Black list e misure di contrasto al finanziamento del terrorismo tra diritto internazionale e diritto interno


Delli Santi


Maurizio Delli Santi
Colonnello dei Carabinieri
Capo di Stato Maggiore della Regione Puglia


1. Premessa

Con il D.Lgs. 22 giugno 2007, n. 109, in attuazione della legge delega 25 gennaio 2006, n. 29 (Legge Comunitaria 2005), sono state introdotte “Misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l’attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale, in attuazione della direttiva 2005/60/CE”.
Si tratta di un significativo adeguamento della legislazione nazionale sul contrasto al finanziamento del terrorismo internazionale, a suo tempo delineata all’indomani dell’11 settembre sulla base delle prime Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, emanate ai sensi del capitolo VII della Carta, e delle posizioni comuni e dei regolamenti adottati in seno all’Unione Europea.
La circostanza è utile per ripercorrere i tratti salienti dell’evoluzione di un sistema normativo di sicuro impatto nell’azione di contrasto ai mezzi di sostegno finanziario del terrorismo internazionale, nel cui ambito sono state comunque evidenziate alcune problematiche di carattere giuridico che inevitabilmente hanno dei riflessi sugli aspetti più propriamente operativi, direttamente incidenti sull’efficacia dell’azione investigativa e di contrasto delle forze di polizia e in generale dell’intero apparato di sicurezza.
L’analisi sul tema verterà pertanto, in primo luogo, sulle caratteristiche attuali del finanziamento al terrorismo, come risulta definito in chiave criminologica e dagli elementi informativi elaborati da fonti istituzionali o da qualificate fonti aperte; proseguirà quindi su un breve excursus del quadro giuridico di riferimento e dei principali orientamenti giurisprudenziali, per concludere sulle prospettive della nuova legislazione nazionale, rispetto soprattutto alle due principali questioni di fondo, intrinsecamente collegate, poste all’esame del dibattito giuridico attuale:
1) se risulti utilmente individuato un sistema di garanzie di cui deve poter disporre il destinatario di una qualsiasi misura restrittiva;
2) se l’adozione di tali misure, di natura essenzialmente politico-amministrativa, possa avere rilievo anche per configurare responsabilità di carattere penale, nell’ottica di una complessiva ed efficace azione di contrasto.
Il percorso compiuto potrà pertanto consentire di individuare le linee guida della cooperazione internazionale nella lotta al finanziamento al terrorismo che, anche in questo ambito, sta compiendo lo sforzo di pervenire ad istituti e procedure che risultino dalla sinergia dei differenti sistemi di Commom Law e di Civil Law, nella consapevolezza che solo una visione comune ed unitaria della comunità internazionale può efficacemente contrastare la minaccia del terrorismo.

2. Il finanziamento del terrorismo

La sede istituzionale che ha acquisito un ormai consolidato background nelle analisi delle modalità di finanziamento al terrorismo è rappresentata dal Financial Action Task Force (FATF) o Gruppo di azione finanziaria contro il riciclaggio di capitali (GAFI). L’organismo intergovernativo è stato costituito nel 1989 a Parigi in occasione del quindicesimo vertice dei Capi di Stato e di Governo dei 7 Paesi più industrializzati (l’allora G 7) originariamente per promuovere, con le prime Quaranta Raccomandazioni, standard internazionali per il contrasto al riciclaggio, pubblicando periodicamente anche le liste dei paesi “non cooperativi”. Divenuto ormai struttura permanente dell’Organizzazione di Cooperazione e Sviluppo Economico (OCSE), dopo il 2001 l’organismo ha ampliato il suo mandato con le Nove Raccomandazioni Speciali che orientano gli Stati sui sistemi per individuare, prevenire e arginare i canali di finanziamento del terrorismo.
Sulla base del contributo degli analisti del FATF, è interessante rilevare, sotto il profilo criminologico, un elemento di significativa differenziazione - che giustifica anche la diversità dei termini - tra il riciclaggio legato alla criminalità comune od organizzata e il finanziamento al terrorismo: se nel primo caso si trasformano proventi di natura illecita in risorse lecite (money laundering), nel secondo caso, prevalentemente, avviene l’inverso, l’illegalità dei fondi non è nell’origine, ma nella destinazione (money dirtying)(1).
Un altro elemento caratterizzante del fenomeno è riconducibile alla caratteristica della organizzazione terroristica di matrice islamica, che sostanzialmente appare configurarsi sempre più in un sistema di franchising. Anche secondo la più recente Relazione sulla politica informativa e della sicurezza (59^- primo trimestre 2007)(2), si assiste, soprattutto nei Paesi occidentali, ad una progressiva frammentazione delle organizzazioni jihadiste, con una tendenza alla “monadizzazione”, con cellule assimilabili a vere e proprie microfiliali, capaci di assumere in proprio i complessivi oneri di “gestione corrente”.
Le dinamiche del sostegno economico alle finalità terroristiche appaiono così svilupparsi su diversi livelli.
Vi è un macrofinanziamento riconducibile alla gestione delle risorse propria dell’organizzazione “madre”, alimentato anche dall’apporto clandestino di governi statuali compiacenti o da singoli soggetti finanziari che hanno grandi disponibilità. Indicativi di quest’ultima dimensione sono alcuni recenti riscontri investigativi acquisiti su una insidiosa modalità di money dirtying: una banca del Sud Est asiatico ha effettuato trasferimenti di grosse somme di denaro a favore di un determinato soggetto con nome falso, titolare di un conto corrente presso altri istituti bancari; queste somme, superiori anche ai 5 milioni di euro, sono state trattenute per il tempo strettamente necessario, anche solo due settimane, per maturare consistenti interessi sui depositi del conto, che immediatamente dopo sono stati restituiti al mittente. Questi, in tal modo, è rimasto sconosciuto e non ha effettuato alcuna elargizione concreta al gruppo terroristico, che invece ha potuto ricevere il finanziamento derivato dagli interessi bancari nel frattempo maturati(3).
Ma vi è anche un livello di microfinanziamento, che non è meno allarmante in relazione al volume d’affari, al carattere diffusivo - speculare alla capillarità di distribuzione delle cellule terroristiche e alla loro rete di collegamenti - e alla varietà delle forme in cui si realizza. Tra queste, oltre quelle tradizionali riconducibili ai reati contro il patrimonio e al traffico di stupefacenti(4), sono state poste all’attenzione dal FATF e dalle più recenti attività investigative:
-  le raccolte di denaro di alcune organizzazioni istituzionalmente dichiarate senza scopi di lucro e con finalità caritatevoli (no profit e charities);
-  le movimentazioni dei fondi attraverso sovrafatturazioni all’importazione e/o all’esportazione, corrieri di valuta, money transfer e i moderni strumenti telematici, tant’è che si parla di una vera e propria minaccia della cyberlaundering il cui volume annuo è stimato in circa 50 miliardi di dollari;
-  lo sviluppo dei circuiti finanziari informali, noti come “sistema Hawala”(5), che, fondandosi sul rapporto personale e fiduciario di una selezionata rete di intermediari, gestiscono soprattutto le rimesse dirette dei lavoratori stranieri con modalità più competitive, in termini di costi e di velocità dei movimenti, rispetto a quelle degli ordinari circuiti legali internazionali(6).
Più delicato si presenta il problema delle operazioni bancarie e finanziarie regolate dalla Shari’a, il diritto islamico, dove i conti bancari e alcuni fondi di investimento rastrellano le ingenti somme di denaro della Zakat, uno di cinque precetti fondamentali dell’islamismo, l’elemosina legale che è dovuta da ogni musulmano per la purificazione della sua anima(7).
La legge islamica indica precise percentuali di una sorta di decima da applicare alle categorie dei beni, prevedendo otto possibili destinatari: i poveri (faqir/fuqara), i bisognosi (miskeen) che hanno comunque redditi inferiori ad un minimo, i debitori (gharimin), i simpatizzanti convertiti o inclini alla conversione (muallaf), i viaggiatori (ibnus salib), le cause della liberazione dalla schiavitù (riqab) e di Allah (fisabillilah) in cui ricade, ad esempio, la costruzione delle moschee, e i c.d. amministratori della zakat (amil), cioè coloro cui è attribuita la funzione di individuare i beneficiari, raccogliere, contabilizzare, gestire e controllare tutte le risorse della zakat. Su base volontaria è invece un altro tipo di donazione, la Sadaqah.
Indicativa della incidenza nel finanziamento al terrorismo di queste attività è stata, ad esempio, l’attività investigativa del Raggruppamento Operativo Speciale dell’Arma dei Carabinieri sull’organizzazione curda Ansar al Islam, che ha portato al sequestro di un carico di 50 Kg di monetine, per un importo complessivo di circa 5000 euro, raccolte come offerte in una moschea di Bologna, trasportate su un’autovettura e dirette ad estremisti tunisini gravitanti nell’area di una moschea milanese(8).
Ma le dinamiche del microfinanziamento sono le più svariate, come ha dimostrato un’altra recente indagine del Raggruppamento Operativo Speciale compiuta a Padova nel settembre 2007. L’attività investigativa ha portato all’arresto del capo di una cellula terroristica che progettava la commissione di attentati in Iraq tramite elicotteri ultraleggeri dotati di lanciarazzi e guidati da kamikaze; secondo gli elementi acquisiti, il soggetto, di origini irachene, gestiva una pizzeria-kebab dai cui introiti riusciva a inviare in Iraq circa 4000 euro al mese a sostegno dell’organizzazione. Il suo intendimento era quello di inserirsi nella rete commerciale di un’azienda italiana simulando un’attività turistica in zone sicure del Medio Oriente per entrare clandestinamente in Iraq e poi colpire(9).


3. La Convenzione e il ruolo delle Nazioni Unite

Di fronte a queste dinamiche eterogenee del sostegno economico al terrorismo, in seno alla comunità internazionale è emersa l’esigenza di adottare i necessari strumenti di contrasto ed è singolare che le Nazioni Unite sin dal 1999 abbiano individuato la cornice di riferimento per sollecitare gli Stati ad implementare il sistema di cooperazione giudiziaria internazionale nello specifico settore: la Convenzione internazionale per la soppressione del finanziamento del terrorismo, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York il 9 dicembre 1999, ed entrata in vigore il 10 aprile 2002(10).
Essa rappresenta uno strumento giuridico di assoluta preminenza rispetto alle altre 12 convenzioni, e 3 protocolli, settoriali che rappresentano il quadro legale delle Nazioni Unite adottato in tema di terrorismo(11), anche perché è ritenuta l’unico testo vigente in cui è possibile rinvenire una definizione generale, ancorché indiretta, del termine(12).
La Convenzione, all’art. 2, contempla l’incriminazione delle condotte di chi con ogni mezzo direttamente o indirettamente, in modo illecito o deliberato, eroghi o raccolga fondi con l’intenzione che vengano utilizzati, o con la consapevolezza che saranno utilizzati, in tutto o in parte, per commettere una serie di atti illeciti.
Tali atti, che devono costituire il fine di tali condotte, sono individuati mediante il rinvio (art. 2 lett. a) alle convenzioni settoriali su specifici fatti criminosi ed inoltre con una clausola finale di chiusura (art. 2, lett. b) che esprime indirettamente la definizione generale di terrorismo: l’art. 2, lettera b della Convenzione stabilisce che deve intendersi per atto terroristico “qualsiasi altro atto destinato a cagionare la morte o lesioni personali gravi ad un civile o a qualsiasi altra persona che non partecipi attivamente alle ostilità nel corso di un conflitto armato, quando lo scopo di tale atto, per sua natura o per il contesto, sia quello di intimorire la popolazione o costringere un governo o un’organizzazione internazionale a compiere o ad omettere un atto”.
Oltre ad avere individuato la definizione di terrorismo e le condotte che costituiscono illecito finanziamento, la Convenzione è importante per avere posto agli Stati aderenti delle precise regole di mutual legal assistance, con una serie di obblighi di cooperazione giudiziaria, e di law enforcement, con adeguamenti delle normative nazionali, tra cui vanno ricordati:
-  la configurazione della responsabilità giuridica (penale, civile o amministrativa) anche delle persone giuridiche (art. 5)(13);
-  l’introduzione di un sistema di identificazione e di attuazione di misure di congelamento e sequestro di fondi (art. 8);
-  l’esclusione del segreto bancario (art. 12);
-  l’impossibilità di considerare ai fini estradizionali le attività di finanziamento ed in genere di sostegno al terrorismo come “reati fiscali” e come “reati politici” (artt. 13-14).
Ma il ruolo delle Nazioni Unite è stato incisivo sin dai primi anni ’90 quando l’Assemblea Generale ha iniziato chiaramente a deliberare che il terrorismo è una forma di lotta illegittima, anche rispetto al principio di autodeterminazione dei popoli(14), e il Consiglio di Sicurezza lo ha configurato come minaccia per la pace e la sicurezza internazionale come evidenziato dall’art. 39 della Carta, inducendolo ad adottare le prime misure previste dal capitolo VII. In particolare, la Risoluzione 748 (1992) impose a carico della Libia una serie di sanzioni per il coinvolgimento di agenti di quel Paese nell’esplosione di un aereo della Pan Am sul cielo di Lockerbie (Scozia) avvenuta nel 1988, e di un aereo dell’UTA sul Niger nel 1989.
Le sanzioni comprendevano:
1)   l’interdizione dei voli con la Libia;
2)   l’embargo sulla vendita di velivoli o loro componenti;
3)   l’embargo sulle armi e su ogni forma di assistenza militare.
Fu pure istituito un Comitato ad hoc incaricato di controllare l’attuazione delle sanzioni da parte degli Stati e di individuare le conseguenti misure in caso di violazione. Nel 2003, la Libia ammise le proprie responsabilità impegnandosi a risarcire le vittime dei reati, per cui con la Risoluzione 1506 (2003) il Consiglio ha sospeso le sanzioni(15).
È a partire dal 1998 che le Nazioni Unite focalizzano l’intervento contro il terrorismo di matrice islamica, inizialmente riferendosi all’inasprimento del conflitto afgano determinato dall’offensiva delle forze Talebane (Risoluzione 1193/1998) e al ruolo di Osama Bin Laden e dei suoi associati nell’organizzazione di campi di addestramento e di operazioni terroristiche internazionali, prevedendo le prime specifiche misure sanzionatorie (Risoluzioni 1267/1999 e 1333/2000)(16).
Dopo l’11 Settembre 2001, il Consiglio di Sicurezza ha dato il via ad una strategia d’azione più ampia e complessa, sganciata dagli originari elementi territoriali di riferimento ed estesa a tutto il terrorismo internazionale.
In particolare con la Risoluzione 1373 del 28 settembre 2001, il Consiglio rende maggiormente vincolanti per gli Stati alcuni precisi impegni nel contrasto al finanziamento del terrorismo; ad essi viene fatto carico, in particolare, di prevedere nei rispettivi ordinamenti il reato di erogazione o raccolta internazionali di fondi destinati a promuovere atti terroristici, e di congelare beni finanziari o risorse economiche dei soggetti coinvolti in attività terroristiche, individui e c.d. umbrella organisations.
La cooperazione internazionale giudiziaria e di polizia viene quindi rafforzata, anche imponendo agli Stati la firma e la ratifica delle Convenzioni settoriali contro il terrorismo e lo sviluppo di programmi di assistenza tecnica volti a potenziare le capacità operative in tale contesto. Con la stessa Risoluzione viene istituito il Counter Terrorism Comittee, CTT, con il compito di monitorare e dare impulso all’azione complessiva antiterrorismo e di implementare l’assistenza istituzionale agli Stati che ne abbiano maggiore necessità, anche individuando le best practice e i modelli legislativi più efficienti (Risoluzione 1377/2001).
Con la Risoluzione 1390 del 16 gennaio 2002, viene conferito anche un nuovo mandato al Comitato per le Sanzioni contro Al Qaeda e Talebani, costituito con la Risoluzione 1267 (1999), con il compito di aggiornare le liste (c.d. black list) di individui ed enti collegati a queste organizzazioni e di monitorare l’applicazione del meccanismo sanzionatorio(17).


4. La cooperazione europea contro il terrorismo

Nel quadro delle linee d’azione delle Nazioni Unite è stata sviluppata l’azione di contrasto al terrorismo anche a livello europeo dalle due organizzazioni di riferimento: il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea.
In seno al Consiglio d’Europa(18) è stata significativa l’adozione nel 1977 della Convenzione per la repressione del terrorismo(19), la cui caratteristica principale è l’avere anticipato le facilitazioni nelle procedure di estradizione dei terroristi. Ma incisivi sono stati anche gli atti assunti dal Consiglio nel tracciare le linee guida dell’azione antiterrorismo - tra questi, quelli del Comitato dei Ministri del 2002 - che deve sempre uniformarsi al sistema dei diritti umani evitando ogni arbitrarietà, come peraltro enunciato anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Nel sistema giuridico del Consiglio va infatti ricordata la centralità della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali(20), adottata a Roma nel 1950, e, in particolare, dei Protocolli addizionale, n. 4 e n. 7 che impongono la tutela della proprietà, della libera circolazione, e delle garanzie processuali per l’espulsione degli stranieri.
Per quanto concerne l’Unione Europea, è dal Consiglio europeo di Roma del 1° dicembre 1975 che i Paesi membri hanno deciso di avviare una specifica forma di cooperazione ad hoc che ha portato alle importanti tappe del Trattato di Schengen del 14 giugno1985 e all’attuale sistema dei trattati vigenti - come riformati dagli accordi di Maastricht, Amsterdam e Nizza - che inquadra la lotta al terrorismo nell’azione intergovernativa sia nel III pilastro, relativo alla Cooperazione di Polizia e Giudiziaria in Materia Penale, sia nel II pilastro, relativo alla Politica Estera di Sicurezza Comune.
Tra le misure concretamente adottate in seno all’Unione Europea particolare rilievo assumono le Posizioni comuni 930 e 931 del 27 dicembre 2001 che, in linea con la Risoluzione 1373/2001 del Consiglio di Sicurezza, orientano gli Stati europei ad adottare una serie di misure, che vanno dalla cooperazione giudiziaria e amministrativa anche nell’ambito del III pilastro al congelamento di beni e capitali.
In proposito, è la Posizione comune 931/2001 che individua i criteri di redazione delle black list che è opportuno richiamare secondo un’analisi letterale del testo dell’art. 1 comma 4. L’elenco è redatto sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo da cui risulti che un’autorità competente ha preso decisioni nei confronti delle persone, gruppi ed identità interessati, si tratti di apertura delle indagini, o di azioni penali per un atto terroristico, il tentativo di commetterlo, la partecipazione a tale atto o la sua agevolazione, basate su prove e indizi seri e credibili, o si tratti di una condanna per tali fatti. Nell’elenco possono essere inclusi persone, gruppi ed entità individuati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite come collegati al terrorismo e contro i quali esso ha emesso sanzioni. Per “autorità competente”, la stessa posizione comune precisa che s’intende un’autorità giudiziaria o un’equivalente autorità competente nel settore. Vengono inoltre stabiliti una periodica revisione della lista ogni semestre e il principio di inserire nell’elenco dettagli sufficienti per l’identificazione dei soggetti, al fine di consentire una più facile discolpa in caso di omonimie.
Per la concreta e diretta attuazione nel pilastro comunitario - i regolamenti comunitari, ex art. 249 del Trattato che istituisce la Comunità europea, sono direttamente applicabili, senza che il legislatore nazionale adotti provvedimenti di attuazione - il 27 dicembre 2001 viene adottato il Regolamento n. 2580(21), che rende operative per gli Stati membri alcune misure di contrasto al terrorismo, fra cui il congelamento di capitali e di attività finanziarie, e, successivamente, il 27 maggio 2002, approvata la Posizione comune 402, viene emanato il Regolamento 881 che, in linea con la Risoluzione 1390/2002 del Consiglio di Sicurezza, introduce esplicitamente il riferimento anche al congelamento delle risorse economiche.
Le analisi giuridico-economiche sul sistema delle misure di contrasto al finanziamento al terrorismo si soffermano con particolare attenzione su questi due regolamenti, perché da essi si traggono importanti elementi differenzianti anche per meglio tratteggiare la nozione di congelamento (freezing). I due provvedimenti si distinguono innanzitutto per le differenti matrici di terrorismo che intendono contrastare. Il Regolamento 2580/2001 è riferito a tutti i tipi di terrorismo ed è slegato da qualunque riferimento territoriale ad un determinato Paese, prevedendo una lista comunitaria che comprende individui e gruppi terroristici interni ed esterni all’Unione Europea. Il Regolamento 881/2002, invece, impone misure restrittive esclusivamente nei confronti di persone fisiche e giuridiche collegate ad Al Qaeda, a Osama Bin Laden e ai Talebani.
Un’altra importante differenza è riconducibile alle modalità di formazione della lista. In base ai principi della Posizione comune 931/2001, richiamati dal Regolamento 2580, la lista è redatta ed aggiornata dal Consiglio dell’Unione Europea, organismo di alto livello politico la cui attività è riconducibile alle modalità di cooperazione intergovernativa e che nel caso in esame delibera all’unanimità. Nel Regolamento 881/2002, invece, l’integrazione e le modifiche dell’elenco vengono attribuite alla Commissione europea, organismo essenzialmente “esecutivo” della dimensione comunitaria, per la quale si prevede che agisca sulla base delle decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o del Comitato per le Sanzioni contro i Talebani.
Ma certamente un altro rilevante tratto distintivo dei due Regolamenti è da ricondursi alle diverse modalità di congelamento cui si è fatto riferimento. Se il Regolamento 2580 rende operativo esclusivamente il congelamento di capitali e di attività finanziarie (indicato dal legislatore comunitario come congelamento di fondi), che consiste nel blocco di capitali e di loro trasferimenti, bonifici, alterazioni, utilizzi e integrazioni, il Regolamento 881 prevede anche il congelamento delle risorse economiche, comprensive dei beni patrimoniali non finanziari definiti come “disponibilità di qualsiasi tipo, tangibili o intangibili, mobili o immobili, che non siano fondi ma possono essere utilizzate per ottenere fondi, beni o servizi”, in cui rientrano ad esempio anche la vendita, l’affitto e le ipoteche(22).
Beninteso l’azione complessiva dell’Unione europea nel contrasto al finanziamento al terrorismo va vista anche in riferimento alle più generali misure antiriciclaggio, in cui in particolare la Direttiva 2001/97 ha esteso a una vasta categoria di intermediari gli obblighi di segnalazione di operazioni finanziarie sospette, e alla implementazione della cooperazione giudiziaria e di polizia.
In questo ambito vanno segnalate la Decisione sulle squadre investigative comuni (2002) e la Decisione sull’attuazione delle misure specifiche per la cooperazione giudiziaria e di polizia nella lotta al terrorismo (2002), in base alla quale gli Stati membri sono obbligati ad istituire punti di contatto nazionali incaricati di raccogliere e mettere a disposizione di Europol ed Eurojust le informazioni risultanti dalle indagini e dai processi in materia di terrorismo(23).
Sul piano delle figure istituzionali interessate all’azione antiterrorismo, all’indomani degli attentati terroristici di Madrid, il 25 marzo 2004 il Consiglio europeo di Bruxelles ha previsto il Coordinatore antiterrorismo nominato direttamente dall’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, e dal 1° maggio 2005 è divenuta operativa anche l’Agenzia europea per le frontiere esterne (Frontex)(24).

5. Legittimità e garanzie nel contenzioso europeo

La normativa europea sulle misure di contrasto al finanziamento al terrorismo, in particolare con riferimento alla formazione delle liste e al congelamento, si presenta dunque con un forte impatto sulle libertà personali e d’impresa, tanto che ne è derivato un contenzioso, sia innanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo sia davanti alla Tribunale di I grado dell’Unione Europea, su cui è opportuno un approfondimento.
La Corte di Strasburgo è stata adita da alcune associazioni legate ai movimenti dell’autonomia basca (Segi e Gestoras Pro Amnistia) che erano state inserite nella lista della Posizione comune 2001/931 in quanto ritenute organiche all’Eta. Il ricorso è stato incentrato sulla impossibilità di impugnare le posizioni comuni di fronte all’organismo di sicurezza finanziaria spagnolo e sulla considerazione che tale lacuna dell’ordinamento violasse i diritti fondamentali della libertà di espressione, della presunzione di innocenza, della libertà economica, del diritto alla proprietà privata e al ricorso ad un giudice tutelati dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e dal Protocollo addizionale. In merito, la Corte ha dichiarato irricevibili i ricorsi in relazione alla configurazione della sua competenza ad avvenuto esaurimento dei rimedi giurisdizionali interni: finché è possibile adire un giudice nazionale e non vi sono situazioni pregiudizievoli in atto il ricorso non è ammissibile. Nella sostanza, si è ritenuto che nella posizione comune non si configurasse un vulnus effettivo e concreto anche in relazione alla natura non cogente dei suoi effetti produttivi, individuabile invece nei regolamenti.
Con tali valutazioni, la decisione viene interpretata non solo nell’ottica dei criteri restrittivi segnalati ma anche nelle possibili criticità del sistema cui il legislatore europeo e nazionale può porre rimedio. In proposito, proprio il Parlamento europeo con la Risoluzione del 7 febbraio 2002 n.P5-TA (2002) 0055 ha stigmatizzato la tecnica dell’adozione di differenti strumenti normativi, che vede da un lato una lista nelle posizioni comuni, in quanto tale priva di immediata applicazione e quindi senza possibilità di ricorso giurisdizionale, e dall’altro la lista dei regolamenti self executing(25).
Un altro ricorso promosso dalla stessa Segi, e dagli altri soggetti interessati, per il risarcimento dei danni subiti sulla base delle stesse posizioni comuni è stato ritenuto irricevibile sia davanti al Tribunale di primo grado delle Comunità europee (ordinanza 7 giugno 2004, causa T-338/02) sia più recentemente innanzi alla Corte di Giustizia (sentenza della Corte del 27 febbraio 2007, cause C-335/04P e 335/04 P)(26).
Ma al di là del caso in esame è opportuno sottolineare che gli effetti del contenzioso innanzi al Tribunale di I grado dell’Unione europea risultano di più ampia portata. Va infatti rilevato che la giurisprudenza dell’Unione europea ha consolidato un orientamento preclusivo per i ricorsi, dichiarandoli infondati in diverse decisioni, specie nel 2005 e nel 2006. I casi giudiziari più significativi hanno riguardato le istanze di cittadini svedesi di origine somala, Aden, Ali e Yusuf, e di un’associazione senza finalità di lucro che si occupa del trasferimento di capitali dalla Svezia alla Somalia per finalità sociali, l’Al Barakat International Foundation, che hanno chiesto l’inapplicabilità delle misure di congelamento attuate nei loro confronti, e la sospensione dell’esecuzione lamentando un ingiusto danno morale e materiale e la violazione dei diritti alla difesa e al contraddittorio(27).
In merito, il tribunale ha dichiarato infondati i dubbi di legittimità circa il fondamento giuridico e la mancanza di garanzie nei criteri di formazione e aggiornamento delle liste, e insussistente il requisito necessario all’azione giurisdizionale dell’irreparabilità del danno economico e morale.
Sull’inammissibilità di un’istanza per danno economico, il Tribunale si era già espresso nel 2003 nel caso Sison, un cittadino filippino residente in Olanda incluso nella lista delle misure di congelamento (causa T-47/03 R).
Nell’analisi delle sentenze(28), va considerato che esse operano una significativa ricognizione del quadro giuridico e istituzionale sulla cui base deve ritenersi legittimo il sistema delle sanzioni, ponendo in evidenza l’assoluta prevalenza del diritto dell’ONU di cui non può essere messo in discussione, neppure indirettamente, la legittimità rispetto al diritto comunitario. La chiave di lettura essenziale delle conclusioni del Tribunale è dunque riconducibile alla valutazione che le misure in questione non prevedono una diretta lesione di quei diritti fondamentali - vita, libertà e integrità personale - che sono tutelati dalla CEDU, dal Patto internazionale sui diritti civili e politici e dal moderno costituzionalismo democratico europeo. Si tratta di limitazioni certamente della proprietà privata, ma temporanee ed in ogni caso giuridicamente comprimibili quando esercitate in contrasto con la libertà e la sicurezza, in nome dell’utilità sociale come sancito anche all’art. 42 della Costituzione e all’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
In dottrina, tuttavia, tali orientamenti sono stati interpretati come eccessivamente preclusivi ed è stato posto in luce come probabilmente nel sistema vi può essere effettivamente un’esigenza di aggiustamento delle possibile garanzie difensive o di tutela rispetto all’inserimento e all’aggiornamento delle liste.
In tale ottica viene evidenziato come le stesse sentenze del Tribunale di I grado sembrano orientare gli Stati all’adozione di criteri garantisti. Infatti, il giudice europeo ha precisato che il congelamento dei fondi costituisce una misura effettivamente drastica e ha ricordato che le direttive del Comitato per le sanzioni e il regolamento prevedono la possibilità di esperire una domanda di riesame, diritto ugualmente garantito nell’ordinamento giuridico europeo. Il Tribunale a riguardo ha voluto prescrivere che nell’esame di tali istanze gli Stati membri sono tenuti ad assicurare il rispetto dei diritti fondamentali, prevedendo in particolare:
a)  la possibilità per gli interessati di difendere la loro posizione dinnanzi alle autorità nazionali competenti;
b) l’inammissibilità per gli Stati di rifiutare il riesame sulla base della riservatezza delle informazioni sulla cui base è avvenuta l’iscrizione nella lista;
c)  la sollecitudine e l’imparzialità nella sottoposizione del caso al Comitato per le sanzioni;
d)  la ricorribilità in sede giurisdizionale nazionale avverso il rifiuto dell’autorità nazionale(29).
In tale quadro è di assoluto rilievo la circostanza che per ultimo, sul finire del 2006, dando un segnale completamente diverso rispetto all’iniziale e consolidata preclusione, il Tribunale di I grado è pervenuto all’annullamento di una misura di congelamento per violazione del diritto alla difesa: si tratta della Sentenza del 12 dicembre 2006 nella causa T-228/02, relativa al caso Organisation des Modjahedins du peuple de l’Iran (OMPI) contro il Consiglio dell’Unione europea(30).
Nel caso in esame deve tuttavia considerarsi che, a differenza dei precedenti nei quali si trattava di soggetti indicati direttamente nelle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e nelle decisioni del Comitato per le sanzioni, l’inserimento nella lista di freezing è stata determinata sulla base di un’ordinanza del Secretary of State for the Home Department britannico del marzo 2001, a seguito della quale le autorità inglesi avevano chiesto l’inserimento nella lista.
L’OMPI ha quindi eccepito che la decisone del Consiglio dell’Unione europea di includerla nella lista è stata adottata senza una preventiva audizione e senza alcuna comunicazione dei mezzi di prova e delle informazioni alla base della decisione stessa.
Un’altra doglianza è stata riferita alla violazione degli obblighi di motivazione degli atti comunitari di cui all’art. 23 TCE, atteso che nella decisione non sono indicati i presupposti di fatto e di diritto per l’avvenuto inserimento nell’elenco dei presunti terroristi, e alla violazione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva. Il Tribunale è quindi pervenuto alla citata sentenza di annullamento della decisione del Consiglio 2005/930/CE del 25 dicembre 2005 (l’atto di revisione semestrale) per mancanza di motivazione e violazione dei diritti del ricorrente, atteso peraltro che la mancanza di motivazione ha impedito al Tribunale di “effettuare il controllo giurisdizionale della legittimità”.
In sintesi, il senso del più recente contenzioso innanzi ai giudici europei sembra voler cogliere l’orientamento della dottrina di voler prevedere anche per il sistema delle misure di freezing l’osservanza dei principi generali dell’ordinamento comunitario, con particolare riferimento al “diritto di difesa”.
Va tuttavia osservato che il percorso si presenta con diverse problematiche nella considerazione che, specie nelle procedure decisionali del Consiglio di Sicurezza e del Comitato per le sanzioni, i Governi hanno seguito procedure riservate anche per evitare che la diffusione preventiva di una proposta di congelamento sortisse l’effetto di rendere irrecuperabili le risorse ad esso destinate. Non va sottaciuto peraltro che per la stessa Corte di Strasburgo le esigenze di sicurezza nazionale, in particolare nella lotta al terrorismo, possono legittimare la compressione del diritto di difesa dell’interessato, ad esempio in riferimento all’accesso al fascicolo e alla comunicazione degli elementi a carico (Corte europea dei diritti umani, Jasper c. UK, ricorso n. 27052795, sentenza del 16 febbraio 2000)(31) e che sia nel Patto sui diritti civili e politici (art. 4), sia nella stessa Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 15) sono incluse deroghe ai principi generali sulla tutela dei diritti individuali in caso di emergenza(32).


6. Linee di attuazione nell’ordinamento nazionale

Subito dopo l’11 settembre, sul piano interno è stata introdotta una serie di provvedimenti legislativi, specialmente indirizzati alla cooperazione internazionale nel contrasto al finanziamento al terrorismo e all’adeguamento della normativa interna:
-  il D.L. 28 settembre 2001, n. 353, “Disposizioni sanzionatorie per le violazioni delle misure adottate nei confronti della fazione afgana dei talebani” convertito in L. 27 novembre 2001, n. 415, che ha introdotto le sanzioni per il mancato rispetto del divieto di trasferimento di beni, servizi o risorse finanziarie destinate a sostenere il terrorismo;
-  il D.L. 12 ottobre 2001, n. 369, “Misure urgenti per reprimere e contrastare il finanziamento del terrorismo internazionale” convertito in L. 14 dicembre 2001, n. 431, che ha istituito il Comitato di Sicurezza Finanziaria presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze”;
-  il D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, “Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale” convertito in L. 15 dicembre 2001, n. 438, che ha precisato la configurazione anche internazionale del terrorismo rispetto alla preesistente figura dell’associazione sovversiva introducendo l’art. 270 bis Associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico.
In proposito è opportuno evidenziare le novità introdotte dal D.L. 353/2001 convertito in L. 415/2001 che ha definito le sanzioni applicabili in caso di violazione di alcune disposizioni contenute nel regolamento (CE) n. 467/2001 del 6 marzo 2001(33), vietando altresì l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, e inasprendo il divieto dei voli e il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei Talebani dell’Afghanistan. Con riferimento alle misure di congelamento, viene sancita la nullità degli atti compiuti in violazione delle disposizioni regolamentari, prevedendo inoltre sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori alla metà del valore dell’operazione e non superiori al doppio del valore stesso.
Si prevede altresì che tutti i soggetti intermediari sono tenuti a comunicare al Ministero dell’Economia e delle Finanze e al Ministero per le attività produttive l’entità dei capitali e delle altre risorse finanziarie oggetto di congelamento. A riguardo, il Ministero dell’Economia trasmetterà al Parlamento copia delle comunicazioni pervenute. Per il procedimento di accertamento delle violazioni e di irrogazione delle sanzioni si applica la normativa prevista per gli illeciti valutari ai sensi del Testo Unico delle leggi valutarie (D.P.R. 31 marzo 1988, n. 148); non è consentita l’oblazione che normalmente viene accordata al trasgressore in presenza di illeciti valutari.
Particolare rilievo assume anche il D.L. 369/2001 convertito in L. 431/2001 per l’istituzione, presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, del Comitato di Sicurezza Finanziaria, l’organismo incaricato di adottare i provvedimenti di congelamento dei regolamenti comunitari, di svolgere la più ampia attività di prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario italiano da parte di organizzazioni terroristiche e, in generale, di coordinare l’azione italiana di contrasto al finanziamento del terrorismo.
Presieduto dal Direttore generale del Tesoro o da un suo delegato, è composto da undici membri nominati dal Ministro dell’Economia e delle Finanze sulla base delle designazioni effettuate, rispettivamente, dal Ministro dell’Interno, dal Ministro della Giustizia, dal Ministro degli Affari Esteri, dalla Banca d’Italia, dalla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa e dall’Ufficio Italiano dei Cambi.
Del Comitato fanno anche parte un dirigente in servizio presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, un ufficiale dell’Arma dei Carabinieri, un ufficiale della Guardia di finanza, un funzionario o ufficiale in servizio presso la Direzione investigativa antimafia e un rappresentante della Direzione nazionale antimafia.
In sintesi, il Comitato:
-  è l’autorità competente per l’attuazione delle misure di congelamento delle disponibilità economiche e finanziarie adottate dall’Unione Europea, e per l’irrogazione delle sanzioni previste nei confronti degli intermediari non ottemperanti;
-  promuove e riesamina l’inserimento di individui o di enti nella lista del Comitato Sanzioni;
-  riceve informazioni da parte degli enti in esso rappresentati e quelle che l’Autorità giudiziaria ritiene utile inoltrare;
-  individua con propria delibera, d’intesa con la Banca d’Italia, gli ulteriori dati ed informazioni, acquisiti in base alla vigente normativa sull’antiriciclaggio, sull’usura e sugli intermediari finanziari, che le pubbliche amministrazioni sono obbligate a trasmettere ad esso;
-  può richiedere ulteriori accertamenti all’Ufficio Italiano dei Cambi, alla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa e al Nucleo speciale di polizia valutaria;
-  stabilisce i necessari collegamenti con gli organismi paralleli degli altri Paesi al fine di contribuire al necessario coordinamento internazionale, anche alla luce delle decisioni assunte dal Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI).
 Il Presidente del Comitato può trasmettere dati ed informazioni al Comitato esecutivo per i servizi di informazione e di sicurezza ed ai direttori dei Servizi per la informazione e la sicurezza, anche ai fini dell’attività di coordinamento spettante al Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’articolo 1 della legge 24 ottobre 1977, n. 801(34).
Lo stesso Comitato ha poi emanato un Regolamento interno(35), approvato il 14 febbraio 2002, che assume rilievo per l’individuazione delle procedure e dei criteri di formazione della lista in ambito nazionale da trasmettere per l’inclusione alla lista allegata ai regolamenti comunitari.
In particolare, all’art. 2 è indicato che il Comitato forma una lista dei nominativi che ritiene vadano sottoposti al congelamento e ne dispone la trasmissione al Ministero degli Affari Esteri per l’invio agli organi comunitari; nell’esame, il Comitato deve avere particolare riguardo:
a) allo stato del procedimento penale e, qualora esso si trovi nella fase delle indagini preliminari, all’adozione dei provvedimenti di natura giurisdizionale, ovvero
b) alla idoneità degli elementi informativi raccolti ad assicurare, secondo criteri di ragionevolezza, l’identificazione certa dei soggetti indicati, evitando il possibile coinvolgimento di soggetti diversi con generalità identiche o simili.
Sulla base di questi riferimenti, è utile considerare in primo luogo l’impatto effettivo della normativa sull’attività economica: secondo i dati specificamente dedicati alle misure di congelamento antiterrorismo dalla Relazione al Parlamento del Ministero dell’Economia sull’antiriciclaggio(36) del 2007, si evince che in Italia tra gli anni 2002 e 2006 risultano congelati in totale 233 rapporti bancari e assicurativi, riconducibili a 224 soggetti, per un importo complessivo stimato in 2.215.000 euro; quanto alle sanzioni amministrative comminate in violazione delle disposizioni ai sensi dall’art. 2 del D.L. 369/2001, nel 2006 non risultano contestate infrazioni, mentre nel 2005 sono stati emessi due decreti sanzionatori per un’irrogazione complessiva di 300.000 euro. Ma più in generale l’analisi deve necessariamente estendersi anche ad altre valutazioni che hanno visto dottrina e giurisprudenza scendere in campo con approcci anche critici rispetto ad un quadro normativo in ogni caso complesso e articolato.
Una prima serie di riflessioni ha riguardato la configurazione giuridica delle liste di congelamento: si tratta di misure amministrative che non hanno natura giurisdizionale; peraltro, l’atto originario di inclusione nelle liste si forma necessariamente in assenza di contraddittorio e di altre garanzie difensive, per cui sotto il profilo della giurisdizione penale la mera iscrizione nell’elenco non può integrare alcun valido indizio di reità, non solo ai fini di una pronuncia di penale responsabilità, ma neanche ai fini di una misura cautelare, anche in relazione al principio di riserva di legge in materia di restrizione della libertà personale previsto dall’art. 13 della Costituzione. Sul punto l’orientamento giurisprudenziale prevalente è riferito alle pronunce (Cass., Sez. I, n. 35427, 30 settembre 2005; n. 30824, 15 giugno 2006 e, da ultimo, n. 1072, 17 gennaio 2007) con le quali si è statuito che:
-  il giudizio sulle caratteristiche e finalità di una organizzazione terroristica non può essere affidato a elenchi di formazioni elaborati per l’applicazione di misure di prevenzione da singoli Stati o da organizzazioni internazionali, posto che ciò introdurrebbe nel sistema una sorta di anomala “prova legale” trasformando l’art. 270 bis in una norma penale in bianco, con evidente violazione dei principi di legalità e di separazione dei poteri;
-  la collocazione di un’associazione negli elenchi rappresenta un elemento valorizzabile soltanto quale spunto investigativo e la prova della finalità di terrorismo deve necessariamente formarsi secondo le regole di utilizzabilità e di valutazione probatoria prescritte dalla legge processuale(37).
Invero si può discutere anche sulla configurazione amministrativa in senso proprio delle misure di congelamento, che vanno viste nella loro complessità in relazione sia alla natura di alta valenza politica dell’atto presupposto - le determinazioni del Consiglio di Sicurezza e del Consiglio dell’Unione Europea - sia alla funzione legislativa e al regime di self executing dei regolamenti comunitari, e sia per il background giuridico di riferimento che è proprio del sistema di Common Law in cui il freezing non è concepito con i rigori formali dei nostri procedimenti amministrativi di rito. In tale complessità, va fatto riferimento agli elementi di convergenza con quel particolare ambito amministrativo rappresentato dalle misure di prevenzione specie in funzione antiriciclaggio, che pure è soggetto a specifiche forme giurisdizionali di contraddittorio.
Per questo aspetto, è opportuno considerare le previsioni introdotte dal D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito nella Legge 31 luglio 2005, n. 155, recante Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale(38), ove tra l’altro all’art. 14 si dispone che nei confronti dei soggetti segnalati per le misure di congelamento il Presidente del Comitato di Sicurezza Finanziaria procede alla segnalazione al Procuratore della Repubblica per l’applicazione delle misure di prevenzione previste dalla normativa antimafia. Nel quadro di questa complessità non può escludersi in ogni caso una chiara correlazione con il sistema penale, laddove si tratti comunque di riferire l’avvenuto inserimento nelle liste in un contesto probatorio di elementi accusatori più articolato e si voglia considerare ovviamente il possibile sequestro penale dei beni economici e di risorse finanziarie riconducibili ad organizzazioni terroristiche.
Posto ciò, anche alla luce delle criticità sulla tutela giurisdizionale emerse nel contenzioso europeo, parte della dottrina ha dunque evidenziato alcuni profili problematici della disciplina amministrativa delle misure di congelamento che possono essere riassunti nei seguenti punti:
a) il congelamento deve concludersi in tempi ragionevoli o con la confisca del bene o con la sua restituzione;
b) deve essere assicurata la conservazione dei beni congelati e devono tutelarsi i diritti dei terzi che agiscono in buona fede (ad esempio i lavoratori dipendenti, i fornitori, etc.);
c) va garantita la possibilità di rimedi giuridici(39).
Di contro è emersa pure l’esigenza di una verifica più generale dell’adeguatezza del sistema complessivo delle misure antiriciclaggio, atteso che si auspica, da un lato, una maggiore incidenza operativa delle norme sugli obblighi delle segnalazioni sospette e, dall’altro, il superamento delle difficoltà procedurali e gestionali per l’amministrazione cautelare e per la definitiva confisca dei beni(40).


7. Il Decreto Legislativo 22 giugno 2007, n. 109

In tale quadro, le tematiche in discussione - esaminate pure in alcune proposte del Comitato di Sicurezza Finanziaria - hanno visto maturare l’idea di una iniziativa legislativa, necessaria anche a dare attuazione alla più recente normativa europea nel frattempo intervenuta in materia di antiriciclaggio. Nel contesto delle deleghe conferite dalla L. 25 gennaio 2006, n. 29, (Legge comunitaria 2005)(41) è stato così approvato il D.Lgs. 22 giugno 2007, n. 109, “Misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l’attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale”, in attuazione della direttiva 2005/60/CE.
Il provvedimento delinea una sistemazione organica della normativa di settore, che l’operatore del diritto ha sinora dovuto ricostruire con un’articolata opera di ricognizione delle fonti di diritto internazionale, dei vari decreti legge e leggi di conversione succedutisi nel tempo, e della legislazione antimafia, sul riciclaggio e sul terrorismo. In quest’ottica, significativa appare anche la scelta di disciplinare con una specifica fonte legislativa la tutela giurisdizionale apprestata dall’ordinamento e vari aspetti procedimentali che prima erano riconducibili a fonti regolamentari o a prassi amministrative. In una visione d’insieme, il decreto legislativo risulta articolato nelle seguenti parti:
-  il preambolo, che richiama la normativa di riferimento, le definizioni, e l’ambito di applicazione (artt. 1-2);
-  le attribuzioni del Comitato di Sicurezza Finanziaria (art. 3);
-  le misure di diretta attuazione nelle more delle deliberazioni dell’Unione Europea (art. 4);
-  gli effetti del congelamento, gli adempimenti e gli obblighi di segnalazione e comunicazione (artt. 5- 8);
-  i compiti dei soggetti istituzionali: Banca d’Italia, Ufficio Italiano dei Cambi, Nucleo speciale di polizia valutaria, Agenzia del Demanio (artt. 9- 12);
-  le disposizioni sanzionatorie (art. 13) e gli strumenti di tutela (art. 14);
-  la copertura finanziaria (art. 15) e le disposizioni finali (art. 16).

a) La definizione di finanziamento del terrorismo

Tra le definizioni, è opportuno richiamare quella riferita al finanziamento del terrorismo in cui si indica “qualsiasi attività diretta, con qualsiasi mezzo, alla raccolta, alla provvista, all’intermediazione, al deposito, alla custodia o all’erogazione di fondi o risorse economiche, in qualunque modo realizzati, destinati ad essere, in tutto o in parte, utilizzati al fine di compiere uno o più delitti con finalità di terrorismo o in ogni caso diretti a favorire il compimento di uno o più delitti con finalità di terrorismo previsti dal codice penale, e ciò indipendentemente dall’effettivo utilizzo dei fondi e delle risorse economiche per la commissione dei delitti anzidetti” (art. 1, c. 1, lett. a.

b) Il Comitato di Sicurezza Finanziaria

In ordine al Comitato di Sicurezza Finanziaria, l’art. 3 configura definitivamente il carattere permanente dell’organismo e, nel ridisegnare la composizione con l’integrazione di un rappresentante dell’Agenzia del demanio, richiama essenzialmente la normativa vigente sulle attribuzioni e sugli aspetti procedurali in specie per le designazioni e le esenzioni, precisando che il termine per la conclusione dei procedimenti amministrativi di competenza è di centoventi giorni.
Altra disposizione innovativa è l’art. 4 che, anche nelle more dell’adozione delle relative deliberazioni dell’Unione Europea, consente al Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministero degli Affari Esteri, di dare diretta attuazione con proprio decreto alle misure di congelamento disposte con le Risoluzioni delle Nazioni Unite sia per il contrasto al terrorismo sia “nei confronti dell’attività di Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale”.
c) Le attribuzioni dell’Agenzia del demanio

Ma un elemento centrale dell’impianto normativo è sicuramente quello riferito alle attribuzioni conferite all’Agenzia del demanio per la gestione e l’amministrazione delle risorse economiche (aziende, beni mobili e immobili) congelate. Si tratta di un provvedimento auspicato da più parti, e dallo stesso Comitato di Sicurezza Finanziaria(42), che prendendo spunto dalla normativa antimafia consente di porre le risorse economiche sotto diretto controllo di un’autorità pubblica con la finalità non solo di prevenire l’utilizzo dei beni per il sostegno al terrorismo ma anche di assicurare la conservazione del bene ed il suo utilizzo economico nell’interesse dei terzi in buona fede, soci, lavoratori e creditori. La norma prevede essenzialmente che all’Agenzia del demanio sono affidati la custodia, l’amministrazione e la gestione delle risorse economiche oggetto di congelamento, cui può provvedere in via diretta, ovvero mediante la nomina di un custode o di un amministratore. Vi provvede invece l’autorità giudiziaria nel caso di provvedimenti assunti nel corso di procedimenti penali o amministrativi, ancorché si riferiscano a stessi beni o risorse sottoposte a misure di congelamento. è ancora ricondotta all’Agenzia del demanio la competenza quando diviene definitiva la confisca disposta ai sensi della L. 575/1965, ovvero ai sensi dell’art. 12-sexies del D.L. 306/1992 convertito in L. 356/1992 e, allorquando, in costanza di congelamento, gli atti di sequestro o confisca sono revocati.
Si tratta evidentemente di competenze delicate che investono l’effettività dei provvedimenti di congelamento sui quali il legislatore ha sentito l’esigenza di una più incisiva attività di vigilanza. A tale fine, in particolari processi decisionali sulla gestione delle aziende o delle risorse è previsto l’intervento dello stesso Comitato di Sicurezza Finanziaria, il quale deve esprimere parere favorevole per gli atti di straordinaria amministrazione, e, in generale, nel caso di congelamento di aziende che comportino l’esercizio di attività di impresa, esprime un parere vincolante in ordine alla prosecuzione dell’attività, autorizzando l’apertura di appositi conti correnti intestati alla procedura.
Il Comitato esprime analogo parere anche nel caso di beni immobili per i quali si rendano necessari interventi di manutenzione straordinaria. Peraltro, l’Agenzia del demanio è tenuta a trasmettere ogni tre mesi al Comitato una relazione dettagliata sullo stato dei beni e sulle attività compiute. Altre disposizioni di dettaglio riguardano la disciplina della nomina e della revoca dei custodi e degli amministratori che debbono essere scelti di norma tra funzionari di comprovata capacità tecnica appartenenti a pubbliche amministrazioni nel rispetto delle disposizioni sulle incompatibilità e sulle regole di conferimento di incarichi da parte delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 53 del D. Lgs. 165/2001, e, in caso di aziende o imprese, anche tra chi eserciti la professione di avvocato e dottore commercialista. In ogni caso non possono essere nominati il coniuge, i figli o coloro che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con i soggetti designati nelle misure. L’amministratore nell’esercizio delle sue funzioni riveste la qualifica di pubblico ufficiale ed è chiamato ad operare secondo le direttive dell’Agenzia del demanio, la quale provvede a stipulare polizze di assicurazione per la copertura dei rischi connessi con l’incarico. L’amministratore è tenuto altresì a fornire i rendiconti ed il conto finale della sua attività ed esprime, se richiesta, la propria valutazione in ordine alla possibilità di prosecuzione o di ripresa dell’attività produttiva. Ulteriori previsioni sono dedicate alle procedure per i casi di cancellazione dalle liste o di autorizzazione all’esenzione dal congelamento di risorse economiche, a seguito delle quali l’Agenzia del demanio provvede alla restituzione delle risorse economiche garantendone in ogni caso la gestione almeno fino alla scadenza del termine di centottanta giorni dalla comunicazione data agli aventi diritto, ovvero con oneri a loro carico successivamente alla scadenza di tale termine. Se nei diciotto mesi successivi alla comunicazione l’avente diritto non si presenta a ricevere la consegna delle risorse economiche, l’Agenzia del demanio provvede alla vendita delle stesse. Nel caso di beni immobili e beni costituiti in azienda ovvero in società, sono acquisiti al patrimonio dello Stato e gestiti prioritariamente per finalità sociali, secondo quanto già previsto dalla legislazione antimafia. Se le cose non possono essere custodite senza pericolo di deterioramento o senza rilevante dispendio, previa comunicazione all’avente diritto l’Agenzia del demanio provvede alla vendita in ogni momento(43).
d) La tutela giurisdizionale

Dopo avere precisato il regime sanzionatorio per chi viola sia le norme sul congelamento sia gli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette, il decreto introduce all’art. 14 un altro significativo elemento di novità: la tutela giurisdizionale che prevede la possibilità di impugnare tutti i provvedimenti previsti in materia innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio. In merito, è opportuno ricordare che la stessa norma precisa che qualora nel corso dell’esame del ricorso si evidenzi che la decisione dello stesso dipende dalla cognizione di atti per i quali sussiste il segreto dell’indagine o il segreto di Stato, il procedimento è sospeso fino a quando l’atto o i contenuti essenziali dello stesso non possono essere comunicati al tribunale amministrativo. Qualora la sospensione si protragga per un tempo superiore a due anni, il tribunale amministrativo può fissare un termine entro il quale il Comitato di Sicurezza Finanziaria è tenuto a produrre nuovi elementi per la decisione o a revocare il provvedimento impugnato. Decorso il termine, il tribunale amministrativo deve decidere allo stato degli atti.

8. Conclusioni

Il percorso appena compiuto ha consentito di rispondere alle questioni critiche, evidenziate nella premessa, sul sistema di garanzie previsto per i destinatari dei provvedimenti di congelamento e sulla loro incidenza per la configurabilità di responsabilità di carattere penale. Per il primo punto è evidente che si è di fronte a misure che hanno una finalità essenzialmente preventiva basate su informazioni riservate non divulgabili nel corso di un procedimento amministrativo o giudiziario. Come evidenziato anche dal contenzioso europeo, in questi casi opera un principio generale di compressione del diritto alla conoscenza delle fonti d’accusa che può vedere un’attenuazione rispetto all’esigenza di tutelare il diritto alla vita e alla incolumità personale e collettiva minacciate dal terrorismo. Il sistema di garanzie può dunque esplicarsi compiutamente con l’istanza di cancellazione dalle liste e nella tutela giurisdizionale consentita davanti al giudice amministrativo, da cui sarà ora interessante acquisire i primi orientamenti giurisprudenziali specie in riferimento al processo decisionale in regime di inammissibilità degli atti tutelati dal segreto. Conseguentemente non può che configurarsi l’inutizzabilità nel processo penale di atti formati al di fuori delle regole di acquisizione e valutazione probatoria prescritte dalla legge processuale, fermo restando che l’inserimento nelle liste può contribuire a delineare, necessariamente insieme ad altri riscontri validamente acquisiti, un quadro accusatorio utile a sostenere l’indagine penale a carico di un’organizzazione terroristica.
L’azione di contrasto alla minaccia del terrorismo si presenta dunque complessa anche nella configurazione giuridica delle risposte operative che gli attori dell’antiterrorismo nazionali ed internazionali possono avere a disposizione. La normativa sulle misure di congelamento, beninteso, non è di per sé esaustiva e va vista in una strategia globale di lotta al terrorismo che va condotta principalmente sul piano politico e sociale, ma anche di una cooperazione giudiziaria che consenta l’armonizzazione delle legislazioni nazionali e la trasparenza dei mercati finanziari. In tale ottica, l’intervento sui capitali e sulle risorse destinate al sostegno dei terroristi costituisce un elemento decisivo che può essere condotto con i diversi strumenti posti a disposizione dagli ordinamenti, con riferimento sia a quelli propriamente nazionali consentiti nelle indagini penali o nell’applicazione delle misure di prevenzione, sia a quelli derivati dalle misure disposte dalla comunità internazionale per la tutela della pace e della sicurezza internazionale. Il sistema normativo delle misure di congelamento, comunemente riconducibile alla nozione delle c.d. black list, nei suoi tratti salienti configura dunque risposte operative direttamente efficaci e in stretto coordinamento con l’apparato normativo già apprestato dal nostro ordinamento specie in materia di antiriciclaggio. In tale quadro, anche la legislazione nazionale appena varata si inserisce in una strategia complessiva che vede protagonisti gli strumenti del diritto internazionale che devono configurarsi in un giusto bilanciamento della libertà e della sicurezza, come peraltro efficacemente enunciato nella recente Dichiarazione congiunta dei Ministri dell’Interno(44): «La sicurezza, sia interna che esterna, è uno dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Attuare i principi di Libertà e Giustizia non è possibile senza garantire la sicurezza ai cittadini».


Approfondimenti

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(1) - R. Razzante e P. Ramunno, Riciclaggio e finanziamento al terrorismo di matrice islamica, 3/4/2007, in www.infoantiriciclaggio.it. Per un’analisi recente anche sulla rilevanza operativa dei modelli teorici economici v.: D. Masciandaro, E. Takats e B. Unger, Black finance. The economy of money laundering, Cheltenham-Northampton 2007.
(2) - www.governo.it.
(3) - S. Dambruoso, Al Comitato di sicurezza finanziaria il compito di indicare le risorse sospette, in Guida al Diritto, n. 36/2007.
(4) - Sulle connessioni tra reti del traffico internazionale di stupefacenti e organizzazioni terroristiche, in specie nell’area mediorientale, si rinvia alla Relazione semestrale della Direzione Centrale dei Servizi Antidroga in www.interno.it; v. anche: E. Nicodano, Legami tra traffici di droghe e terrorismo, in Informazioni della Difesa, n. 5/2005.
(5) - Traslitterazione anglosassone di una parola urdu, lingua d’origine indoeuropea parlata prevalentemente in India e Pakistan, che significa “fiducia”.
(6) - Sono stati individuati specifici sistemi in determinate aree regionali: Hawala Banking (Gran Bretagna, India, Pakistan), Hundi (Medio Oriente), Chiti Banking (Asia), Chop Shop Banking (Cina), Stash Haouse (Stati Uniti e America Latina) cfr.: E. Scannella, Le finanze del terrore in Intelligence, n. 2/2006; C. Di Gregorio, G. Mainolfi, M. Adinolfi, Le transazioni finanziarie sospette e il contrasto al terrorismo: controlli e adempimenti, a cura ABI, Roma, 2006.
(7) - F. Clark, R. Craig, S. Hamid, Physical asset valuation and zakat: insight and implication, 1996; F. Gustincich, Da Lenin a Bin Laden in Gnosis, rivista del SISDE, n. 3/2005; A. Gagliardo, La sicurezza minacciata, Roma, 2006.
(8)   - G. Ganzer, La cooperazione giudiziaria e il contrasto del finanziamento del terrorismo internazionale, Seminario, Roma, 29 settembre/2 ottobre 2004, in www.giustizia.it; S. Dambruoso, Milano-Baghdad. Diario di un magistrato in prima linea nella lotta al terrorismo islamico in Italia, Milano, 2004; A. Gagliardo, op.cit.
(9)   - La Repubblica, 29 settembre 2007, pag. 21: Per una valutazione sulla situazione dell’eversione e del terrorismo in Italia, si rinvia alla citata 59^ Relazione sulla politica informativa e di sicurezza elaborata dal CESIS e al documento del Ministero dell’Interno Rapporto sulla criminalità in Italia del 18 giugno 2007, alla voce Eversione e terrorismo pag. 389, in cui si dà conto anche dell’attività del Comitato Analisi Strategica Antiterrorismo, in www.interno.it.
(10) - Ratificata dall’Italia il 27 marzo 2003 con L. 14 gennaio 2003, n. 7, che ne dà “piena ed intera esecuzione”. Nell’ambito dell’attività delle Nazioni Unite è da ricordare anche, in tema di misure generali antiriclicaggio, la Convenzione contro il traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope, adottata a Vienna del 1988 e ratificata dall’Italia con L. 5 novembre 1990, n. 328, in cui si dà una prima definizione di riciclaggio colpendolo ancorché limitatamente allo specifico campo d’azione criminale.
(11) - Sono state sottoscritte 5 Convenzioni nel quadro Icao, relative ai dirottamenti aerei e connessi atti di terrorismo, 2 nel quadro Imo, relative al terrorismo marittimo,1 nel quadro Aiea, relativa alla protezione del materiale nucleare, 4 nel quadro Nazioni Unite, aventi oggetto gli attentati contro le persone internazionalmente protette, agenti diplomatici inclusi, la cattura di ostaggi, gli attentati terroristici mediante l’utilizzazione di ordigni esplosivi, e, per ultimo la convenzione sul finanziamento del terrorismo. Tali convenzioni hanno le seguenti caratteristiche:
a)  sono settoriali, in quanto non contengono una definizione generale di atti di terrorismo, ma individuano i singoli atti da reprimere;
b) obbligano gli Stati a introdurre nella loro legislazione penale gli atti considerati come reati dalla convenzione;
c)  stabiliscono il principio aut dedere aut iudicare nei confronti del reo, nel senso che questi, se non è sottoposto a procedimento penale nello Stato in cui si trova, deve essere estradato nello Stato che ne faccia richiesta;
d) richiamano in ogni caso il principio di sovranità degli Stati, atteso che non ammettono interventi in territori altrui o contro un aeromobile o nave estera in spazi liberi o in alto mare, senza il consenso dello Stato di bandiera.
Cfr.: N. Ronzitti, Le organizzazioni internazionali e il diritto internazionale di fronte al terrorismo, in A. Colombo e N. Ronzitti (a cura di), L’Italia e la politica internazionale, Bologna, 2003; R. Barberini e R.G. Belelli, Codice delle convenzioni internazionali e della legislazione italiana sul terrorismo, Roma-Napoli 2003.
(12) - A. Valsecchi, Il problema della definizione di terrorismo, Consiglio Superiore della Magistratura-IX Commissione, Roma 14-15 aprile 2005; L. Bauccio, L’accertamento del fatto reato di terrorismo internazionale, Milano 2005; M. Delli Santi, Terrorismo internazionale:definizioni e problemi, CASD-11 ottobre 2005, Convegno di studi su Aspetti giuridici internazionali nelle operazioni di mantenimento della pace, Atti pubblicati in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, Suppl. al n. 1/2006; Terrorismo internazionale: il problema della definizione giuridica, in Rivista di Polizia, I, 2006.
(13) - Il principio della responsabilità penale delle persone giuridiche, che nel contesto internazionale ha superato la concezione di derivazione romanistica secondo cui societas delinquere non potest, nel nostro ordinamento è stato introdotto in attuazione della normativa comunitaria con D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 a seguito della legge-delega 29 settembre 2000, n. 300. La norma ha richiesto un adeguamento con la legge di ratifica italiana della Convenzione, con l’aggiunta dell’art. 25 quater sulle responsabilità da reato di finanziamento al terrorismo.
(14) - Es.: Risoluzioni 46/1951 del 1991 e 49/60 del 1994; in quest’ultima in particolare l’Assemblea ha stabilito che “Atti criminosi volti a provocare uno stato di terrore tra la popolazione, un gruppo di persone o determinate persone per fini politici sono, in ogni circostanza, ingiustificabili, quali che siano le considerazioni politiche, filosofiche, ideologiche, razziali, etniche, religiose o di altra natura che possano essere invocate per giustificarli”.
(15) - A. Cassese, Diritto internazionale. Il Problemi della comunità internazionale, Bologna, 2004.
(16) - Nel 1998 furono compiuti anche i drammatici attentati alle ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania, nei quali perirono 224 persone (Risoluzione del C.d.S. 1189 del 13 agosto 1998).
(17) - Al dicembre 2006, nella lista ONU figurano i nominativi di 371 persone fisiche e di 124 entità, sottoposti a varie forme di sanzioni (congelamento di beni economici, finanziari e non, embargo sulle armi, travel ban, ossia blocco dei visti e dei viaggi all’estero). L’Italia ha presentato al Comitato, dall’aprile 2002, 8 proposte, per l’iscrizione di oltre 85 soggetti nella lista di individui ed organizzazioni terroristiche del Comitato stesso, collocandosi al secondo posto, dopo gli Stati Uniti, per proposte di inserimento effettuate. Tra le iniziative più recenti delle Nazioni Unite va segnalata la Strategia globale per la lotta al terrorismo, documento adottato per consensus dall’Assemblea Generale l’8 settembre 2006. Cfr.: Misure e lotta al terrorismo in Italia, in www.esteri.it.
(18) - Si tratta della più antica organizzazione europea di carattere intergovernativo e interparlamentare essendo stata istituita a Londra il 5 maggio 1949 su proposta di Winston Churchill; dopo il crollo del muro di Berlino si è subito aperta agli ex Paesi del Patto di Varsavia e dell’ex Unione sovietica giungendo a contare 47 paesi. I 10 paesi fondatori sono Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia. L’Italia ne ha ratificato lo Statuto con la Legge 23 luglio 1949, n. 433. I 47 Stati membri sono: Albania, Andorra, Armenia, Austria, Azerbaijan, Bosnia-Erzegovina, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, ex Repubblica Iugoslava di Macedonia, Malta, Moldova, Monaco, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Romania, Repubblica ceca, Russia, San Marino, Serbia, Montenegro, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria. La Bielorussia, che godeva dello status di invitato speciale è stata sospesa nel 1997. Vi sono anche paesi non europei che godono dello status di osservatori, tre (Canada, Messico e Israele) presso l’Assemblea e cinque presso il Comitato dei Ministri (Canada, Giappone, Messico, Stati Uniti e Santa Sede). Sebbene sia un’organizzazione distinta dall’Unione europea, nessun paese ha mai aderito all’Unione senza prima essere membro del Consiglio d’Europa; ha la propria sede a Strasburgo (Francia). Cfr.: www.coe.int; www.camera.it.
(19) - Ratificata dall’Italia con L. 26 novembre 1985, n. 719.
(20) - Ratificata dall’Italia con L. 4 agosto 1955, n. 848. Nel sistema del Consiglio d’Europa vanno altresì ricordate - anche in riferimento alle linee guida nell’azione antiterrorismo - la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del 1987, ratificata in Italia con L. 2 gennaio 1989, n. 7, e la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca di proventi di reato del 1990, ratificata dall’Italia con L. 9 agosto 1993, n. 328.
(21) - Il 6 marzo 2001 e il 4 luglio 2001 erano stati già emanati rispettivamente i Regolamenti 467/2001 e 1354/2001 che prevedevano il congelamento di capitali e risorse finanziarie, introducendo divieti di esportazione di merci e servizi in Afghanistan e le misure di congelamento delle disponibilità dei Talebani. Il Regolamento 467, in particolare, recepiva l’intera lista redatta dal Comitato per le Sanzioni contro i Talebani.
(22) - G. Maresca, Freezing of assets and law-enforcement efforts, intervento in occasione del Seminario “La cooperazione giudiziaria e il contrasto del finanziamento del terrorismo internazionale”, Roma, 29 settembre/2 ottobre 2004, in www.giustizia.it.
(23) - Vanno pure ricordate le decisioni quadro 2002/475/GAI, che ha imposto espressamente agli Stati membri di incriminare come reati terroristici una serie di fattispecie fornendo un elenco tassativo di fatti-base, e 2002/584/GAI sul mandato d’arresto europeo, che ha introdotto - sulla base del principio di riconoscimento reciproco ed escludendo tra l’altro l’eccezione per il reato politico - l’istituto della “consegna”, in luogo dell’articolato procedimento estradizionale, per una serie di categorie di reati gravi, fra cui figura il terrorismo. Sul tema: M. Pedrazzi, Mandato d’arresto europeo e garanzie della persona, Milano, 2004.
(24) - Per una più ampia ricognizione sulle linee d’azione antiterrorismo v. in particolare: Dichiarazione sulla solidarietà contro il terrorismo, del marzo 2004, e Strategia UE contro il terrorismo, del dicembre 2005 sui siti istituzionali http://europea.eu e www.esteri.it.
(25) - L. Bauccio, Il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, pag. 307, in op.cit.; S. Dambruoso, Al Comitato di sicurezza finanziaria il compito di indicare le risorse sospette, in Guida la Diritto, cit.; Le basi normative della lotta al terrorismo internazionale, in F. Cappè, F. Marelli, A. Zappalà (a cura di), La minaccia del terrorismo e le risposte dell’antiterrorismo, Milano, 2006.
(26) - http://curia.europa.eu.
(27) - Sent. 21 settembre 2005 del tribunale di I grado, II sez. ampliata, nelle cause riunite T-306/01 e T-315/01 (Ahmed Ali Yusuf e Al Barakat International Foundation e Yassin Abdullah Kadi/Consiglio dell’Unione europea e Commissione delle Comunità europee) cfr. www.curia.europa.eu.
(28) - P. Bonetti, Terrorismo, emergenza e costituzioni democratiche, Bologna, 2006.
(29) - Sent. 12 luglio 2006, Tribunale di I grado, II sez., cause T/253/02 Chafiq Ayadi c. Consiglio dell’Unione europea e T-49/04 Faraj Hassan c. Consiglio dell’Unione europea e Commissione delle comunità europee, anche in P. Bonetti, op.cit.
(30) - www.curia.europa.eu; commento di A. Terrasi, Congelamento di beni di organizzazioni terroristiche e tutela dei diritti umani nell’ordinamento comunitario, in Diritti umani e Diritto internazionale, Vol. I/ n. 2 Milano, 2007.
(31) - P. De Sena, Esigenze di sicurezza nazionale e tutela dei diritti dell’uomo nella recente prassi europea, in N. Boschiero (a cura di), Ordine nazionale e valori etici, Napoli, 2004.
(32) - P. Bonetti, I limiti internazionali alle deroghe dei principi costituzionale nelle emergenze in Terrorismo, emergenza e costituzioni democratiche, cit.
(33) - Il Regolamento 467/2001 è stato successivamente abrogato dal Regolamento (CE) 881/2002. Con il D.L. 369/2001 convertito in L. 431/2001 è stato introdotto il generico riferimento a regolamenti comunitari.
(34) - Come è noto, la normativa di settore è ora da riferirsi alla L. 3 agosto 2007, n. 124, “Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto e agli emanandi regolamenti attuativi”.
(35) - www.dt.tesoro.it.
(36) - Idem.
(37) - In tal senso anche: F. Viganò, Terrorismo islamico e art. 270 bis c.p. Relazione all’Incontro di studio sul tema Terrorismo e legislazione penale, Consiglio Superiore della Magistratura-IX Commissione, Roma 14-15 aprile 2005; L. Bauccio, L’accertamento del fatto reato di terrorismo internazionale, cit.; L.D. Serqua, Dalle black list una prova limitata, in Il Sole 24 ore del 20 ottobre 2006.
(38) - Sulla scorta dell’esperienza giudiziaria e della previsione della Decisione quadro 2002/475/GAI, il D.L. 144 /2005, convertito nella Legge 155/2005, n. 155, ha tra l’altro introdotto l’art. 15 Nuove fattispecie di delitto in materia di terrorismo, individuando specifiche ipotesi che potevano sfuggire alla figura associativa vigente (art. 270-ter) e alle altre condotte incriminate: l’art. 270-quater, Arruolamento con finalità di terrorismo, l’art. 270-quinquies, Addestramento ad attività con finalità di terrorismo internazionale, e l’art. 270 sexies, Condotte con finalità di terrorismo. Nella normativa generale di riferimento introdotta dopo il 2001 va pure ricordato il D.L. 30 dicembre 2005 (c.d. decreto Olimpiadi) convertito il L. 21 febbraio 2006, n. 49.
(39) - G. Maresca, Freezing of assets and law-enforcement efforts, cit.
(40) - Relazione al Parlamento del Ministro dell’Economia sull’antiriciclaggio, cit. in www.dt.tesoro.it.
(41) - All’art. 22 comma 1, lettere c) e ss.
(42) -G. Maresca, cit.
(43) - Sul tema: L. Ferratoli, Beni amministrati dall’Agenzia del demanio in Guida al diritto, n. 36/2006.
(44) - Degli Stati del G6 - Regno Unito, Germania, Spagna, Francia, Italia, Polonia - riuniti a Sopot, in Polonia, il 18 Ottobre 2007, in www.interno.it.