverso tale sentenza proponevano ricorso in Cassazione tutte le persone ritenute responsabili dell’evento dolendosi, tra le altre cose, che i giudici di secondo grado erroneamente avevano qualificato la partecipazione degli imputati al fatto come cooperazione colposa e non come concorso di cause indipendenti, avendo gli stessi partecipato ai lavori senza aver alcuna consapevolezza della partecipazione degli altri.
La Suprema Corte, ritenendo che la condotta degli imputati avrebbe violato il divieto di operare in modo incongruo in un impianto elettrico complesso ed ad elevato rischio di incolumità per le persone, asserviva essere priva di rilievo l’individuazione dei soggetti in capo ai quali fosse sorto l’obbligo di impedire l’evento e dovendosi invece stabilire chi con la propria condotta attiva avesse contribuito a cagionarlo.
A riguardo, nel richiamare quanto in dottrina relativamente alla cooperazione colposa, sottolinea la Cassazione che presupposto di tale istituto è la consapevolezza dell’altrui condotta. Se per una certa corrente dottrinale (minoritaria - n.d.a.) sarebbe necessaria la consapevolezza della natura colposa dell’altrui condotta, non essendo invece sufficiente la mera consapevolezza della partecipazione di altri soggetti (tesi mai stata condivisa dalla dottrina dominante - n.d.a.), la Corte medesima obietta e precisa che in tal caso la cooperazione sarebbe configurabile solo nel caso di colpa cosciente.
E prosegue evidenziando come, ai fini della configurabilità a titolo di cooperazione colposa, sia sufficiente la consapevolezza della partecipazione di altri soggetti, non essendo invece necessaria anche la specifica coscienza e conoscenza delle persone che cooperano e delle loro singole condotte.
è ravvisabile, dunque, una cooperazione di natura colposa in tutti quei casi nei quali esiste un legame psicologico tra gli agenti, dato dal solo fatto della coscienza che altri soggetti hanno partecipato o parteciperanno alla trattazione del caso.
Se in linea generale, infatti, vige il "…principio dell’affidamento e dell’autoresponsabilità, in determinate ipotesi di c.d. intreccio cooperativo, ciascun agente dovrà agire tenendo conto del ruolo e della condotta altrui, essendo in tali casi richiesto a ciascuno di rapportarsi, preoccupandosene, pure alla condotta degli altri soggetti coinvolti nel contesto…".
Sulla base di tali considerazioni la Cassazione ha ritenuto ipotizzabile la cooperazione avendo i giudici di merito accertato che i dipendenti si erano recati insieme nel luogo dove dovevano essere eseguiti i lavori e quindi ciascuno di essi aveva consapevolezza della partecipazione degli altri.


Approfondimenti
(1) - Frutto di una complessa attività di rilevazione condotta a livello nazionale, frutto della collaborazione di diversi enti: Ministero dell’Interno, Automobile Club d’Italia (Aci), Polizia stradale, Carabinieri, Polizie municipali, Uffici statistici locali che hanno sottoscritto una convenzione con l’Istituto nazionale di statistica (Istat) volta alla raccolta, al controllo e alla registrazione dei dati.
(2) - Art. 113 c.p. - Cooperazione nel delitto colposo - "Nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso. La pena è aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto, quando concorrono le condizioni stabilite nell’articolo 111 e nei numeri 3 e 4 dell’articolo 112".
(3) - Tra gli altri Antolisei e Mantovani.
(4) - C. Cassazione, Sez. IV, Sent. n. 25311 del 7 aprile 2004.
(5) - Non essendo possibile qualificare un comportamento come colposo in assenza di tale requisito (n.d.a.).
(6) - E ciò comporta la possibilità di prevedere l’applicazione del regime concorsuale all’unico soggetto consapevole.
(7) - Si determina l’ipotesi di concorso anche ove compartecipino solo due persone.
(8) - F. Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Giuffrè - 2003.
(9)   - Es.: la rissa, la corruzione, ecc.
(10) - La Relazione al relativo progetto definitivo (n. 134), infatti, palesa come l’innovazione apportata sia in stretta connessione con il principio accolto nel medesimo codice in tema di rapporto di causalità: "Anche nell’ipotesi che il fatto sia oggetto dell’attività di più persone l’evento deve essere messo a carico di tutti i concorrenti che con la propria azione contribuirono a determinarlo: il legame, invero, che avvince l’attività dei vari concorrenti, si realizza in una associazione di cause coscienti, alle quali è dovuto l’evento e, perciò, a ciascuno dei compartecipi deve essere attribuita la responsabilità dell’intero".
(11) - F. Caringella, M. De Palma, F. Della Valle, Manuale di Diritto Penale, Dike - 2009.
(12) - Giorgio Lattanzi, Codice penale annotato con la giurisprudenza, Milano, Giuffrè, 2003.
(13) - Ferrando Mantovani, Diritto Penale, Padova, Cedam, 1992.
(14) - S.S.U.U. Cassazione, Sentenza del 25 novembre 1998, n. 5 dep. 11/03/1999 - Rv. 212576.
(15) - C. Cassazione, Sezione IV, 10 marzo 2005, n. 44263, dep. 07/12/2005 - Rv. 232611; nella fattispecie, relativa al reato di cui all’art. 449 c.p., gli imputati avevano cooperato, il primo invitando pressantemente il secondo a gettare la sigaretta accesa dal finestrino dell’automobile, e quest’ultimo agendo conformemente alla sollecitazione.
(16) - C. Cassazione, Sez. IV, 22 giugno 2009, n. 32191, Pres. Morgigni, rel. Brusca.
(17) - Avendo affrontato il problema della causalità come causalità omissiva.














Cap. CC Luigi Aquino