Materiali per una storia dell'Arma

NOTIZIARIO PER L’ARMA DEI CARABINIERI
N. 6 - novembre-dicembre 1959

Problemi penali posti dalla cooperazione militare internazionale(1)

Magg. Gen. Vittorio Veutro(2)

La cooperazione militare tra due o più Stati crea una rete di rapporti, il cui contenuto varia in relazione al grado, alla forma, alla portata politica della cooperazione. Tenendo presenti le forme più moderne di cooperazione, si nota come i rapporti di carattere militare, anche se appaiono i più immediati ed evidenti, non sono i soli; altri di carattere politico, economico, finanziario, o anche culturale, si aggiungono, condizionando all’alleanza settori sempre più vasti della vita dei singoli Stati.
Nell’ambito di questi rapporti, sorgono problemi giuridici di varia natura.
Si tratta di individuare quelli che mostrano una incidenza diretta o indiretta nel Campo penale, per tentarne una a ricognizione se non completa, almeno largamente esemplificativa. di fare, in altre parole, quello che è stato chiamato un “inventario motivato" e elle dovrebbe avere lo scopo di dare, a noi come studiosi e agli Stati come direttamente interessati, una più netta consapevolezza dei problemi penali che bisogna affrontare quando sorge una alleanza militare.
Ritengo che la classificazione più efficace dei problemi sia quella fatta sulla base del «quid novi» posto dalla cooperazione militare e dal quale i problemi stessi traggano immediatamente origine:
1. comunità di interessi;
2. contatti tra militari appartenenti a FF.AA. di Stati diversi;
3. dislocazione di truppe fuori del territorio nazionale;
4. armonizzazioni delle attività nazionali.

1. Comunione di interessi

Come notava il delegato jugoslavo Perritch al 3° congresso internazionale di diritto penale (Palermo aprile 1933), se si fa astrazione dai delitti politici e da certi delitti di diritto comune (come., ad esempio in tema di costumi), tutti gli Stati moderni possiedono, più o meno, le stesse norme di incriminazione in diritto penale, il che si spiega facilmente se si pensa che tutti i popoli arrivati ad un certo grado di cultura hanno delle nozioni molto vicine di ciò che è permesso e di ciò che non è permesso.
Da questo punto di vista si può dire che le legislazioni mondiali abbiano raggiunto un notevole grado di uniformazione in virtù di una convergenza spontaneamente determinatasi.
Indubbiamente, il valore, di questa uniformità spontaneamente raggiunta non è trascurabile, perchè indica l’esistenza di una “comunione di interessi"; e precisamente di quegli interessi che la legge penale prende in considerazione per il loro valore assoluto (vita, proprietà, onore, ecc.).
La cooperazione militare, creando nuovi rapporti, estende i confini della comunione di interessi tra i singoli Stati e vitalizza la soluzione di tutti i problemi di collaborazione, tra cui quello della «comune proiezione penale».
Il problema centrale, di politica criminale, (come puntualizza il rapporto belga) è di individuare quali interessi degni di protezione penale, siano divenuti comuni a seguito della cooperazione militare e come possa ordinarsi una protezione penale comune.
Sotto altro aspetto, lo stesso problema può condurci a riconsiderare i limiti e le forme tradizionali dell’estradizione, per stabilire sino a che punto essi siano compatibili con la cooperazione militare.

a) Individuazione degli interessi comuni

La cooperazione rende comuni quegli interessi che la legge penale prende in considerazione non per il loro valore assoluto, ma per il loro valore nazionale. Siamo soprattutto ma non solamente nel campo classico dei delitti politici:
anche qui le legislazioni interne si assomigliano nel loro contenuto formale, ma l’oggetto ne è diverso, in quanto ognuna protegge quel determinato interesse solo in quanto abbia la sua stessa nazionalità.
Molti autori, nel preconizzare un graduale affermarsi della universalità della repressione, hanno mostrato di fare assegnamento su un sentimento di altruismo che dovrebbe formarsi in ciascuno Stato, per persuaderlo ad assumersi la protezione di interessi che non lo riguardane direttamente. Ma, nella attualità di una cooperazione militare non è necessario attendere il formarsi di questo altruismo della coscienza statale perché il grado di interdipendenza di un alleato dall’altro fa della individuazione degli interessi comuni come una questione di egoismo nazionale. Comuni sono quegli interessi la cui lesione, anche se immediatamente tocca uno solo degli Stati, si ripercuote su tutti gli altri, influendo sulla efficienza della Cooperazione.
Il problema della idea identificazione degli interessi comuni è di natura concreta; la soluzione cioè dipende dagli elementi forniti da una determinata alleanza: grado, forma, scopi dello cooperazione, affinità tra gli Stati cooperatori.
Astrattamente possono dire che la estensione della «comunione si interessi» va da un minimo rappresentato dagli interessi militari più immediati, sino ad arrivare a un punto vicino alla equiparazione dell’alleato allo stato nazionale, quando la cooperazione militare non sia che un passo verso la comunità politica.
L’approfondimento dello studio delle singole categorie di reati, sotto l’aspetto della loro incidenza sull’efficienza dei vari tipi possibili di cooperazione, presenta un interesse indubbio; ma trascende la natura del tema che ci siano proposti, che si limita a porre problemi, senza pretendere di arrivare alle soluzioni.
Ma, non fosse altro che per chiarire la portata del problema, dobbiamo pure dare un’occhiata a quello che possiamo considerare se non il minimo di comunione di interessi almeno la media.
Indubbiamente la protezione degli interessi attinenti alla difesa militare si presenta come la più immediata ed evidente, per lo strettissimo legame che si coglie tra gli sforzi bellici di ciascuno degli Stati alleati; ma sarebbe grave errore non cogliere gli altri aspetti della comunione degli interessi, che, per essere meno evidenti, non sono per questo meno reali.
Anzitutto l’estensione della protezione penale non può limitarsi al tempo di guerra, se si pensa alla possibilità che interessi vitali siano irrimediabilmente compromessi in tempo di pace.
Inoltre la struttura politica, l’efficienza economica e le possibilità industriali di ciascuno Stato hanno un ruolo così importante per la vita e la forza della coalizione, che nessuno degli altri Stati può mostrarsi indifferente ad esse. La violazione di un segreto industriale, ad esempi, non è meno dannosa, per la cooperazione, della violazione di un segreto riguardante la dislocazione di caserma o di apprestamenti difensivi.
Un cenno speciale merita la repressione dei crimini di guerra, per la cui efficienza, è stato osservato, occorrebbe più una intesa tra avversari che tra alleati. Nondimeno è essenziale che gli alleati abbiano la stessa visione degli obblighi nascenti dal diritto delle genti, perchè la punizione dei crimini di guerra possa esercitare anche una funzione di remora ad atti illegittimi e, nella sua applicazione, appaia coerente con l’azione di tutti gli Stati cooperatori. Infine bisogna considerare gli interessi che sono direttamente pertinenti alla cooperazione.
Le legislazioni interne non mancano di esempi di individuazione di interessi nazionali, resi comuni dalla cooperazione militare; ma basta confrontarle tra loro (e potremo ad esempio fare la prova, confrontando la legislazione italiana con quella belga) per constatare come l’individuazione degli elementi comuni, fatta unilateralmente dai singoli Stati, porti a risultati disarmonici; sì che spesso, attraverso il gioco della condizione di reciprocità, le equiparazioni di protezione penale rimangono lettera morta.
La individuazione degli elementi comuni va fatta in comune; vale a dire con un accordo tra tutti gli Stati cooperatori.

b) Comune protezione penale

La individuazione degli elementi comuni è la necessaria premessa per una comune protezione penale.
La elaborazione di una legislazione penale unificata, applicata o in virtù di una autorità sopranazionale o attraverso una uniformizzazione delle singole legislazioni nazionali, è una aspirazione che data da molti anni e che non appare realizzabile a breve scadenza nemmeno sotto la spinta di una cooperazione militare.
Nel campo del realizzabile si deve invece prevedere l’inserimento, in ciascuna legislazione nazionale, di singole norme repressive di fatti lesivi di interessi comuni.
Questo è l’inizio di una soluzione; ma i problemi da risolvere sono ancora ardui. Innanzitutto, perchè la protezione penale sia comune come comuni sono gli interessi, è necessario che si raggiunga una certa uniformità. Uniformità nella enunciazione dell’azione punibile; uniformità nell’azione repressiva.
Per considerare come una tale uniformità non possa che essere molto relativa, basta riflettere che ciascuna norma, nel momento della sua applicazione, non può essere considerata isolatamente, ma va inquadrata nel sistema in cui è inserita. Ecco dunque come due norme perfettamente identiche nella loro formulazione, possono portare a risultati molto diversi.
Il problema è di natura tecnica: basta sapere ciò che si può e si vuole raggiungere. Forse bisogna contentarsi nella sola «possibilità» che in ciascuna legislazione al colpevole sia inflitta una carica equivalente di sofferenza espiativa (tenuto conto del diverso regime delle pene).
Ma non basta completare i singoli sistemi nazionali con norme che reprimono violazioni di interessi comuni: è necessario che la collaborazione si spinga oltre, per potersi parlare di repressione comune. Sotto questo aspetto, si può pensare a rendere permeabili tra loro i singoli sistemi penali uscendo per un largo settore da concetti tradizionali di territorialità. E’ vero che molte legislazioni nazionali prevedono già la punibilità di reati commessi all’estero anche da stranieri; ma questa punibilità è posta unilateralmente dai singoli Stati, senza cioè quel preventivo accordo che deve servire ad ottenere un sistema armonico.
Ed inoltre è necessario rivedere i concetti tradizionali della estradizione.

c) Estradizione

L’estradizione è un istituto di collaborazione internazionale per la repressione del delitto.
Ogni Stato è disposto a collaborare con un altro nei limiti in cui ritiene di avere con questo un interesse comune. E’ per questo che nella maggior parte delle convenzioni di aiuto reciproco giudiziario sono esclusi dalla estradizione i reati politici, in quanto considerati lesivi di interessi esclusivamente nazionali.
«Colui che si punisce in un paese come colpevole di un delitto politico - scriveva già parecchi anni fa il Bluntschili (Le droit pénal codifié - Paris, 1874) - forse sarà considerato altrove come un martire della libertà. Le autorità che lo perseguono in nome del diritto forse saranno ritenute in altro Stato come nemiche del diritto e della giustizia».
Che ciò, in linea generale, sia ancora vero, non ci pare dubbio; ma altrettanto indubbio ci pare: che, una volta identificati come comuni ad un gruppo dì Stati certi interessi politici, questi Stati non hanno ragione di negarsi l’un l’altro una collaborazione efficace per la repressione dei delitti che ledono tali interessi.
E’ certo inconcepibile che uno Stato possa offrire asilo ai colpevole di un fatto che esso stesso punisce. Si tratterà dunque, nel quadro di una comune repressione di delitti lesivi di determinati interessi, di una alternativa: o il colpevole, rifugiatosi nei territorio di uno Stato alleato, sarà giudicato dalle autorità di questo Stato, ovvero sarà estradato al suo Stato che ne faccia richiesta. Nel quale caso dunque - se si dovesse negare l’estradizione solo in nome della politicità del reato - la conseguenza sarebbe che il colpevole verrebbe sottratto ai suoi giudici nazionali, per essere giudicato in un paese straniero, con leggi straniere.
C’è insomma, tra la comunione d’interessi determinata dalla cooperazione militare ed un rifiuto di collaborazione internazionale in tema di reati politici una contraddizione che dev’essere superata, rivedendo, nell’ambito del gruppo di Stati interessati, i limiti tradizionali dell’estradizione.
L’esigenza di una revisione si fa ancora più evidente, se si pensa che, normalmente, i reati esclusivamente militari sono considerati reati politici ed, essendo previsti solo dalla legge nazionale, non solo lasciano l’alternativa «aut dedere aut punire» ma non possono rispondere all’esigenza della doppia incriminazione.
Il problema non è solo eventuale e teorico. Dai giornali abbiamo appresi che esso è venuto alla ribalta, con una richiesta di estradizione presentata dalla Repubblica Federale tedesca al Governo italiano, nei confronti di un certo ing. Keitel, condannato in Germania per violazione del segreto relativo alla fabbricazione di armi. Le armi erano destinate alla NATO e la Repubblica Federale sostiene che il Keitel, avendo leso un interesse comune a tutti gli Stati aderenti a tale organizzazione, non può trovare asilo nel territorio di uno di essi, nemmeno se il reato da lui commesso dovesse considerarsi politico.
Sono note, inoltre, le questioni sorte in seno alla NATO, sulla estradizione dei disertori, da un paese membro all’altro.
Indubbiamente non è facile procedere alla revisione dei limiti dell’estradizione, specie quando gli ostacoli sono di ordine costituzionale (come per l’Italia, la cui Costituzione riafferma l’inestradabilità per reati politici non solo del cittadino, art. 26, ma anche dello straniero, art. 19).
Ma il problema è posto e se una sua soluzione si impone essa deve essere cercata conoscendo gli ostacoli e considerando che tutte le leggi - comprese quelle costituzionali - sono modificabili: si tratta di pesare e valutare le ragioni di una tale modifica.

2. Rapporti tra militari appartenenti a Forze Armate di diversa nazionalità

La cooperazione militare internazionale porta i militari appartenenti a forze armate di diversa nazionalità in un continuo contatto, in servizio e fuori servizio, anche in tempo di pace.
La condotta dei militari può continuare ad essere regolata, in massima parte, con norme interne, sia disciplinari che penali. Ma quando il presupposto di una determinata condotta e delle sanzioni che la presidiano sia la particolare natura dei rapporti tra i militari appartenenti a diversi contingenti nazionali, è necessario che tali rapporti siano precisati e definiti.
Il problema dei rapporti, in servizio e fuori servizio, dei militari appartenenti a nazionalità diversa, è delicato, implicando sottili considerazioni di carattere politico e psicologico. Si tratta in sostanza di stabilire se il legame tra le truppe di eserciti diversi debba solo avvenire al vertice ovvero anche nei gradi intermedi della gerarchia.
Se poi la cooperazione militare arrivasse al punto di costituire un esercito unico, la parificazione in un unico regolamento ed in unico codice si imporrebbe con tutta evidenza (es. esercito CED).
Il problema è però solo indirettamente di natura penale, essendo in primo luogo di natura militare.
Ma anche qui si tratta in definitiva di individuare, in relazione alla natura della cooperazione, i limiti di quell’interesse indubbiamente comune che è la disciplina e la coesione della cooperazione militare del suo insieme. Il problema, in definitiva, non è che una specificazione di quello precedentemente posto, ma di cui si parla specificatamente per la sua importanza e per le sue incidenze in settori che trascendono quello strettamente penale.

3. Truppe dislocate in territorio estero

La cooperazione militare internazionale può determinare, anche in tempo di pace, e per esigenze di servizio, lo spostamento dall’uno all’altro territorio di Stati alleati, sia d truppe che di militari isolati.
Il soggiorno o il transito di truppe in un territorio diverso da quello di origine, creano problemi di carattere penale, che possono così enunciarsi:
a) quale legge penale deve applicarsi al militare che delinque in territorio alleato;
b) quale organo giudiziario è competente a giudicarlo;
c) in quale misura ed in quale forma le autorità dello Stato di soggiorno debbono prestare il loro aiuto, in materia giudiziaria o di polizia, alle autorità militari dello Stato d’origine e, viceversa, quale aiuto debbono prestare le autorità di origine a quelle di soggiorno.
Preliminare allo studio di tali problemi, ci sembra la necessità di una chiara ed esauriente definizione, con norme di qualificazione valevoli per tutti gli Stati, di taluni concetti basilari, quali lo Stato di origine, Stato di soggiorno o di transito, servizio, persona a carico, elemento civile al seguito delle truppe, ecc.

a) Legge penale applicabile

Quando la legislazione di uno Stato affronta e risolve la questione della legge applicabile al suo militare dislocato in territorio alleato, non può non fare altro che dare valore ultraterritoriale alle sue norme penali, o a talune di esse. Così, ad esempio, il codice penale militare di pace italiano, all’art. 17, estende l’applicabilità della legge penale militare alle persone che vi sono soggette, anche per i reati commessi in territorio di soggiorno o di transito.
Ma una soluzione unilaterale non può, ovviamente, limitare i poteri dello Stato di soggiorno; non può quindi escludere l’applicabilità della legge territoriale da parte delle giurisdizioni territoriali. La ultraterritorialità della legge personale crea inevitabilmente una concorrenza di norme applicabili, quando lo stesso fatto sia considerato reato sia dallo Stato di origine che dallo Stato di soggiorno. Ad evitare una indiscriminata concorrenza di norme penali, è necessario un accordo tra gli Stati interessati, che fissi il dominio di ciascuna legge.
Il rapporto belga così sintetizza le difficoltà del problema:
«conciliare il rispetto dovuto alle sovranità interessate con le esigenze della repressione, dal duplice punto di vista della integrità politica e sociale degli Stati e dell’efficienza militare».
Esaminando talune delle soluzioni possibili e valutandone in astratto vantaggi e svantaggi, potremo ancora meglio prendere consapevolezza delle difficoltà di conciliare tanti interessi.
La soluzione di una integrale applicazione della legge territoriale sembra la più solida, basandosi sulla vocazione dello Stato di regolare tutto quanto accade sul suo territorio. Si legge in tutti i codici che la legge penale obbliga chiunque sta sul territorio, cittadino o straniero.
Ma, applicata ai militari stranieri, questa regola si presta a non poche critiche.
Per il militare la legge straniera è completamente sconosciuta. Sconosciuta non solo nella sua parte speciale, ma, cosa che forse conta ancor di più, nei suoi istituti generali su cui tutto il sistema si impernia e che ne indicano lo spirito informatore. La presunzione di conoscenza con la quale ogni legislazione penale assicura il suo dominio, verrebbe a costituire un peso troppo grave nello zaino del militare dislocato all’estero; assai più grave poi, se frequenti spostamenti per motivi di servizio dovessero porlo in una continua successione di leggi a lui sconosciute.
Si può obiettare, certo, che questa è la situazione in cui è posta ogni persona che si. trovi su un territorio straniero o si sposti da uno Stato all’altro. Ma non bisogna dimenticare che il soldato non è una persona che viaggia per sua volontà. Chiamato d’autorità a prestare servizio militare, d’autorità, ancora, può essere inviato all’estero.
Inoltre - e tolgo la considerazione da un pregevole scritto di un nostro collega dell’Associazione, Augusto Belinfante, giurista presso il Ministero della Giustizia Olandese (Les principes de droit pénal international et les conventions internationales) - l’applicazione di una legge penale comprende l’applicazione di tutto un sistema che sbocca o nella pena o in una misura di sicurezza. Ora le pene non hanno il solo scopo di reprimere determinati fatti, ma anche e sempre più, con l’evolversi del diritto penitenziario, uno scopo di emenda, per rieducare il condannato ad una vita di relazione, nella società in cui egli è destinato a vivere dopo aver scontato la sua pena. Ciò è forse ancora più evidente nelle misure di sicurezza, che possono applicarsi ai minori, ai recidivi, agli infermi mentali. La pena quindi inflitta ai militare straniero è una misura che non può realizzare interamente i suoi scopi, perché conserva solo il suo carattere afflittivo e non può efficacemente contribuire alla riqualificazione sociale del reo.
Comunque, un settore penale dovrebbe, anche con questa soluzione, rimanere interamente affidato alla legge nazionale: reati militari, reati anche comuni che ledono esclusivamente un interesse della Stato di origine, ecc.
La soluzione inversa, di un’integrale applicazione della legge personale, presenta indubbio vantaggio di sottoporre il militare, anche per i reati comuni, a quel diritto che egli meglio di ogni altro dovrebbe conoscere e che, comunque, è nato per quella società dalla quale il militare proviene.
Ma il problema non può essere considerato solo dal punto di vista del militare; è necessario mettere in conto, altresì, l’esigenze dello Stato d soggiorno.
Ogni Stato tutela penalmente quegli interessi che stima essenziali alla società nazionale, considerata in un determinato momento storico. L’inosservanza delle norme penali, sul territorio, da parte di chiunque, ledendo tali interessi, crea un turbamento che solo la pena può attutire.
Può la legge personale del militare sostituire interamente la legge del territorio in questa funzione di tutela?
Se il raffronto viene posto tra due legislazioni che abbiano fonti storiche non dissimili od eguale grado di evoluzione, una tale sostituzione può considerarsi parzialmente possibile. Vi sono dei valori a carattere universale che vengono protetti da tutte le legislazioni civili: l’incolumità personale, la libertà individuale, la proprietà privata, l’onore e così via.
Ma vi sono altri valori che, pur universalmente riconosciuti, vengono protetti - si è già avuto occasione di osservarlo - con riferimento alla loro nazionalità. La legge italiana protegge il pubblico ufficiale italiano, l’amministrazione italiana della giustizia, la moralità pubblica del suo territorio. Le relative norme penali sono perciò inesportabili, in quanto incapaci di proteggere gli interessi corrispondenti del territorio di soggiorno; possono però essere rese esportabili - almeno in parte - in seguito ad opportuni accordi.
Vi sono infine, in ogni legislazione, delle norme penali aventi un carattere strettamente territoriale e che perciò noli possono trovare nemmeno una corrispondenza formale in una legislazione diversa. Si pensi, per citare un esempio, a tutte le disposizioni penali che, in Olanda, sono dettate per la protezione delle dighe. Anche in questo caso la legge penale personale sarebbe incapace di difendere gli interessi dello Stato di soggiorno.
Un gruppo di soluzioni può derivare anche dalla applicazione delle due leggi insieme, secondo il modo come esse si integrano o si giustappongono.
Ci sembra che un sistema di applicazione delle due leggi debba rispondere sopratutto a due requisiti:
1) la certezza del diritto attraverso la immutabilità della legge applicabile al momento del reato;
2) la tutela degli interessi essenziali sia dello Stato di origine che dello Stato di soggiorno.
Vi sono due soluzioni su cui riflettere: quella adottata dalla NATO, nel suo Statuto delle forze del 1951 (art. VII);
quella adottata, come progetto, alla Conferenza per l’organizzazione della Comunità Europea di Difesa (CED).
La prima pone l’una legge accanto all’altra, secondo l’incidenza del danno. Attraverso una rinuncia di giurisdizione, è possibile per un reato già commesso. il mutamento di legge applicabile.
La seconda prevedeva una integrazione della legge personale con norme tratte dalla legge di soggiorno, ponendo. il non facile problema tecnico dell’inserimento di norme straniere in un completo sistema nazionale e quello ancora più delicato, in tema giurisdizionale, della applicabilità di norme penali straniere.
Potremo ancora delineare altre soluzioni, enumerandone vantaggi e svantaggi; ma ci sembra di aver detto quanta era necessario per delineare compiutamente, nei suoi confini e nelle sue difficoltà, il problema della legislazione applicabile al militare dislocato in territorio estero alleato.
La soluzione deve essere cercata n concreto, tra gli Stati di volta in volta interessati. Ma uno studio più approfondito, sia pure ancora su un piano astratto, può essere di enorme utilità per enucleare con sempre maggiore precisione i criteri che debbono essere rispettati per una adeguata soluzione.

b) Organo giudiziario competente

La questione della giurisdizione competente è, senza dubbio, strettamente legata alla questione della legge penale applicabile; tuttavia tra le due soluzioni non esiste una correlazione necessaria ed assoluta.
Le soluzioni che si possono preveder sono le seguenti:
1) costituzione di un Tribunale Internazionale, dove siano eventualmente rappresentati tanto lo Stato di origine quanto quello di soggiorno. Una tale soluzione dovrebbe essere considerata normale, quando la cooperazione militare porta alla creazione di un esercito unico (es. CED); nel qual caso, meglio che di un Tribunale Internazionale, dovrebbe parlarsi di un Tribunale Supernazionale. Quando invece la cooperazione si limita alla coordinazione di singoli eserciti nazionali, la soluzione di un Tribunale Militare Internazionale crea dei problemi delicati: quali reati debbono essere affidati alla competenza di questo Tribunale? Tutti i reati ovvero solo quelli che portano un più diretto attacco agli interessi della coalizione? Ed, in ogni caso, quale legge dovrebbe applicare un tale Tribunale? La legge applicabile, cioè deve variare secondo la nazionalità degli incolpati, ovvero può farsi ricorso ad una legge unica da creare ex novo o da assumere da un sistema convenzionalmente scelto ed eventualmente adattato?
La questione della legge procedurale è particolarmente delicata, perché, mentre in astratto è possibile concepire che la legge sostanziale sia scelta secondo i criteri indicati alla lettera precedente e risulti anche diversa per ciascuno degli incolpati, non è invece possibile concepire che la procedura non sia eguale per tutti, sia nel rito che essa comporta, sia nelle garanzie che essa assicura.
I vantaggi della competenza attribuita ad un organo internazionale di giustizia sono molti: visione d’insieme dei fatti, escludendosi la separazione dei procedimenti; valutazione dei fatti dal punto di vista più elevato degli interessi della cooperazione; poteri dell’organo giudiziario eguali sii tutti i territori degli Stati cooperatori. Si tratta di vedere se questi vantaggi possono giustificare le complicazioni che la costituzione di un Tribunale Internazionale comporta.
In ogni caso è da tener presente che se al Tribunale Internazionale viene attribuita la competenza di una sola parte dei reati, commessi dagli appartenenti alle FF.AA., il problema della repressione non è ancora risolto; l’organo internazionale, cioè, non sostituisce in tutta la loro funzione, gli organi nazionali, ma si aggiunge ad essi;
2) attribuzione della competenza ai Tribunali dello Stato di origine.
E’ questa la soluzione che si dovrebbe più logicamente adottare, qualora si ritenesse di dovere indicare come legge sostanziale applicabile la sola legge penale di origine, completata con disposizioni volte a proteggere gli interessi dello Stato di soggiorno.
Già parlando della legge applicabile, abbiamo messo in evidenza i vantaggi di una tale soluzione; ma, sul piano giurisdizionale, è necessario soffermarsi su taluni inconvenienti. Anche ammesso cioè che la legge di origine riesca veramente a proteggere adeguatamente tutti gli interessi dello Stato di soggiorno, la sua applicazione può profondamente deludere lo Stato di soggiorno o i suoi abitanti. La fonte più normale di delusione è data dal mancato giudizio sul territorio del commesso reato. Se l’accusata viene giudicato lontano, addirittura fuori dello Stato in cui il reato è stato commesso, la parte lesa in primo luogo, l’opinione pubblica in secondo luogo, hanno l’impressione che egli sia stato «sottratto alla giustizia», anche se in realtà egli invece è stato rettamente giudicato. Senza contare che, effettivamente, a distanza di luogo, gli elementi di prova arrivano sensibilmente sbiaditi. (A questa delusione noi assistiamo non infrequentemente specie in tema di incidenti automobilistici, addebitabili a militari della NATO, in servizio al momento dei fatto).
L’applicazione inoltre di norme, il cui contenuto è tratto da disposizioni della legge straniera, può portare ad interpretazioni del tutto nuove e non corrispondenti allo spirito della legge.
E’ necessario, quindi, che il Tribunale possa essere illuminato sulla giurisprudenza locale, pur senza essere ad essa necessariamente legato.
L’obbligo del giudizio sul posto e la presenza di osservatori dello Stato di soggiorno, quando gli interessi lesi riguardino questo Stato, sono misure atte a rimuovere gli inconvenienti sopra indicati (v. Convenzione progettata per la CED).
Un ultimo grave inconveniente è la necessità di operare delle separazioni di procedimenti, quando gli autori di un reato siano parecchi ed appartengano a nazionalità diverse: un tale inconveniente è insuperabile, con la soluzione prospettata;
3) ripartizione di competenza tra Tribunale di origine e Tribunale di soggiorno.
Non crediamo sia ipotizzabile la competenza del solo Tribunale dello Stato di soggiorno. La relazione belga, che fa d questa ipotesi una trattazione a parte, esclude da tale competenza i reati militari ed i reati lesivi di interessi esclusivi dello Stato di origine: il che equivale a fare una ripartizione di competenza tra Tribunale di origine e Tribunale di soggiorno.
La ripartizione può essere fatta secondo varie formule. Il rapporto belga ne cita tre, tratte rispettivamente dagli accordi Bonn-Parigi 1952-1954; dallo Statuto delle forze NATO; dalla dichiarazione franco belga del febbraio 1916. Alla ripartizione di competenza fa riscontro, logicamente, la diversità di legge applicabile; ed agli inconvenienti della applicazione di una legge sostanziale straniera, bisogna aggiungere quelli dell’applicazione di una legge processuale straniera da parte di organi stranieri: problemi di lingua, di garanzie processuali, di difesa dell’accusato devono essere risolti. E se la soluzione tecnica di tali problemi può apparire difficile, ma possibile, rimane tuttavia un aspetto psicologico del quale va tenuto conto e che abbiamo evocato già a proposito della legge sostanziale.
Il rapporto belga considera la «rinuncia di giurisdizione», prevista negli accordi Paris-Bonn e nello Statuto dello Otan, come una attenuazione del sistema di ripartizione, attenuazione che presenta il vantaggio di evitare la separazione dei procedimenti, in caso di connessione, ma che contrasta indubbiamente con il principio di certezza del diritto, specie quando la rinunzia non avvenga preventivamente e per categorie di reati.
In conclusione, il problema dell’organo giudiziario competente deve, come ogni altro dei problemi che abbiano evocato, fare oggetto di precisi accordi tra gli Stati cooperatori. Ogni soluzione unilaterale infatti provoca un disarmonico incontro di sistemi e rischia di dar luogo o all’impunità di certi reati o ad una duplice procedura per gli stessi fatti e contro la stessa persona.
Come abbiamo constatato, organo giudiziario competente e legge sostanziale applicabile si condizionano reciprocamente: ma non abbiamo escluso che un Tribunale possa applicare anche la legge straniera, sia pure resa nazionale da un rinvio; d’altra parte un Tribunale Internazionale deve scegliere una legge sostanziale applicabile, non essendo sempre possibile e di pratica realizzabilità la costruzione di una legge nuova.

4. Armonizzazione delle attività nazionali

La varie soluzioni prospettate, qualunque sia quella che in concreto possa essere scelta, non devono dar luogo a compartimenti stagni, in seno ai quali i vari organi agiscono senza tener conto della attività degli altri organi.
Abbiamo già accennato alla esigenza di rendere permeabili i vari sistemi; il che non apparirà ne tecnicamente ne psicologicamente difficile, se si terrà presente che tutte le soluzioni devono essere adottate attraverso un libero accordo tra gli Stati cooperatori, con lo scopo di assicurare la migliore repressione dei reati, nell’interesse tanto della cooperazione militare quanto dei singoli Stati cooperatori.
Talune questioni di sovranità nazionale appaiono quindi come un pregiudizio incompatibile con lo scopo comune.
Il rapporto belga fa un’efficace disamina delle varie ipotesi possibili, sia per quanto riguarda l’aiuto reciproco degli organi giudiziari e di polizia, sia per quanto riguarda l’efficacia del giudicato emesso da Tribunali, di origine, di soggiorno o internazionali, considerati nelle convenzioni.
Tali distinzioni sono indubbiamente necessarie, sul piano tecnico, presentando ognuna aspetti propri. Ma in sintesi, si tratta sempre di permettere ai vari organi ai quali è attribuita una competenza ai fini della repressione dei reati, di esplicare efficacemente la loro attività, senza trovare ostacoli nelle frontiere: e questo, ovviamente, nei limiti delle competenze riconosciute.
Che quindi un Tribunale di origine possa esercitare i suoi poteri d’inchiesta e di limitazione di libertà nei confronti delle persone che gli sono soggette, indipendentemente dal territorio in cui queste possono trovarsi, è una conseguenza che deriva logicamente dal riconoscimento convenzionale della sua attività. La stessa cosa può dirsi nei confronti dei Tribunali Internazionali e, sempre nei limiti dell’attività riconosciuta in fave,re della cooperazione, anche nei confronti dei Tribunali di soggiorno.
Ma bisogna considerare che un Tribunale, per poter esplicare la sua funzione, non può limitare i suoi poteri coercitivi alle persone che sono soggette alla sua giurisdizione: esigenze processuali nascono nei confronti di altre persone: testimoni, persone presso cui si trova l’accusato, o un corpo di reato; periti giudiziari, avvocati. E’ qui che il problema si fa più delicato, essendo difficile ammettere, per, un Tribunale determinato, poteri coercitivi verso, persone non soggette alla sua giurisdizione, e non potendosi d’altra parte negare le esigenze processuali sopra ricordate, senza paralizzarne l’attività.
La cooperazione reciproca dei vari organi dello Stato di soggiorno e dello Stato di origine, animata dallo scopo comune da raggiungere, rappresenta la soluzione del problema. Come questa cooperazione debba essere articolata, è problema di carattere concreto, che deve essere esaminato in relazione alle strutture giuridiche dei vari Stati cooperatori.
Il rapporto belga distingue tre effetti del giudizio penale: l’autorità di cosa giudicata, l’effetto esecutivo, gli effetti accessori.
Il riconoscimento delle sentenze straniere è un istituto conosciuto in quasi tutte le legislazioni, ma con confini non sempre coincidenti.
Anche in questo settore, pertanto, un accordo tra gli Stati cooperatori deve chiarire la situazione; ed il problema deve essere studiato parallelamente a quello della estensione della estradizione, in modo che l’armonizzazione risulti completa. Nella misura in cui viene riconosciuto un diretto effetto esecutivo alle sentenze pronunciate da Tribunali che esercitano le loro funzioni nell’ambito della competenza militare viene sottratta materia alle convenzioni di estradizione.
Una attenzione particolare meritano i problemi penitenziari connessi, sembrando opportuno che ciascun condannato, dovunque egli sia arrestato, possa scontare la sua pena negli stabilimenti del suo Stato di origine.

5. Conclusione

Ritengo di essermi attenuto al programma indicato nella premessa: ho cercato di dare un certo ordine ai problemi penali posti da una cooperazione militare, mettendo in evidenza la loro importanza e la loro complessità. Il campo è vastissimo, ed offre materia per ulteriori studi più approfonditi.
Ho cercato di dare ai problemi una impostazione astratta; e con ciò intenda dire che si tratta di problemi che, in maggiore o minore misura, sorgono in qualsiasi forma di cooperazione militare: bilaterale o multilaterale, a tipo permanente o a tipo occasionale. Ma ho avuto sopratutto presente, per rimanere su un piano di realtà storica, la forma di cooperazione militare multilaterale realizzata dalla NATO, ritenendo peraltro che le soluzioni in essa adottate sulla materia di cui ci occupiamo, non siano cristallizzate, ma suscettibili d ulteriore sviluppo. E più di una volta mi sono riferito ad una più stretta forma di cooperazione militare, che è stata studiata a lungo, ma non realizzata: la CED.
Il tema della presente relazione riguarda i problemi e non le soluzioni: sia che queste esigono un approfondimento incompatibile con la visione panoramica che ci siamo proposti, sia perché come ho più volte avuto occasione di ripetere le soluzioni debbono essere adottate sii un piano concreto, sia pure utilizzando studi necessariamente astratti.
Ma un «inventario» di problemi non poteva essere «motivato» senza delineare qualche criterio di soluzione, nascente dalle stesse esigenze poste in rilievo.
E mi piace concludere, richiamando una di tali esigenze, quella che, io credo, sta alla base di ogni soluzione valida: rendere tra loro permeabili i diversi sistemi penali nazionali.
Ritengo di aver già chiarito che cosa intendo per permeabilità dei sistemi: superare una situazione di compartimenti stagni, in cui ciascun sistema, unilateralmente costruito sulla base di interessi strettamente nazionali, ignora praticamente tutti gli altri.
Un tale superamento è reso possibile dalla presenza di interessi vitali apparsi comuni in tutta la loro evidenza. Ma l’importanza di esso va molto al di là della stessa cooperazione militare, che ne è la causa immediata.
Da tempo giuristi illuminati di ogni nazionalità tentano di persuadere i Governi che la repressione della delinquenza è un interesse comune, che esige una azione comune, sia nel campo preventivo che in quello repressivo. In qualche settore si sono registrati progressi notevoli: il che è un ottimo segno che lascia sperare per l’avvenire. Ma per effettuare un passo decisivo, è necessario che si formi una coscienza della collaborazione internazionale, con il sacrificio di vecchi pregiudizi nazionalistici. E se una tale coscienza può formarsi nell’ambito di una vasta cooperazione militare, essa non tarderà a dare i suoi frutti in tutti i settori della repressione del delitto.

Approfondimenti
(1) - Relazioni al 1° Congresso della Società internazionale di diritto penale militare e di diritto della guerra (Bruxelles, 14-16 maggio 1959).
(2) - Procuratore militare della Repubblica.