Materiali per una Storia dell'Arma

RIVISTA DEI CARABINIERI REALI
Anno IV - N. 3 - maggio-giugno 1935

I Carabinieri a Pastrengo  sul Podgora e in Africa orientale

Prof. Luigi Russo

Recentemente il generale Alberto Baldini, nella voce dedicata a Pastrengo, nell’Enciclopedia Treccani, scriveva del combattimento di Pastrengo del 30 aprile 1848, queste parole: «Poco dopo mezzogiorno le avanguardie piemontesi presero contatto con la difesa austriaca. Spiegato in seguito il grosso delle forze mentre stava per iniziarsi l’attacco a fondo, Carlo Alberto, che si trovava in prima linea, fu avvolto da scariche nutrite di fucileria. Allora gli squadroni dei carabinieri che ne costituivano la scorta, agli ordini del maggiore Negri di Sanfront, si lanciarono a una furiosa carica contro i trinceramenti da cui partiva il fuoco. L’audacia di questo atto precipitò l’attacco delle schiere di fanteria. In breve una brigata piemontese (Cuneo) ebbe occupato Pastrengo».
Ci piace riferire tale periodo perché riassume in forma matura quelle che sono state le tradizioni scritte ed orali, che per quasi novant’anni si sono avute intorno a quel fatto d’arme e alla parte decisiva che vi ebbero i carabinieri.
Non si vuole dir nulla di particolarmente lusinghiero per l’Arma, se si afferma che la battaglia di Pastrengo a cui parteciparono almeno due folte colonne di armati, comandate dai generali Federici e Vittorio Emanuele II (allora duca di Savoia), costituenti un’assai buona parte dell’esercito sardo piemontese, si incentra e decide la sua fortuna in quella carica degli squadroni dei carabinieri: in guerra, come in altri avvenimenti storici, l’atteggiamento, l’impeto di una minoranza, anche se appare talvolta episodio incidentale, può costituire la direttiva fatale di una battaglia, di una sommossa, di una rivoluzione. I carabinieri a Pastrengo ebbero tale sorte di iniziatori di un combattimento, e la loro aggressività decisa e decisiva fu l’aggressività decisa e decisiva di tutto il corpo operante. Però Pastrengo è passata in proverbio come la giornata dei carabinieri, anche se essi vi ebbero una parte soltanto iniziale. Memorie, lettere, confidenze di attori e testimoni di quella giornata cominciano la narrazione del fatto d’arme, ricordando l’esplosione dello scontro per opera loro. Un qualsiasi altro episodio, intermedio o accessorio, può essere accantonato nella memoria; quell’inizio, come l’attaccarsi di un incendio, no. è come l’ouverture di un’opera musicale, che contiene in sé germinalmente il tema sinfonico nei suoi successivi sviluppi.
E cominciamo a sentire la testimonianza del più alto personaggio, dello stesso Re Carlo Alberto: è noto che Carlo Alberto ha redatto alcune note che nel 1850 erano pubblicate dal Promis col titolo “Memorie ed osservazioni sulla guerra dell’indipendenza d’Italia nel 1848-49 raccolte da un ufficiale piemontese”. Quell’ufficiale piemontese era il Re stesso: la maestà del nome e il gusto dell’obbiettività storica consigliavano questa forma anonima e in terza persona del racconto. Il Re, come era suo costume, redasse queste memorie in francese, e lasciò che fossero tradotte e forse anche rimaneggiate da Carlo Promis. L’edizione che io ho potuto vedere porta la data editoriale, Torino, 1850; Alberto Lumbroso ne ha curato una ristampa recentemente, col titolo Memorie inedite del 1848 (Milano, Corbaccio, 1934), dove discute a lungo, e a me pare vittoriosamente, sulla autenticità di queste memorie carlo-albertine. Nell’edizione aggiornata dal Lumbroso, alla pag. 227, si legge: «La brigata di Piemonte col generale Federici alla testa dovette sostenere un assai lungo combattimento ricacciando successivamente il nemico di colle in colle su Pastrengo. La brigata Cuneo, secondata da una batteria di artiglieria, ch’era colla sua intelligenza e bravura diretta dal maggiore Della Marmora, forzò il nemico a ritirarsi sulla collina: instava il Re e mandava continui ordini d’avanzarsi; poi scesa la collina e corso a capo alle truppe, vide che la marcia si era ritardata e impedita dagli ostacoli del suolo e singolarmente da un profondo canale tutto melma: malgrado ciò la brigata si rimise tosto in marcia e si congiunse con quella di Piemonte ai piedi della collina che domina Pastrengo. Nel salire questo colle vedemmo balenare un istante di gravissimo rischio: tentò allora il nemico l’estremo sforzo di sua resistenza con una scarica generale quasi a boccapetto [a bruciapelo], la quale impaurì i cavalli de’ carabinieri che precedevano il Re, sicché ritornarono galoppando dov’egli stava: a tal vista il maggiore conte di Saint Front comanda la carica ai tre squadroni di carabinieri ed alla loro testa lanciasi di galoppo contro l’erta del colle. Tutti lo seguono ed il Re tra i primi, cosicché quasi allo accaso istante ritrovaronsi sull’altura due reggimenti di Piemonte cavalleria, le brigate di Savoia e Cuneo, nonché una batteria d’artiglieria a cavallo, bersaglieri e carabinieri».
Carlo Emanuele Ferrero Della Marmora, scudiero e primo aiutante di campo del Re, suo fidato e animoso compagno nella guerra del 1848-49, (colui che fu mandato a Tolosa per raggiungere il Re abdicatario per ritirarne l’atto legale della abdicazione), scrisse un diario della guerra del ’48 a cui egli partecipò in prima linea per seguire Carlo Alberto, il quale, come è noto, era spesse, insofferente di regole di prudenza. Oltre il diario, noi possediamo del Della Marmora le sue lettere scritte giorno per giorno dal campo a una sua «très chère amie» e pubblicate e postillate da un suo discendente Mario degli Alberti(1).
Il Della Marmora accenna nel diario un po’ genericamente all’inizio dello scontro con queste parole: «S.M. dopo alcuni minuti discese e giunto nel fondo della valletta, vennero scaricati alcuni colpi di fucile sui carabinieri di scorta. S.M. proseguì ad avanzare e poco stante si giunse presso Pastrengo che era stato preso e occupato dai nostri».
Ma nella lettera, datata da Santa Giustina, 1° maggio, egli colorisce meglio l’episodio parlando della cattura di una trentina di austriaci, che furono invitati a gridare «Viva l’Italia» (mentre furono privati delle armi e delle cartucce, invece, o gentilezza di stile risorgimentale, furono risparmiati nei loro denari: et ne touchèrent pas à leur argent), e poi parla del tripudio di vittoria che c’era nella collina: «Dans cet instant et dans ce lieu le tableau était magnifique; toutes les hauteurs se trouvaient momentanément couronnées par le cris de: Vive le Roi, Vive l’Italie; l’ennemi n’était plus que sur un mamelon en petit nombre pour compléter le cercle et il disparut bientôt».
Altre notizie e testimonianze dirette si potrebbero ancora spigolare nel carteggio Casati Castagnetto(2), ma a noi qui occorre soltanto dare rilievo alla prima genesi della tradizione manoscritta del racconto, la quale si affermò subito nelle sue linee veritiere, tanto che, quattro o cinque anni dopo, un maggiore in ritiro, Ferdinando A. Pinelli, in un’opera assai complessa in tre grossi tomi edita nel 1855, (Storia militare del Piemonte dalla pace di Aquisgrana fino ai dì nostri), poteva senz’altro consolidare il racconto dell’episodio, ritraendo in alcune battute di scorcio e in forma interlineare gli umori dei contemporanei e potremmo dire anche le discussioni che dovettero seguire a quel fatto d’arme.
E ci piace di cogliere, dalle pagine del Pinelli, questi particolari che dissipano ogni aura convenzionale e aulica del racconto, e ci portano la gloria dell’episodio, nelle sue ombre e nelle sue luci: «Le disposizioni date dal De Sonnaz per l’assalto furono le seguenti: Broglia, scendendo con la terza divisione dalle colline di Santa Giustina, doveva tentare di circuire la sinistra del nemico sopra Pastrengo; a suo sostegno marciava la brigata Guardie preceduta da due compagnie di bersaglieri, il cenno sorto il Duca di Savoia e formato dalle brigate Cuneo e Regina doveva per Sandrà avanzare direttamente sopra Pastrengo, e Federici con la brigata Piemonte e i volontari Parmensi, spiccandosi da colà, assalir doveva la destra degli austriaci; la brigata di cavalleria del generale Sala, composta di Genova e Savoia cavalleria tenersi doveva sul gran stradale di Brescia per coprir il fianco destro da qualunque sortita da Verona ....
L’attacco non ebbe luogo che alle 11 ore.
Primo a scagliarsi sul nemico fu Bès coi suoi cacciatori piemontesi, i quali, avanzando animosi per Cà del Bosco e Cà Nuova, e scacciato il nemico dai colli di Costiera, Casetta e Fratelli, giunsero in breve ai piedi dell’altura su cui siede Pastrengo, cacciandosi dinnanzi gli sgominati tedeschi, e dando prove di esimio valore il capitano Boccadati e i tenenti Chiabrera e Luchinat, che guidavano i cacciatori del 4° fanteria, ma non secondati abbastanza energicamente sulla loro destra dalla brigata Cuneo che assalir doveva di fronte, fu loro forza sostare sotto un vivo fuoco della brigata Wohlgemuth che occupava il villaggio. A tal vista, il Re che, volendo assistere a quella battaglia, recato si era sulla Mirandola, casolare posto su di un colle che si erge fra Sandrà e Pastrengo, mandava reiterati ordini al duca di Savoia di avanzare; ma vedendo finalmente che le missive facevano poco frutto, perduta la pazienza e sceso il colle, portavasi ove stava la brigata e veniva a conoscere essere essa arrestata nella sua marcia dal melmoso letto di un di quei torrentelli che formano alquanto più basso il fiumicello Tione; fu dunque necessità rallentare ivi pure la marcia sotto il fuoco dei Tirolesi; finalmente, essendo questi dissipati dai tiri di una batteria egregiamente diretta dal maggiore Alfonso La Marmora, i soldati elettrizzati dalla presenza del Re e del Duca, che, impavidi tenevansi sotto il grandinar delle palle nemiche, riuscirono ad oltrepassare quell’ostacolo e giunsero al punto in cui la via di Lazise viene a far capo in quella di Pastrengo; ma in quel frattempo il Re aveva versato in grandissimo pericolo, poiché, intollerante di indugio, avendo precorso le fanterie con la semplice sua scorta, tutto ad un tratto un drappello dei Tirolesi posti in agguato da Wohlgemuth per ritardare la marcia del nemico, fece una scarica a bruciapelo contro il manipolo di carabinieri che precedevano il Re… ed il Re, vedutosi quasi a petto i Tirolesi, arrestato senza scomporsi il destriero e tratta la spada, già stava per scagliarsi su di loro, rinnovando le valorose prove del Trocadero. Senonché non fu tardo a gettarsi dinnanzi a lui il prode colonnello Sanfront con gli squadroni di carabinieri della scorta ....: in pari tempo una compagnia cacciatori dell’8° gettavasi alla corsa ed a baionetta spianata sul nemico, un battaglione di Piemonte saliva dalla sinistra il colle, ed il maggiore La Marmora, giunto con una sezione d’artiglieria a cavallo scortata da uno squadrone di Piemonte Reale, comandato dal capitano Sigala, entrato con esso nel borgo, cantava alla rinfusa usseri e fanti nemici».
C’è piaciuto di sottolineare in corsivo le frasi che ci danno il colore e gli umori ammirativi del tempo. Non seguiremo le successive redazioni storiche del racconto; né per la ennesima volta vogliamo ricostruire quelli che sono stati i momenti della battaglia e le forze che vi parteciparono. Queste ricostruzioni sono state fatte egregiamente da altri, ma talvolta anche scolasticamente con la consueta preoccupazione di scrivere la storia di una battaglia per le sinossi degli allievi ufficiali. Ma è lo spirito di un fatto d’arme, che deve aleggiare perpetuo nella nostra memoria; questo spirito che possiamo ad ogni momento portare nella nostra fantasia, e nel nostro sentimento, principio di una trama ideale della nostra vita quotidiana, laici o militari che si sia. Ricorderemo solo che, come si formò presto una tradizione manoscritta del racconto, così il fatto d’arme si concretò nelle linee di disegni e di stampe. Noi possediamo almeno tre stampe dell’episodio: una del 1859, la più significativa di tutte, dovuta al De Belly, e dove hanno maschio rilievo gli squadroni, che avanzano alla carica tra lo squillare delle trombe. Poi ci sono i due quadri ad olio del De Albertis, largamente volgarizzati, e che si ritrovano riprodotti in molte scuole e caserme dell’Arma. Più efficace e più realistica la stampa del De Belly, perché ancora ricca dell’ispirazione di testimoni oculari. Giustamente il colonnello Cecilio Fabris, nella sua eccellente opera “Gli avvenimenti militari del 1848 e del 1849”, doveva così osservare e concludere sulla memorabilità di quell’episodio: «Lo slancio di quella massa di cavalieri scintillanti per l’uniforme, eccitati per il pericolo corso dal Re, imbaldanziti per la vista di Pastrengo che sorgeva innanzi a loro, e del nemico che, ritirandosi ormai accalcavasi intorno alla borgata, fu segno di vittoria. La carica rimase scolpita nella memoria di quanti la videro, e l’impressione si comunicò ai contemporanei che la rammentano come uno dei più bei episodi della campagna. L’impulso si comunicò rapidamente a tutta la linea combattente e precipitò la crisi del combattimento». (Vol. II, pag. 198).
La sanzione a questa concorde testimonianza di spettatori e di attori e diaristi e storici della giornata di Pastrengo venne subito, con due menzioni onorevoli con decreto del 23 agosto 1848 e poi, sessant’anni dopo, a Vittorio Emanuele III, per decreto 57 giugno 1909, piacque di decorare la bandiera dell’Arma della medaglia d’argento al valor militare per il fatto d’armi di Pastrengo.
I nomi di alcuni di quei prodi carabinieri sono familiari agli studiosi delle sue tradizioni; abbiamo ricordato il maggiore Negri di Sant-Front conte Alessandro, alla cui brillante iniziativa si deve principalmente il successo della carica; e vanno ancora ricordati i tre comandanti degli squadroni, i capitani Morelli di Popolo conte Angelo, Incisa di Camerana marchese Luigi, e Brunetta d’Usseaux conte Augusto. Il capitano Morelli di Popolo è quello ritratto dal De Albertis nel quadro del 1880, alla testa di uno squadrone lanciato alla carica, e che è familiare alla vista di molti militi e ufficiali dell’Arma.

(continua)

Approfondimenti

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(1) - Alcuni episodi del Risorgimento Italiano, illustrati con lettere o memorie inedite del Generale marchese Carlo Emanuele Ferrero della Mormora principe di Masserano, Torino, Parava, 1906.
(2) - Carteggio Casati-Castagnetto, a cura di V. Ferrari, Milano, 1909.