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La cosiddetta pregiudiziale amministrativa

Quale diritto per il cittadino?


Francesco Quarta


Francesco Quarta
Capitano,
Capo Sezione Gestione Finanziaria
del Servizio Amministrativo della Scuola Ufficiali Carabinieri





1. La storia e le radici della "pregiudiziale"

Con la Sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 500 del 1999, come è ormai noto, l’interesse legittimo da figlio di un "dio minore", ha assunto, all’interno del panorama giuridico una nuova dignità, fondamentale oltre ogni modo nelle esigenze pratiche del cittadino: la risarcibilità.
Nella predetta sentenza, in effetti, chiarito che la linea di demarcazione tra interesse legittimo e diritto soggettivo, nonché della relativa competenza giurisdizionale, deve essere formalmente quella della causa petendi (ovvero posizione giuridica soggettiva di cui si chiede la tutela), ma sostanzialmente per il giudice quella del petitum (ovvero richiesta di annullamento o risarcimento del danno), si è sancita quella che fino a quel momento era più di una intuizione.
In pratica si ammise che il cittadino poteva subire un danno da lesione di interesse legittimo.
In realtà era già chiaro, nei sentimenti dei giuristi, che alla base dell’interesse legittimo non vi era tanto l’interesse alla legittimità dell’azione amministrativa, come forse ingenuamente in passato si affermava, ma vi era la difesa di un bene della vita per la tutela del quale le persone fisiche o giuridiche, entrate a vario titolo in contatto con la Pubblica Amministrazione, erano disposte a spendere "tempo e denaro" e la cui compressione doveva avere rilevanza autonoma e non quale mera risponsione di un affievolito diritto soggettivo.
Ovviamente ed in ogni caso l’interesse legittimo, violato da atti amministrativi illegittimi, era risarcibile purché scaturisse da quel "famoso" giudizio prognostico sulla sua spettanza, che il giudice amministrativo effettuava ex post. In pratica, l’atto doveva essere non discrezionale per evitare l’invasione del giudice, ancorchè de plano nel merito della vicenda.
In tale contesto si affermava che tale lesione dell’interesse violato doveva essere risarcita poiché si doveva, in un certo qual modo, ripianare quella invasione della propria sfera giuridica che il privato cittadino subiva. Qualche interessante spunto di riflessione potrebbe essere rappresentato, a tal proposito, dalla disputa se il risarcimento de quo debba avere carattere civilistico puro o sanzionatorio, annosa questione questa del risarcimento più in generale che tuttavia non è oggetto della problematica trattata.
La Sentenza 500/99 conseguentemente affermava che, se era vero che da un lato potevano trovare risarcimento gli interessi legittimi e dunque non solo i diritti soggettivi "affievoliti", che riemergevano a seguito delle declaratorie di annullamento degli atti amministrativi, dall’altro le due azioni, di annullamento e risarcitoria, potevano considerarsi completamente autonome.
Ciò portava alla negazione della c.d. "pregiudiziale amministrativa" e la possibilità per il cittadino di rivolgersi al Giudice Ordinario il quale, incidentalmente e strumentalmente, conosceva dell’illegittimità dell’atto per decretare o meno il risarcimento del danno ex 2043 cod. civ.
Con la Legge n. 205 del 2000 il Legislatore, resosi conto della portata epocale della Sentenza 500/99, cercò di porre ordine sul problema della competenza giurisdizionale tanto al fine di evitare pericolose commistioni di ambiti di competenza tra Giudice Ordinario e Giudice Amministrativo. Ed infatti, all’art. 7 della predetta norma di riforma si afferma che: "il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali".
Il tenore della norma malcela tutta la preoccupazione che dominava l’animo del Legislatore nella stesura.
In pratica sulla falsariga della Cassazione, da un lato si erano concentrate le due azioni in modo che il Giudice di riferimento fosse unico e dall’altro complicato la faccenda sul problema della pregiudiziale amministrativa.
In effetti venne da porsi un quesito: può il "Giudice dell’atto" chiamato ora a risarcire, risarcire senza aver fatto il proprio originario lavoro ossia previamente annullare?
Un problema che per la verità si era superato con la poco pratica, ma elementare, tutela del "doppio binario", ossia per l’annullamento il Giudice Amministrativo e per il risarcimento il Giudice Ordinario e che veniva riproposto. Tanto poiché il Giudice Amministrativo non è il Giudice dei diritti e tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, quindi anche la reintegrazione in forma specifica, scaturenti da un atto amministrativo illegittimo dovevano, almeno logicamente, presupporre una declaratoria in tal senso.
Il problema per la verità, non è di poco conto atteso che, il giudizio dinanzi al TAR è sottoposto ad un termine decadenziale piuttosto breve ed anche ove ci si dovesse riferire a termini più lunghi (120 giorni per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica), mai si arriverebbe ai termini prescrizionali previsti per i diritti soggettivi. In effetti, ed il punto è proprio questo, un privato potrebbe vedere spirati i termini di 60 giorni per impugnare l’atto, ma ugualmente avere poi a disposizione il termine quinquennale per la richiesta di risarcimento. Una parte della dottrina ha visto in ciò, non a torto per la verità, un possibile aggiramento dei termini di impugnazione con conseguente incertezza dei rapporti instaurati medio tempore dall’atto amministrativo lesivo o preteso tale.
Il Consiglio di Stato ha percepito, nell’unificazione di competenza giurisdizionale operata dalla legge 205/2000 un segno, ossia non tanto la finalità di venire incontro al privato che, per ottenere giustizia poteva essere costretto ad adire ex sentenza 500/99 due giudici differenti, ma la volontà del Legislatore di fare in modo che il risarcimento del danno derivante da lesione dell’interesse legittimo fosse al massimo "consequenziale" ad un previo annullamento dell’atto amministrativo. Il ragionamento del Consiglio di Sato, infatti, parte dal tradizionale presupposto che il Giudice Amministrativo, giudice degli atti, non può conoscere incidentalmente dell’illegittimità dell’atto, ormai magari inoppugnabile, al solo fine di riconoscere un qualche risarcimento del danno.
Successivamente anche la Corte Suprema di Cassazione sembrava aver fatto marcia indietro, almeno in relazione alla Sentenza 500 del ’99. Il ragionamento parte dal presupposto che se è vero, come è vero, che le sentenze dei TAR sono delle sentenze costitutive, ossia di annullamento ed il Legislatore ha previsto per l’impugnazione un termine breve di decadenza, una volta spirato tale termine l’atto e gli effetti dallo stesso prodotti non sono annullati e come tali esistenti tanto sul piano storico, tanto sul piano giuridico e pertanto immodificabili.
Come si potrebbe autonomamente chiedere un risarcimento del danno a fronte di un atto amministrativo non impugnato e perciò inoppugnabile, se quell’effetto costitutivo di una nuova realtà giuridica, cioè la sentenza di annullamento, non è intervenuta? In pratica chiedere una cosa diversa avrebbe significato pretendere che il Giudice Amministrativo potesse dire nelle autonome domande di risarcimento del danno "ti riconosco il risarcimento in quanto il danno si è verificato, tant’è vero che se tu mi avessi chiesto in tempo l’annullamento dell’atto te lo avrei concesso" e ciò francamente appare una forzatura (Tar Emilia Romagna Sez. I sent. 1 agosto 2007 n. 432).
Altra parte della dottrina invece ritiene che la domanda di risarcimento del danno, autonoma rispetto all’annullamento dell’atto che lo ha prodotto è possibile, in quanto il principio del neminem laedere ex art. 2043 cod. civ. non può assolutamente subire compressioni dai termini decadenziali come quelli previsti per l’impugnativa di atti amministrativi. Non solo, ma anche la difesa del privato, nei confronti degli atti della P.A. ne risulterebbe fortemente compressa.
La questione si presenta in altri termini concettualmente molto complessa, basti pensare che anche la stessa Corte di Cassazione nella sentenza n. 4538 del 2003 ha affermato che "anche se è vero che l’inoppugnabilità dell’atto è nozione solo processuale - in quanto esclude l’annullamento giurisdizionale, senza incidere sulla condizione giuridica dell’atto stesso - è altrettanto certo che, in assenza della rimozione dell’atto, il permanere della produzione degli effetti è conforme alla volontà della legge, e la necessaria coerenza dell’ordinamento impedisce di valutare in termini di danno ingiusto gli effetti medesimi".
In effetti, se si parte dal presupposto che la tutela risarcitoria ha una valenza sussidiaria rispetto all’annullamento, si giunge secondo alcuni alla considerazione che sussidiarietà significa dipendenza, ossia si deve negare il risarcimento se non si è prima impugnato l’atto poiché il ristoro del danno ha un ruolo ancillare rispetto alla c.d. pregiudiziale.
Secondo altri sussidiarietà significa indipendenza ed autonomia, ossia se il privato non ha potuto o voluto impugnare l’atto amministrativo, ben potrà in seguito chiedere il risarcimento del danno prodotto dall’atto atteso che, l’interesse legittimo che ne è alla base, se non ha potuto trovare tutela con l’annullamento dell’atto potrà trovarla con il risarcimento. Tanto in relazione al fatto che se risarcimento spetta esso spetta ex se e non dopo l’annullamento dell’atto con il termine decadenziale, si potrebbe aggiungere, regolarmente interrotto.
Una disciplina in tal senso, secondo la Cassazione (ordinanze n. 13659, n. 13660/2000 e n. 13911/2006), manca e per il momento, nel tradizionale termine prescrizionale, si può chiedere il risarcimento. Anche perché, secondo la Cassazione, il Tribunale Amministrativo con l’autonoma richiesta di risarcimento, verrebbe adito dal privato, non quale Giudice dell’atto, ma nella veste di giudice del rapporto e, in tale veste, anche se l’atto amministrativo è ormai inoppugnabile, ben potrà comunque conoscerlo seppur incidentalmente in funzione del rapporto giuridico da cui nasce la doglianza del privato e, per il quale, si chiede il risarcimento. Tale ultimo assunto non occorre tralasciarlo poiché la Cassazione, come vedremo, si radicalizzerà in seguito su posizioni molto rigide.
Gli amministrativisti più convinti hanno criticato tale impostazione e minimizzato il tutto con la considerazione, nemmeno tanto paradossale, che se un condomino aspira al risarcimento del danno derivante dalla delibera del condominio questi deve impugnare la delibera, se invece volesse il risarcimento del danno derivante da un atto amministrativo illegittimo potrebbe andare direttamente al giudice anche dopo anni per il risarcimento. La Corte Costituzionale, nella sentenza 204/2000 aveva chiarito che la questione del risarcimento del danno derivante dalla lesione d’interessi legittimi, non è una nuova materia affidata al Giudice Amministrativo, ma un altro strumento di difesa a favore del cittadino che deve trovare il suo alveo naturale nella competenza del Giudice Amministrativo, scalzando definitivamente la competenza del Giudice Ordinario da eventuali richieste risarcitorie ancorché supportate dall’invocazione dell’art. 2043 cod. civ.
Da ultimo il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza 08.06.2007 n. 3034, a proposito di una domanda di risarcimento da parte di un militare in congedo per pretesa responsabilità contrattuale dell’Amministrazione di appartenenza, ha ribadito in modo perentorio che "Rilevato, in ogni caso, che, per la parte della domanda fondata sul carattere lesivo di atti amministrativi autoritativi (siano essi pertinenti all’organizzazione del lavoro, all’assegnazione della sede di servizio o all’avanzamento di carriera), l’accertamento della responsabilità dell’Amministrazione, nei termini ascrittile dal ricorrente, rimane precluso dalla loro omessa impugnazione". Con la predetta sentenza, il Giudice Amministrativo aveva inteso nuovamente dare un forte ed ulteriore segnale circa il proprio orientamento rispetto alla questione della "pregiudiziale amministrativa". Ciò è avvenuto in occasione, tra l’altro, a proposito di un’improbabile richiesta di risarcimento danni nemmeno riconducibile a responsabilità extracontrattuale della P.A., ma bensì contrattuale, secondo l’assunto difensivo che ove gli atti amministrativi illegittimi riguardino la gestione di un rapporto di lavoro (nella fattispecie come quello della Forza di Polizia a cui il militare apparteneva), vi sia responsabilità contrattuale.
Tralasciando la questione della natura della responsabilità, per il ristoro della quale era stato chiesto il risarcimento dei danni, nella predetta pronuncia è riemersa quella impostazione che da sempre il Giudice Amministrativo ha serbato. In pratica, laddove il risarcimento passa per situazioni in cui l’interesse pubblico deve essere tutelato, occorre un giudizio sulla condotta della P.A., ovvero la previa impugnazione e l’annullamento dell’atto prima di qualsivoglia altra domanda. Tale posizione, netta del Giudice Amministrativo, si basa sulla summenzionata pronuncia dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato che, come innanzi esposto, si fonda sui quattro capisaldi sopra illustrati e cioè: la certezza dei rapporti giuridici a presidio dei quali è posto il breve termine di decadenza, la circostanza secondo la quale il Giudice Amministrativo non può conoscere incidentalmente della validità dell’atto amministrativo ormai inoppugnabile a fronte di termini di impugnazione spirati, la sentenza della Corte Costituzionale 204/2004 secondo cui il risarcimento del danno, per danni derivanti da atti amministrativi illegittimi, è uno strumento di tutela ulteriore, successivo e consequenziale al previo annullamento dell’atto amministrativo e non da ultimo la considerazione che, poiché la legge 205/2000 ha affidato la conoscenza del risarcimento al Giudice Amministrativo, prima di conoscere del rapporto, quest’ultimo deve fare il suo "mestiere" e cioè conoscere dell’atto, ed ove occorra annullarlo.


2. Alcune considerazioni sulla "pregiudiziale"

Il problema della "pregiudiziale amministrativa" è ancora lontano dall’avere una soluzione definitiva. In effetti, l’approccio che fa giungere a conclusioni opposte è di carattere culturale. Su questo punto, a parere di chi scrive, sembrano emergere tutte quelle divergenze che da sempre, nella tradizione giuridica italiana, contrappongono i due filoni giuridici gelosi dei loro ambiti. Ossia "il garantismo" degli amministrativisti da una parte, e "il formalismo" dei civilisti dall’altra. Gli uni negano la tutela risarcitoria derivante dagli atti amministrativi autoritativi sganciata dal previo annullamento dell’atto, gli altri affermano l’indipendenza di tale forma di ristoro sulla base del fatto che, se di danno si tratta, esso deve essere inteso come una modificazione peggiorativa della sfera giuridica del privato che non può non trovare tutela in una reintegrazione, sia che sia in forma specifica, sia che sia in forma "aspecifica" cioè il denaro. Ciò indipendentemente dalla previa impugnazione dell’atto amministrativo che, rimarrebbe sullo sfondo quale dato, a quel punto, di secondaria importanza.
Allora, potremmo domandarci, quale diritto per il cittadino che, lungi dall’avere comportamenti processuali strumentali, ha il diritto di sapere se a fronte di un atto amministrativo illegittimo deve o no immediatamente impugnarlo per pretendere, poi, un risarcimento dell’eventuale danno patito?
Per rispondere a questa domanda occorre svestirsi dagli "abiti mentali" con i quali le due correnti di pensiero continuano a confrontarsi arroccate dietro posizioni preconcette ancorché giustificate dal diritto, per utilizzare una chiave di lettura storico-giuridico-logica che forse potrebbe essere un primo spunto di riflessione da cui muovere per comprendere la ragione dell’esistenza della "pregiudiziale amministrativa". In effetti, se si pensa alla svolta epocale rappresentata dalla sentenza 500/99 si comprende come la Giurisprudenza ha voluto raccogliere quello che già esisteva nei sentimenti e cioè riconoscere una risarcibilità di ciò che, fino a quel momento, era figlio di un "dio minore": l’interesse legittimo. Si è voluto, in pratica, finalmente riconoscere che esso rappresentava un bene della vita che il privato sempre più frequentemente, perseguiva spendendo tempo e denaro, insomma con forza. Ciò avveniva non solo quando il privato opponeva un diritto esistente nella sua sfera patrimoniale, ma anche quando pretendeva un comportamento o un atto da parte della P.A., ovvero insisteva per ottenere un effetto giuridico e pratico. Tant’è vero che l’interesse legittimo cominciava ad essere visto dalla dottrina come una sorta di "contro-altare" dell’attribuzione di un potere alla Pubblica Amministrazione. In pratica, quando il Legislatore attribuiva con legge un potere autoritativo alla P.A., implicitamente per il sol fatto che ciò avvenisse preconizzava che tale potere poteva scontrarsi con gli interessi del privato.
Prima della giurisprudenza, già la dottrina si era convinta dell’autonomia dell’interesse legittimo e, si badi bene, non tanto la dottrina dei professori o non solo, ma la dottrina delle aule dei tribunali dove gli avvocati raccoglievano il malessere del cittadino. Ecco nascere, allora, l’interesse legittimo quale dato appartenente alla sfera giuridica del privato, suo intimo e per la tutela del quale si invocava il giudice non quale garante della legalità dell’azione amministrativa, ma bensì quale speranza per una possibile reintegrazione della sfera giuridica violata. Con la sentenza 500/99 la giurisprudenza ha accolto, in pratica, questo "grido di dolore" dei privati che, francamente, rispetto ai poteri della P.A. avevano in alcuni casi subito se non arbitri, sicuramente un deficit di tutela.
Per evitare che tale forma di nuova tutela divenisse defatigatoria e solo sulla carta, ossia che il privato per ottenere giustizia dovesse adire due giudici diversi e cioè il Giudice Amministrativo per l’annullamento dell’atto e poi il Giudice Ordinario per il risarcimento del danno, la legge 205/2000, art. 7, riconobbe, ribadendo le convinzioni giurisprudenziali in fieri, una concentrazione delle due forme di tutela dinanzi al giudice amministrativo proprio al fine di evitare che il privato dopo il danno subisse la beffa del dispendio di energie processuali.
Ora, ed arriviamo al nostro punto, si vorrebbe che il risarcimento fosse staccato dall’impugnazione dell’atto e negare la c.d. "pregiudiziale amministrativa". In pratica il privato che non ha voluto o potuto impugnare l’atto facendosi così spirare i termini decadenziali di impugnazione può, secondo questo indirizzo di pensiero, ugualmente adire il giudice amministrativo, ex art. 7 Legge 205/2000, per ottenere il risarcimento dell’eventuale danno. Ecco allora il tipico esempio in cui, da posizioni conquistate (la sentenza 500/1999) si vorrebbe procedere, a piccoli passi, per conquistarne delle nuove in cui le precedenti sono dimenticate.
Quello che si vuol dire è che da una finalità di giustizia che si è inteso perseguire con il riconiscimento della risarcibilità dell’interesse legittimo e poi con la concentrazione delle due azioni dinanzi ad un solo giudice, si intende passare al risarcimento direttamente ed indipendentemente dall’annullamento dell’atto lesivo. A parere di chi scrive, ciò appare una forzatura poiché si finirebbe con il trasformare "quel grido di dolore" dei privati, a tratti compromessi da un potere amministrativo "padrone", in una "pretesa prepotente" che vorrebbe dare spazio a richieste strumentali come potrebbero apparire le richieste di risarcimento danni senza "pregiudiziale".
In pratica, se l’interesse legittimo si è affrancato dalla sua posizione di inferiorità rispetto al diritto soggettivo nella sua parte mancante e cioè il risarcimento del danno, grazie proprio al fatto che i privati hanno dimostrato nel corso del tempo di sacrificare ad esso "tempo e denaro", di ricercare affannosamente una qualche forma di tutela, si afferma oggi che questo risarcimento spetta indipendentemente dalla rimozione dell’atto illegittimo che è l’antecedente logico-giuridico della doglianza.
Il privato che non persegue il bene della vita tempestivamente o che inavvertitamente ha fatto scadere i termini decadenziali, è un cittadino che molto probabilmente non aveva un impellente interesse alla reazione dell’atto, ovvero un cittadino che, in quel frangente, non ha subito l’atto nella sua portata traumatica rispetto agli interessi di cui era portatore.
Ecco perché ha ragione la Corte Costituzionale quando afferma che il risarcimento del danno ha una valenza ulteriore, successiva, consequenziale rispetto all’annullamento proprio perché, con la richiesta di annullamento, il privato manifesta prontamente quel pregiudizio scaturente dalla compressione della propria sfera giuridica.
Se si ragionasse diversamente allora si potrebbero lasciare nell’incertezza i rapporti giuridici derivanti dall’atto, poiché anche il riconoscere un danno potrebbe, in linea di principio, non tanto mutare la situazione di fatto, ma dimostrare che il "ripensamento successivo", che alcuni dissimulano sotto la definizione giuridica di "termine prescrizionale ordinario", appare ingiustificato rispetto alla storia che ha portato l’interesse legittimo ad avere un riconoscimento risarcitorio.
Orbene, non si vuol negare la funzione democratica che il termine prescrizionale ha sempre avuto nei rapporti giuridici ma solo che il risarcimento del danno causato da un atto amministrativo illegittimo è qualche cosa di diverso che vede il suo ingenerarsi non da un comportamento umano e volontario, ma appunto da un atto posto in essere da una Pubblica Amministrazione la cui esistenza ed i cui effetti, possono essere aggrediti entro il termine decadenziale, inteso quale spatium deliberandi in cui il cittadino può comprendere o meno se quell’atto lo pregiudica.


3. Ultime evoluzioni della "pregiudiziale"

La vicenda innanzi esposta ha avuto di recente forse un definitivo epilogo.
In effetti la Corte di Cassazione con la sentenza del 23 dicembre 2008 n. 30254 ha sancito un principio che suona come un monito per il futuro ovvero: "proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall’esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento".
In pratica la Cassazione, reagendo ad una sentenza del Consiglio Stato in adunanza plenaria (per la precisione la n. 12 del 2007), sfruttando la norma di chiusura dell’art. 363 cod. proc. civ. ha, da una lato, dato una vera e propria prova di forza e dall’altro affermato che ove il Giudice Amministrativo dovesse affermare il principio della "pregiudiziale amministrativa" lascerebbe sfornito il privato di "giustizia". In altri termini la Cassazione ha affermato che una sentenza del TAR che dovesse affermare il principio della "pregiudiziale" è da considerarsi equiparata ad omissione di pronuncia.
La Corte di Cassazione ha dato continuità al proprio indirizzo in materia secondo cui tutela risarcitoria autonoma non può che significare che, una volta che la situazione soggettiva del privato è stata compromessa da un potere amministrativo esercitato in modo illegittimo, l’accertamento del Giudice amministrativo non può risultare precluso dalla consolidazione per inoppugnabilità del provvedimento.
In pratica la Corte di Cassazione ha dato un ultimo e significativo segnale al Consiglio di Stato, quasi un avviso di non voler ritornare più sull’argomento annunciando che, ove i privati dovessero vedersi rigettate le richieste di risarcimento senza "pregiudiziale", ben potranno ricorrere in Corte di Cassazione avverso tali sentenze per motivi attinenti alla giurisdizione.
Tale assunto trova fondamento su una base di motivazioni che, nel corso del tempo, si sono stratificate e che rappresentano degli istituti generali del diritto ovvero:
1) effettività della tutela giurisdizionale;
2) principio del giusto processo;
3) l’ampliarsi delle fattispecie di competenza esclusiva del giudice amministrativo che non devono tramutarsi in un deficit di tutela per il privato;
4) effettività dei principi comunitari.
Secondo la Suprema Corte, ormai, diversi elementi farebbero protendere verso una nuova epoca e cioè la trasformazione del giudizio sull’atto, in cui tradizionalmente il Giudice Amministrativo esercitava le proprie competenze, a giudizio sul rapporto. Si tratta di principi, come è facile intuire, "classici" nella tradizione giuridica e pertanto difficilmente contestabili anche se, proprio perché omnicomprensivi e generali, non sembrano dare una solida base motivazionale a questo severo intervento della Cassazione.
Si può dire in definitiva che la parte, titolare d’una situazione di interesse legittimo, ove dovesse assumere che questa situazione soggettiva sia rimasta sacrificata da un esercizio illegittimo della funzione amministrativa, ha diritto di scegliere tra fare ricorso alla tutela "risarcitoria" anziché a quella "demolitoria" e che tra i presupposti di tale forma di tutela giurisdizionale, davanti al giudice amministrativo, non vi deve essere la condicio sine qua non del previo annullamento dell’atto.
Alla luce di quanto innanzi esposto non rimane che prendere atto della pronuncia della Suprema Corte che ha come unico pregio quanto meno quello di aver dato un forte segnale al cittadino che, di fronte al problema della "pregiudiziale amministrativa", ha assistito ad una vero scontro tra culture giuridiche e giurisdizionali.
Questa impostazione giuridica sta per assumere con ogni probabilità i contorni di una nuova pietra miliare sull’annosa questione della pregiudiziale amministrativa. La Corte di Cassazione, a quasi 10 anni dalla storica sentenza del 1999, ha detto nuovamente la propria sui rapporti tra cittadino e Pubblica Amministrazione ridisegnandoli sul modello privatistico.
Allo stato appare chiaro che questo forte impulso "privatistico" pone al centro dei rapporti tra P.A. e cittadino il risarcimento in denaro. In pratica si vuole che il ristoro dei danni assuma il ruolo di rimedio sempre valido e capace di sanare tutte le conseguenze nei rapporti tra Pubblica Amministrazione e privati siano essi cittadini o imprese.
Il rischio, ora più che mai, sarà rappresentato dal fatto che i pubblici amministratori potranno esporre, con il loro operato amministrativo, l’amministrazione di appartenenza a "condanne di risarcimento" a fronte di atti amministrativi che mai hanno subito declaratorie di illegittimità e pertanto perfettamente conformi al diritto, con ovvie e consequenziali problematiche relative al recupero erariale per "responsabilità amministrativa". Al riguardo, paradossalmente, l’ancora di salvezza per i pubblici funzionari che con il loro operato hanno esposto l’Amministrazone di appartenenza a condanne di risarcimento, potrebbe essere proprio la Corte dei?Conti. In effetti la magistratura contabile, intervenendo sucessivamente a condanne di risarcimento senza pregiudiziale, potrebbe valutare con più distacco il "rischio di organizzazione" in cui il pubblico funzionario si è trovato ad operare e conseguentemente esprime dei giudizi più comprensivi in termini di dolo o colpa grave.
Dall’altro si potrebbe distrarre l’attenzione del cittadino dalla funzione amministrativa viziata e dal suo riflesso immediato ed irrimediabile nella propria sfera giudirica soggettiva come ad esempio: l’esclusione di una ditta da una gara d’appalto, o di un candidato da un pubblico concorso, per incoraggiare ora la voglia di "fare cassa".
la citata pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite denota tutta l’asprezza assunta dalla questione della "pregiudiziale" e, di fatto, essa è tesa a far accettare al?Consiglio di?Stato delle posizioni giurisprudenziali da questi non condivise. A riprova di ciò vi sono le successive sentenze del?Consiglio di Stato n. 587 del 3 febbraio del 2009 nonché n. 2436 del 21 aprile 2009 che, nel ridondare il principio della pregiudiziale amministrativa, ricalcano la grave  divergenza di posizioni rispetto al Giudice dei diritti.
Il tutto ormai ha aperto la strada all’invocazione della Corte Costituzionale sul punto. I motivi, poi, con cui il Consiglio di Stato utilizzerà lo strumento di rimessione alla Consulta, al fine di dirimere questo evidente conflitto giuridico, appartengono ad un’altra complicata storia ovvero a quella se sia possibile per la Cassazione fissare principi di dirtto, in tema di posizioni giuridiche soggettive opposte ad un parere amministrativo, a fronte dell’art. 111, 8° comma della Costituzione.

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