L'estensione del diritto di voto agli immigrati non comunitari regolarmente soggiornati.

Problemi giuridici e soluzioni possibili (*)
Michele Turazza Michele TURAZZA

Cultore di “Istituzioni di diritto pubblico e delle autonomie territoriali” (Università degli Studi di Verona) e Agente di Polizia locale.   









L’estensione del diritto di voto agli immigrati non comunitari regolarmente soggiornanti
problemi giuridici e soluzioni possibili(*)
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Uno sguardo ad alcune esperienze europee. - 3. La situazione italiana. - 4. Conclusioni.

1. Introduzione
Il fenomeno della globalizzazione economica - dando vita a evidenti disparità nel godimento dei diritti fondamentali della persona, in ordine alla possibilità di utilizzo delle risorse del Pianeta - conduce inevitabilmente sempre più persone a migrare dai loro Paesi poveri, poverissimi, verso Stati più ricchi, i quali si trovano di conseguenza a dover fronteggiare tutti i problemi relativi all’integrazione di queste persone nel loro tessuto sociale e alla convivenza con esse(1).
Nel 2005(2) gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia erano circa due milioni e ottocentomila, con una incidenza media sulla popolazione del 4,8% e con motivazioni legate in primo luogo alla necessità di trovare un lavoro e di ricongiungersi con familiari già da tempo residenti nel nostro Paese. è il nord dell’Italia che deve far fronte al maggior flusso migratorio ospitando sul suo territorio circa il 59% della presenza immigrata; segue il Centro, col 27% ed il Sud, con circa il 14%. Tali dati dimostrano che l’Italia, da Paese di emigrazione, è divenuta a pieno titolo un Paese di immigrazione; essa si presenta, dunque, non certo come un fenomeno transitorio, ma irreversibile e stabilizzato, se non - addirittura - destinato ad aumentare nel tempo.
Tra gli svariati percorsi di integrazione di queste persone nel nostro Paese - e si pone a questo punto il problema, non affrontabile in questa sede, sul “grado di salvaguardia” delle varie culture che si incontrano, la nostra e le loro, importate dai rispettivi Stati di provenienza(3) - ritengo occupi una posizione di primo piano la questione relativa al riconoscimento del diritto di voto nelle elezioni locali. La possibilità, da parte degli immigrati extracomunitari regolarmente residenti(4), di concorrere a determinare la politica locale attraverso il loro voto si presenta infatti come una condizione imprescindibile ai fini di una loro completa integrazione nelle rispettive comunità di residenza(5). Se si pensa che i lavoratori stranieri sono soggetti - alla pari di un cittadino italiano - ai prelievi fiscali sul reddito prodotto dalle loro attività lavorative, non si può restare indifferenti al fatto che, mentre il cittadino italiano concorre - mediante il voto - alla determinazione delle scelte politiche a tutti i livelli (dall’Unione europea fino ai Consigli di circoscrizione), allo straniero non comunitario è preclusa questa possibilità, venendosi così a delineare un sistema governato - per una consistente parte dei residenti lavoratori - dal principio taxation without representation. Scopo di questo breve scritto è verificare quale “dose” di representation sia ammissibile nel nostro ordinamento, cercando di individuare le soluzioni giuridiche possibili.
Occorre quindi, dopo aver passato in rassegna le soluzioni adottate negli altri Paesi europei, considerare l’ordinamento italiano per verificare fino a che punto sia estensibile il diritto di voto agli immigrati regolarmente soggiornanti, e quale fonte si presenti più idonea a tale scopo. Infine si propone una breve analisi di alcune recenti pronunce del Consiglio di Stato(6) relative alla partecipazione degli stranieri extracomunitari alle elezioni comunali e circoscrizionali.

2. Uno sguardo ad alcune esperienze europee
Prima di considerare come il problema venga affrontato in Italia, è utile soffermarsi sulle legislazioni di alcuni Paesi europei che hanno già introdotto nei rispettivi ordinamenti la concreta possibilità per gli stranieri regolarmente soggiornanti di partecipare alla vita politica delle rispettive comunità locali. Questo confronto si rende necessario se si considera che, mentre in molti Stati il problema è già stato risolto da tempo prevedendo forme più o meno intense di partecipazione degli stranieri alla vita pubblica, senza particolari “sconvolgimenti” emotivi o manifestazioni di forte dissenso da parte di gruppi pregiudizialmente ostili nei confronti di persone straniere, nel nostro Paese l’argomento sembra ancora costituire un tabù insuperabile, provocando una levata di scudi ogniqualvolta si cerchi di affrontarlo. Vediamo a questo punto come alcuni Stati europei hanno affrontato la questione.
Nella Confederazione elvetica(7), alcuni cantoni ammettono al voto nelle elezioni amministrative gli stranieri residenti. Dal 2000, nel cantone di Neuchatel(8), il diritto di voto è stato esteso alle elezioni cantonali, analogamente a quanto già previsto nel cantone del Jura. Nel cantone di Vaud la nuova costituzione cantonale, entrata in vigore nell’aprile 2003, estende il diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni comunali ai cittadini extacomunitari residenti da almeno dieci anni in Svizzera e da almeno tre anni nel comune, mentre nei cantoni di Berna, di Appenzello esterno e dei Grigioni è lasciata facoltà ai singoli comuni di concedere il diritto di voto agli stranieri.
In Danimarca, dal 1981, la legge elettorale concede il diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni comunali ai maggiorenni domiciliati nel Comune da almeno tre anni, mentre in Finlandia tale diritto è previsto espressamente nella Costituzione, all’articolo 14, il quale rinvia alla legge la definizione delle modalità attuative.
In Irlanda possono partecipare alle elezioni amministrative tutti coloro che hanno compiuto i 18 anni e sono residenti da almeno sei mesi; in Lussemburgo il diritto di voto per i non cittadini ha copertura costituzionale, ma è una legge del 2003 che gli dà concreta attuazione, prevedendo la possibilità di votare nelle elezioni comunali per gli stranieri provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione Europea che siano residenti in Lussemburgo da almeno cinque anni. Anche le Costituzioni di Olanda e Portogallo hanno previsto il diritto di elettorato attivo e passivo per gli stranieri residenti nelle elezioni locali, rinviando alle rispettive leggi elettorali la definizione di tale diritto.
In Spagna, la concessione del diritto di voto alle elezioni municipali per gli stranieri è subordinata alla condizione della reciprocità(9): potranno votare solamente coloro i cui Paesi di provenienza ammettano a loro volta al voto amministrativo i cittadini spagnoli con le modalità previste da uno specifico trattato; personalmente, non credo che quella spagnola sia una modalità da accogliere, in quanto ad una positiva “apertura” prevista dall’ordinamento spagnolo in ordine all’estensione dei diritti elettorali, dovrà poi seguire il non sempre agile “strumento” del trattato internazionale. Tale assunto è confermato dalla prassi: a tutt’oggi risulta che l’unico trattato previsto dalla legislazione elettorale spagnola sia stato stipulato con la Norvegia, così restringendo - fino quasi ad annullarla - “l’apertura” di cui sopra.
In Svezia e in Norvegia gli stranieri possono votare ed essere eletti nelle elezioni comunali e di contea, purché siano residenti nel Paese da almeno tre anni.
Tra gli Stati entrati nell’Unione Europea nel 2004, alcuni prevedono per gli stranieri il diritto di elettorato attivo limitatamente alle elezioni locali: si tratta di Estonia, Lituania, Slovenia e Ungheria.
Malta invece consente il voto locale solamente ai cittadini britannici. In Islanda, fino al 2002, la possibilità di voto nelle elezioni amministrative era limitata ai soli cittadini dei Paesi dell’area scandinava residenti da almeno due anni.
Nel 2002, la legge n. 27 ha introdotto il diritto di voto attivo e passivo anche per gli altri cittadini stranieri a condizione di risiedere in Islanda da cinque anni.
Nel Regno Unito la legge del 1949 sulla rappresentanza popolare prevede che i sudditi britannici e della Repubblica irlandese e quelli provenienti dai Paesi del Commonwealth siano eleggibili ed elettori nella misura in cui siano residenti da un certo periodo, stabilito discrezionalmente dai tribunali.
Escludono invece il diritto di voto locale agli stranieri regolarmente residenti, oltre all’Italia, i seguenti Paesi: Austria, Francia, Germania e Grecia.
In Austria la sola città di Vienna ha esteso il diritto di voto ai cittadini extracomunitari, ma l’esercizio di tale diritto è comunque limitato all’elezione dei consigli distrettuali urbani, corrispondenti ai nostri Consigli circoscrizionali, e non del Consiglio comunale della città, dal momento che svolge anche le funzioni di governo della provincia(10).
In Francia è precluso il diritto di voto locale ai cittadini extracomunitari; nel 2002 è stata respinta dall’Assemblea nazionale una proposta di legge costituzionale volta ad estendere tale diritto agli stranieri stabilmente residenti, secondo modalità da stabilirsi con legge organica.
In Germania, nonostante il programma di Socialdemocratici e Verdi prevedesse l’estensione del diritto di voto ai non comunitari, la legislatura si è conclusa nel 2002 con un nulla di fatto.
Numerosi sono i documenti ufficiali dell’Unione Europea in tema di estensione del diritto di voto agli stranieri non comunitari regolarmente residenti in uno degli Stati membri. Detto questo, è pur doveroso ricordare che la disciplina della concessione della cittadinanza e dell’estensione del diritto di voto resta di esclusiva competenza degli Stati membri dell’Unione: in tali settori essi non hanno ceduto alcuna quota della loro sovranità a favore delle Istituzioni dell’Unione, che pertanto possono solamente esortare - come in realtà hanno fatto -, ma di certo non imporre, soluzioni estensive omogenee(11).
La “Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni su immigrazione, integrazione ed occupazione”(12) definisce l’integrazione una “sfida” da realizzarsi mediante un “approccio multisettoriale”, considerandola una “questione che riguarda certamente la coesione sociale ma [che] costituisce anche un prerequisito di efficienza economica” e in vista di tali obiettivi “è fondamentale che si riesca a garantire un’integrazione efficace tanto dei migranti già stabiliti nell’U.E., quanto dei migranti futuri”. Nello stesso documento viene inoltre definito un concetto abbozzato in precedenza dalla stessa Commissione: quello della “cittadinanza civile”. Secondo la Commissione(13) la “cittadinanza civile [è] definibile come un nucleo comune di diritti e doveri fondamentali che il migrante acquisisce gradualmente nel corso di un certo numero di anni, in modo da garantire che questi goda dello stesso trattamento concesso ai cittadini del paese ospitante, anche quando non sia naturalizzato”. Tale concetto sarebbe altresì indispensabile ai fini della “possibilità di accedere alla partecipazione politica” da parte dei migranti regolarmente residenti per i quali “il diritto di voto a livello locale deve discendere dalla stabilità del soggiorno più che dalla nazionalità(14)”.
Anche il Parlamento europeo(15), successivamente, si esprime a favore di una forte politica per l’integrazione dei cittadini non comunitari nei diversi Stati membri che contempli anche la partecipazione attiva alla vita politica locale. Il Parlamento dell’Unione, infatti “ritiene che la piena integrazione dei migranti nei paesi di accoglienza sia un fattore determinante per misurare il successo di una politica europea dell’immigrazione(16)”; sostiene inoltre “al fine di garantire l’integrazione dei cittadini dei paesi terzi [...] l’idea [...] di creare una cittadinanza civica che permetta [a coloro che] risiedono legalmente nell’Unione europea di beneficiare di uno status che preveda diritti e doveri di natura economica, sociale e politica, incluso il diritto di voto per le elezioni municipali ed europee(17)”.
In una risoluzione successiva(18), adottata nel settembre del 2003, il Parlamento europeo ribadisce la volontà di “estendere il concetto di cittadinanza europea al di là del mero riferimento alla nazionalità degli Stati membri ed estendere ai residenti di lunga durata (tre anni) legalmente provenienti da paesi terzi il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni locali, nonché alle elezioni per il Parlamento europeo(19)”, non dimenticando di raccomandare all’Unione europea di adottare e attuare “un’ ambiziosa politica d’integrazione dei cittadini dei paesi terzi, basata sul principio della non discriminazione(20)”.
Assai rilevante per la presente analisi è la “Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale”(21) adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa ed aperta alla firma il 5 febbraio 1992, entrata in vigore il 1° maggio 1997, sulla base di quanto disposto dall’articolo 12 della Convenzione stessa.
Il Parlamento italiano ha provveduto ad autorizzare il Presidente della Repubblica alla sua ratifica con la legge 8 marzo 1994, n. 203. Ma tale autorizzazione è stata limitata ai capitoli A e B della Convenzione, con l’esclusione del paragrafo C recante “Diritto di voto alle elezioni locali”(22).
L’Italia si è così vincolata sul piano internazionale solamente per quanto riguarda l’impegno “a garantire ai residenti stranieri alle stesse condizioni che ai suoi cittadini(23)” il diritto alla libertà di espressione, di riunione e di associazione, impegnandosi(24) altresì per favorire e promuovere gli organismi consultivi “al fine di una adeguata rappresentanza dei residenti stranieri nelle collettività locali che hanno nel proprio territorio un numero significativo di residenti stranieri(25)”. Ad oggi, la Convenzione è stata firmata da 13 Stati, a cui sono seguite 8 ratifiche. Il Congresso dei Poteri Locali e Regionali d’Europa, organo consultivo del Consiglio d’Europa istituito nel 1994, si è detto “convinto che non possa esistere una reale democrazia locale senza una partecipazione di tutti gli abitanti della città e che occorra dunque non escludere dalla vita pubblica locale gli stranieri residenti legalmente e durevolmente sui territori degli Stati europei, qualunque sia il loro paese di origine(26)”. Si devono pertanto “accordare a tali stranieri residenti legalmente e in maniera durevole sul territorio di uno Stato dei diritti, ivi compresi quelli politici, in compenso dei doveri che accettano di assumere rispetto alla comunità che li accoglie”.
Il Congresso ricorda inoltre come il Trattato di Maastricht, pur accogliendo la nozione della cittadinanza di residenza, tenendola distinta da quella di nazionalità “limit[i] purtroppo tale cittadinanza di residenza ai cittadini dei paesi membri dell’Unione europea, introducendo in tal modo una discriminazione tra residenti di origine straniera, contrariamente ai principi raccomandati dal Consiglio d’Europa e dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo”; pertanto, l’Unione europea viene invitata “a seguire l’impostazione non discriminatoria raccomandata dal Consiglio d’Europa e dalle sue convenzioni e di conseguenza a rivedere le proprie posizioni attuali in materia di partecipazione dei residenti stranieri alla vita pubblica locale, in modo da riconoscere la cittadinanza di residenza a tutti i residenti stranieri, qualunque sia il loro paese d’origine e ad accordare loro gli stessi diritti politici in base a criteri comuni di residenza”.
Dalla sommaria analisi delle esperienze degli altri Paesi europei e dei documenti prodotti dalle Istituzioni dell’Unione europea e dal Consiglio d’Europa, si delinea chiaramente - almeno a livello di principi - una tendenza(27) all’estensione agli stranieri regolarmente soggiornanti di alcuni diritti in tema di partecipazione alla vita politica delle rispettive comunità locali di residenza, allo sviluppo delle quali partecipano a pieno titolo, alla pari dei cittadini ‘veri e propri’ dello Stato. Resta da chiarire come ed in quale misura questa tendenza possa incidere sui diversi ordinamenti statali, alcuni dei quali sembrano ancora miopi ed incapaci di individuare soluzioni efficaci di integrazione reale delle persone immigrate, che porterebbero notevoli benefici anche sul piano dell’ordine e della sicurezza pubblica: il sentirsi parte attiva di una comunità porta inevitabilmente ad una maggiore adesione ai suoi principi e ad un più convinto rispetto delle sue regole.
Questi principi, formatisi e sedimentatisi a livello europeo, costituiscono indubbiamente un “patrimonio comune” da tenere in considerazione per l’analisi non solo della disciplina attualmente vigente in Italia, ma anche - de jure condendo - di quella la cui approvazione è auspicabile in tempi rapidi.

3. La situazione italiana

a. I progetti di legge presentati nelle ultime legislature
In Italia, nel corso della XIV legislatura e delle due precedenti(28), sono stati presentati progetti di legge (ordinaria e costituzionale) per introdurre anche nel nostro ordinamento la possibilità - per i cittadini stranieri non comunitari regolarmente residenti - di votare nelle elezioni amministrative.
Durante la XII legislatura, la Commissione Affari costituzionali della Camera ha esaminato una proposta di legge costituzionale(29) (A.C. 889, Bassanini) la quale prevedeva il riconoscimento del diritto elettorale attivo e passivo alle elezioni regionali, provinciali, comunali e nelle altre elezioni locali, a tutti coloro che fossero residenti in Italia da oltre tre anni, ancorché non in possesso della cittadinanza italiana. All’esame della proposta, la Commissione ha dedicato tre sedute, tutte svoltesi nell’ottobre 1994, senza tuttavia pervenire alla sua approvazione.
Nella XIII legislatura le Camere hanno esaminato ed approvato il disegno di legge del Governo A.C. 3240(30), poi divenuto legge 6 marzo 1998, n. 40. L’art. 38 del disegno di legge, nel testo originario, prevedeva l’introduzione del diritto elettorale attivo e passivo nelle elezioni comunali e circoscrizionali per gli stranieri titolari di carta di soggiorno, rinviando, per le modalità attuative, alle disposizioni del D.Lgs. 197/1996. Tale principio era enunciato in via generale dall’art. 2, co. 3 del d.d.l., ove si disponeva che lo straniero regolarmente soggiornante potesse partecipare alla vita pubblica locale ed esercitare l’elettorato nei limiti e con le modalità previsti dalla legge. Quest’ultima espressione, e l’intero art. 38, sono stati stralciati nel corso dell’iter parlamentare alla Camera(31). È tuttavia rimasta, all’art. 7 della Legge 40/1998 e, successivamente, all’art. 9, co. 4 lettera d, del “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” la previsione secondo cui gli stranieri regolarmente residenti in Italia e titolari della carta di soggiorno possono “partecipare alla vita pubblica locale, esercitando anche l’elettorato quando previsto dall’ordinamento e in armonia con le previsioni del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992(32)”.
Nella XIV legislatura, sono stati presentati numerosi progetti di legge, sia ordinaria sia di revisione costituzionale, i quali però sono rimasti tali: alla presentazione, infatti, non sono generalmente seguiti i relativi dibattiti né l’inizio dell’esame nel merito delle proposte da parte delle varie Commissioni competenti.
Alcune iniziative volte a rendere effettiva la partecipazione degli stranieri regolarmente soggiornanti nelle rispettive comunità di residenza - non solo attraverso l’estensione del diritto di voto - sono state poste in essere anche da parte di Regioni ed Enti locali. A prescindere dalla loro compatibilità o meno con l’attuale tessuto normativo, tali iniziative denotano senza dubbio una matura presa di coscienza, da parte degli enti territoriali - in linea con la tendenza europea -, della reale posta in gioco, e cioè della possibilità di una concreta integrazione di tutte le persone residenti sui loro territori mediante una partecipazione effettiva alla vita delle comunità. Il punto di non ritorno è stato raggiunto: nonostante la loro indubbia importanza, non sono più sufficienti le forme partecipative - le quali pongono tra l’altro il problema del grado concreto di partecipazione cui riescono a dar vita - sperimentate sino ad oggi. Mi riferisco alle “Consulte degli immigrati” e al “Consigliere aggiunto”(33). Tali forme di inclusione, pur se utili nel breve periodo, in quanto consentono comunque un “inserimento” più o meno intenso delle istanze degli immigrati nelle agende politiche locali - oltre a costituire un primo punto di contatto, confronto e conoscenza tra culture diverse - a lungo andare rischiano di creare velate discriminazioni in quanto potenzialmente “ghettizzanti”. La loro possibilità di incidenza sulle scelte degli organismi locali è infatti limitata al piano consultivo (non a caso sono denominate “Consulte” ed il consigliere aggiunto ha diritto di parola, ma non di voto, tra l’altro - in alcuni casi - limitatamente alle sole materie inerenti l’immigrazione), eludendo in tal modo il problema della rappresentanza nei circuiti decisionali veri e propri(34).
Se l’obiettivo è dunque quello del raggiungimento di un livello di partecipazione soddisfacente degli immigrati alla vita politica locale, con positive ricadute anche in tema di sicurezza e di sviluppo economico, lo strumento più idoneo - da introdurre ovviamente con gradualità e dopo sperimentazioni territorialmente limitate - rimane l’attribuzione del diritto di voto.

b. Il dibattito dottrinale
Se in Italia finora è mancata la volontà politica di estendere il diritto di voto alle elezioni amministrative agli stranieri non comunitari regolarmente soggiornanti, non è invece mancato un vivace dibattito tra gli studiosi di diritto pubblico e costituzionale, che ha - come di consueto - fatto emergere posizioni eterogenee e talvolta antitetiche tra loro. La summa divisio riguarda, da un lato, coloro i quali(35) ritengono che occorra necessariamente seguire la via della revisione costituzionale in quanto una modifica della disciplina tramite legge ordinaria incontrerebbe lo “scoglio” dell’articolo 48 Cost., che, al primo comma, dispone “Sono elettori tutti i cittadini(36), uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”; dall’altro lato si collocano invece gli studiosi(37) che ritengono possibile, grazie ad una lettura più “aperta” del precetto costituzionale, la via dell’estensione del diritto di voto nelle elezioni locali tramite una legge ordinaria.
L’articolo 48 della Costituzione, nella sua chiara formulazione, pare dunque categoricamente escludere una attribuzione per via legislativa del diritto di voto a coloro i quali non godono dello status della cittadinanza italiana. A dire il vero, nel nostro ordinamento esistono già dei soggetti legittimati al voto nelle elezioni comunali(38) (e per il Parlamento europeo), pur non essendo cittadini italiani: si tratta degli stranieri comunitari, cioè di coloro che, pur non godendo dello status di cittadini italiani, hanno comunque la cittadinanza di un altro Stato dell’Unione europea, per questo possedendo anche la cittadinanza - appunto - dell’Unione(39). Sebbene questo sia l’esempio paradigmatico di come il corpus degli elettori possa anche non coincidere esattamente con quello dei cittadini, l’argomento della partecipazione elettorale - limitatamente ad alcune elezioni - dei “cittadini europei” non sembra essere convincente per superare il richiamo alla cittadinanza dell’articolo 48 Cost., dal momento che sono evidenti “le peculiarità connesse alla partecipazione del nostro paese all’Unione Europea [...] riconducibili alle ‘limitazioni di sovranità’ di cui all’art. 11 Cost.”(40). Non si può comunque prescindere, nell’interpretazione dell’articolo 48 Cost., dal contesto storico ed istituzionale indubbiamente mutato rispetto a quello durante il quale la disposizione in questione fu pensata e redatta: se l’elemento della cittadinanza “è destinato a rimanere davvero essenziale per il conseguimento della capacità elettorale politica, potrebbe, viceversa diventare in una prospettiva de jure condendo non più fondamentale per il riconoscimento della capacità elettorale amministrativa”(41).
La concezione rigidamente formale della cittadinanza, in definitiva, sta gradualmente perdendo di centralità, anche grazie alla spinta innovatrice delle fonti europee ed internazionali, le quali vanno verso la definizione di un concetto di cittadinanza basato più sulla residenza effettiva nella comunità locale che sulla sussistenza di legami originari di nascita (jus solii) o di sangue (jus sanguinis).
è da notare, comunque, che l’Italia sembra andare controcorrente rispetto a questa tendenza, la quale ormai appare consolidata nelle fonti internazionali: attraverso la legge costituzionale n. 1 del 2000(42), infatti, si è integrato l’articolo 48 Cost. prevedendo che “la legge stabilisc[a] requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicur[i] l’effettività”(43). Così disponendo, si è ridata vitalità alla concezione formale della cittadinanza degli italiani all’estero, “innalzando il sangue italiano a valore prevalente”(44) ed accantonando invece l’effettiva residenza nel territorio per il quale sono stati estesi i diritti politici.

c. La sentenza 172/1999 della Corte costituzionale: verso una nuova concezione di cittadinanza?
Un interessante spunto di riflessione è offerto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 172 del 1999, che, pur incidendo su un ambito diverso da quello oggetto di queste note, offre una inedita e moderna lettura della cittadinanza, sicuramente lontana dalla connotazione rigidamente formale che pare stare alla base dell’articolo 48 Cost.
Il Tribunale militare di Torino ha sollevato una questione di legittimità costituzionale in riferimento ad alcune disposizioni sulla leva militare e sulla cittadinanza, le quali “stabiliscono che è soggetto alla leva militare l’apolide residente legalmente nel territorio della Repubblica, fino al compimento del quarantacinquesimo anno di età”. La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata in quanto “alla stregua del riferimento dell’art. 52 della Costituzione alla sola categoria dei “cittadini”, deve ritenersi contrastante con la norma costituzionale ogni estensione del dovere di prestazione del servizio militare di leva a chi cittadino non sia.
Nell’art. 52, infatti, sia il dovere di difesa della Patria sia il più specifico dovere di prestazione del servizio militare sono riferiti esplicitamente ai cittadini(45): pertanto, non sembra al Tribunale [giudice a quo] conforme al dettato costituzionale la determinazione legislativa che ricomprende gli apolidi nella sfera di soggezione al secondo dovere”(46).
Secondo la Corte la questione non è fondata in quanto la “determinazione dell’ambito personale di validità dell’obbligo costituzionale di prestazione del servizio militare non esclude l’eventualità che la legge, in determinati casi, ne stabilisca [...] l’estensione.
La portata normativa della disposizione costituzionale è infatti, palesemente, quella di stabilire in positivo, non già di circoscrivere in negativo i limiti soggettivi del dovere costituzionale.
In breve: il silenzio della norma costituzionale non comporta divieto. Perciò deve ritenersi esistere uno spazio vuoto di diritto costituzionale nel quale il legislatore può far uso del proprio potere discrezionale nell’apprezzare ragioni che inducano a estendere la cerchia dei soggetti chiamati alla prestazione del servizio militare”(47).
La Corte ritiene che non sia costituzionalmente illegittimo richiedere agli apolidi la prestazione del servizio militare, in quanto essi sono “part[e] di una comunità di diritti la partecipazione alla quale ben può giustificare la sottoposizione a doveri funzionali alla sua difesa.
Tale comunità di diritti e di doveri, più ampia e comprensiva di quella fondata sul criterio della cittadinanza in senso stretto(48), accoglie e accomuna tutti coloro che, quasi come in una seconda cittadinanza, ricevono diritti e restituiscono doveri, secondo quanto risulta dall’art. 2 della Costituzione là dove, parlando di diritti inviolabili dell’uomo e richiedendo l’adempimento dei corrispettivi doveri di solidarietà, prescinde del tutto, per l’appunto, dal legame stretto di cittadinanza”(49).
Pur nella consapevolezza che lo status giuridico dell’apolide è diverso da quello del “semplice” straniero, ritengo che ai limitati fini della tematica affrontata in questa sede, l’apertura della Corte a questa nuova concezione di cittadinanza sia alquanto rilevante, poiché pone le basi per una sua rilettura in forma “de-nazionalizzata”(50).
Quanto argomentato dalla Corte per ciò che riguarda i doveri - e cioè che la norma costituzionale assunta a parametro della questione di legittimità costituzionale andrebbe considerata come configurante in positivo, e non invece in negativo, i limiti soggettivi del dovere costituzionale - sembra, e a maggior ragione, estensibile anche all’ambito dei diritti, ed in particolare del diritto di voto: troverebbe quindi tutela a livello costituzionale solo quello dei cittadini, senza comunque che risultasse precluso al legislatore ordinario il potere di estenderlo anche ad alcune categorie di non-cittadini in senso formale(51).
A questi ultimi - e quindi agli stranieri non comunitari regolarmente soggiornanti - potrebbero dunque essere riconosciuti “diritti politici legislativi, e cioè diritti riconosciuti dalla legge, non già dalla Costituzione”(52).
è innegabile - in ogni caso - che la via di una modifica dell’articolo 48 Cost. doterebbe questa estensione del diritto di voto per gli stranieri di una solida copertura costituzionale, sottraendola in tal modo alle mutevoli volontà politiche delle varie maggioranze di governo ed impedendo un cambiamento di disciplina ad ogni legislatura, a seconda delle diverse sensibilità politiche(53). D’altra parte, sarebbe quantomeno auspicabile pensare anche ad “una riforma della cittadinanza che ne enfatizz[asse] il carattere elettivo piuttosto che quello etnico-nazionale”(54). Ma, come è noto, la strada della riforma costituzionale si presenta lunga ed “aggravata” dalla doppia deliberazione e dall’eventuale referendum oppositivo finale; inoltre ogni rinvio operato dalla Costituzione alla legge ordinaria presupporrebbe l’avvio di altri procedimenti legislativi che dilaterebbero di molto i tempi necessari per arrivare all’approvazione di una disciplina organica e completa(55).
Ritengo dunque accoglibile un approccio gradualistico che preveda una soluzione della questione basata su una disciplina transitoria del diritto di voto operata con legge ordinaria, in vista però di una sua costituzionalizzazione futura dopo un congruo periodo di “assestamento” delle novità introdotte. Tale periodo transitorio, a mio avviso, è inoltre opportuno per permettere gli aggiustamenti necessari - tenendo conto sia dell’accoglimento del diritto di voto locale da parte degli stessi immigrati sia dei livelli di integrazione raggiunti dopo l’estensione del diritto - della disciplina, prima della sua definitiva elevazione a rango costituzionale. Tutto ciò si modella sul principio che definirei di democrazia progressiva: la partecipazione di tutti(56), cittadini e residenti, alla vita democratica di uno Stato contribuisce alla creazione di regole condivise, più facilmente applicabili da parte dei consociati ed in particolare di chi quotidianamente è chiamato a far rispettare la legge. è proprio dal grado di effettività delle norme che dipende, del resto, il successo del complesso circuito democratico di un Paese e il suo progresso, anche economico. Pensare quindi a modalità che favoriscano progressivamente la realizzazione di una democrazia compiuta, trova in sé sufficiente legittimazione sul piano valoriale, mentre sul piano normativo la soluzione proposta sembra essere la più idonea. Non condivisibili, alla luce di quanto appena sostenuto, sembrano le tesi “estreme” opposte di chi ritiene(57) “un pericoloso strappo alla Costituzione” un’estensione operata con metodo diverso dalla revisione costituzionale, e di chi, invece - puntando sull’ “anima inclusiva”(58) rinvenibile nell’art. 48 Cost. tramite una sua “lettura storica, sistematica ed evolutiva”(59) e valorizzando al massimo l’autonomia degli Enti locali di cui godrebbero grazie al novellato art. 114 Cost. - sostiene la possibilità di attribuzione del voto amministrativo agli immigrati regolarmente soggiornanti direttamente da parte dello Statuto dell’Ente locale(60), in quanto questo non sarebbe altro che lo svolgimento “di un ‘principio-obiettivo’ già accolto dal legislatore statale”(61), riferendosi al comma 4 dell’articolo 9 del D. Lgs. 286 del 1998(62).

d.  L’ordinanza del Tribunale di Vicenza: non è ammissibile la “ratifica implicita” di un trattato internazionale
è comunque l’ambigua formulazione dell’articolo 9 del D. Lgs. 286 del 1998 ad aver dato adito a possibili (quanto improbabili) interpretazioni “ardite”. In una recente ordinanza del Tribunale di Vicenza(63), il giudice - dopo aver ricordato la vicenda della mancata ratifica del capitolo C della Convenzione di Strasburgo del 5 febbraio 1992 sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica locale - evidenzia “come il richiamo contenuto nell’art. 9 del testo unico sull’immigrazione alla Convenzione di Strasburgo del 1992 non [possa] essere inteso come una ratifica o ordine di esecuzione implicito del capitolo C del trattato(64), mancando la procedura costituzionale di ratifica e di ordine di esecuzione della convenzione” in quanto “la norma [...] non contiene alcuna disciplina di immediata e diretta attuazione di questo diritto, che viene solo enunciato, ma non regolamentato” rinviando “ad una futura disciplina della materia [e] stabilendo espressamente che l’esercizio dell’elettorato dovrà avvenire quando previsto dall’ordinamento”. Il giudice riconosce comunque la portata dell’articolo 9 del T.U. sull’immigrazione in quanto disciplina “diretta a favorire l’integrazione nel nostro paese degli stranieri regolarmente soggiornanti. [...] Il riconoscimento allo straniero dei diritti di partecipazione alla vita pubblica, anche attraverso l’esercizio di elettorato, attivo e passivo, costituisce uno dei passaggi fondamentali di questo percorso di progressivo riconoscimento dei diritti di cittadinanza”. Il giudice infine - col rigetto della domanda dell’attore di poter partecipare alla vita pubblica locale tramite il voto motivandolo appunto con la mancata ratifica del capitolo C della Convenzione di Strasburgo e constatata quindi “l’assenza di una disciplina specifica diretta a regolamentare il diritto di voto dello straniero” - definisce “preferibile” che “la disciplina specifica del diritto di voto da parte degli stranieri regolarmente residenti in Italia [sia] attuata con legge ordinaria” pur consapevole della possibilità di procedere anche con revisione costituzionale.

e. Le Regioni: quale ruolo?
Resta ora da vedere se e quali spazi di intervento possano essere attribuiti alla competenza delle Regioni, soprattutto dopo la Riforma del Titolo V operata dalla Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. A tal proposito vengono in rilievo le sentenze della Corte costituzionale nn. 372, 378 e 379 del 2004(65), con le quali la Corte ha deciso in merito ai rilievi di incostituzionalità sollevati dal Governo in riferimento agli Statuti regionali rispettivamente di Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna. Relativamente alla Regione Toscana il Governo ha impugnato una serie di disposizioni dello Statuto relative al diritto di voto degli immigrati, alle varie forme di convivenza fuori dal vincolo matrimoniale, alla tutela ambientale, del patrimonio culturale e della biodiversità, al rispetto degli animali, ecc. La Corte - come è ormai noto - ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale facendo leva sul “carattere non prescrittivo e non vincolante delle enunciazioni statutarie di questo tipo, [derivando] che esse esplicano una funzione, per così dire, di natura culturale o anche politica, ma certo non normativa” e sottolineando altresì come in esse sia carente l’“idoneità lesiva”(66).
A soluzioni non dissimili è giunta nella sentenza n. 379 riguardante le censure di incostituzionalità sollevate sullo Statuto della Regione Emilia-Romagna. In definitiva emerge “con assoluta chiarezza da queste decisioni che l’attribuzione del diritto di elettorato attivo e passivo, in quanto diritto politico fondamentale, sfugge alla competenza delle Regioni”(67) rimanendo saldamente tra le competenze dello Stato, così come risulta evidente dall’articolo 117 Cost. comma 2, lettere a), b), i) e p), oltre che dall’art. 10 comma 2. In caso di intervento regionale, un profilo di incostituzionalità sarebbe a mio avviso ravvisabile anche assumendo come parametro l’art. 3 Cost. in quanto il diritto di voto verrebbe concesso “a macchia di leopardo”(68) sul territorio nazionale. Infatti “considerando che l’estensione del diritto di voto a talune sole comunità regionali di stranieri da un lato li vedrebbe equiparati (su tale profilo) ai cittadini, ma dall’altro ne sanzionerebbe l’ineguaglianza rispetto a quelle altre comunità cui non venisse analogamente riconosciuto, ecco infatti facilmente profilarsi il limite del principio fondamentale dell’art. 3”(69) Cost.

f. Alcune recenti pronunce del Consiglio di Stato: il problema dell’estensione del diritto di voto nelle elezioni circoscrizionali
Dopo aver considerato le varie posizioni espresse dalla dottrina per cercare di dare una risposta alle domande di partecipazione alla vita pubblica locale degli immigrati regolarmente soggiornanti, restano ora da considerare sommariamente alcune soluzioni poste in essere dagli Enti locali, anche alla luce di recenti pronunce del Consiglio di Stato, per cercare - nelle more di un intervento statale, tramite legge ordinaria o di revisione costituzionale - di estendere agli stranieri non comunitari il voto nelle elezioni delle circoscrizioni di decentramento comunale(70). Tali “organismi di partecipazione, di consultazione e di gestione di servizi di base, nonché di esercizio delle funzioni delegate dal comune”(71), “rappresentano le esigenze della popolazione delle circoscrizioni nell’ambito dell’unità del comune e sono eletti nelle forme stabilite dallo statuto e dal regolamento”(72). Inoltre la loro organizzazione e le loro funzioni “sono disciplinate dallo statuto comunale e da apposito regolamento”(73).
Le modalità di elezione degli organi circoscrizionali sono dunque demandate alle autonome scelte degli Enti locali che li istituiscono, con il solo limite previsto dal comma 4 dell’articolo 17, oltre che ovviamente, da quello più generale - incidente sull’autonomia statutaria degli Enti locali - riguardante i “principi fissati dalla Costituzione”(74).
“In questi termini, gli organi di decentramento potranno essere eletti direttamente dai cittadini, secondo i più diversi sistemi (occorrendo, anzitutto stabilire se l’elezione diretta si applica al solo consiglio, titolare del potere di eleggere il presidente, oppure anche allo stesso presidente), oppure essere espressi, in via indiretta, da organi comunali (e particolarmente dal consiglio, secondo le modalità più varie), o, ancora, formarsi in base a designazioni di soggetti esterni (ad esempio delle associazioni locali)”(75).
Nel 2004 il Consiglio di Stato ha pronunciato un parere su richiesta della Regione Emilia-Romagna, in riferimento alla estensione dell’elettorato delle circoscrizioni agli stranieri residenti inserita nello Statuto del Comune di Forlì.
La delibera era comunque stata transitoriamente sospesa a seguito di alcuni pareri negativi giunti dal Ministero dell’Interno, secondo il quale per “l’individuazione del corpo elettorale [degli] organismi elettivi, non può che farsi riferimento alla normativa statale vigente che [...] non riconosce il diritto di elettorato attivo e passivo ai cittadini extracomunitari”(76).
I giudici di Palazzo Spada ritengono invece che “l’attribuzione agli stranieri extracomunitari residenti del diritto di elettorato attivo e passivo ai fini della costituzione dei consigli circoscrizionali di cui all’articolo 17 del Tu 267/2000 [...] sia de plano consentita dalle disposizioni di legge ordinaria di cui al citato articolo 17, e non trovi ostacolo insormontabile nelle norme e nei principi costituzionali che disciplinano la materia”(77).
Questo - secondo una interpretazione sistematica degli articoli 17 e 8 del Tuel, laddove la previsione che le circoscrizioni rappresentano gli interessi della popolazione, cioè di tutta la popolazione residente, viene ricollegata al più generale principio di partecipazione popolare ex art. 8 - porta a far affermare che della popolazione “fanno parte tutti i residenti, cittadini e non, ivi compresi cioè gli stranieri che, per ragioni di lavoro, vivono stabilmente nel territorio comunale e sono quindi pienamente legittimati, al pari dei cittadini, a far valere di fronte alle istituzioni le proprie particolari esigenze connesse con il loro radicamento nel territorio”(78).
Tale innovativa “apertura” nella definizione di popolazione - assieme all’affermazione secondo la quale “la riserva alla legislazione statale in materia si esaurisce nella disciplina elettorale concernente gli organi di governo [e cioè Sindaco, Consiglio e Giunta] e le funzioni fondamentali degli enti locali”, con la conseguenza che “le modalità di composizione degli organi delle circoscrizioni, ivi compresa l’individuazione dei soggetti destinatari della capacità elettorale [rientrano nella] competenza statutaria nell’esercizio dell’autonomia sancita dall’articolo 114 [Cost.]”(79) - porta a far concludere alla sezione che “nulla sembra impedire che gli statuti comunali prevedano il diritto di far valere la propria voce anche a favore di quella parte della popolazione costituita dagli stranieri radicati nel territorio, limitatamente a quei particolari organi subcomunali quali sono le circoscrizioni, istituite per offrire alla popolazione tutta idonei strumenti per realizzare una più stretta collaborazione e partecipazione nella gestione dei servizi di base di cui essa è destinataria”(80).
Dopo aver indicato una serie articolata di criteri-guida per accertare “al di là di ogni dubbio” la necessaria e “duratura presenza sul territorio” dei residenti stranieri, i giudici di Palazzo Spada affermano che non pare opportuno estendere il diritto di voto circoscrizionale agli studenti stranieri in quanto è probabile che - terminati gli studi - tornino nel paese d’origine, “tanto più che, quanto meno in parte da ritenersi prevalente, i servizi di cui tali soggetti usufruiscono, in quanto attinenti alla loro qualità di studenti, non sembrano di competenza comunale”(81). Tale assunto - se considerato a prescindere dal contesto in cui si trova - a mio avviso può costituire un ulteriore elemento a favore dell’estensione del diritto di voto a livello comunale.
I giudici hanno infatti sottolineato l’opportunità della possibilità di incidere su quelle scelte locali, prodotte in particolar modo da quegli enti titolari delle competenze atte ad organizzare e gestire i servizi di cui maggiormente si servono gli immigrati. E tali servizi - se si escludono quelli strettamente relativi al disbrigo delle pratiche per ottenere il documento legittimante la presenza ed il soggiorno sul territorio italiano, di competenza del Ministero dell’Interno e gestito a livello centrale dalle Questure - non possono non ricomprendere (almeno nella fase iniziale, dove maggiori sono le difficoltà che queste persone incontrano nell’integrarsi nella comunità locale) la complessa materia dei “servizi sociali”, che, ad una prima lettura del nuovo Titolo V della Costituzione sembra essere diventata di competenza residuale/esclusiva delle Regioni(82) - per quanto riguarda la programmazione a livello, appunto, regionale - mentre è stato riconfermato il ruolo di regia dei singoli comuni nella gestione ed organizzazione del sistema dei servizi alla persona a livello locale, che era stato attribuito loro già con la legge quadro n. 328 del 2000(83).
L’estensione del diritto di voto a livello locale diventa dunque strumento imprescindibile per fare in modo che gli stranieri siano in primo luogo riconosciuti a tutti gli effetti come interlocutori dei soggetti istituzionali e, inoltre, coinvolti attivamente nei processi decisionali, soprattutto per quei settori di competenza comunale che li riguardano più da vicino.

g. Segue: il “ripensamento” dei giudici di Palazzo Spada
L’apertura del Consiglio di Stato, però, è stata subito seguita da una “chiusura” contenuta in un parere fornito al Ministero dell’Interno emesso dalle Sezioni Prima e Seconda, dopo trattazione congiunta, in data 6 luglio 2005(84).
Trascorso appena circa un anno dal parere inviato alla Regione Emilia-Romagna, i giudici di Palazzo Spada fanno marcia indietro adducendo le note motivazioni basate sulla preclusione costituzionale al riconoscimento del diritto di voto a qualsiasi livello, anche circoscrizionale.
Inoltre, se un anno prima le circoscrizioni di decentramento non venivano fatte rientrare nel novero degli organi di governo dell’Ente locale, in capo allo statuto del quale - di conseguenza - era allocabile la competenza di stabilire “le modalità di composizione degli organi delle circoscrizioni, ivi compresa l’individuazione dei soggetti destinatari della capacità elettorale”(85), nel parere successivo i giudici ritengono non più condivisibile tale tesi(86). Il Consiglio di Stato, inoltre, facendo leva sull’eventualità che le circoscrizioni siano chiamate ad esercitare delle funzioni delegate dal comune - le quali si affiancherebbero ai poteri propositivi e consultivi naturalmente ad esse spettanti - sostiene che tali organi di decentramento condividano il munus publicum che caratterizza il Comune.
Come giustamente osserva Giupponi(87), però, “appare eccessivo escludere la possibilità di una partecipazione degli stranieri extracomunitari alle elezioni circoscrizionali sulla base di una mera eventualità, come quella relativa alla delega di determinate funzioni comunali”, senza considerare - inoltre - che la si nega proprio laddove tale partecipazione si rende particolarmente necessaria, e cioè nei comuni di notevoli dimensioni nei quali i processi integrativi incontrano più ostacoli e creano maggiori problemi di convivenza.
Non condivisibile appare infine l’affermazione di chiusura del parere in esame(88), la quale parla di “minimizzazione” delle funzioni attribuite alla circoscrizione: nell’attribuire infatti all’autonomia locale il potere di stabilire con proprie fonti modalità e procedimenti idonei a garantire nei fatti la partecipazione e la rappresentanza popolare che il Tuel ha voluto porre proprio alla base della stessa esistenza delle circoscrizioni di decentramento, non ritengo sia riscontrabile alcuna volontà di minimizzazione, ma al contrario vedo in questo una loro valorizzazione e una realizzazione compiuta dei loro scopi, in quanto in esse sarebbe finalmente rappresentata tutta la popolazione residente, e non solo una parte.
Merita infine un cenno il parere del Consiglio di Stato - temporalmente intermedio tra i due sopra riportati(89) - richiesto dal Governo nel procedimento avviato per l’annullamento straordinario - ai sensi dell’art. 138 del TUEL(90) - dello Statuto del Comune di Genova, e precisamente di quelle disposizioni che estendono agli stranieri extracomunitari il diritto di voto nelle elezioni comunali(91).
Dopo aver motivato l’ammissibilità dell’intervento governativo di annullamento ex art. 138 TUEL anche dopo l’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione - che era stata messa in dubbio nelle osservazioni presentate dal Comune di Genova - in quanto “l’istituto non appare contrastante con la vigente Costituzione se ricondotto in margini di operatività che assicurino la salvaguardia delle prerogative degli enti locali costituzionalmente garantite”(92), la Prima Sezione entra nel merito della questione sottopostale dal Governo, concludendo per l’esistenza dei presupposti che legittimano l’esercizio del potere di annullamento straordinario del Governo(93).
Per quanto riguarda le elezioni comunali, i giudici ritengono che manchi la normativa statale richiesta sia dall’articolo 10 comma 2 della Costituzione, sia - dopo l’entrata in vigore del nuovo Titolo V - dall’articolo 117, comma 2 lettera a) Cost., mostrando di accogliere la tesi dell’estensibilità del diritto di voto per gli stranieri non comunitari regolarmente soggiornanti mediante legge ordinaria; infatti “contrariamente a quanto sostiene l’amministrazione riferente [gli articoli 48 e 51 Cost.] non precludono al legislatore ordinario di estendere gli stessi diritti, in tal caso privi di copertura costituzionale, a soggetti privi della cittadinanza italiana”(94).
Anche per quanto riguarda le elezioni dei consigli circoscrizionali, i giudici ritengono sussistere la riserva di legge di cui agli articoli 10 comma 2 e 117 comma 2 Cost. poiché, tra gli altri motivi - e diversamente da quanto sostenuto nel precedente parere n. 8007/2004 - “non è rilevante la tipologia dell’organo da eleggere”(95), con ciò escludendo che gli Statuti degli Enti locali possano disporre in materia.

4. Conclusioni
Credo si possa affermare, a questo punto, che una piena e compiuta integrazione delle persone straniere residenti in Italia non possa prescindere dall’attribuire loro la possibilità di inserirsi a pieno titolo nel complesso circuito democratico-decisionale a livello locale, tramite l’estensione del diritto di voto. Ciò è richiesto con forza dalle Istituzioni europee, che, pur non potendo scalfire in questa materia la sovranità statuale(96) - imponendo unilateralmente soluzioni non condivise dagli Stati - hanno senz’altro contribuito a ridefinire l’idea di cittadinanza: non più accettabile è, infatti, la sua equiparazione a più o meno velate forme di sudditanza(97).
Come ben evidenzia Francesco Cocozza(98), “si è passati dalla sottolineatura dell’appartenenza, implicita nella tradizionale nozione giuridica di cittadinanza, ad un allargamento dello spettro di significati della cittadinanza stessa. Si è provveduto, quindi, a sottolineare la partecipazione che la cittadinanza deve garantire, più che l’appartenenza che la stessa cittadinanza evoca. Si è cominciato a pensare cioè che si è cittadini a pieno titolo di uno Stato solo se si partecipa anche al benessere che si produce in quello Stato. Peraltro, la partecipazione implicita nella cittadinanza viene sempre più legata alla residenza piuttosto che ai tradizionali, molteplici vincoli che - fino a tempi assai recenti - determinavano l’origine della cittadinanza negli Stati nazionali. In altri e più semplici termini: l’integrazione degli individui nel tessuto economico ed in quello sociale tende ormai a rilevare quanto la partecipazione politica - che in passato costituiva un tratto essenziale del diritto tradizionale di cittadinanza - se non di più”.
Se l’idea di cittadinanza, così come ridefinita dalle Istituzioni europee e dalla dottrina maggioritaria(99), non costituisce dunque un ostacolo al riconoscimento del diritto di voto agli extracomunitari residenti (privi, appunto, di cittadinanza in senso formale), si pone però il problema dell’individuazione della fonte più idonea ad effettuare tale estensione.
Sarebbe senza dubbio auspicabile un intervento del legislatore costituzionale, che riformulasse l’art. 48 Cost. e che, quindi, esplicitamente riconoscesse il diritto di voto nelle elezioni locali ai residenti stranieri, dandogli quella “copertura costituzionale”, che lo sottrarrebbe alle varie e mutevoli sensibilità politiche delle maggioranze parlamentari contingenti.
Nelle more, però, del lungo e complesso procedimento di revisione costituzionale(100), il quale finora non ha portato ad alcun risultato apprezzabile - essendo stati i progetti di legge presentati sino ad oggi sempre insabbiati - ritengo si possa procedere per via ordinaria. Tale approccio gradualistico consentirebbe di valutare l’impatto della riforma prima di apportare modifiche ed integrazioni al testo costituzionale, permettendo - con il più veloce iter legis ordinario - gli eventuali rimodellamenti della disciplina, alla luce delle nuove esigenze che dovessero nel frattempo emergere; questa progressività consentirebbe altresì di costituzionalizzare l’estensione del diritto di voto, una volta raggiunto un opportuno consolidamento della materia già regolata con fonte primaria.
Un discorso a parte meritano le circoscrizioni di decentramento comunale. Tali organismi di partecipazione e consultazione rappresentano le esigenze di tutta la popolazione, coinvolgendo quindi tutti i residenti - e non solo i cittadini in senso formale - nella vita amministrativa locale. L’art. 17 del Tuel lascia ampia autonomia allo Statuto comunale in ordine alla loro organizzazione, alle loro funzioni e alle modalità di elezione. Tale autonomia del Comune - che il novellato articolo 114 Cost. pone come primo elemento costitutivo della Repubblica, subordinando il suo Statuto solamente ai principi fissati dalla Costituzione stessa - risulterebbe sicuramente (ed, a mio parere, ingiustificatamente) violata, se non gli venisse riconosciuta la facoltà di decidere autonomamente - e col solo limite della ragionevolezza(101) - se coinvolgere o meno gli stranieri residenti. Sempre all’autonomia dell’Ente locale spetterebbe fissare le modalità concrete di tale partecipazione, ad esempio, stabilendo sia il numero minimo di anni di residenza nel territorio circoscrizionale per poter accedere alla votazione, sia l’automaticità o meno(102) dell’iscrizione ad eventuali liste di stranieri residenti, trascorso il periodo minimo di residenza.
Tali possibili differenze di disciplina, tra un comune e l’altro, sarebbero ammissibili in considerazione delle limitate funzioni delle circoscrizioni di decentramento, il cui ruolo verrebbe comunque rivitalizzato proprio grazie alla partecipazione effettiva di tutta la popolazione residente.
I contrasti dottrinali e giurisprudenziali, se da un lato sono accomunati dall’ormai raggiunta consapevolezza della rilevanza della questione dell’estensione del diritto di voto amministrativo agli stranieri residenti - ai fini di una loro reale integrazione nella società ospitante - dall’altro rivelano che il cammino verso la soluzione di tale problema è ancora fortemente intriso di ideologia. Ogni autore non può non partire dalle proprie premesse culturali ed ideologiche, lasciandosi inevitabilmente guidare da esse nel prospettare una possibile soluzione giuridica: l’importante è essere consapevoli di tali premesse per non rimanerne prigionieri. Il diritto, in sostanza, fornisce non un percorso univoco, ma più alternative possibili: ancora una volta ha svolto diligentemente il suo compito(103). Ma non basta: oltre a questo, ora “è necessaria la lotta politica”(104), cioè la volontà - tutta politica - di estendere i diritti di partecipazione.

Approfondimenti

(*) - In memoria di Letizia Gianformaggio.
(1) - Uno studio esaustivo dei rapporti tra società italiana e migranti, e della percezione che la prima ha dei secondi, si trova in A. DAL LAGO, Non-persone, Milano, Feltrinelli, 2004.
(2) - I dati sono tratti dal Dossier Statistico sull’Immigrazione 2005, elaborato da Caritas e Migrantes sulla base di dati del Ministero dell’Interno, il cui estratto è reperibile sul sito www.cestim.it.
(3) - Cfr.: B. PASTORE, Per un’ermeneutica dei diritti umani, Torino, Giappichelli, 2003, pagg. 51 ss.
(4) - È superfluo ribadire che l’estensione dei diritti di partecipazione di cui si tratta in questo scritto riguarda esclusivamente le persone regolarmente residenti, e cioè gli immigrati non comunitari con un valido “titolo” per soggiornare in Italia.
(5) - Il riconoscimento del diritto di voto viene dunque a configurarsi non solo come punto di arrivo del percorso di integrazione degli immigrati, ma anche - e soprattutto - come punto di partenza per una loro reale ed effettiva partecipazione alla vita pubblica locale.
(6) - La “Sez. I e II, n. 11074/04 del 6 luglio 2005” e la “Sez. I, n. 9771/04 del 16 marzo 2005”.
(7) - I dati riportati sono tratti, ove non diversamente segnalato, dai Dossier nn. 68 e 534 predisposti nella XIV Legislatura dal Servizio studi della Camera dei Deputati e dal seguente contributo, reperibile in rete, al quale si rimanda per le discipline degli Stati non riportate in questo scritto: www.euro.centre.org/EdinburghPaperWaldrauch.pdf.
(8) - Già nel 1849 il Cantone di Neuchatel concesse il voto agli stranieri (maschi) ivi domiciliati per l’elezione degli organi di governo locale. Cfr.: E. BETTINELLI, Cittadini extracomunitari, voto amministrativo e costituzione inclusiva, pag. 33, reperibile su www.astridonline.it.
(9) - Anche la Repubblica ceca ha adottato un sistema simile, basato sulla clausola della reciprocità.
(10) - Vienna è infatti, al tempo stesso, città e Land.
(11) - Con l’esclusione ovviamente di tutta la disciplina riguardante l’estensione del diritto di voto nelle elezioni locali ai cittadini comunitari residenti in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza. Tale estensione è avvenuta con la Direttiva 94/80/CE del 19 dicembre 1994, recepita in Italia con D. Lgs. n. 197 del 1996 emanato sulla base della legge delega n. 52 del 1996 (Legge comunitaria 1994).
(12) - COM (2003) 336 nel testo definitivo, pagg. 19 ss.
(13) - COM (2003) 336, pagg. 21 ss.
(14) - Il corsivo è aggiunto.
(15) - Risoluzione del Parlamento europeo del 19 giugno 2003 sulla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa ad un metodo aperto di coordinamento della politica comunitaria in materia di immigrazione [COM (2001) 387 - C5- 0337/2002 - 2002/2181(COS)] e sulla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sull’integrazione delle questioni connesse all’emigrazione nelle relazioni dell’Unione europea con i paesi terzi [COM (2002) 703 - C5-0233/2003 - 2002/2181(COS)].
(16) - Pt. 25 della Risoluzione.
(17) - Id Pt. 29.
(18) - Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea [2002) (2002/2013 (INI)] A5-0281/2003.
(19) - Pt. 130 della Risoluzione.
(20) - Id Pt. 131.
(21) - Reperibile sul Portale del Consiglio d’Europa, all’indirizzo www.coe.int.
(22) - Vedi: G. ZINCONE e S. ARDOVINO, I diritti elettorali dei migranti nello spazio politico e giuridico europeo, in LE ISTITUZIONI DEL FEDERALISMO, n. 5/2004, pagg. 743 ss.
(23) - Art. 3 della Convenzione.
(24) - Capitolo B.
(25) - Art. 5 comma 1 lett. b della Convenzione.
(26) - Raccomandazione 115 (2002) sulla partecipazione dei residenti stranieri alla vita pubblica locale: i consigli consultivi.
(27) - Sul punto si veda: P. PALCHETTI, Costituzione italiana e norme internazionali in tema di diritto di voto agli stranieri, in DIRITTO IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA, n. 1/2004, pag. 40 e B. PASTORE, Per un’ermeneutica, op. cit., pagg. 108 e 156.
(28) - Rilievo assolutamente marginale ha avuto in merito la XV legislatura: tra Camera e Senato sono stati presentati complessivamente 13 progetti di legge di cui nove ordinari e quattro di revisione costituzionale. Tutti sono stati assegnati alle Commissioni competenti, ma solamente di uno era iniziato l’esame. Essendo di iniziativa parlamentare, sono decaduti con la fine anticipata della legislatura, nel 2008.
(29) - Recante “Riconoscimento agli stranieri ed apolidi residenti in Italia dei diritti di riunione, di associazione e di elettorato attivo e passivo. Modifiche agli articoli 17, 18, 49, 50 e 54 della Costituzione”.
(30) - Recante “Disciplina dell’immigrazione e condizione dello straniero”.
(31) - Seduta del 25 settembre 1997 della Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati.
(32) - Il corsivo è aggiunto.
(33) - Per una approfondita analisi di queste forme partecipative si rinvia a due ricerche, ricche di dati e di riferimenti alle varie realtà locali in cui sono state sperimentate: La rappresentanza diffusa: le forme di partecipazione degli immigrati alla vita collettiva, a cura della Codres, pubblicata dal CNEL nel 2000 e reperibile sul relativo sito internet e Immigrati e partecipazione politica: il caso italiano, a cura di F. CARPO, O. CORTESE, R. DI PERI e G. MAGRIN per conto della Commissione Europea, dell’Associazione IRES “Lucia Morosini”, del Centro d’Iniziativa per l’Europa del Piemonte e della SFR “Società Ricerca e Formazione”, pubblicata nel giugno 2003.
(34) - Cfr.: V. RAPARELLI, Recenti sviluppi del dibattito sul diritto di voto agli stranieri immigrati, pag. 20, reperibile su www.federalismi.it.
(35) - Tra gli altri: T.F. GIUPPONI, Il diritto di voto agli stranieri, tra “cittadinanza” e autonomie territoriali (23 ottobre 2003); T.E. FROSINI, Gli stranieri tra diritto di voto e cittadinanza (17 maggio 2004), entrambi reperibili su www.forumcostituzionale.it; G. BRUNELLI, Divieto di discriminazioni e diritti di cittadinanza, in C. CALVIERI (a cura di), Divieto di discriminazione e giurisprudenza costituzionale, Torino, Giappichelli, 2006, pagg. 3 ss.; G. D’ORAZIO, Lo straniero nella Costituzione italiana, Milano, Cedam, 1992, pag. 307.
(36) - Il corsivo è aggiunto.
(37) - Ricordo, tra tutti: M. CUNIBERTI, Alcune osservazioni su stranieri, voto e cittadinanza, in www.forumcostituzionale.it; P. BONETTI, Ammissione all’elettorato e acquisto della cittadinanza: due vie dell’integrazione politica degli stranieri, profili costituzionali e prospettive legislative, su www.federalismi.it; M. LUCIANI, Il diritto di voto agli immigrati: profili costituzionali, in PARTECIPAZIONE E RAPPRESENTANZA POLITICA DEGLI IMMIGRATI (Atti del convegno del 21 giugno 1999, promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento Affari Sociali); E. GROSSO, La titolarità del diritto di voto, Torino, Giappichelli, 2001, pagg. 105 ss.
(38) - Cfr.: D. Lgs. n. 197 del 1996.
(39) - Com’è noto, la cittadinanza europea non va a sovrapporsi - escludendola - a quella dello Stato di nazionalità, ma ad essa si affianca.
(40) - Cfr.: T.F. GIUPPONI, La partecipazione degli stranieri extracomunitari alle elezioni comunali e circoscrizionali:
le (contraddittorie) risposte di Palazzo Spada al “caso Genova”, in www.forumcostituzionale.it.
(41) - Così E. BETTINELLI, voce Diritto di voto, in DIGESTO DELLE DISCIPLINE PUBBLICISTICHE, Torino, UTET, Vol. V, pag. 220.
(42) - Recante “Modifica dell’articolo 48 della Costituzione concernente l’istituzione della circoscrizione Estero per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero”. È stata data attuazione a tale disposizione con la legge 27 dicembre 2001, n. 459, recante “Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero”.
(43) - Articolo 48, comma 3, Cost.
(44) - G. COLETTA, Verso l’estensione del diritto di voto ai non cittadini, in A. D’ALOIA (a cura di), Diritti e costituzione - Profili evolutivi e dimensioni inedite, Milano, Giuffrè, 2003, pag. 345.
(45) - Il corsivo è aggiunto.
(46) - Sent. 172/1999 (pt. 1 del rit. in f.).
(47) - Pt. 2.1 del cons. in dir.
(48) - I corsivi sono aggiunti.
(49) - Pt. 2.3 del cons. in dir.
(50) - “Oggi, di fronte ad eventi che lascerebbero intravedere una progressiva divaricazione tra cittadinanza e nazionalità (il più rilevante dei quali è senza dubbio rappresentato dallo sviluppo della cittadinanza europea) si comincia a domandarsi se non stiamo assistendo a forme di de-nazionalizzazione del concetto di cittadinanza. [...] alla dimensione ‘nazionale’ della cittadinanza si [stanno] oggi affiancando nuove dimensioni, potenzialmente in grado di estenderne i confini soggettivi: sempre più si sta affermando, infatti, quella che è stata chiamata ‘la dimensione della partecipazione alla vita della civil society’” così E. GROSSO, Sull’obbligo di prestazione del servizio di leva da parte degli apolidi. Spunti di riflessione verso possibili nuove concezioni della cittadinanza, in GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE, n. 2/1999, pag. 1721.
(51) - “Se infatti - come esplicitamente dichiara la Corte nella sentenza in esame - la lettera della norma costituzionale
non è sufficiente a limitare la portata soggettiva di un dovere - o di un diritto - ma soltanto a definirne l’ambito minimo di applicazione, allora occorrerebbe concludere che tutte le volte in cui una disposizione della Costituzione garantisce ai cittadini il godimento di un diritto o impone loro l’adempimento di un dovere, il legislatore ordinario potrebbe sempre - entro i limiti della ragionevolezza - riconoscere quel diritto o richiedere l’adempimento di quel dovere anche a coloro i quali, pur non essendo cittadini ai sensi della legge che fissa i modi d’acquisto della cittadinanza (nazionale), possano essere identificati a tutti gli effetti come membri della comunità politica allargata [...]. L’attenzione va ovviamente subito ai diritti politici, e in particolare al diritto di voto, al diritto di partecipare ad associazioni politiche, al diritto di accedere a cariche elettive. Se dal tenore letterale delle norme che garantiscono ai cittadini tali diritti non si può automaticamente dedurre a contrario che i non-cittadini sono esclusi, allora occorre verificare caso per caso se possa essere considerata ragionevole da parte del legislatore ordinario la loro estensione agli apolidi, o a certe categorie di stranieri [...]”. Cfr.: E. GROSSO, Sull’obbligo, op. cit., pag. 1722. Sul punto si veda anche A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali, Padova, Cedam, 2003, pag. 319.
(52) - M. LUCIANI, Il diritto di voto, op. cit. Sui limiti che incontrerebbe il Legislatore ordinario nell’effettuare tale riconoscimento,
cfr.: P. BONETTI, Ammissione all’elettorato, op. cit., pag. 13 e A. PACE, Problematica, op. cit., pag. 317.
(53) - “Sebbene [...] si reputi sufficiente una legge ordinaria, la revisione costituzionale degli artt. 48 e 51 appare nondimeno opportuna, sia per presentare la scelta come frutto di un ampio consenso tra le forze presenti in Parlamento [...], sia per sottrarre tale conquista al pericolo di ridimensionamento ad ogni cambio di maggioranza, come insegna la vicenda dei “diritti degli immigrati” sanciti dal testo unico del 1998 e fortemente incisi dalla l. n. 189/2002”. Così: C. SALAZAR, Brevi note intorno all’“aspra contesa” tra Governo ed autonomie locali sull’estensione del diritto di voto e dell’elettorato passivo agli stranieri extracomunitari, in C. CALVIERI (a cura di), Divieto di discriminazione, op. cit., pagg. 143 ss.
(54) - G. BRUNELLI, Divieto di discriminazioni, op. cit.
(55) - In ogni caso - infatti - non è auspicabile una modifica dell’articolo 48 che si presenti dettagliata al punto da limitare irragionevolmente lo spazio di discrezionalità del legislatore ordinario. Si presenta troppo prolissa la proposta dal deputato Anedda ed altri (A.C. 4397) che integra l’articolo 48: “Agli stranieri non comunitari che hanno raggiunto la maggiore età, che soggiornano stabilmente e regolarmente in Italia da almeno sei anni, che sono titolari di un permesso di soggiorno per un motivo che consente un numero indeterminato di rinnovi, che dimostrano di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari e che non sono stati rinviati a giudizio per reati per i quali è obbligatorio o facoltativo l’arresto, è riconosciuto il diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni amministrative in conformità alla disciplina prevista per i cittadini comunitari. L’esercizio del diritto di cui al comma 1 è riconosciuto a coloro che ne fanno richiesta e che si impegnano contestualmente a rispettare i principi fondamentali della Costituzione italiana”. Essendo quelli riportati i requisiti per ottenere la carta di soggiorno, ritengo sia più opportuno non costituzionalizzarli, prevedendo invece un rinvio alla legge ordinaria anche per consentire in futuro di apportare le modifiche che si dovessero rendere necessarie tramite l’iter legis ordinario. La proposta di legge costituzionale in esame, invece, sembra inserirsi a pieno titolo nella pericolosa tendenza a rendere prolissi e colmi di disposizioni di dettaglio i precetti costituzionali che dovrebbero invece esprimere in modo chiaro e diretto - come è stata intenzione del Costituente del 1948 - pochi principi fondanti il vivere civile della comunità statuale.
(56) - “I processi di autodeterminazione attraverso i quali uno stato democratico organizza la propria vita interna devono essere aperti, in misura uguale, a tutti gli uomini e a tutte le donne che vivono sul suo territorio, lavorano nell’economia locale e sono soggetti alla legge locale” così M. WALZER, Sfere di giustizia, Milano, Feltrinelli, 1987, pagg. 61-69 citato in B. PASTORE, Per un’ermeneutica, op. cit., pag. 94, n. 170.
(57) F. LANCHESTER, in ENCICLOPEDIA DEL DIRITTO, Giuffrè, voce: Voto: diritto di (dir. Pubbl), pag. 1124, vol. XLVI.
(58) - E. BETTINELLI, Cittadini extracomunitari, op. cit., pag. 36.
(59) - E. BETTINELLI, Cittadini extracomunitari, op. cit., pag. 46.
(60) - Lo studioso però precisa che “altre sono le ragioni di sistema e di sostanza che possono far dubitare della legittimità e dell’opportunità di una frammentaria disciplina, ad opera di singoli enti territoriali, dei diritti elettorali degli immigrati stabilmente e regolarmente residenti in Italia”. Dopo aver sostenuto la piena integrazione del “principio-obiettivo” (di cui alla nota successiva) nell’ordinamento italiano “in quanto puntualmente accolto dal legislatore statale nel D. Lgs. n. 286 del 1998” ritiene che esso “si indirizz[i] a tutti gli enti locali e non soltanto a quelli politicamente o congiunturalmente disponibili all[a sua] adesione. Peraltro si deve constatare come tale atto non contenga alcuna indicazione sulle modalità e sul tipo di organizzazione necessaria per consentire concretamente l’esercizio del diritto di voto amministrativo ai soggetti interessati. Si rende dunque indispensabile l’intervento integrativo di un’ulteriore disciplina di rango primario diretta a colmare la lacuna”. Cfr.: E. BETTINELLI, Cittadini extracomunitari, op. cit., pagg. 46-47.
(61) - E. BETTINELLI, Cittadini extracomunitari, op. cit., pag. 46.
(62) - E, in particolare, alla lettera d) di tale comma, laddove è stabilito che “[...] il titolare di carta di soggiorno può: [...] partecipare alla vita pubblica locale, esercitando anche l’elettorato quando previsto dall’ordinamento e in armonia con le previsioni del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992”.
(63) - Ordinanza del 23 maggio 2003, Giudice est. Campo, pubblicata in Diritto immigrazione e cittadinanza, anno V, n. 2/2003, pagg. 109 ss.
(64) - Il corsivo è aggiunto. A conferma di ciò, si legge nel Parere n. 11074/04 del Consiglio di Stato: “La tesi [della ricezione implicita] è [...] piuttosto ardita e [...] prospetta una ben fondata questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 80 Cost.”.
(65) - Per il dibattito sollevato da queste sentenze rinvio al Forum dei Quaderni Costituzionali in www.forumcostituzionale.it.
(66) - Sent. N. 372 del 2004, n. 2 cons. in dir.
(67) - G. BRUNELLI, Divieto di discriminazioni, op. cit.
(68) - Tribunale di Vicenza, ordinanza cit., pag. 112.
(69) - G. FRANCHI SCARSELLI, Sul riconoscimento del diritto di voto agli stranieri, in DIRITTO IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA, anno V, n. 3/2003, pag. 54.
(70) - Ex art. 17 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (approvato con D. Lgs. 267/2000) i comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti “articolano il loro territorio” in circoscrizioni di decentramento, mentre se la popolazione è compresa tra i 30.000 e i 100.000 abitanti è lasciata facoltà ai comuni di istituirle o meno. (D’ora in avanti per indicare il testo unico sarà utilizzato l’acronimo TUEL).
(71) - Art. 17 comma 1 TUEL.
(72) - Art. 17 comma 4 TUEL.
(73) - Art. 17 comma 2 TUEL.
(74) - Art. 114 comma 2 Cost. “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”.
(75) - Così L. VANDELLI, Il sistema delle autonomie locali, Bologna, Il Mulino, 2005, pag. 61.
(76) - Ministero dell’Interno - Dipartimento per gli Affari interni e territoriali - Direzione centrale dei servizi elettorali. Circolare prot. 200400250 fascicolo 15600779 del 22 gennaio 2004 n. 4, pubblicata in Diritto immigrazione e cittadinanza, anno VI, n. 1/2004, pagg. 236 ss.
(77) - Parere del Consiglio di Stato n. 8007 del 28 luglio 2004, pubblicato in Diritto immigrazione e cittadinanza, anno VI, n. 3/2004, pag. 236.
(78) - Parere del Consiglio di Stato n. 8007, cit.
(79) - Parere del Consiglio di Stato n. 8007, cit., pag. 238.
(80) - Id.
(81) - Parere del Consiglio di Stato n. 8007, cit., pag. 239.
(82) - Salva “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” così come prevede l’art. 117 comma 2, lettera m) della Costituzione.
(83) - Recante “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi
sociali”.
(84) - Si tratta del Parere n. 11074/04 emesso dall’Adunanza della Sezione Prima e Seconda il 6 luglio 2005 su richiesta del Ministero dell’Interno.
(85) - Parere del Consiglio di Stato n. 8007, cit., pag. 238.
(86) - “[...]la tesi che [...] nega che la circoscrizione eserciti funzioni politiche e di governo [...] riduce[ndo] la stessa circoscrizione, in sostanza, al mero esercizio di attività soprattutto partecipative e consultive [...] non può essere condivisa” (Parere n. 11074/04, pag. 7). Un anno prima, invece, lo stesso Consiglio di Stato definiva le circoscrizioni come “organi ai quali [l’art. 176 del Tuel] attribuisce compiti esclusivamente partecipativi e consultivi, oltre alla gestione dei servizi di base [...] con esclusione quindi di qualsiasi funzione politica e di governo, ovvero di funzioni che implichino scelte di fondo sulla valutazione comparativa degli interessi delle varie componenti della collettività di quartiere o
di frazione che nella circoscrizione si identifica” (Parere del Consiglio di Stato n. 8007, cit., pag. 236).
(87) - Cfr.: T.F. GIUPPONI, La partecipazione degli stranieri extracomunitari, op. cit. in www.forumcostituzionale.it.
(88) - “Non è minimizzando la funzione delle circoscrizioni che si rende un buon servizio alle realtà locali e al contenuto dei diritti di voto cui aspirano, il più delle volte a giusto titolo, gli stranieri residenti”. (Parere n. 11074/04, pag. 8).
(89) - Si tratta del Parere del Consiglio di Stato n. 9771/04 del 16 marzo 2005.
(90) - “Il Governo, ai sensi dell’articolo 2 lettera p, della legge 13 agosto 1988, n. 400, a tutela dell’unità dell’ordinamento, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero dell’interno, ha facoltà, in qualunque tempo, di annullare, d’ufficio o su denunzia, sentito il Consiglio di Stato, gli atti degli enti locali viziati da illegittimità”. L’art. 2 citato della L. 400/1988 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo (sent. 229/1989) “nella parte in cui prevede l’adozione da parte del Consiglio dei ministri delle determinazioni concernenti l’annullamento straordinario degli atti amministrativi illegittimi delle Regioni e delle Province autonome”.
(91) - “La persistenza del vuoto legislativo nazionale induce [...] a guardare il tentativo genovese di legare la titolarità del diritto di voto alla stabile residenza nel Comune non già come ad una minaccia per l’unità dell’ordinamento giuridico, quanto piuttosto come un modello da imitare, per colmare il divario tra cittadinanza formale e cittadinanza sostanziale, ed affermare in ogni parte del nostro Paese una ‘cultura’ dell’accoglienza e dell’integrazione per nulla in contrasto con la Costituzione repubblicana e con l’immagine di una compiuta democrazia”. Così V. RAPARELLI, Recenti sviluppi del dibattito, op. cit., pag. 25.
(92) - Parere del Consiglio di Stato n. 9771/04, pagg. 5 e 6.
(93) - Con Decreto del Presidente della Repubblica del 17 agosto 2005, su proposta del Ministro dell’Interno, verrà infatti disposto l’annullamento delle disposizioni dello Statuto comunale di Genova che estendevano il diritto di elettorato.
(94) - Parere del Consiglio di Stato n. 9771/04, pag. 7.
(95) - Id pag. 9.
(96) - Un’analisi completa dell’evoluzione del concetto di sovranità, dal medioevo fino ai giorni nostri si trova in D. QUAGLIONI, La sovranità, Bari, Laterza, 2004.
(97) - Cfr.: P. COSTA, Cittadinanza, Bari, Laterza, 2005, pagg. 22 ss.
(98) - F. COCOZZA, Diritto pubblico applicato all’economia, Torino, Giappichelli, 2003, pagg. 219 ss.
(99) - Anche la ricerca sociologica è approdata a risultati simili. “Per favorire la partecipazione degli immigrati, è necessario dunque eliminare i fattori responsabili di una loro collocazione ai margini delle nostre società, da quelli materiali a quelli culturali. A proposito di quest’ultimo aspetto, perché la cittadinanza significhi qualcosa davvero per tutti gli abitanti d’Italia, è necessario svincolarla da connotazioni identitarie, relegando la nationité, come suggerisce Neveu (1993), al privato, e concependo la cittadinanza come la partecipazione, qui e ora, alla vita della società”. Così C. MANTOVAN, Immigrazione e cittadinanza: autorganizzazione, partecipazione e rappresentanza degli immigrati in Veneto, disponibile sul sito www.cestim.org.
(100) -“Dal punto di vista politico la scelta della revisione costituzionale può rivelarsi inutilmente lunga e sostanzialmente dilatoria”. Così P. BONETTI, Ammissione all’elettorato, op. cit., pag. 21.
(101) -Sarebbe a mio avviso irragionevole, ad esempio, estendere il diritto di voto circoscrizionale solamente ad alcune comunità di stranieri, escludendone altre, soltanto sulla base del loro Paese di provenienza. Se ciò avvenisse, un organismo pensato per coinvolgere tutta la popolazione residente diverrebbe esso stesso fonte di irragionevole discriminazione.
(102) -L’inserimento in tali liste potrebbe dunque avvenire automaticamente, oppure dietro richiesta dell’interessato.
(103) - Il diritto, in altre parole, è stato sapientemente interrogato “per ricavarne risposte adeguate ai casi della vita, anche ai più drammatici”. Così E. BETTINELLI, La Costituzione della Repubblica italiana. Un classico giuridico, Milano, Rizzoli, 2006, pag. 63.
(104) -R. BIN, Lo stato di diritto, Bologna, Il Mulino, 2004, pag. 125.