Materiali per una storia dell'Arma

Ten. Col. CC Pietro Verri

NOTIZIARIO PER L’ARMA DEI CARABINIERI
N. 1 - gennaio-febbraio 1958

Verso una giustizia penale, internazionale

(continua)

II - Studi e soluzioni concrete di giustizia penale internazionale

Come abbiamo visto, nel corso della storia moderna, il diritto consuetudinario ha riconosciuto vari delitti chiamati “crimini di guerra” consistenti in violazioni alle leggi e costumi della guerra. Essi sono oggi, a causa della grande estensione data a tali leggi e costumi ed alla loro codificazione, assai più numerosi dei casi ammessi dalla dottrina classica del XVIII secolo.
Ma la questione relativa alla possibilità ed alla opportunità di attribuire ad organi internazionali la competenza a giudicare taluni di tali delitti non è stata studiata di pari passo con quella che consisteva nel definire delitti internazionali taluni atti determinati e nel moltiplicare, mediante trattati, tali categorie di delitti.
Fu soltanto a proposito dei delitti di guerra commessi durante la prima guerra mondiale, che la questione relativa alla creazione di tribunali internazionali venne per la prima volta seriamente studiata.

1 - Il Trattato di Versailles

Il rapporto della speciale commissione incaricata dalla conferenza della pace (Parigi, 1919) di studiare la costituzione e la procedura di un tribunale abilitato a giudicare le violazioni delle leggi e costumi della guerra commessi dalle forze nemiche, concludeva che ogni belligerante ha, in base ai principi del diritto internazionale, il potere e l’autorità sufficienti per giudicare gli individui ritenuti colpevoli di crimini di guerra, ma che era essenziale creare un tribunale internazionale chiamato a conoscere determinati capi di imputazione:
- delitti commessi contro persone di nazionalità differente, riunite, ad esempio, in campi di concentramento;
- delitti commessi da autorità, i cui ordini riguardavano individui di differente nazionalità ovvero la condotta tenuta verso più eserciti alleati;
- delitti commessi da autorità militari e civili che avessero ordinato o si fossero astenuti dal prevenire violazioni alle leggi o costumi della guerra;
- delitti compiuti da qualsiasi altra persona che si fosse ritenuto inopportuno di tradurre dinanzi ad un tribunale nazionale.
Il rapporto prevedeva anche il deferimento al tribunale internazionale delle persone accusate non di delitti di guerra in senso stretto, ma di taluni “fatti che hanno provocato la guerra mondiale e che ne hanno accompagnato gli inizi, in special modo la violazione della neutralità del Lussemburgo e del Belgio”.
Le divergenze sorte fra i vincitori (le maggiori obiezioni furono sollevate dagli americani) impedirono l’adozione delle raccomandazioni della commissione, ed il trattato di Versailles si contentò di prevedere la traduzione in giudizio davanti ad un tribunale internazionale dell’ex Capo dello Stato tedesco e la consegna da parte della Germania di altri accusati (in totale 900), che dovevano essere deferiti sia a tribunali militari di questo o quel paese alleato, sia a tribunali militari misti di più potenze alleate.
è noto che tali disposizioni del trattato di Versailles ebbero un epilogo infelice e finirono per essere abrogate virtualmente per inesecuzione. Il processo contro il Kaiser, imputato di offesa suprema contro la morale internazionale e l’autorità sacra dei trattati (art. 227 del trattato di Versailles), non poté celebrarsi perché l’Olanda non volle concedere l’estradizione dell’ex sovrano, colà rifugiatosi. Quelli contro gli altri, iniziatisi in definitiva presso la Corte di Lipsia (essendosi la Germania rifiutata di consegnare gli imputati) ai primi del 1920, furono caratterizzati da lentezze procedurali, assoluzioni o miti condanne e furono infine sospesi attorno al 1922. Le cause di tale decadenza, come osserva Vedovato(1), furono di natura giuridica (non esistenza nell’ordine internazionale e negli ordinamenti interni della norma giuridica definitrice dei delitti in esame; incertezza sulla legge in base alla quale determinare la pena da infiggere; silenzio delle convenzioni internazionali sulle conseguenze delle loro violazioni; inesistenza di una legge penale internazionale e di natura politica (le sanzioni giunsero con troppo ritardo, quando ormai l’opinione pubblica si era placata).
“La verità è che la punizione dei crimini di guerra fu vista più come un problema politico che come problema giuridico, con la conseguenza di piegare a contingenti esigenze politiche le stabili formulazioni giuridiche, alle quali pertanto non poteva corrispondere un esatto contenuto giuridico”.

2 - Il Comitato consultativo di giuristi (1920)

Incaricato dalla Società delle Nazioni di preparare un progetto per la istituzione di una Corte permanente di giustizia, propose, dopo lunghi studi, la creazione di un’alta corte di giustizia internazionale, competente a giudicare i delitti contro l’ordine pubblico internazionale e contro il delitto delle genti universale, a lei deferiti dall’assemblea o dal consiglio della Società delle Nazioni, e investita dei poteri necessari per caratterizzare il delitto, fissare la pena, determinare i modi di esecuzione della sentenza, nonché la procedura da seguire.
Tale proposta non fu accettata dall’Assemblea della S.d.N., in seno alla quale prevalsero le obiezioni derivanti dai noti principi della dottrina classica (bisogna che ci sia una legge perché ci possa essere una sanzione; l’individuo non è soggetto di diritto internazionale; non esiste un diritto penale di portata internazionale).

3 - Proposte di istituzioni scientifiche

a) l’Associazione di diritto internazionale

Alla 34a conferenza dell’Associazione di diritto internazionale tenutasi a Vienna nel 1926 fu affermata la utilità della istituzione di una corte permanente di giustizia internazionale penale, in base ai seguenti principi: le sentenze a carico di cittadini di uno stato da parte di tribunali di un altro stato, per quanto eque ed imparziali, sono invariabilmente considerate con diffidenza; in particolare, l’esperienza ha dimostrato che le sentenze relative a crimini di guerra da parte di tribunali nazionali appartenenti al vincitore o al vinto, non hanno quasi mai soddisfatto, perchè: “sono, naturalmente, sospettate di parzialità nazionale; ne risultano decisioni contradittorie e pene ineguali; è la legge internazionale e non quella nazionale che è violata”. L’associazione di diritto internazionale attribuiva alla Corte la competenza a conoscere le imputazioni a carico sia di individui che di stati, relative a violazioni di obblighi internazionali aventi un carattere penale; di ogni trattato, convenzione o dichiarazione concernente i metodi e la condotta delle ostilità; dileggi e costumi di guerra generalmente accettati e riconosciuti come obbligatori dalle nazioni civili.

b) l’Unione interparlamentare

In occasione della sua 23a conferenza (Washington e Ottawa 1925), l’Unione interparlamentare decise di studiare le cause della guerra d’aggressione e di procedere all’elaborazione di un progetto di codice per la repressione dei delitti internazionali, portando la sua attenzione su taluni principi enunciati da V.V. Pella in un rapporto dal titolo: “La criminalità della guerra d’aggressione e l’organizzazione di una repressione internazionale”. Tali principi affermavano in sostanza la responsabilità penale degli individui e degli stati nei casi di infrazioni all’ordine pubblico internazionale ed al diritto delle genti, infrazioni che dovevano essere preventivamente definite da testi precisi e represse in base al principio “nulla poena sine lege”.
c) l’Associazione internazionale di diritto penale

In occasione del Congresso tenutosi a Bruxelles nel 1926, l’Associazione internazionale di diritto penale, sulla base di un rapporto redatto da V.V. Pella e da H. Donnedieu de Vabres, espresse la raccomandazione che venisse attribuita alla Corte permanente di giustizia internazionale competenza in materia repressiva per giudicare sia gli stati che gli individui accusati di delitti da definirsi mediante convenzioni internazionali, che dovevano anche stabilire le sanzioni applicabili.

4 - La Convenzione per la creazione di una Corte penale internazionale (1937)

Spinto dalla gravità dell’attentato che produsse la morte del re Alessandro di Jugoslavia e del Ministro degli affari esteri francese Barthou (Marsiglia, 9 ottobre 1934), il Consiglio della S.d.N. preparò il testo di una concezione sulla prevenzione e la repressione del terrorismo e quello di una seconda Convenzione per la creazione di una giurisdizione internazionale chiamata a giudicare gli individui accusati di una delle infrazioni previste dalla convenzione sul terrorismo. In base alla Convenzione, per “atto di terrorismo” s’intendono fatti criminosi diretti contro uno stato, il cui fine o natura è di provocare il terrore presso determinate personalità, presso gruppi di persone o fra il pubblico. Le due convenzioni, firmate rispettivamente da 24 e 13 paesi ma non ratificate, rimasero inoperanti per il sopraggiungere della 2a Guerra Mondiale e la conseguente paralisi e fine della S.d.N.

5 - Proposte formulate durante la 2a Guerra Mondiale

I crimini commessi durante la 2a Guerra Mondiale riportarono in primo piano il problema della punizione dei criminali di guerra, problema che fu nuovamente affrontato in conferenze ufficiose o semi ufficiali.

a) L’Assemblea internazionale di Londra

Organo non ufficiale creato nel 1941 sotto gli auspici della Unione per la Società delle nazioni, dopo aver attentamente studiato il problema, espresse il parere che talune categorie di delitti di guerra (intesi in senso lato, in modo da comprendere sia l’aggressione che i delitti più tardi chiamati contro l’umanità) dovevano essere di competenza di una Corte penale internazionale. Tali categorie di delitti erano le seguenti:
1) delitti che non sono di competenza di nessuna giurisdizione nazionale (es.: delitti commessi in Germania contro gli ebrei e contro gli apolidi);
2)  delitti di competenza di una giurisdizione nazionale di una qualsiasi delle Nazioni Unite, ma che lo stato interessato avesse deciso per motivi politici o altri, di non deferire ai propri tribunali;
3)  delitti commessi o che hanno provocato effetti in più paesi o ai danni di cittadini di paesi differenti;
4)  delitti commessi da Capi di Stato.
La Corte doveva applicare possibilmente un apposito codice di diritto penale approvato dalle Nazioni Unite o, in mancanza, la consuetudine ed i trattati internazionali, i principi di diritto penale generalmente riconosciuti, la giurisprudenza e la dottrina di pubblicisti di chiara fama. Le sanzioni dovevano essere lasciate alla discrezione della Corte.

b) La Commissione internazionale per la riforma e lo sviluppo del diritto penale

Organismo semi-ufficiale costituito in prevalenza da giuristi inglesi, che ha egualmente studiato il problema senza formulare proposte concrete, dato che nel suo seno esistevano due correnti, l’una che sosteneva che la quasi totalità degli atti delittuosi commessi da cittadini nemici potevano essere puniti facendo ricorso alle leggi ed ai tribunali nazionali esistenti; l’altra che era favorevole ad una soluzione assai simile a quella proposta dall’Assemblea internazionale di Londra.

c) la Commissione delle Nazioni Unite per i delitti di guerra

Creata il 20 ottobre 1943, studiò il problema della creazione di un tribunale internazionale per giudicare i criminali di guerra e approvò un progetto di convenzione relativo alla creazione di un tribunale delle Nazioni Unite (26 settembre 1944). Tale tribunale doveva avere competenza a giudicare e punire chiunque, di qualsiasi rango o posizione, avesse commesso o tentato di commettere, dato ad altri l’ordine di commettere, spinto, aiutato, incoraggiato o incitato altri a commettere una infrazione alle leggi e costumi della guerra, o ancora, venendo meno ad un dovere a lui incombente, si fosse reso lui stesso colpevole di una tale infrazione. La competenza del tribunale doveva estendersi alle infrazioni commesse dai membri delle forze armate, dalle autorità civili o da chiunque, agendo sotto l’autorità o invocando o allegando l’autorità di uno stato o d’una altra entità politica in stato di guerra o di ostilità armata con una qualsiasi delle parti contraenti o che occupasse come nemico il territorio di una delle parti contraenti, o ancora agendo di concerto con un tale stato od una tale entità politica.
Il tribunale avrebbe dovuto applicare il diritto derivante:
1)  da convenzioni e trattati;
2)  dagli usi internazionali della guerra; dai principi del diritto delle genti derivanti dagli usi stabiliti fra nazioni civili, dalle leggi dell’umanità e dalle esigenze della coscienza pubblica;
3)  dai principi di diritto penale generalmente riconosciuti dalle nazioni civili;
4)  dalle sentenze, come mezzo sussidiario per la determinazione delle regole del diritto bellico.

6 - I Tribunali militari internazionali istituiti dopo la seconda guerra mondiale

a) Il tribunale militare internazionale di Norimberga

L’intenzione degli alleati di perseguire i criminali di guerra delle potenze europee dell’Asse si manifestò per la prima volta con una “Dichiarazione sulle atrocità tedesche” pubblicata a Mosca il 30 ottobre 1943, con la quale la Gran Bretagna, Stati Uniti e U.R.S.S. dichiaravano che “gli ufficiali e soldati tedeschi ed i membri del partito nazista responsabili di tali atrocità, massacri ed esecuzioni, o che avranno consentito a prendervi parte, saranno inviati nei paesi ove i loro abominevoli misfatti sono stati perpetrati, per esservi sottoposti a giudizio e puniti in conformità alle leggi di tali paesi liberati e dai governi liberi che vi saranno istaurati”.
I firmatari aggiungevano che tale dichiarazione era fatta “senza pregiudizio dei casi di criminali tedeschi i cui delitti non possono essere situati in una determinata località e che saranno puniti in base a decisione comune dei Governi alleati”.
A seguito della Dichiarazione di Mosca, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e U.R.S.S. firmavano l’8 agosto 1945 l’Accordo di Londra per la istituzione di un tribunale militare internazionale chiamato a giudicare i criminali di guerra, i cui delitti non avevano una localizzazione geografica precisa.
Uno speciale Statuto annesso all’Accordo attribuiva al tribunale la competenza a giudicare tutti coloro che, agendo per conto dei paesi europei dell’Asse, avevano commesso, individualmente o come membri di organizzazioni, uno qualsiasi dei delitti compresi nelle seguenti categorie:
1) delitti contro la pace;
2) delitti di guerra;
3) delitti contro l’umanità.
Gli ordini superiori non erano ammessi come scusante, ma potevano essere considerati come motivo di diminuzione della pena; la situazione ufficiale degli accusati non poteva essere considerata né come scusante assolutoria né come un motivo per diminuzione di pena.
Il Tribunale era autorizzato a dichiarare che gruppi e organizzazioni alle quali appartenevano gli accusati erano organizzazioni criminali, il che avrebbe permesso alle autorità nazionali competenti di ogni firmatario di tradurre chiunque davanti ai tribunali nazionali, militari o d’occupazione, a causa della sua affiliazione a tale organizzazione.
Il tribunale era autorizzato a pronunciare contro gli accusati rei convinti la pena di morte o qualsiasi altra pena da esso ritenuta giusta.
 Il tribunale di Norimberga, investito di un atto di accusa contro 24 personaggi tedeschi, con sentenza in data 30 settembre 1 ottobre 1946, ne condannò: a morte 12, all’ergastolo 3, alla reclusione a tempo 4; ne assolse 3; non poté giudicarne 2 (uno perchè suicidatosi, l’altro perchè demente).
Il tribunale dichiarò organizzazioni criminali le organizzazioni personali dei capi politici del partito nazista, le SS., le SD. e la Gestapo; non attribuì la stessa qualifica alle SA., al gabinetto del Reich, allo Stato Maggiore Generale ed all’Alto Comando tedesco.
Altri processi seguirono dinanzi al tribunale di Norimberga contro grandi industriali; eminenze del regime nazista; medici militari e delle SS. che avevano “lavorato” nei campi di concentramento.

b) Il tribunale militare internazionale per l’Estremo Oriente

Nella dichiarazione di Potsdam del 26 luglio 1945 era previsto che i criminali di guerra giapponesi sarebbero stati colpiti “con una severa giustizia”.
In base poi alle clausole dell’atto di capitolazione del Giappone (2 settembre 1945) ed alle decisioni della Conferenza di Mosca (16 26 dicembre 1945), fu possibile al Comandante Supremo alleato in Giappone di istituire, con suo bando in data 10 gennaio 1946, il tribunale militare internazionale per l’Estremo Oriente, al quale vennero attribuiti poteri e statuto pressoché identici a quelli del tribunale di Norimberga.
Con sentenza in data 12 novembre 1948, su 25 imputati il tribunale ne condannò a morte 7, all’ergastolo o alla reclusione a tempo 18.
Lo spazio non ci consente di esaminare, sia pure brevemente, le critiche che la grande maggioranza degli autori ha rivolto alle soluzioni adottate alla fine della seconda guerra mondiale, critiche che, in sostanza, si appuntano su la violazione del principio nullum crimen nulla poena sine lege; l’attribuzione della responsabilità penale individuale nell’ordine internazionale; l’adozione del principio della responsabilità individuale per esecuzione di ordini superiori(2); la parzialità dei tribunali di Norimberga e Tokio (costituiti soltanto da giudici appartenenti ai paesi vincitori); l’assenza, in definitiva, di una legittimità punitiva. Sarebbe interessante - e ci proponiamo di farlo in altra occasione - raffrontare tali critiche con le argomentazioni(3) di cui si è servito lo stesso Tribunale di Norimberga per combattere le principali di esse(4).
III - La soluzione nel quadro della comunità internazionale

1. - Quanto è avvenuto nella prima metà di questo secolo dimostra come non siano efficaci gli ordinamenti sui quali si è finora fatto affidamento per proteggere sia la persona umana che lo stato, contro la guerra ed i suoi eccessi e contro gli atti lesivi dei suoi diritti essenziali; ed anche per difendere la stessa persona umana contro gli abusi delittuosi del potere sovrano dello stato.
L’inefficacia degli antichi ordinamenti, basati sulla “finzione secondo la quale soltanto gli stati sono soggetti di diritto, ignorando assolutamente la suprema realtà dell’uomo singolo”(5), ha portato alle soluzioni concrete di Norimberga e Tokio, che, sotto il profilo giuridico, non hanno, et pour cause, soddisfatto nessuno.
Occorre quindi adottare una soluzione diversa, che altra non può essere se non quella del conferimento alla comunità internazionale del ius puniendi nei riguardi di determinati delitti.
L’esistenza della comunità internazionale non può essere revocata in dubbio. Al di là della cerchia dello stato, vi sono infatti rapporti fra popoli diversi che derivano da bisogni naturali e da processi storici, “rapporti che sempre più si sviluppano in doppio senso, uno individuale e l’altro collettivo, fino a dar luogo ad una formulazione giuridica dei rapporti stessi o alla elaborazione di una forma costituzionale”(6), creando tipi speciali di società, dalle forme più confuse e primitive fino alle realizzazioni più complesse.
 Pur non avendo limiti nei riguardi del suo obiettivo ideale, cioè l’unione di tutti i popoli, la comunità internazionale conosce, di fatto, limiti storici, geografici e di civiltà, e forma quindi vari tipi di comunità, di cui troviamo esempi frequenti nella storia.
A noi basta tener presente che fu dopo la prima guerra mondiale che “prende il suo reale punto di partenza la rinascita dell’internazionalismo organizzato e pratico; vengono posti in essere quegli elementi di società fra gli stati che furono intravisti e vagheggiati, sotto diversi aspetti, durante i due secoli precedenti”(7).
Si ebbe così, a base della vita internazionale, un nuovo principio, detto “societario”, che dette vita ad una espressione moderna di comunità internazionale. Non importa se la sua prima organizzazione concreta, la S.d.N., non portò a risultati soddisfacenti; non importa se la seconda esperienza societaria, l’O.N.U., vive e agisce faticosamente.
Come per lo stato, osserva Sturzo, società politica della quale i popoli non sono mai contenti, senza che con questo si possa pensare ad abolirla, la comunità internazionale “è una continua esperienza necessaria, anche se sotto certi aspetti fallimentare; una costruzione umana, e come tale, basata sul canone fondamentale del “provando e riprovando” per arrivare alla conquista di punti fermi ed alla formazione di più salda comunità fra i popoli”.
D’altra parte, già nel periodo fra le due guerre mondiali il principio della assoluta indipendenza degli stati aveva subito limitazioni prodotte da una più esatta valutazione e da un più largo riconoscimento del principio della “interdipendenza degli stati”.
E oggi, afferma Sturzo - e con lui numerosi autori, fra cui ve ne sono che dichiarano che la sovranità assoluta degli stati è un falso giuridico o un artificio filosofico non si può più parlare di sovranità di uno stato nel rapporto del sistema internazionale, oggi che, nella moderna teoria dello stato, anche la figura giuridica, “il mito antiumano” della sovranità sia del re che del popolo può dirsi decaduto.
“La sovranità degli Stati moderni” - aggiunge De Luca(8) - “è sempre stata limitata, non solo in forza del diritto naturale internazionale, ma proprio in forza di una norma del diritto positivo, ammessa la positività dell’ordinamento internazionale”.
Oggi, afferma Taviani, “questo mondo di stati assolutamente sovrani non esiste più; è superato dalla realtà, non dalle sue contingenti increspature, ossia dagli avvenimenti eccezionali dell’ultimo dopo guerra, ma dalla sua profonda sostanza che ha le radici nelle trasformazioni strutturali dell’ultimo cinquantennio”(9). Del resto, varie costituzioni moderne (Italia, Francia) prevedono, a condizioni di reciprocità, la riduzione di sovranità necessaria all’organizzazione e alla difesa della pace.
Oggi, dunque, la limitazione della sovranità degli stati è un fatto acquisito: abbiamo già, in virtù di essa, la Comunità europea del carbone e dell’ acciaio, il Mercato comune europeo e l’Euratom; siamo stati sul punto di realizzare, sempre nell’ambito europeo, la Comunità di difesa e la Comunità politica. Le soluzioni su scala europea confermano la esistenza di quei limiti che rendono irta di ostacoli la strada verso la comunità di tutti i popoli. Il grande scisma politico che divide il mondo impedisce, nota Quintano Ripollès(10), la formazione sul piano mondiale del minimo indispensabile di coincidenza ideologica e sentimentale, che è più realizzabile negli spazi regionali (es.: Comunità slava, ove si parla di “diritto intersovietico”), “in quanto in essi il tipo di norme culturali ha effettivo vigore e possibilità di operare”.
Ma ritornando all’O.N.U., per il tema che ne occupa, troviamo che l’articolo 5 dello Statuto, ammettendo il diritto di autotutela individuale o collettiva “fintanto che il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”, ha soppresso il tradizionale diritto di guerra derivante dalla sovranità degli stati, trasferendone la titolarità e l’esercizio alla comunità internazionale.
“Senza quasi avvertirlo, la comunità internazionale si è avviata verso un vero rivolgimento dei criteri e della sostanza del diritto di guerra, non importa se i giuristi tradizionali, le università chiuse nelle formulazioni ottocentesche, non se ne sono accorti o non reputano sufficiente l’esperienza di quarant’anni nei riguardi del diritto internazionale”(11).
Se questo è vero, se il principio del jus ad bellum risulta così radicalmente modificato, non si comprende perchè la comunità internazionale, che ha avocato a sè il diritto di fare la guerra, non possa e non debba disciplinare la condotta di essa, stabilendo obblighi e divieti e sanzionandone le violazioni comunque commesse a danno della Comunità stessa; imponendo, cioè, una legge penale internazionale a garanzia dell’ordine pubblico internazionale.
Se, come osserva Sturzo, la vera fonte del diritto è la personalità umana nel suo perenne sviluppo di rapporti, e se lo stato che vieta la deportazione non lo fa “per atto volontario e libero, in quanto vi possa essere libertà di scelta, ma per un dovere riconosciuto della coscienza sociale. Così passa nel costume anche ciò che originariamente era facoltativo o convenzionale”(12), ciò è vero anche nel quadro della Comunità internazionale, dalla quale deriva una parte sempre maggiore del diritto internazionale. Il quale, se non ha ancora quel vero carattere di legge che alcuni gli negano perchè privo di forme legislative e di sanzioni penali, ciò deriva unicamente dal fatto che questi caratteri e sono effetti di uno stadio di organizzazioni più progredite, al cui raggiungimento tendiamo appunto, attraverso innovazioni ormai mature.
Dunque, necessità e possibilità del trasferimento alla Comunità internazionale del ius puniendi nei confronti di condotte lesive di un patrimonio comunitario indipendente da quelli dei singoli stati.
Ne è derivata “l’irruzione dell’individuo nel diritto internazionale”(13), in qualità di soggetto attivo e passivo dell’infrazione penale internazionale, principio già accolto nella Convenzione del genocidio.
Naturalmente, vi sono ancora autori che si rifiutano di considerare l’individuo come soggetto di diritto internazionale, mentre all’altro estremo l’opinione contraria sostiene che soltanto l’individuo è capace di responsabilità penale internazionale.
Così è per quanto si riferisce allo stato, che, continuando ad essere soggetto di diritto ma non più in posizione di monopolio, è ritenuto da alcuni non più protetto dal decaduto principio della non capacità e non responsabilità penale, mentre altri negano la responsabilità cumulativa degli individui e degli stati, sostenendo che a questi ultimi non è possibile infliggere sanzioni materialmente penali(14).
Numerose e complesse questioni che sono oggetto di studi e di dibattiti, derivano da tali nuovi principi, dalla attribuzione, cioè, con caratteristiche diverse, della qualità di soggetto attivo allo individuo ed allo stato, di soggetto passivo all’individuo, allo stato ed alla comunità. Non affrontiamo tali questioni, anche se importanti e attraenti, e ritorniamo al nostro tema.
Giustamente non si vuole che si debba in futuro ricorrere a soluzioni unilaterali e di forza del tipo Norimberga e Tokio; non si vuole neppure che “le applicazioni delle regole di diritto internazionale penale dipendano dalla e fortuna mutevole delle armi”(15), né che di fronte a delitti internazionali vi sia distinzione fra vincitori e vinti (i responsabili delle fosse di Katin avrebbero dovuto subire lo stesso giudizio cui furono sottoposti i responsabili dei campi di sterminio tedeschi).
Per ottenere questo e poiché non è possibile sottoporre in modo efficace la condotta della guerra a quella disciplina oggi unanimemente invocata senza la creazione di una giustizia penale internazionale, occorre che quest’ultima riunisca le seguenti indispensabili caratteristiche aventi valore permanente(16):
- nullum crimen, nulla poena sine lege;
- predeterminazione delle forme inibitorie (divieti e precetti);
- predeterminazione delle responsabilità dell’individuo, dello stato e delle persone giuridiche;
- predeterminazione delle sanzioni;
- predeterminazione delle norme di diritto processuale;
- rinunzia degli stati a favore della Comunità internazionale a pretendere per tali delitti l’applicazione della propria legge territoriale;
- predeterminazione di una giurisdizione penale internazionale, clic offra le maggiori garanzie di imparzialità e sia competente erga omnes (anche i vincitori, perciò, dovranno comparire dinanzi ad essa, se responsabili di delitti affidati alla sua competenza). è questa la strada, l’unica possibile, scelta dall’O.N.U.
2. - L’11 dicembre 1946, l’Assemblea generale dell’O.N.U. approvava all’unanimità una risoluzione con la quale confermava i principi di diritto internazionale riconosciuti dallo Statuto e dalla sentenza del Tribunale di Norimberga, e invitava la Commissione incaricata dello sviluppo progressivo e della codificazione del diritto internazionale “a considerare come una questione d’importanza capitale i progetti tendenti a formulare, nel quadro di una codificazione generale dei delitti commessi contro la pace e la sicurezza dell’umanità o nel quadro di un codice di diritto penale internazionale, i principi riconosciuti nello Statuto e nella sentenza del tribunale di Norimberga”.
Dopo lunghi dibattiti, la Commissione, esaminata la natura del compito affidatole e deciso a maggioranza di non doversi occupare della definizione propriamente detta dei principi di Norimberga, proponeva la istituzione di una Commissione di diritto internazionale incaricata di preparare:
-  un progetto di convenzione contenente i principi di diritto internazionale riconosciuti dallo Statuto e dalla sentenza del Tribunale di Norimberga;
-  un progetto dettagliato di piano di codificazione generale dei delitti contro la pace e la sicurezza dell’umanità, stabilito in modo che il piano indichi chiaramente il posto che si deve attribuire ai principi di Norimberga.
La proposta esprimeva il parere che: tali compiti non avrebbero dovuto impedire alla Commissione di diritto internazionale di redigere al momento voluto un codice di diritto penale internazionale; che “il sera peut-être souhaitable d’avoir une autorité judiciaire internationale competente pour connaître de ces crimes” (i delitti internazionali).
La proposta della Commissione per lo sviluppo progressivo e la codificazione del diritto internazionale fu esaminata dall’Assemblea generale, che, dopo nuovi studi, decise a maggioranza (21 novembre 1947) l’istituzione di una commissione di diritto internazionale incaricata di:
a)  formulare i principi di diritto internazionale riconosciuto dallo Statuto e dalla sentenza del Tribunale di Norimberga;
b)  preparare un progetto di codice dei delitti contro la pace e 1a sicurezza dell’umanità, indicando chiaramente il posto da accordare ai principi di Norimberga.
Successivamente, approvando all’unanimità il testo definitivo della convenzione per la prevenzione e repressione del genocidio (firmata poi il 9 dicembre 1948), l’Assemblea generale dell’O.N.U. adottò a maggioranza una risoluzione in base alla quale la commissione di diritto internazionale veniva invitata ad esaminare, “s’il est désirable si possible de créer un organe judiciaire international chargé de juger les individus, qu’il s’agisse de personnes privées ou de fonctionnaires, accusés du crime de génocide ou d’autres crimes qui seraient de la compétenee de cet organe en vertu de conventions internationales”.
Quest’ultima richiesta rivolta alla commissione di diritto internazionale è giustificata dal testo dell’art. 6 della Convenzione sul genocidio, il quale suona: “Les personnes accusées de génocide ou de l’un quelconque des autres actes enumérés à l’article 3 seront traduites devant les tribunaux compétents de l’Etat sur le territoire duquel l’acte a été commis, ou devant la cour criminelle internationale qui sera compétente a l’égard de celles des parties contractantes qui en auront réconnu la jurisdiction”. Va sottolineato il fatto che per la prima volta si parla, in un documento internazionale, di “corte penale internazionale”. Giova ancora tener presente che la “Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo” approvata dall’Assemblea dell’O.N.U. il 10 dicembre 1948, contiene statuizioni rimaste senza protezione internazionale nel caso di loro violazione (es.: art. 4 “Lo schiavismo e la tratta degli schiavi sono inibiti in ogni e qualsiasi forma”; art. 5 “Nessuno potrà essere sottoposto a torture e a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”; art. 9 “Nessuno può essere arbitrariamente arrestato, incarcerato o esiliato”)(17).
Anche la “Convenzione europea dei diritti dell’uomo” (Roma, 4 novembre 1950), non apporta progressi sensibili nei riguardi della protezione internazionale di tali diritti. In ogni caso, la Commissione di diritto internazionale dell’O.N.U. portò a termine nel 1950 la formulazione dei “principi di Norimberga”, i quali suonano come segue:
I   - Chiunque commetta un atto costitutivo di un delitto di diritto internazionale è di esso responsabile ed è soggetto a sanzione.
II  - Il fatto che il diritto interno non preveda pena per un atto costituente delitto di diritto internazionale non esime da responsabilità in diritto internazionale chiunque lo avesse perpetrato.
III - Il fatto che la persona che ha perpetrato un atto costituente delitto di diritto internazionale abbia agito come capo di Stato o autorità statale, non la esime da responsabilità conforme al diritto internazionale.
IV - Il fatto che una persona abbia agito in base ad ordini del Proprio governo o di un superiore gerarchico, non la esime da responsabilità conforme al diritto internazionale, se positivamente ha avuto la possibilità morale di scelta.
V  - Ogni persona accusata di un delitto di diritto internazionale ha diritto ad un giudizio imparziale sui fatti e sulle sue conseguenze giuridiche.
VI - I seguenti delitti sono passibili in diritto internazionale:
a) delitti contro la pace: 1) progettare, Preparare, iniziare o realizzare una guerra di aggressione o in violazione di trattati, accordi, o garanzie internazionali; 2) Partecipare ad una guerra progettata in comune o in complotto per la perpetrazione di uno qualsiasi degli atti indicati nella prima parte del presente paragrafo;
b) delitti di guerra: le violazioni delle leggi o usi di guerra, che comprendono, senza carattere limitativo, omicidio volontario, maltrattamenti o deportazione, per lavorare in condizioni di schiavitù o per qualsiasi altro scopo, della Popolazione civile dei territori occupati o che in essi si trovasse; omicidio volontario o maltrattamenti di prigionieri di guerra o di persone che venissero trovate in mare; l’esecuzione di ostaggi; il saccheggio di beni pubblici o privati; la distruzione ingiustificata di città o villaggi, o la devastazione non giustificata da necessità militari;
c) delitti contro l’umanità: omicidio volontario, sterminio schiavitù, deportazione e altri atti inumani commessi ai danni di qualsiasi popolazione civile, o la persecuzione per motivi Politici, razziali o religiosi, quando tali atti fossero realizzati al perpetrarsi di un delitto contro la pace o di un delitto di guerra o in relazione con essi.
VII - La complicità nell’esecuzione di uno dei delitti contro la pace, di guerra o contro l’umanità indicati nel principio VI, costituisce egualmente delitto di diritto internazionale.
La Commissione di diritto internazionale ha successivamente lavorato alla preparazione dei codice per i reati contro la pace e la sicurezza dell’umanità. I lavori durano da anni e la più recente e non definitiva stesura del progetto è la seguente:
Articolo 1 - I reati contro la pace e la sicurezza dell’umanità come definiti in questo codice, sono delitti in base al diritto internazionale, per i quali gli individui responsabili sono passibili di pena.
Articolo 2 - I seguenti atti sono reati contro la pace e la sicurezza dell’umanità:
1) - Qualsiasi atto di aggressione, incluso l’impiego di forze armate, da parte delle autorità di uno stato ai danni di un altro stato per qualsiasi ragione che non sia la difesa nazionale o collettiva, oppure in ottemperanza a decisione o raccomandazione di un organo competente delle Nazioni Unite.
2) - Ogni minaccia da parte delle autorità di uno stato di ricorrere a un atto di aggressione ai danni di un altro stato.
3) - Preparativi da parte delle autorità di uno stato per l’impiego di forze armate ai danni di un altro stato per qualsiasi scopo che non sia la difesa nazionale o collettiva, oppure in ottemperanza a decisione o raccomandazione di un organo competente delle Nazioni Unite.
4) - Organizzazione o favoreggiamento di organizzazione da parte delle autorità di uno stato di bande armate entro il proprio territorio o altro territorio allo scopo di compiere incursioni nel territorio di un altro stato, o acquiescenza all’organizzazione di tali bande nel proprio territorio, o acquiescenza all’uso da parte di tali bande armate del proprio territorio come base di operazioni o come punto di partenza per compiere incursioni nel territorio di un altro stato, nonché partecipazione diretta a tali incursioni o aiuti forniti per le medesime.
5) - Intraprendere o favorire da parte delle autorità di uno stato attività intese a fomentare discordie civili in altro stato o acquiescenza da parte delle autorità di uno stato ad attività organizzate con l’intento di fomentare discordie in altro stato.
6) - Intraprendere o favorire da parte delle autorità di uno stato attività terroristiche in altro stato, o acquiescenza da parte delle autorità di uno stato ad attività organizzate con l’intento di compiere atti terroristici in altro stato.
7) - Atti da parte delle autorità di uno stato in violazione di obblighi assunti in base a trattati intesi ad assicurare la pace e la sicurezza internazionale mediante restrizioni e limitazioni degli armamenti o della ferma militare o delle fortificazioni, o altre restrizioni della stessa natura.
8) - Annessione da parte delle autorità di uno stato di territorio appartenente ad altro stato mediante atti contrari al diritto internazionale.
9) - Intervento da parte delle autorità di uno stato negli affari interni od esteri di altro stato mediante misure coercitive di carattere economico o politico, allo scopo di forzarne la volontà o di ottenere in tal modo vantaggi di qualche genere.
10) - Atti da parte delle autorità di uno stato o da parte di privati individui commessi con l’intento di distruggere, totalmente o parzialmente, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale, ivi inclusi:
I     - uccisione di membri del gruppo;
II   - causare gravi danni corporali o mentali a membri del gruppo;
III  - infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita intese a provocarne la totale o parziale distruzione fisica;
IV  - imporre misure intese a impedire le nascite in seno al gruppo;
V   - trasferire con la violenza bambini da un gruppo ad un altro.
11) - Atti inumani quali assassinio, sterminio, schiavitù, deportazione o persecuzione commessi contro una popolazione civile per ragioni sociali, politiche, razziali, religiose o culturali da parte delle autorità di uno stato o da parte di privati individui operanti ad istigazione o con l’acquiescenza di tali autorità.
12) - Atti che costituiscono:
I     - cospirazione a commettere uno dei reati definiti nei precedenti paragrafi di questo articolo; o
II   - diretto incitamento a commettere uno dei reati definiti nei precedenti paragrafi di questo articolo; o
III  -  complicità nel commettere uno dei reati definiti nei precedenti paragrafi di questo articolo; o
IV  -  tentativi di commettere uno dei reati definiti nei precedenti paragrafi di questo articolo.
Articolo 3 - Il fatto che una persona abbia agito in qualità di Capo di Stato o di funzionario governativo responsabile non rende esente dalla possibilità di aver commesso uno dei delitti definiti in questo codice.
Articolo 4 - Il fatto che una persona accusata di un delitto definito da questo codice abbia agito in conseguenza di ordine del suo governo o di un superiore non rende esente dalla responsabilità secondo il diritto internazionale se, nelle circostanze del momento, era possibile per tale persona non obbedire a tale ordine.
Come si vede il progetto prevede i delitti contro la pace (art. 1 e 2 par. da 1 a 9) ed i delitti contro la sicurezza dell’umanità (art. 2 paragr. 10, 11 e 12), nei quali sono compresi i delitti di guerra.
Il progetto esclude la irresponsabilità della persona che nel commettere uno dei delitti previsti abbia agito in qualità di Capo di Stato o di funzionario governativo; nonché quella della persona accusata di aver commesso uno dei delitti previsti che abbia agito in seguito ad ordine superiore, “se nelle circostanze del momento era possibile per tale persona di non obbedire a tale ordine”.
I lavori della Commissione concernenti il progetto di codice sono attualmente sospesi, in attesa che uno speciale comitato, al lavoro dal 1933, porti a termine il compito affidatogli dall’Assemblea generale dell’O.N.U., che è quello di definire l’aggressione, argomento sul quale esistono le maggiori divergenze(18).
Frattanto è al lavoro (dal 1953) un Comitato per la giurisdizione internazionale, il quale ha ricevuto dall’Assemblea generale dell’O.N.U. il compito di indagare le implicazioni e le conseguenze relative alla creazione di una Corte penale internazionale ed ai vari sistemi con cui essa può essere realizzata; di studiare le relazioni che dovrebbero intercorrere fra tale Corte e l’O.N.U. ed i suoi organi; di riesaminare il progetto di statuto di tale Corte preparato da un precedente Comitato (1951).
Anche su tale argomento esistono divergenze, alcuni ritenendo non necessaria l’istituzione permanente di una Corte penale internazionale (la quale potrebbe essere costituita a momento opportuno); altri non desiderandola (si comprende, dato che si tratta della Russia e degli altri paesi dell’Europa Orientale), perché ritenuta incompatibile con i principi della Carta delle Nazioni Unite relativi alla sovranità dello stato ed al non intervento negli affari interni.
Anche l’ulteriore studio della questione relativa alla giurisdizione penale internazionale è stato rinviato fino a che l’Assemblea generale non avrà deliberato in merito alla definizione dell’aggressione ed al progetto di codice contro la pace e la sicurezza dell’umanità(19).
Da quanto abbiamo esposto ci sembrano sufficientemente dimostrate sia l’esistenza che la imprescindibilità di un interesse universale dell’umanità, superiore a quello dei singoli popoli; e quindi, la necessità di una legge penale internazionale e di una giurisdizione, internazionale e permanente, incaricata di applicarla.
Convinti del primato dell’ordinamento internazionale sull’ordinamento interno, abbiamo constatato anche la possibilità di realizzazioni concrete nel quadro di una Comunità internazionale. E se i lavori intrapresi dall’ O.N.U. tardano a raggiungere tali realizzazioni, ciò devesi non già a dubbi, che non possono sussistere, circa il fondamento giuridico e morale dei “principi di Norimberga“, bensì alla esistenza di due opposte ideologie politiche che dividono il mondo. Situazione questa che potrebbe suggerire l’opportunità di ricercare, per il momento, la soluzione che ci interessa in ambiti più ristretti, quali potrebbero essere la Comunità atlantica o la Comunità europea.
Fiduciosi nella perfettibilità umana e nelle conquiste dello spirito, noi riteniamo non soltanto che sulla lunga strada percorsa non si può tornare indietro, ma che il traguardo si avvicina sempre più: tutte le cose vivendo si affermano.



Approfondimenti
(1) - Vedovato, Diritto internazionale bellico, Firenze, Sansoni, 1946.
(2) -  è noto che quello dei limiti dell’obbedienza militare è uno degli argomenti più dibattuti in questo dopoguerra (lo ha trattato anche il Sommo Pontefice nel discorso pronunciato il 3 ottobre 1953 ai partecipanti al Congresso internazionale di diritto penale). Ricordato che il nostro codice penate militare di pace sancisce all’art. 40, nei confronti di un fatto costituente reato, la responsabilità sia del superiore che ha dato l’ordine sia dell’inferiore che lo ha eseguito; considerato che anche l’art. 47 del codice penale militare tedesco dettava: “Se nell’esecuzione di un ordine relativo a materie di servizio si viola la legge penale, è responsabile solo l’ufficiale comandante. Tuttavia il subordinato che obbedisce all’ordine è punito come complice:
1) se ha trasgredito all’ordine;
2) se sapeva che l’ordine dell’ufficiale comandante concerneva una azione costituente un crimine o una violazione di legge”;
ci sembra evidente come nessun fondamento giuridico abbia la tesi che sostiene non essere in nessun caso l’inferiore responsabile per l’esecuzione di un ordine del superiore.
Tesi che le sentenze dei tribunali militari internazionali e nazionali hanno recisamente respinto, come dimostra quanto di seguito riproduciamo della sentenza di condanna del Maresciallo tedesco List, con il che ci sembra efficacemente respinta anche l’accusa relativa alla violazione del principio nullum crimen, nulla poena sine lege: “La norma che l’ordine superiore non sia una giustificazione dell’atto criminale è norma fondamentale della giustizia penale, quale è stata adottata dalla maggior parte delle nazioni civili. è fuori dubbio che le legislazioni nazionali generalmente sostenevano questo principio già al tempo in cui gli atti criminali imputati a List e agli altri giudicandi furono commessi.
E se è così, si può giustamente dichiarare che la detta norma sia una forma applicabile di diritto internazionale. Non si può mettere in dubbio che gli atti commessi in tempo di guerra sotto l’autorità militare non possono involgere alcuna responsabilità criminale da parte di ufficiali o soldati, se non sono proibiti dalle regole di guerra convenzionali o consuetudinarie. Ma questo implica obbedienza solo agli ordini legali.
Se l’atto commesso in obbedienza “ordini superiori è un delitto, la produzione dell’ordine non lo fa diventare meno di un delitto. Può attenuare la gravità del delitto, ma non può mai giustificarlo.
La regola generale è che i membri delle forze armate sono obbligati a obbedire solo agli ordini legittimi dei loro ufficiali, e non sfuggono a responsabilità penale se obbediscono a un comando che violi il diritto internazionale e offenda i concetti fondamentali della giustizia”.
(3) -  Cf. in proposito: Le Statut et le jugement du Tribunal de Nuremberg - Memorandum del Segretario generale dell’O.N.U. - Lake Success, 1949.
(4) -  Fra i giudici del tribunale di Tokio, vi fu chi affermò che nel corso del processo “erano stati violati tanti principi di giustizia” e chi dichiarò che “ogni processo come quello svoltosi dinanzi al tribunale militare internazionale per l’Estremo Oriente non era che il processo del vinto contro il vincitore”. Per contro, a Norimberga i membri del tribunale non espressero alcun parere divergente nei riguardi della competenza del tribunale stesso o dei principi di diritto da esso applicati.
(5) -  Quintano Ripollés, op. cit.
(6) - Sturzo, op. cit.
(7) - Sturzo, op. cit.
(8) - De Luca, La sovranità degli Stati nella Comunità dei popoli, CEDAM, Padova, 1956.
(9)   - Taviani, Solidarietà atlantica e Comunità europea, Le Monnier, Firenze, 1957.
(10) - Op. cit.
(11) - Sturzo, op. cit.
(12) - Op. cit.
(13) - Quintano Ripollés, op. cit.
(14) - Miglioli, op. cit.
(15) - V.V. Pella, Memorandum sur l’établissement d’une cour criminelle internationate, Nazioni Unite, Lake Success, 1951.
(16) - Miglioti, op. cit.
(17) - Esiste un progetto, opera di un organismo scientifico privato francese, la Commissione di diritto comune internazionale, tendente ad assicurare la protezione nazionale e internazionale dei “diritti dell’uomo”.
(18) - Vi è chi sostiene non essere né possibile né desiderabile definire l’aggressione; chi afferma che una definizione generale non sarebbe altro che una tautologia; chi preferisce una definizione generica e chi invece una che elenchi nel dettaglio tutti i casi possibili di aggressione.
(19) - Oltre al codice di delitti contro la pace e la sicurezza dell’umanità dell’O.N.U. ha in programma altro codice di maggiore ampiezza, che dovrebbe costituire tin vero e completo e “Codice penale internazionale”. Le difficoltà che ostacolano la conclusione dei lavori relativi al primo codice spiegano il fatto che i lavori per il secondo non siano stati ancora intrapresi.