Materiali per una storia dell'Arma

Ten. Col. Benedetto Parziale



RIVISTA DEI CARABINIERI REALI
Anno II - N. 2 - marzo-aprile 1935

Dal cappello al berretto... modello 1933
Ten. Col. Benedetto Parziale

“Historia quoque modo scripta delectat”
Plinio il giovane


Questa volta, miei pochi amici lettori, questa volta, non più epodi, non più ditirambi! Questa volta, o pochi lettori che mi siete rimasti ancora fedeli, parleremo di storia, e la storia è una cosa seria!
Basta, infatti, considerare che essa è la maestra della vita, perchè subito un velo di malinconia si stenda sull’animo spensierato!
Memorie..., esperienze del passato..., errori d’una volta..., speranze del domani..., ammaestramenti..., e già..., si capisce, la storia avverte..., la storia.., insegna!!
Tutte le cose che conoscono il passare del tempo hanno questo dovizioso patrimonio, anche le più modeste, le più apparentemente insignificanti, come il nostro cappello.
Il cappello! Ricordate il monologo del Metternich di fronte al cappello del piccolo corso nell’Aiglon del Rostand? Tutta l’epopea napoleonica rivive nell’ossessionante allucinazione del cancelliere austriaco. E quel cappello è anche il nostro.
Ricordiamo: eravamo a Parigi ai primi di marzo del 1796: il direttorio nazionale incalzato dal pericolo che sovrastava su tutta la terra di Francia, aveva già nominato il comandante di quell’esercito che a Millesimo, a Castiglione, ad Arcole, a Rivoli doveva mietere i primi allori. Il giovane capo dell’Armata d’Italia aveva raccolto a rapporto, in quel giorno tiepido di marzo, tutti i suoi generali, vecchi di anni e già provati dalla guerra, ed al rapporto, il ventisettenne comandante, appare, per la prima volta, col cappello... col suo cappello.., col nostro cappello!!
Tutti si scoprono ed anche il comandante toglie con mossa fulminea il copricapo, ma col gesto nervoso che gli era solito subito lo rimette sulla testa, mentre col suo sguardo d’aquila fissa quei vecchi soldati, che fulmineamente si irrigidiscono sull’attenti. Non lo sguardo saettante però del condottiero, impressiona; è quel cappello, invece, che protende le sue ali come un volo di aquila, che affascina, conquista, fa fremere, che impone rispetto ammirazione.
Il cappello napoleonico riceve, quel giorno, la sua consacrazione, e la gloria legata indissolubilmente alle sue vicende, venne, poi, e si trasfuse nella nostra istituzione, cintasi, fin dai suoi primi albori, come un’aureola, dell’austero copricapo!
Pastrengo, Santa Lucia, Staffalo, Sommacampagna, Custoza, videro, nell’infuriare della battaglia, il nero e largo cappello. E se anche nelle giornate tremende del Carso, di Col di Lana, del Grappa, dell’Isonzo, del Piave e nelle tormentate retrovie, il cappello del carabiniere ancora comparve, maestoso e solenne, ammantato del glorioso grigio verde, nella sanguinosa ascesa del Calvario 19 luglio 1915 il cappello cedette il suo posto al berretto, più adatto all’assalto ed al corpo a corpo!
Pastrengo e Podgora: cappello e berretto; ma quanta differenza - allora ed ora - nei mezzi di offesa e di difesa, quante innovazioni in quest’arte terribile della guerra! Il progresso con le sue esigenze e con le sue necessità aveva dato uno strappo alla tradizione; strappo salutare però, che ci rende pensosi e che, oggi, più che mai ci fa intendere la verità racchiusa nel concetto: «la tradizione è una grande forza, ma se non viene aggiornata e vivificata, essa finisce per imbalsamare i cervelli e le istituzioni». E l’Arma nostra che non voleva né poteva mummificarsi, avvertiva imperioso questo bisogno di rinnovamento.
Chi di noi non ricorda le dolorose giornate del dopoguerra? Anche allora il capello apparve sulle insanguinate piazze d’Italia, e noi vedemmo i nostri carabinieri nei lunghi e faticosi servizi di ordine pubblico, stretti nei loro vestiti, quasi strozzati dal fastidioso ed oppressivo colletto, col pesante cappello, sostare, lungamente, nei portoni o nei commissariati di P.S., nell’attesa snervante di essere utilizzati. E quando giungeva, poi, quel momento, che tragedie e che scompigli! Cappelli che andavano all’aria, vestiti ed armi ingombranti che impacciavano, che fatica e che sudate e quanto spreco di energie!
Occorreva sì, aggiornarsi! Bisogna avere il coraggio di confessarlo: noi ci eravamo soverchiamente attardati... nella tradizione. Anche noi, è vero, in questi ultimi tempi, avevamo camminato, ma non bastava camminare, bisognava correre, ché, oggi, correre, significa vivere e progredire. Ma per fortuna e sopratutto per volontà e genialità di quelli che oggi reggono le sorti dell’Arma, una forza nuova e vivificatrice è stata immessa nel nostro sangue. Non più indugi di pedanti, né minuzie di mentalità sorpassate, e se anche il carabiniere che «gl’italiani unanimi» vollero glorificato e immortalato nel bronzo nella «regal Torino», aveva infranto le norme regolamentari e con profetica visione aveva indossata la bandoliera sul vestito «di piccola» noi non gridammo allo scandalo, né iniziammo - come pure qualcuno avrebbe voluto - la pratica per punirlo e per colpire le responsabilità riflesse del comandante della stazione! No, questo non facemmo, giacché nell’aria vivificata già respiravamo i tempi nuovi, che anche per l’Arma nostra finalmente si annunziavano. Oggi non si viaggia più nella sgangherata diligenza ma sulle velocissime «littorine» e sulle ancor più veloci «Balilla» e la lenta pattuglia è sorpassata dalla rapidissima perlustrazione, che percorre in motocicletta, in ogni ora, città e campagne.
E con i colpi mortali alle... ingombranti e pesanti pratiche burocratiche: l’adozione della nuova uniforme la quale, se ha lasciato alla tradizione un posto di primo piano, ha pure concesso al nostro silenzioso combattente di ogni giorno di godere al pari di tutte le altre truppe quella «grande gioia di sentire il collo libero», secondo l’efficace espressione di un illustre generale.
E la nuova divisa, elegante nella sua linea, pratica nell’uso, ha già conquistato il favore delle popolazioni, che ammirano i loro carabinieri, - berretto leggermente inclinato sulle ventitré -, corretti ed irreprensibili, coi guanti calzati sempre bianchi, col nodo impeccabile della nera cravatta che spicca sulla nitida camicia!!
L’innovazione non ha, per altro, ripudiato l’antico e l’abito con le falde e il tradizionale cappello, maestoso e solenne, ritorneranno ogni qualvolta una ricorrenza solenne, un servizio rappresentativo, una cerimonia, una parata, chiameranno in ausilio l’alto prestigio… della tradizione.