• >
  • Media & Comunicazione
    >
  • Rassegna dell'Arma
    >
  • La Rassegna
    >
  • Anno 2007
    >
  • N.1 - Gennaio-Marzo
    >
  • Legislazione e Giurisprudenza
    >

Corte dei Conti

Responsabilità amministrativa - Danno all’immagine - Condotta criminosa del dipendente - Sussistenza.

Corte dei conti - Sicilia, sez. giurisd., sent. 9 novembre 2006, n. 3227 (c.c. 20 settembre 2006), Pres. Topi, Rel. Zingale, P. M. c. D. I.

La persona giuridica pubblica, per effetto del comportamento genericamente illegittimo o illecito tenuto da un proprio dipendente, ben può subire un danno alla propria immagine, rientrante nella categoria del c.d. “danno esistenziale”, inteso come lesione di interessi costituzionalmente garantiti inerenti la persona, sia fisica sia giuridica (1).

(1) Si legge quanto appresso in sentenza:
“Nel merito rileva il collegio che sussistano tutti gli elementi per l’affermazione della responsabilità amministrativa del convenuto.
Ai sensi dell’art. 651 c.p.p. la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale.
L’art. 654 c.p.p. stabilisce, poi, che nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa. In tale senso la pronuncia irrevocabile di condanna resa nel giudizio penale a seguito di dibattimento in ordine ai medesimi fatti oggetto del giudizio di responsabilità amministrativa ha efficacia di giudicato in quest’ultimo giudizio quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso, venendo così preclusa al giudice contabile ogni diversa assunzione che venga a collidere con i presupposti logico-giuridici, espliciti o impliciti, le risultanze e le affermazioni conclusionali della pronuncia penale in ordine ai fatti vincolanti (Corte dei Conti Sicilia, sez. giurisdiz., 20/09/2001, n.203/A).
Per quanto afferisce al danno all’immagine, ipotizzato nell’atto di citazione, reputa il Collegio, conseguentemente, che il comportamento in concreto addebitato al convenuto sia stato idoneo, in relazione alla gravità dello stesso, a ledere l’immagine della pubblica amministrazione di appartenenza […]. In tema di danno all’immagine la Corte di Cassazione ha ormai più volte affermato che, se la persona giuridica, per sua natura, non può subire dolori, turbamenti od altre similari alterazioni, è tuttavia portatrice dei diritti immateriali della personalità, ove compatibili con l’assenza della fisicità, e quindi dei diritti all’esistenza, all’identità, al nome, all’immagine ed alla reputazione (Cass. civ., sez. I, 29/10/2002, n. 15233; Cass. civ. (Ord.), sez. un., 20/11/2003, n. 17674). Nel solco di tale orientamento la Corte dei Conti ha più volte affermato la possibilità che anche la persona giuridica pubblica, per effetto del comportamento genericamente illegittimo o illecito tenuto da un amministratore o da un pubblico dipendente, possa subire una tale tipologia di danno, rientrante nella categoria del c.d. “danno esistenziale”, inteso come lesione di interessi costituzionalmente garantiti inerenti la persona, sia fisica che giuridica.
Al riguardo si è osservato che il danno all’immagine deve essere individuato come danno evento: da tale classificazione consegue che la prova della lesione è “in re ipsa”, essendo comunque necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale) nella quale il risarcimento deve essere equitativamente commisurato (Corte dei Conti, 23 aprile 2003, n. 10).
Si è poi rilevato che “è di tutta evidenza che il danno alla immagine debba essere sempre provato, non potendo derivare automaticamente dal riconoscimento della illiceità del comportamento cosicché ai fini risarcitori o riparatori la potenzialità dannosa della condotta va saggiata nei singoli casi. Assumono rilievo in relazione all’an ed al quantum del danno all’immagine i seguenti elementi: l’attività dell’ente, organo, ufficio dell’autore del danno; la posizione funzionale dell’autore dell’illecito, che assume maggior gravità in caso di posizione di vertice; la sporadicità o la continuità o la reiterazione dei comportamenti illeciti; la necessità o meno di interventi sostitutivi o riparatori dell’attività illecitamente tenuta; in ipotesi di tangenti, l’entità del denaro ricevuto; la negativa impressione nell’opinione pubblica, tale da suscitare sfiducia nei confronti dell’ente” (Corte dei conti Sez. Giurisdiz. d’appello per la Regione Siciliana n. 61 del 18/1/2005, pubblicata il 9 marzo 2005).
Nella fattispecie, la condotta del convenuto, per la gravità del reato commesso (favoreggiamento nei confronti di appartenenti al sodalizio criminoso-mafioso) ha certamente determinato, anche in considerazione del tipo di attività da lui svolta e della posizione di vertice ricoperta, una minore credibilità e prestigio per la P.A. ed una diminuzione di potenzialità della sua capacità operativa, ingenerando altresì nei cittadini la convinzione di una distorta organizzazione dei pubblici poteri. è ovvio che la determinazione deve essere fatta in via equitativa, ex art. 1226 c.c., o in base ai costi di ripristino del bene, sotto il profilo del danno emergente - costi del mancato conseguimento della finalità pubblica, dell’inefficienza e inefficacia dell’organizzazione, ecc. - o del lucro cessante - sotto il profilo dei vantaggi derivanti alla P.A. dell’adesione della generalità dei cittadini, ma potrà fondarsi su prove anche presuntive od indiziarie.
Il Collegio è chiamato, in definitiva, attraverso il suo equo apprezzamento, a fornire una valutazione della riparazione del danno che non è e non potrà mai essere un preciso equivalente alla lesione dell’interesse colpito, ma che si configura - sul piano del giudizio equitativo di cui al citato art. 1226 c.c. - come un “corrispettivo non soltanto di carattere riparatorio dell’immagine lesa”, che tiene conto di tutte le circostanze del caso particolare, atte a motivare adeguatamente il “quantum” individuato secondo equità.
In virtù di tali considerazioni, ritiene, quindi, il Collegio di potere ampiamente aderire alla quantificazione del danno operata dal P.M. nella misura di ¤ 150.000,00. Si rileva, infatti, che la condotta criminale si è protratta dal 1982 e per tutta la durata della permanenza in carica del D., fino al 1989. Ben può affermarsi che in quel periodo il D. ebbe, quindi, due datori di lavoro, lo Stato, verso il quale risultò essere infedele, e la Mafia, ai cui fini piegò e strumentalizzò la propria attività istituzionale di soggetto che, invece, avrebbe dovuto perseguire e reprimere quel fenomeno di criminalità organizzata. Le retribuzioni percepite dal D. in quel periodo dallo Stato, ammontano di certo (e ciò costituisce fatto notorio in relazione alla qualifica professionale da lui posseduta) ad un importo ben maggiore di quello oggi richiesto dal P.M. quale danno all’immagine, e ciò può costituire un sicuro parametro di riferimento per la quantificazione del danno all’immagine. L’utilità degli stipendi ed accessori pagati al D. è stata, infatti, ampiamente sminuita dallo sviamento della funzione da lui posta in essere e tale decremento di utilità può essere assunto a base della valutazione equitativa richiesta dal P.M. Attesa la natura dolosa del comportamento e la particolare odiosità di quest’ultimo in relazione alle funzioni di prevenzione e repressione del fenomeno mafioso che avrebbe, invece, dovuto svolgere il D., non ritiene il Collegio che sussistano i presupposti per un qualunque esercizio del potere riduttivo. La condanna deve essere, quindi, determinata, in via equitativa, in ¤ 150.000,00, comprensiva di rivalutazione monetaria, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al soddisfo. La condanna alle spese segue la soccombenza.”

Brevi note sul danno all’immagine di una pubblica amministrazione.

1. L’immagine della pubblica amministrazione come bene giuridico.

La sentenza in commento consente di svolgere alcune considerazioni sul cosiddetto danno all’immagine della pubblica amministrazione. Prima ancora di illustrare nelle sue caratteristiche generali questo particolare tipo di danno erariale, è opportuno analizzare il concetto di immagine rilevante ai fini della tutela giuridica(1). Per “immagine” come bene giuridico da tutelare deve intendersi in questa sede la reputazione e la credibilità della persona giuridica pubblica in sé considerate(2). Reputazione e credibilità conferiscono un contenuto positivo o di valore al concetto di immagine qui accolto(3), in quanto la reputazione sottintende la considerazione altrui, sentita in modo convenzionale come giusta e retta misura della qualità o, più comunemente, della moralità(4), mentre la credibilità aggiunge al primo concetto il valore del prestigio personale, della stima acquistata con una condotta irreprensibile che rende il soggetto degno di fede e pienamente attendibile(5). In sostanza, viene in rilievo un concetto sociale di immagine, tanto più importante quanto più si tenga presente la rilevanza pubblica del soggetto giuridico di cui vengono predicate reputazione e credibilità. Nell’attuale società dell’immagine, in cui è più importante la percezione sociale che il reale valore in sé, la reputazione e la credibilità assumono un ruolo strategico.
Al di là di questa generica notazione, bisogna - inoltre - tener conto della particolare posizione sociale di ciascuna organizzazione pubblica, poiché l’immagine è anche intimamente connessa con la funzione che quest’ultima svolge. L’importanza della funzione svolta, l’ambito di rilevanza pubblica della stessa, i concreti interessi perseguiti e la loro diretta convergenza con i fini pubblici essenziali sono tutti fattori che contribuiscono a connotare l’immagine pubblica dell’organizzazione di riferimento e a darle un contenuto di valore ben preciso(6).
Le organizzazioni pubbliche che agiscono in campo sociale hanno necessità di godere della fiducia, della vicinanza e della stessa collaborazione dei cittadini, quindi hanno la necessità di coltivare ed accrescere la loro credibilità, in ultima analisi, il loro prestigio.
Il prestigio come immagine positiva consolidata nel tempo diventa un bene organizzativo, funzionale ai compiti pubblici da svolgere. Non è solo un bene formale, la cui utilità può indirettamente saggiarsi dal gradimento del pubblico o dalla reputazione sociale goduta, elementi che contribuiscono a rendere il servizio prestato maggiormente tollerato, o accettato, o gradito, o - addirittura - richiesto e invocato.
Il prestigio garantisce anche l’interattività del servizio, quando il rapporto con il pubblico è un momento fondamentale e irrinunciabile per il buon esito della funzione pubblica considerata. Quando il cittadino non è solo, o prevalentemente, cliente di un servizio, ma parte attiva di un processo di cooperazione e di convivenza civile, l’organizzazione pubblica a ciò deputata, ha bisogno di una costante relazione intersoggettiva con tutti gli attori di questo processo dinamico(7).
Questa relazione per non interrompersi o attenuarsi ha necessità di un rapporto fiduciario, per il quale il referente pubblico deve sempre essere credibile, deve - cioè - mantenere alto il suo prestigio. In questo contesto le organizzazioni di polizia, che non a caso assumono sempre un profilo istituzionale, rappresentano le organizzazioni pubbliche per le quali la reputazione e la credibilità rappresentano un valore organizzativo e, ancor più, funzionale ai compiti di salvaguardia e tutela della sicurezza dei cittadini.
La sommaria analisi sociologica chiarisce allora il valore giuridico dell’immagine (o più correttamente del prestigio(8)) come bene di ogni amministrazione pubblica e consente di rendere maggiormente comprensibile la sua diretta rilevanza sul piano del diritto con il collegamento all’art. 97 Cost. dove viene stabilito che la pubblica amministrazione deve essere organizzata in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità della stessa, sia - cioè - efficiente, efficace, economica e trasparente(9). Il riverbero legislativo della norma costituzionale, materializzatosi principalmente nell’art. 1, l. 7 agosto 1990, n. 241, chiarisce ancor meglio l’importante indicazione normativa. Ancor più, bisogna tenere presente come l’immagine sia stata definitivamente consacrata come bene di rilevanza giuridica, con un ben preciso contenuto anche economico, dalla disposizione di cui all’art. 1, l. 7 giugno 2000, n. 150, dove viene stabilito che le attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni sono finalizzate, tra l’altro, a favorire l’accesso ai servizi pubblici, favorendone la conoscenza, e a promuovere l’immagine delle stesse amministrazioni(10).

2. Il danno all’immagine come ipotesi di danno erariale.

La giurisprudenza ha ormai da tempo elaborato la nozione di danno all’immagine di una pubblica amministrazione come danno erariale(11). È stato rilevato che il cosiddetto danno all’immagine, derivante alla persona giuridica pubblica dalla condotta illecita dei propri dipendenti, scredita l’amministrazione pubblica ed è riconducibile alla nozione di danno erariale, dato che presenta tutti i presupposti di una valutazione patrimoniale del danno in questione, in special modo sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso(12). D’altra parte, è stato più volte rilevato che, se la persona giuridica, per sua natura, non può subire dolori, turbamenti od altre similari alterazioni, è tuttavia portatrice dei diritti immateriali della personalità, ove compatibili con l’assenza della fisicità, e quindi dei diritti all’esistenza, all’identità, al nome, all’immagine ed alla reputazione(13). In particolare, il danno all’immagine è stato ritenuto rientrante nella categoria del cosiddetto “danno esistenziale”, inteso come lesione di interessi costituzionalmente garantiti inerenti la persona, sia fisica sia giuridica(14). La categoria del danno esistenziale è stata concepita proprio per ampliare l’ambito di tutela della persona, fisica o giuridica, riconoscendo e garantendo quest’ultima come valore in sé, non necessariamente legato ad una concreta e specifica capacità produttiva, economicamente valutabile(15). Sul piano pubblicistico è stato anche rilevato che il danno esistenziale per una pubblica amministrazione si pone come danno all’esistenza stessa dello Stato, alla sua capacità di fondare il senso di appartenenza alle istituzioni e alla sua capacità di agire secondo le previste finalità istituzionali(16).
Particolare aspetto di questo tipo di danno è l’esatta configurazione del carattere della patrimonialità dello stesso(17). In particolare, la costante giurisprudenza inquadra il danno all’immagine nella categoria del danno evento (differenziata rispetto a quella del danno conseguenza), per il quale quest’ultimo sussiste in quanto intrinsecamente connesso con la stessa lesione all’immagine e al prestigio di una pubblica amministrazione. In sostanza non vi sarebbe bisogno di accertare le eventuali conseguenze dannose della lesione in questione (come sarebbe necessario in caso di danno conseguenza), ma è sufficiente acclarare l’avvenuta lesione de qua(18). In pratica, come affermato dalla stessa sentenza in commento, la prova della lesione è in re ipsa, anche se ciò non esime dalla ulteriore e necessaria prova dell’entità del danno, costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale).
Altro elemento caratteristico del danno all’immagine è la sua natura contrattuale, per la quale si presenta come illecito proprio, connesso cioè con la violazione dei doveri funzionali da parte di un pubblico dipendente(19). In particolare, si è evidenziato che il danno all’immagine di una pubblica amministrazione costituisce danno erariale in quanto sia commesso da un pubblico dipendente, in occasione dell’esercizio delle sue funzioni, in violazione delle regole di imparzialità e buon andamento costituzionalmente stabilite, per fini ultronei rispetto a quelli istituzionali e sostanzialmente egoistici. Il comportamento in oggetto, poi, deve avere come caratteristica intrinseca quella di creare discredito e sfiducia nell’amministrazione interessata da parte dei cittadini o del pubblico in genere, dovuti anche al clamore che la vicenda ha suscitato in pubblico (il cosiddetto strepitus fori)(20).
Per quanto riguarda, infine, la condotta illecita del pubblico dipendente, è stato costantemente affermato che la stessa, per poter essere concretamente lesiva del bene immagine, deve consistere essenzialmente in comportamenti contrari ai principi fondamentali di organizzazione e di azione costituzionalmente rilevanti(21).

3. La quantificazione del danno.

Il problema della quantificazione del danno all’immagine (il cosiddetto quantum) è problema ulteriore e diverso rispetto a quello dell’accertamento della sussistenza del danno (il cosiddetto an).
L’individuazione delle caratteristiche del danno erariale in argomento e dei suoi elementi strutturali è questione solo parzialmente diversa dall’identificazione degli elementi che contribuiscono a connotare il quantum del danno(22). In effetti, il giudice contabile, come nella sentenza in commento, in sede di accertamento del danno ha affermato che lo stesso debba essere sempre provato, non potendo derivare automaticamente dal riconoscimento della illiceità del comportamento del pubblico dipendente, cosicché - ai fini risarcitori o riparatori - la potenzialità dannosa della condotta va saggiata nei singoli casi concreti. A tale riguardo, assumono rilievo in relazione sia all’an sia al quantum del danno all’immagine alcuni elementi che ricorrono con una certa frequenza, tra i quali è opportuno citare: l’attività dell’ente, dell’organo o dell’ufficio dell’autore del danno; la posizione funzionale dell’autore dell’illecito, che assume maggior gravità in caso di posizione di vertice all’interno dell’organizzazione pubblica considerata; la sporadicità o, al contrario, la continuità o la reiterazione dei comportamenti illeciti; la necessità o meno di interventi sostitutivi o riparatori dell’attività illecitamente tenuta. In dottrina si è distinto tra elementi oggettivi, soggettivi e sociali, i quali costituiscono nel loro complesso i criteri a disposizione del giudice contabile per la quantificazione in concreto del danno(23). Nei primi si fa rientrare: la gravità dell’illecito, correlata soprattutto al valore leso, espressivo in concreto della peculiare immagine della pubblica amministrazione interessata; le modalità di realizzazione dell’illecito; l’eventuale reiterazione dello stesso; l’entità dell’indebito vantaggio conseguito dall’autore dell’illecito. Gli elementi soggettivi sono essenzialmente connessi con la posizione dell’autore dell’illecito all’interno della pubblica amministrazione considerata, cioè il ruolo dello stesso nell’organizzazione funzionale del soggetto giuridico pubblico, la sua capacità di rappresentare la stessa amministrazione e l’ambito spaziale in cui si esplica la rappresentanza e, infine, la sua capacità di coinvolgere ulteriori pubblici dipendenti, attraverso l’eventuale preminenza gerarchica o direttiva. Per quel che riguarda i criteri sociali sono ritenuti specialmente rilevanti: la dimensione territoriale in cui opera l’amministrazione pubblica danneggiata; la sua rilevanza socio-economica; le peculiari funzioni svolte in relazione anche alla sfera di influenza dell’attività istituzionale; l’ampiezza della diffusione e del risalto dato all’illecito.
Nella fattispecie in esame, viene in evidenza coma la condotta del convenuto abbia determinato un effettivo danno all’immagine dell’amministrazione di appartenenza, in relazione ad un complesso di elementi tenuti presenti dal giudice contabile: innanzitutto, la gravità oggettiva dell’illecito, correlata al reato commesso (favoreggiamento nei confronti di appartenenti al sodalizio criminoso-mafioso), alle modalità con le quali lo stesso è stato integrato e, soprattutto, al valore leso, espressivo in concreto della peculiare immagine della pubblica amministrazione interessata che, nel caso di specie, è un’organizzazione di polizia che ha il precipuo compito di prevenire e reprimere proprio le attività illecite di natura penale; inoltre, è stata valutata anche la posizione di vertice ricoperta dal convenuto nell’ambito dell’organizzazione pubblica lesa. In sostanza, è stato accertato che la condotta in questione ha comportato una minore credibilità e una lesione del prestigio per la Pubblica Amministrazione, con una conseguente diminuzione di potenzialità della sua capacità operativa, indirettamente minata anche dall’aver ingenerato nei cittadini la convinzione di una distorta organizzazione dei pubblici poteri e la sfiducia nelle pubbliche istituzioni.
È costante, poi, l’affermazione della determinazione del danno in via equitativa, ex art. 1226 c.c.(24), che può integrare (o meno) la stessa determinazione in termini di costi sostenuti per il ripristino del bene vulnerato, sia sotto il profilo del danno emergente - costi del mancato conseguimento della finalità pubblica, dell’inefficienza e inefficacia dell’organizzazione, ed altro ancora - sia sotto quello del lucro cessante, per quel che riguarda in particolare il profilo dei vantaggi derivanti alla P.A. dell’adesione della generalità dei cittadini. La giurisprudenza, d’altronde, non esclude anche la possibilità che la determinazione del quantum possa fondarsi su prove presuntive od indiziarie.

4. Il danno all’immagine tra responsabilità amministrativa e responsabilità disciplinare.

Il sommario esame della fattispecie di danno all’immagine, come emerge dall’elaborazione giurisprudenziale, pone in evidenza la finalità latamente sanzionatoria e repressiva, più che risarcitoria, della responsabilità amministrativa. Le nuove figure di danno all’immagine, danno da tangente e danno da disservizio, rappresentano aspetti sintomatici di questa nuova configurazione della responsabilità amministrativa, concepita come istituto diretto alla tutela degli interessi generali della comunità statale(25). Un tipo di responsabilità, quindi, che somiglia molto di più alla responsabilità disciplinare che alla responsabilità amministrativo-contabile. In particolare, l’ampiezza dei poteri riconosciuti al giudice contabile in sede di accertamento del danno all’immagine, nei suoi profili oggettivi e soggettivi, la possibilità di una valutazione equitativa dell’ammontare del danno stesso, il potere di riduzione dell’addebito in presenza di circostanze che determinano una diminuzione della colpa del responsabile del danno, sono tutti elementi che indurrebbero a pensare alla responsabilità amministrativa come istituto finalizzato alla prevenzione e repressione di illeciti commessi dai pubblici dipendenti in danno dell’amministrazione di appartenenza.
D’altra parte, è stato autorevolmente rilevato come la responsabilità per danno all’immagine più che alla commissione di un illecito penale dovrebbe essere connessa all’inosservanza dei doveri propri del pubblico dipendente, con particolare riguardo ai doveri di fedeltà, lealtà e correttezza(26). In sostanza, non è necessario che la trasgressione ai doveri d’ufficio del pubblico dipendente abbia sempre e comunque rilevanza penale, sia cioè correlata a particolari ipotesi delittuose, come quelle contemplate nel codice penale al libri II titolo II capo I(27), ma è sufficiente che si riscontri un’infrazione ai doveri d’ufficio che comporti una precisa responsabilità disciplinare.
A tale riguardo, si tenga presente che in ambito militare esistono peculiari doveri attinenti al grado rivestito, di cui all’art. 10 del Regolamento di disciplina militare (R.D.M.). In base alla normativa disciplinare, il militare ha il dovere di tenere in ogni circostanza una condotta esemplare ed onorevole. Questo specifico dovere si trova contemplato, così come formulato, nell’art. 36, comma 1, R.D.M. La norma obbliga il militare a tenere in ogni circostanza una condotta esemplare per uno scopo ben preciso: la salvaguardia del prestigio delle Forze armate (la salvaguardia, cioè, della reputazione e della credibilità delle Forze armate). Il dovere di salvaguardia del prestigio dell’istituzione militare di appartenenza costituisce un dovere attinente al grado rivestito (art. 10 R.D.M.), perciò - in quanto tale - da osservare incondizionatamente da parte del militare in servizio attivo alle armi(28). Possiamo affermare con certezza, allora, che il dovere di tenere una condotta esemplare ed onorevole (finalizzata alla salvaguardia del prestigio delle Forze armate) sia un dovere attinente alla posizione di militare in servizio attivo alle armi e come tale un dovere connesso con lo stesso stato giuridico di militare. L’importanza dell’art. 36 R.D.M., in combinato disposto con l’art. 10 R.D.M., al fine di comprendere appieno il concetto di prestigio dell’istituzione e, conseguentemente, le ipotesi di lesione di questo bene immateriale, ma straordinariamente importante per le Forze armate in termini di immagine, esterna ed interna, di fiducia accordata dai cittadini e dagli stessi appartenenti all’istituzione e, indirettamente, di efficienza organizzativa e funzionale, non si limita alla formulazione del suo 1° comma. Ancor più del comma 1, il comma 2 dell’art. 36 R.D.M. dà una positiva indicazione di quello che dovrebbe essere un comportamento esemplare ed onorevole, cioè l’improntare il proprio contegno al rispetto delle norme che regolano la civile convivenza. Rispettando queste norme non solo si evitano lesioni del prestigio dell’istituzione, ma si tiene costantemente una condotta esemplare.
La violazione delle prescrizioni contenute nell’art. 36 R.D.M., però, non sempre costituisce una violazione del prestigio dell’istituzione: può essere indice di questa lesione quando al comportamento tenuto si legano elementi estrinseci come la negativa risonanza pubblica conseguente all’episodio che vede coinvolto un militare.
La lesione del prestigio dell’istituzione, cioè un comportamento disonorevole disciplinarmente sanzionabile, si configura perciò quando la condotta del singolo riverberi negativamente sull’istituzione in termini di apprezzamento o di giudizio negativo per il comportamento tenuto. Il singolo, in quanto appartenente all’istituzione, è anche l’immagine individuale della stessa, dei suoi valori, della sua rilevanza sociale: perciò il pubblico si aspetta da lui sempre un comportamento esemplare e rispettoso delle regole della civile convivenza. Ecco, allora, che tramite la salvaguardia del prestigio dell’istituzione, rientrano in campo disciplinare comportamenti privati che non hanno un diretto ed immediato collegamento con il servizio, ma che infrangono regole di civile convivenza. Dobbiamo, però, avvertire che in dottrina si sono sollevati diversi dubbi sulla possibilità di punire comportamenti attinenti alla sfera privata, anche attraverso la norma di cui all’art. 10 R.D.M.(29).
è necessario, allora, circoscrivere la fattispecie di lesione del prestigio dell’istituzione, individuando esattamente gli elementi costitutivi della stessa. E’ importante, innanzitutto, che al fatto sia collegato sempre un effetto di risonanza pubblica (il cosiddetto strepitus), come precedentemente accennato.
Possiamo anche affermare che la lesione del prestigio dell’istituzione non si configura in tutti i suoi elementi costituitivi quando il fatto, pur essendo indice di inosservanza delle regole della civile convivenza, non abbia una risonanza pubblica o, anche qualora l’avesse, non venga qualificato dalla circostanza che a commetterlo sia un militare, in quanto questa circostanza non emerga.
Bisogna, a questo punto, intenderci per risonanza pubblica (negativa), poiché - letteralmente - si potrebbe ipotizzare che questa si abbia solo quando l’evento sia a conoscenza di un numero più o meno rilevante di persone. L’ambito più o meno esteso di conoscenza dell’ipotesi di lesione al prestigio dell’istituzione è sicuramente una circostanza che aggrava la condotta, ma per la realizzazione della fattispecie antidisciplinare è sufficiente che anche un numero ristrettissimo di persone (anche una sola?(30)) sia a conoscenza diretta del fatto. Ecco, allora che la possibilità di contestare la lesione del prestigio dell’istituzione si collega soprattutto a circostanze oggettive di risonanza pubblica che emergono dagli usuali strumenti di conoscenza collettiva (stampa, radiotelevisione ed altro ancora) o istituzionale (sentenza di un giudice penale da cui emerga la qualità di militare del condannato(31), relazioni di pubbliche autorità su comportamenti negativi di militari ed altro ancora).
Possiamo a questo punto semplificare, elencando alcune condotte che, almeno statisticamente, hanno spesso comportato la lesione del prestigio dell’istituzione. Dall’analisi della giurisprudenza si può tener conto delle seguenti fattispecie:
- il contrarre relazioni od amicizie non confacenti agli obblighi di serietà e decoro che devono essere osservati anche nella vita privata(32);
- l’uso smodato di bevande alcoliche o l’uso di sostanze stupefacenti, di cui al n. 426 RGA, comma 1, secondo alinea(33). Si avverte che l’uso di sostanze che possano alterare l’equilibrio psichico costituisce, per se stesso, ai sensi dell’art. 36, comma 3, lett. d), R.D.M., illecito disciplinare, al di là di un’eventuale, concorrente, lesione al prestigio dell’istituzione(34);
- i debiti non onorati o contratti con persone controindicate moralmente o penalmente(35).
L’elencazione è meramente esemplificativa(36), senza dimenticare che anche vicende di carattere penale ben possono comportare in se stesse una lesione al prestigio dell’istituzione(37).
Problema ulteriore è la valutazione dell’eventuale danno erariale riscontrabile in un comportamento disciplinarmente rilevante che ha leso il prestigio dell’istituzione di appartenenza. La questione meriterebbe un approfondimento maggiore sia in relazione al fatto che la lesione del prestigio dell’istituzione in ambito militare è un’ipotesi di violazione di doveri d’ufficio, da intendere in senso molto lato, sia in relazione al reale danno (patrimoniale, non patrimoniale, morale) che verrebbe arrecato all’amministrazione militare dal comportamento disdicevole del suo singolo appartenente.
Per quanto riguarda la prima questione, è difficilmente configurabile una condotta illecita legata da occasionalità necessaria con i compiti di servizio(38), in caso di comportamenti tenuti al di fuori di qualsiasi attività di servizio.
In relazione alla prova del danno le difficoltà sono ancor più evidenti per tutte quelle condotte che assumono rilevanza disciplinare solo in riferimento al peculiare stato giuridico dei militari.

Ten. Col. CC Fausto Bassetta

_________________
(1) - Non si tiene conto in questa sede del diritto all’immagine, di cui all’art. 10 c.c. e all’art. 96, l. 22 aprile 1941, n. 633, riguardante le persone fisiche.
(2) - Si legga la seguente definizione di immagine intesa in senso estensivo, tratta dal Devoto G. - Oli G. C., Il dizionario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 1995, 926: “L’idea generale del proprio modo di essere che un’istituzione o una persona fisica o giuridica o un dato ambiente suggeriscono a coloro con i quali sono in rapporto o, in generale, al pubblico, ovvero anche l’idea, l’opinione e in qualche modo il giudizio, che il pubblico o i terzi ne hanno o se ne formano”.
(3) - Il concetto di immagine in senso estensivo, come illustrato nella precedente nota, è una nozione neutra che può assumere indifferentemente una connotazione positiva o negativa. Dal punto di vista giuridico è evidente che soltanto l’immagine positiva è un bene al quale va apprestata un’adeguata tutela.
(4) - Cfr.: Devoto G. - Oli G. C., Il dizionario, cit., 1624.
(5) - Cfr.: Devoto G. - Oli G. C., Il dizionario, cit., 516.
(6) - È stato evidenziato come l’esatta individuazione del bene immagine è strettamente connessa con il suo aspetto teleologico: F. M. Longavita - M. Longavita, Il danno all’immagine della P. A. come danno esistenziale, Rimini, Maggioli, 2006, 67.
(7) - È stato rilevato come il fondamento ultimo del danno all’immagine delle pubbliche amministrazioni sia la tutela della partecipazione del cittadino all’esercizio delle funzioni pubbliche, mediante le organizzazioni a ciò deputate, garantita a livello costituzionale dall’art. 2 Cost.: F. M. Longavita - M. Longavita, Il danno all’immagine della P. A., cit., 69 ss.
(8) - Il prestigio è appunto la “posizione di rilievo conferita dalla reputazione e dalla fama”: Devoto G. - Oli G. C., Il dizionario, cit., 1515. La tutela del prestigio della Pubblica Amministrazione è il fulcro dell’immagine pubblica come valore giuridico che non può essere ricostruito secondo modelli di diritto privati (il diritto all’immagine di cui all’art. 10 c.c.), ma secondo le peculiarità proprie riguardanti al responsabilità amministrativa: F. M. Longavita - M. Longavita, Il danno all’immagine della P. A., cit., 68 ss.
(9) - Sul fondamento giuridico del diritto all’immagine delle amministrazioni pubbliche: G. Mullano, Il danno all’immagine della P.A., in http://www. altalex.it/.
(10) - È stato rilevato che “le pretese spese di ripristino del bene-immagine leso sono ormai un costo fisiologico per la p. a. dopo l’entrata in vigore della l. 7 giugno 2000, n. 150 (in materia di comunicazione pubblica)”: V. Tenore, Responsabilità amministrativo-contabile del personale militare, in L’ordinamento militare (a cura di V. Poli - V. Tenore), II, Milano, Giuffrè, 2006, 852.
(11) - In dottrina: W. Cortese, La responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione, Padova, Cedam, 2004, 119 ss.
(12) - Cfr.: Cass. Civ., sez. un., sent. 4 aprile 2000, n. 98, in Foro it., 2000, I, 2791; Cass. Civ., sez. un., sent. 25 ottobre 1999, n. 744, in Giust. Civ. Mass., 1999, 2145; Cass. Civ., sez. un., sent. 25 giugno 1997, n. 5668, in Foro it., 1997, I, 2872; Corte conti, sez. I, sent. 18 giugno 2004, n. 222, in Giur. it, 2004, 1964.
(13) -  Così: Cass. Civ., sez. I, sent. 29 ottobre 2002, n. 15233.
(14) - Cfr.: Corte conti, sez. giurisd. Lombardia, sent. 25 giugno 2004, n. 887, in Riv. Corte conti, 2004, f. 3, 160; Corte conti, sez. giurisd. Emilia Romagna, sent. 16 ottobre 2003, n. 2156, in Riv. Corte conti, 2003, f. 5, 98. In dottrina: D. Bellantoni, Lesione dei diritti della persona, Padova, Cedam, 2000, 325 ss.; G. Mullano, Il danno all’immagine della P.A., cit.; W. Cortese, La responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione, cit., 177 ss.; V. Tenore, Responsabilità amministrativo-contabile del personale militare, cit., 850 ss.
(15) - Cfr.: D. Bellantoni, Lesione dei diritti della persona, cit., 326.
(16) - Cfr.: F. M. Longavita - M. Longavita, Il danno all’immagine della P. A., cit., 71 ss.
(17) - Cfr.: F. M. Longavita - M. Longavita, Il danno all’immagine della P. A., cit., 73 ss.; W. Cortese, La responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione, cit., 159 ss.
(18) - Cfr.: W. Cortese, La responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione, cit., 177 ss.; V. Tenore, Responsabilità amministrativo-contabile del personale militare, cit., 851 ss.
(19) - Cfr.: F. M. Longavita - M. Longavita, Il danno all’immagine della P. A., cit., 81 ss.
(20) - Cfr.: F. M. Longavita - M. Longavita, Il danno all’immagine della P. A., cit., 88 ss.; W. Cortese, La responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione, cit., 141 ss..
(21) - Cfr.: Corte conti, sez. I, sent. 20 settembre 2004, n. 334/A, in Dir. e Giust., 2004, f. 44, 112.
(22) - Cfr.: F. M. Longavita - M. Longavita, Il danno all’immagine della P. A., cit., 101.
(23) - Cfr.: F. M. Longavita - M. Longavita, Il danno all’immagine della P. A., cit., 103 ss; W. Cortese, La responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione, cit., 132 ss.
(24) - Sulla valutazione equitativa del danno: W. Cortese, La responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione, cit., 167 ss.; V. Tenore, Responsabilità amministrativo-contabile del personale militare, cit., 853 ss.
(25) -  Cfr.: G. Mullano, Il danno all’immagine della P.A., cit.
(26) - Sulla questione: W. Cortese, La responsabilità per danno all’immagine della pubblica amministrazione, cit., 153 ss.
(27) - Si tratta dei delitti commessi dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.
(28) - Da osservare, cioè, anche al di fuori di attività di servizio. Cfr.: art. 5 l. n. 382/1978.
(29) - Particolarmente critici su una ricostruzione interpretativa che, attraverso l’art. 10 R.D.M., consenta la possibilità di punire comportamenti privati: E. Boursier Niutta - A. Gentili, Codice di disciplina militare, Roma, Jasillo, 1991, 56. In senso ancor più drastico, si è anche affermato che “non rimane che prendere atto della singolare situazione venutasi a creare, per cui ai militari - i dipendenti dello Stato soggetti a più incisivi vincoli disciplinari - non sono applicabili sanzioni disciplinari di corpo per condotte irregolari nella vita privata …”: G. Mazzi, Art. 57, in S. Riondato (a cura di), Il nuovo ordinamento disciplinare delle Forze armate, Padova, Cedam, 19952, 378 ss. Per l’esatta comprensione della problematica, anche in relazione a spunti applicativi ed interpretativi di indubbio interesse: F. Caffio, Norme di comportamento del personale militare: aspetti etici e giuridici, in Informazioni Difesa, n. 6, 1994, 38 ss.
(30) - In Giurisprudenza si è rilevato che non può ritenersi condivisibile l’assunto che vuole non leso il prestigio dell’istituzione quando il fatto ha avuto una diffusione ristretta, affermando che vi è lesione del prestigio dell’istituzione solo con la diffusione della notizia: T.A.R. Calabria - Catanzaro, sez. I, sent. 2 febbraio 2006, n. 91 (c.c. 16 dicembre 2005), Pres. Mastrocola, Est. Iannini, M. A. c. Ministero Finanze.
(31) - Cfr.: T.A.R. Lazio - Roma, sez. I-bis, sent. n. 2227/2006 (c.c. 1° marzo 2006), Pres. Orciuolo, Est. Politi, M. M. c. Ministero Difesa.
(32) - Cfr.: T.A.R. Trentino - Alto Adige, Sez. Bolzano, sent. 9 luglio 2002, n. 341 (c.c. 29 maggio 2002), Pres. Demattio, Est. Falk Ebner; T.A.R. Sardegna, sez. I, sent. 3 novembre 2004, n. 1560 (c.c. 6 ottobre 2004), Pres. Turco, Est. Panunzio, A. S. c. Ministero Difesa; T.A.R. Sicilia - Palermo, sez. I, sent. 4 agosto 2005, n. 1428 (c.c. 1° luglio 2005), Pres. Giallombardo, Est. Valenti, M. G. c. Ministero Difesa.
(33) - Cfr.: T.A.R. Lazio - Roma, sez. I-bis, sent. n. 11083/2006 (c.c. 18 ottobre 2006), Pres. Orciuolo, Est. Politi, G. E. c. Ministero Difesa.
(34) - Sulla natura di illecito disciplinare dell’uso di sostanze stupefacenti e psicotrope: Cons. Stato, sez. IV, 30 ottobre 2001, n. 5868, in Foro it., 2002, III, 412.
(35) - Cfr.: T.A.R. Puglia - Bari, Sez. I, sent. n. 1428/2001 (c.c. 16 maggio 2001), Pres. Ferrari, Est.Spagnoletti.
(36) - Sono state considerate rilevanti per l’eventuale lesione del prestigio dell’istituzione anche: liti familiari o di condominio, nel caso in cui travalichino la sfera della vita strettamente privata ed emergano da rapporti o altri provvedimenti dell’autorità di polizia; le attività private svolte dai congiunti, svolte nella sede di servizio del militare o qualora sia accertata l’esistenza di rapporti commerciali fra familiari del militare e Forze armate, agevolati - indirettamente - dalla posizione dei militari stessi; le gravi violazioni di norme stradali, comunali, edilizie o fiscali sanzionate in via amministrativa, di cui sia venuto a conoscenza il comando di appartenenza. Per questa casistica: F. Caffio, Norme di comportamento del personale militare, cit., 42.
(37) - Cfr.: T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sent. 20 dicembre 2003, n. 930 (c.c. 20 novembre 2003), Pres. Sammarco, Est. Farina, D. T. c. Ministero Difesa; T.A.R. Lazio - Roma, sez. I-bis, sent. n. 2227/2006 (c.c. 1° marzo 2006), Pres. Orciuolo, Est. Politi, M. M. c. Ministero Difesa; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sent. 20 ottobre 2005, n. 825 (c.c. 6 ottobre 2005), Pres. Borea, Est. Farina, V. F. c. Ministero Difesa.
(38) - Cfr.: V. Tenore, Responsabilità amministrativo-contabile del personale militare, cit., 848.