Il traffico di esseri umani alla luce della normativa della Nato

Elisa Nicodamo
1. Il traffico di esseri umani

Il fenomeno migratorio ha caratterizzato la storia del nostro pianeta fin dagli albori dell’umanità: è stata proprio la ricerca di maggiori spazi e di climi più favorevoli a provocare lo spostamento, lento ma costante, dei primi ominidi che hanno quindi popolato, nel corso dei secoli e dei millenni, tutti i continenti. Questa ricerca non si è mai fermata, anche se si è diversificata nelle forme e nei luoghi di destinazione a seconda delle epoche storiche.Attualmente, il fenomeno migratorio ha assunto proporzioni globali. Il suo flusso è, poi, unidirezionale: dai luoghi più poveri verso quelli dove migliori sono le condizioni di vita. Questo significa sia spostamenti interni alle stesse entità statali (dalle campagne alle città), sia viaggi più lunghi, verso le regioni geografiche più ricche.Appare interessante notare, a questo proposito, come negli ultimi tre decenni le politiche migratorie di tutti i Paesi destinatari del flusso si siano sostanzialmente omogeneizzate verso una tendenza restrittiva: “Per quanto le politiche migratorie (degli Stati sviluppati) siano state storicamente molto variegate, esse tendono oggi ad essere simili in modo impressionante. Su un ipotetico continuum che va da confini aperti a confini chiusi, esse sono tutte raggruppate molto strettamente intorno al polo della chiusura”(1).

Tralasciando volutamente tutti gli aspetti politici che riguardano la questione, è qui opportuno mettere in evidenza che, in mancanza di vie d’accesso legali, coloro che vogliono emigrare trovano comunque altri mezzi per raggiungere il proprio obiettivo: utilizzando vie illegali. Queste si concretizzano in due fenomeni: lo smuggling of migrants(2) (SoM) e il traffico di esseri umani (Trafficking of Human Beings - THB).Nel corso dell’ultimo decennio, l’importanza che queste fattispecie di reato hanno iniziato a rivestire nella politica dei vari Paesi ha fatto sì che anche le grandi organizzazioni internazionali si interessassero direttamente della questione, tanto è vero che, alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità Organizzata Transnazionale, firmata a Palermo nel 2000, sono stati allegati due Protocolli aggiuntivi dedicati esclusivamente a queste tematiche(3).Questi Protocolli offrono una definizione univoca sia dello smuggling of migrants sia del traffico di esseri umani, fornendo così una base giuridica comune su cui operare per contrastare il fenomeno.Nel primo caso, lo SoM viene definito come “… la procura, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un beneficio finanziario o materiale, tramite l’ingresso illegale di un individuo all’interno di uno Stato membro, del quale l’individuo non sia nativo né vi abbia una residenza permanente”(4).Nel caso della tratta di esseri umani, ci si trova di fronte, invece, ad una realtà del tutto diversa, che implica più nello specifico lo sfruttamento degli individui.

Tale traffico è infatti stato definito dal “Protocollo per prevenire, sopprimere e punire il traffico di persone” come the recruitment, transportation, transfer, harbouring or receipt of persons, by means of the threat or use of force or other forms of coercion, of abduction, of fraud, of deception, of the abuse of power or of a position of vulnerability or of the giving or receiving of payments or benefits to achieve the consent of a person having control over another person, for the purpose of exploitation(5).Emerge chiaramente dalle due definizioni quali siano le principali differenze tra i due traffici: mentre l’immigrazione clandestina implica necessariamente l’attraversamento illegale di confini statali e prevede che ci sia l’aperto consenso da parte di coloro che vengono trasportati, nel caso del traffico di esseri umani questo può svolgersi ovunque, anche nello stesso Paese di appartenenza delle vittime. Ciò che però più caratterizza quest’ultima situazione è che la volontà di coloro che sono sottoposti alla tratta è del tutto ininfluente, come è esplicitato anche dalla stessa norma internazionale.Da un punto di vista giuridico, però, la distinzione è ben più profonda, dal momento che, nel primo caso si infrangono le leggi dello Stato, mentre nel caso del THB sono violati i diritti fondamentali di ogni essere umano(6).La definizione adottata dal Protocollo delle Nazioni Unite suggerisce una possibile divisione del THB in tre parti: una condotta-evento (atto), che si esplica nel reclutamento, trasporto, alloggio delle persone vittime della tratta; una condotta-modalità (mezzo), che consiste nella minaccia o nell’uso della forza e/o di altre forme di coercizione e di inganno; un obiettivo, che è quello dello sfruttamento.Le vittime provengono dai Paesi più poveri(7): per restare nel solo ambito europeo, di solito si tratta di Moldavia, Ucraina, Romania, Federazione Russa e Bulgaria(8). All’interno dei singoli Stati, ci sono ulteriori diversificazioni, poiché le giovani donne (tra i 18 e i 25 anni di età) che più facilmente cadono nelle mani dei trafficanti sono nate in cittadine di piccole o medie dimensioni ed hanno alle spalle bassi livelli di scolarizzazione, provegono da famiglie in gravi difficoltà economiche(9) e sono prive di un impiego, oppure ne hanno uno insoddisfacente(10).I trafficanti utilizzano i metodi di reclutamento più diversi: sebbene gli annunci di lavoro (come cameriere o baby-sitter) sulla carta stampata o via etere siano ancora in uso, negli ultimi anni ha iniziato a prevalere un approccio più diretto per avvicinare la possibile vittima(11), che prevede l’utilizzo di altre donne(12), oppure di giovani coppie. Questo metodo viene preferito poiché ha il vantaggio di ispirare fiducia nelle persone più deboli, ideali, cioè, per essere sfruttate e che possono essere tratte con maggior facilità in inganno. Proprio, dunque, per infondere un maggior senso di fiducia, spesso le persone utilizzate come adescatori provengono dallo stesso gruppo etnico o sociale, talvolta si tratta anche di persone già conosciute e considerate amiche. Le metodologie di trasporto della vittima variano poi a seconda dei casi. Molto spesso, le ragazze viaggiano da sole(13), con propri documenti d’identità(14).Nel caso in cui, tuttavia, ciò risultasse di difficile attuazione, esistono organizzazioni che forniscono falsi documenti d’identità, con i quali le donne possono ugualmente attraversare i confini(15). Se ciò non fosse possibile, o conveniente, la “merce” viene portata a destinazione facendo valicare illegalmente i confini, a piedi, in macchina o su qualunque altro mezzo di trasporto.Alla base di tutto il processo - dal trasporto, alla vendita, allo sfruttamento - ci sono atti di violenza. Questa si esplicita attraverso l’uso della forza, stupri e minacce ai famigliari. Tutto ciò permette ai compratori/sfruttatori un controllo totale sul prodotto che hanno acquisito ed una certa garanzia di sicurezza che non ci siano fughe o ripensamenti.Lo scopo è quello di trarre un vantaggio economico dalla vendita delle persone e, di conseguenza, ogni lavoro loro affidato può diventare remunerativo: dal lavoro forzato alla costrizione a mendicare, dalla schiavitù al trapianto d’organi. Soprattutto, però, si tratta di sfruttamento a sfondo sessuale: delle 600.000/800.000 persone che sono vittime del traffico ogni anno(16), circa l’80% sono giovani donne(17) che vengono utilizzate nell’industria del sesso. L’uso del termine “industria” non è scelto a caso. Coloro che si dedicano a questo tipo di commercio umano, infatti, agiscono come veri e propri imprenditori, interessati a massimizzare i profitti derivanti dal possesso di donne che vengono avviate alla prostituzione forzata. Come nel caso di qualunque merce, però, esistono condizioni e mercati più favorevoli di altri e la capacità dell’imprenditore consiste proprio nel cercare e nel gestire quelli più adatti e proficui. È per questa ragione che il THB è indirizzato soprattutto verso i Paesi più ricchi(18), e, anche all’interno di questi, verso le aree più prospere(19). Ma non solo. Come in tutte le teorie economiche, l’offerta si concentra dove la domanda è maggiore e quale luogo migliore, allora, di quelle aree disastrate dai conflitti e dove forte è la presenza della comunità internazionale, con la sua alta disponibilità finanziaria e uno scarso mercato locale in cui investire?La prostituzione, e di conseguenza anche il commercio di donne da avviare a questo mercato, costituisce uno dei risvolti negativi della maggior parte dei conflitti e, pressoché ovunque, si è riscontrato che il termine delle ostilità e l’arrivo della comunità internazionale tende a favorire questo evento(20). Ciononostante, la presente analisi sarà incentrata sulla regione balcanica(21), dove si trova il principale teatro d’operazioni della NATO e della quale si vuole analizzare la risposta al fenomeno(22).

2. La NATO e il THB: una minaccia alla sicurezza ed alla stabilità

Ci sono diverse ragioni che rendono più semplice e più proficuo il THB nelle regioni e nelle società destabilizzate dalla guerra e/o in transizione. Innanzitutto, il termine dei combattimenti non coincide, è ovvio, con un immediato ritorno alla normalità: gli ex combattenti, siano essi guerriglieri, miliziani o paramilitari, hanno perso ogni vantaggio, anche e soprattutto economico, che derivava dallo stato di belligeranza. Privi di altri scopi, con scarse risorse economiche e nella difficoltà di poter trovare un impiego, resta come possibilità quella di investire in altre attività, per lo più criminali.Inoltre, nelle aree colpite dalla guerra c’è una maggior facilità di reperire giovani donne da avviare alla prostituzione: molte di costoro possono essere già state vittime, durante il conflitto, di violenze e di stupri(23) e sono quindi soggetti particolarmente a rischio anche dopo il termine delle ostilità. Molte, in ogni caso, sono sole, socialmente isolate, estremamente vulnerabili dal punto di vista economico(24) e, talvolta, sono state allontanate o hanno volontariamente lasciato la propria abitazione, e vivono quindi nei campi profughi o come IDPs (Internally Diplaced Persons).Nel contempo, la presenza di appartenenti alla comunità internazionale (forze militari e civili, appartenenti alle diverse organizzazioni internazionali - ONU, NATO, OSCE - e alle ONG), spesso porta con sé la domanda di lavoro domestico e/o di prestazioni sessuali, a cui possono essere chiamate a rispondere dapprima donne del luogo e quindi straniere.A questo proposito, è opportuno ricordare ancora una volta che i trafficanti e i proprietari delle ragazze sono imprenditori: la “merce” dopo un periodo di tempo relativamente breve deve essere rivenduta, sia per garantire nuove opportunità agli avventori, sia per assicurare l’investimento(25). Per poter far ciò è indispensabile un afflusso costante e quindi non è possibile limitare i rifornimenti alle sole aree più vicine geograficamente. Soprattutto però è altissimo il livello di instabilità politica e sociale che permane dopo la conclusione formale del conflitto: l’economia è disastrata, ci sono altissimi livelli di disoccupazione, nonché una pressoché totale impunità che deriva da sistemi legislativi, giudiziari e da organi di polizia quasi del tutto inesistenti, se non semplicemente inefficienti.Tutto ciò favorisce lo sviluppo delle organizzazioni criminali che prendono il controllo della politica, della società e dell’economia, contribuendo a far proseguire quell’instabilità necessaria allo sviluppo delle loro attività e dei loro traffici illeciti. In effetti, il THB è diventato, nel corso degli ultimi anni, un’attività assai redditizia, proprio a causa delle restrizioni d’ingresso legale nei Paesi più ricchi. In particolare, i vantaggi per le organizzazioni criminali sono di due tipi: da una parte i profitti sono relativamente alti, dall’altra i rischi di arresto e di incriminazione sono di gran lunga minori di quelli di qualunque altra attività illecita. Molte legislazioni, infatti, sono ancora più concentrate nel fermare il migrante che nel contrastare il trafficante.La specializzazione dei gruppi criminali, inoltre, insieme alle loro capacità di coordinamento e di compartimentazione(26), rendono difficile seguire le rotte di volta in volta adottate per il trasporto. A ciò si aggiunge, poi, che vengono attraversati numerosi Paesi che hanno vari tipi di legislazioni, ed è nota l’abilità con cui le organizzazioni criminali sono in grado di sfruttare i differenti sistemi normativi ed il vacuum legis che si crea tra un ordinamento giuridico e l’altro.Tali difficoltà investigative aumentano nel momento in cui si deve operare in un contesto post-bellico, dove le forze di polizia locali, qualora esistenti, sono inefficienti, spesso corrotte, e dove mancano chiari riferimenti legislativi. Per quanto necessariamente breve, questa descrizione della situazione in un’area devastata da un conflitto permette di mettere in evidenza le principali problematiche che investono, in maniera diretta, le truppe della NATO che vi operano. È infatti opportuno ricordare che il primo e principale compito delle forze dell’Alleanza Atlantica schierate in teatro d’operazioni è quello di stabilire e mantenere un ambiente sicuro e stabile in cui operare(27). Questo si esplicita anche nel contrastare i fenomeni terroristici e criminali che operano in un dato territorio, e ciò anche attraverso la diretta eliminazione delle loro principali fonti di finanziamento: una di queste, assolutamente rilevante, è proprio il THB che, secondo stime, permette annualmente e in tutto il mondo, guadagni tra i 9,5 ed i 10 miliardi di dollari statunitensi(28).Il coinvolgimento - diretto o indiretto - di personale appartenente alla NATO nel THB ha come conseguenza non solo il finanziamento di quelle forze che sono tra le cause dell’instabilità e dell’insicurezza nel teatro d’operazioni, ma è in grado anche di minacciare la credibilità della missione e dunque della stessa sicurezza. In effetti, le truppe, o coloro che sfruttano le donne vittime del traffico, incorrono in un crimine. Questo, a sua volta, può facilitare la corruzione o il ricatto degli appartenenti alla missione, mettendo così a rischio l’operazione stessa. Ma non solo. Trattandosi di attività criminali, al THB è legata tutta una serie di altre attività illecite(29) in grado di costituire una minaccia alla stabilità dell’ambiente operativo. Inoltre, il comportamento illecito delle truppe mina la fiducia della popolazione locale nella forza di pace, rendendo difficili i rapporti ed ancor più arduo completare con successo il mandato. A quanto detto si aggiungono anche minacce di carattere sanitario; molto spesso, le ragazze vittime del traffico non hanno accesso a cure mediche e sanitarie: ciò può comportare e facilitare lo sviluppo e la diffusione di malattie veneree, della tubercolosi(30), di epatiti e dell’HIV/AIDS(31). Queste sono tra le principali ragioni che hanno spinto, nel 2003(32), l’Alleanza Atlantica ad affrontare con decisione la questione del THB, avviando una intensa campagna di sensibilizzazione al fenomeno e una politica di tolleranza zero sul tema.Quest’ultima si è concretizzata con l’adozione di una NATO policy on combating trafficking in human beings(33), con la quale gli Alleati non solo si impegnano a ratificare la Convenzione delle Nazioni Unite contro il Crimine Organizzato e i Protocolli ad essa allegati, ma anche a rivedere le proprie legislazioni nazionali in materia, al fine di renderle omogenee a quanto espresso da tale Convenzione(34).Le Nazioni dell’Alleanza Atlantica si assumono anche l’incarico di supportare le autorità del Paese ospitante la missione nella lotta al THB ed incoraggiano gli altri Stati contribuenti alla missione ad intraprendere simili decisioni per il contrasto di questo fenomeno, prima di entrare a far parte di operazioni a guida NATO(35).Un altro dei punti chiave messo in evidenza dalla policy è che gli appartenenti all’Alleanza concordano nell’istruire ed addestrare il personale che deve essere impiegato in una missione della NATO(36) sulle problematiche relative al traffico di esseri umani, sulla minaccia che esso rappresenta per il successo della missione, sulle proprie responsabilità e sui propri doveri a tale riguardo(37).Per questa ragione, l’Alleanza ha sviluppato:a) delle norme di comportamento per tutto il personale che è impegnato nelle missioni NATO(38), ma che non vi appartiene. Lo scopo di queste linee guida(39) è quello di definire gli standard di comportamento a cui le Forze operanti sotto l’egida della NATO devono attenersi in materia di THB(40) e, anche, quello di definire i parametri entro i quali questi contingenti possono sostenere le autorità della Nazione ospite(41). Infatti, alle truppe che operano sotto il comando e controllo della NATO è proibito prendere parte o facilitare in alcun modo il THB(42). Questi stessi effettivi devono supportare, entro le loro competenze ed il loro mandato, gli sforzi delle autorità della Nazione ospite nel combattere tale fenomeno(43). Per raggiungere questo fine, è necessario che le autorità della NATO e dei Paesi che partecipano alle diverse missioni adottino delle appropriate misure di attuazione, che si concretizzano in modi diversi a seconda che si tratti di Paesi facenti parti dell’Alleanza oppure delle Nazioni contribuenti:- nel primo caso, infatti, le autorità della NATO dovrebbero includere come requisito permanente lo sviluppo, all’interno dell’esistente dottrina sulle peace support operations (PSO)(44), di specifiche politiche affinché le Forze NATO sostengano gli sforzi delle autorità nazionali nel contrasto del THB. Nel contempo, che si creino dei specifici moduli formativi per il personale della NATO sulla tematica del THB: moduli, questi, che dovrebbero comprendere l’ausilio di esperti in materia anche appartenenti ad altre organizzazioni internazionali e/o ad ONG. Infine, che si sviluppino capacità valutative per analizzare i progressi fatti nella lotta al THB e, soprattutto, che si metta in atto un meccanismo atto a riportare, in modo trasparente e confidenziale, eventuali violazioni di appartenenti alle truppe dell’Alleanza Atlantica per ciò che concerne questo argomento(45);- nel secondo caso, invece, i Paesi contribuenti dovrebbero organizzare moduli di addestramento specifici sull’argomento per tutto il proprio personale. Questi corsi dovrebbero includere, oltre alla specifica tematica relativa al THB, anche quali siano le conseguenze legali a cui vanno incontro coloro che infrangono le leggi anti-THB(46). Proprio per questo, le linee guida della NATO raccomandano che le Nazioni partecipanti rivedano la propria legislazione in materia, allo scopo di renderla più adeguata alle esigenze di contrasto, affinché sia certo che gli appartenenti alla Forza che si rendano responsabili, in qualunque modo, di THB siano perseguiti e puniti adeguatamente(47);b) dei programmi di addestramento ed educativi(48) sulla tematica specifica, poiché si è ritenuto che la conoscenza e la consapevolezza di che cosa sia il THB costituiscano gli elementi chiave per il successo del contrasto del fenomeno. Il training si concentrerà dunque non solo nel fornire una panoramica generale su cosa sia il THB, ma porrà anche il personale di fronte alle conseguenze di un eventuale coinvolgimento nel THB. Per fare ciò, sono state sviluppate due tipologie di addestramento, che consistono in:-  un modulo generale per tutto il personale che è inquadrato all’interno di un’operazione NATO(49);-  moduli più particolareggiati per coloro che hanno specifiche responsabilità, sia dal punto di vista della legislazione nazionale sia da quello della policy della NATO, di controllo del personale(50).Da parte dei comandanti NATO, dunque, l’azione di contrasto al THB dovrebbe procedere dapprima con l’eventuale individuazione del reato, dopodiché ne dovrebbe essere data informazione alla catena di comando della forza: in particolare, dovrebbero esserne informate anche le cellule CIMIC, LEGAD e POLAD e le Forze di polizia del Paese di appartenenza del sospetto. In seguito, ogni altra azione spetta esclusivamente alla Nazione del contingente di cui fa parte il presunto colpevole, poiché le norme giuridiche atte a regolare, se del caso, questa fattispecie sono esclusivamente quelle dello Stato di appartenenza. Deriva proprio da questo limite l’insistenza della NATO affinché tutti i Paesi, membri o meno dell’Alleanza Atlantica, ratifichino la Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità Organizzata Transnazionale e, in particolare, i suoi Protocolli: infatti, solo grazie ad una univoca, certa e efficace legislazione nazionale in materia di lotta al traffico di esseri umani, la politica messa in atto dall’Alleanza per il contrasto di questo fenomeno può avere un risultato positivo;c) delle linee guida per lo staff della NATO al fine di evitare la promozione e la facilitazione del THB(51). Queste ribadiscono che lo staff(52) della NATO non può essere coinvolto nel THB né facilitarlo e che, al contrario, ha il dovere di segnalare al proprio comandante (o supervisore) ogni eventuale caso di THB di cui potrebbe essere a conoscenza, così come di qualunque coinvolgimento di personale dell’Alleanza nel THB, inclusi i casi di sfruttamento sessuale(53).Al fine di garantire che questo avvenga, le Nazioni della NATO devono garantire che il personale che è sotto la sua giurisdizione e che è stato coinvolto in attività criminali legate al THB sia processato secondo la legislazione nazionale(54).

3. Conclusioni

La vendita e lo sfruttamento, delle persone, soprattutto per scopi sessuali, hanno assunto una certa rilevanza, sia data la portata globale del fenomeno sia per il coinvolgimento di un numero sempre crescente di vittime. La partecipazione della criminalità organizzata, in questo tipo di traffico, è poi favorita da lauti guadagni a fronte di pochi rischi. Questi sono ancor più ridotti in quelle aree dove situazioni di tensione interna o di guerra hanno diminuito il potere di prevenzione e di contrasto da parte dello Stato.Ed è proprio questa consapevolezza che ha spinto l’Alleanza Atlantica ad affrontare una tematica tanto delicata e complessa quale quella del traffico di esseri umani.Nonostante la serietà e la decisione con cui la NATO si è interessata al fenomeno ed ha cercato di porvi un freno, permangono alcune difficoltà, che, pur influenzando inevitabilmente il successo della policy dell’Alleanza, non dipendono né dalle sue scelte o né dalle politiche che essa adotta.Infatti, lo sforzo messo in atto da Bruxelles, insieme a quanto proposto dal Palazzo di Vetro, sono utili per controllare, e in qualche modo contrastare, le devianze solo dei propri Contingenti(55), mentre non sarebbe possibile, per nessuna delle due Organizzazioni, riuscire a controllare il gran numero di persone - soprattutto stranieri - che, a vario titolo, si riversano in aree d’operazioni: si pensi, ad esempio, a quante sono le organizzazioni internazionali che non appartengono alle Nazioni Unite ed alla galassia di organizzazioni non governative(56) che vanno ad operare nei teatri e che non hanno alcun dovere (né alcun diritto) di controllare in modo specifico il comportamento del proprio personale.Per ciò che riguarda più direttamente la NATO, la difficoltà maggiore che permane è che l’intero processo di repressione e punizione del fenomeno resta saldamente in mano alla Nazione di appartenenza. E se, per quanto in suo potere, l’Alleanza preme affinché tutti i Paesi ratifichino la Convenzione ONU e i suoi Protocolli, poco può fare affinché coloro che sono ritenuti colpevoli di crimini legati al THB ricevano adeguate misure punitive una volta rientrati in Patria(57).Ciononostante, fanno comunque onore all’Alleanza Atlantica gli sforzi compiuti e l’impegno messo in atto per fare quanto più possibile per contrastare uno dei fenomeni più preoccupanti della nostra epoca.


(*) - Dottoressa in Scienze diplomatiche e internazionali.
(1) - A.R. Zolberg, The Politics of Immigration Policy, American Behavioral Scientists, numero 42, 1999, pag. 1276, citato in G. Sciortino, Un’analisi dell’industria dell’ingresso clandestino in Italia, in L’Italia nel sistema internazionale del traffico di persone, CeSPi, 1999, pag. 3.
(2) - Sebbene si potrebbe far riferimento a questa fattispecie anche con la traduzione italiana di “immigrazione illegale”, si è tuttavia preferito utilizzare l’espressione originale in inglese, poiché ne rende più pienamente il reale significato concettuale: “contrabbando di migranti”. È infatti opportuno ricordare che il Dizionario (M. Cortellazzo e P. Zolli, Il nuovo etimologico, Zanichelli, Bologna, 1999, ad vocem) definisce il termine “contrabbando” come “importazione o esportazione di merci escludendo il pagamento dei dovuti tributi”.
(3) - Si tratta del Protocol against the Smuggling of Migrants by land, sea and air, supplementing the United Nations Convention against Transnational Organized Crime (Protocollo contro l’immigrazione clandestina via terra, via mare e per via aerea, ad integrazione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità Organizzata Transnazionale) e del Protocol to prevent, suppress and punish trafficking in persons, especially women and children, supplementing the United Nations Convention against Transnational Organized Crime (Protocollo per la prevenzione, la repressione e la condanna del traffico di esseri umani, con particolare riferimento a donne e minori, ad integrazione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità Organizzata Transnazionale). Per dovere di correttezza, si precisa che nessuna delle traduzioni, degli articoli delle convenzioni o della politica della NATO qui riportate, proviene da fonti ufficiali e, dunque, che non ha alcun valore né alcuna rilevanza ufficiale.
(4) - “… The procurement, in order to obtain, directly or indirectly, a financial or other material benefit, of the illegal entry of a person into a State Party of which the person is not a national or a permanent resident”: cfr. Protocol against the Smuggling of Migrants by land, sea and air, supplementing the United Nations Convention against Transnational Organized Crime, cit., art. 3a.
(5) - “... Il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggio o la semplice ricezione di persone, con la minaccia di ricorso o con l’uso della forza o di altre forme di coercizione, con il rapimento, con l’inganno, con delle insidie, o tramite l’abuso di potere o della posizione di vulnerabilità della vittima, o tramite il pagamento o la ricezione di somme di denaro o di altre forme di compensi per ottenere il consenso di una persona che abbia il controllo su un’altra, ai fini dello sfruttamento”: cfr.: Protocol to prevent, suppress and punish trafficking in persons, especially women and children, supplementing the United Nations Convention against Transnational Organized Crime, art. 3a.
(6) - È comunque opportuno sottolineare come il confine tra SoM e THB sia talvolta molto labile e possa accadere che coloro che scelgono volontariamente di lasciare il proprio Paese finiscano nelle mani di sfruttatori senza scrupoli.
(7) - In generale, il più alto numero di vittime del traffico riguarda persone che provengono dal continente asiatico, mentre dai Paesi dell’Est Europa riforniscono soprattutto giovani donne da avviare alla prostituzione in Europa e in Nord America. Le ragioni che favoriscono la tratta si possono riassumere in due: fattori di espulsione (quali ad esempio povertà, disoccupazione, disparità di genere, rottura dei legami sociali) e fattori di attrazione (che vanno dalle immagini di ricchezza provenienti dai media - soprattutto dalle pubblicità - alle storie dei migranti che hanno avuto successo).
(8) - Per fare un raffronto, il Prodotto Interno Lordo di questi Paesi è di intorno ai US$ 7.000 annui (così ripartiti: Russia: $ 8.808; Bulgaria: $ 7.404; Romania: $ 6.932; Ucraina: $ 5.140), mentre la Moldavia ha un PIL pro capite di soli $1.777 annui. L’Italia ha un PIL pro capite annuo di $ 27.032. Fonte: ENI, World Energy and Economic Atlas, 2005.
(9) - Molto spesso, inoltre, a parità di lavoro, le donne percepiscono salari inferiori e, in generale, la condizione sociale femminile non è ancora egalitaria rispetto a quella dell’uomo. A fronte di ciò, tuttavia, le responsabilità e le aspettative nei confronti delle donne sono elevate, tali per cui molte, pur consapevoli del tipo di lavoro che potrebbero essere costrette a svolgere all’estero, optano per questa scelta, per aiutare economicamente la famiglia, e, nello tempo stesso, per fuggire dall’ambiente in cui hanno vissuto. Si veda: F. Miko, Trafficking in Women and Children: the U.S. and International Response, CRS Report for Congress, 26 marzo 2004; IOM Kosovo, A General Review of the Psychological Support and Services Provided to Victims of Trafficking, settembre 2003.
(10) - Da notare, a questo proposito, che, soprattutto nei Paesi dell’ex blocco sovietico, permane, a parità di incarico, una notevole differenza remunerativa tra uomini e donne, a netto vantaggio dei primi, a cui si aggiunge che, spesso, la stessa scelta del lavoratore è fatta su basi preferenziali a vantaggio degli uomini: questo processo è chiamato feminisation of poverty. A queste politiche discriminatorie sul lavoro non corrisponde, tuttavia, nessun vantaggio. Al contrario, il peso di responsabilità sulle donne è in costante crescita ed è, in parte, anche questa pressione sociale che favorisce la ricerca di impieghi all’estero. Si veda a questo proposito: B. Limanowska, Trafficking in human beings in Southeastern Europe, UNICEF, 2002, soprattutto pagg. 5-6.
(11) - Gli avvisi dei governi, quelli delle organizzazioni internazionali, ad esempio IOM - Organizzazione Internazionale per le Migrazioni - UNICEF, OSCE, ed altre, e delle organizzazioni non governative interessate al fenomeno hanno costretto le organizzazioni criminali a modificare in parte il proprio approccio: sempre più spesso, le vittime del traffico sono consapevoli del tipo di incarico che sarà loro affidato una volta giunte a destinazione, vale a dire prostituirsi. Ciò che viene loro taciuto, tuttavia, è il fatto che, per farlo, saranno private della loro libertà e di gran parte dei loro proventi. Nonostante ciò, tuttavia, accade raramente che qualcuna decida di rinunciare, perché, per quanto limitato sia il loro guadagno, con esso sono pur sempre in grado di mantenere la famiglia di origine meglio che con qualunque stipendio che una donna potrebbe ottenere in Patria.
(12) - Molte di queste sono donne già vittime del traffico e che, tornate in patria, continuano a lavorare per l’organizzazione che le aveva in precedenza sfruttate.
(13) - Consapevoli di questo, le autorità turche hanno deciso di distribuire, direttamente negli aeroporti, volantini su cosa sia il traffico di esseri umani e su quali possibilità lo Stato turco offra alle ragazze che ne sono vittime. Queste possibilità consistono in centri di ascolto (il numero verde 157), aperti 24 ore su 24 tutta la settimana, in cui si trovano interpreti in sei lingue, così da facilitare la comprensione della vittima e quindi l’aiuto ed il sostegno.
(14) - La maggior parte delle volte, tuttavia, sono costrette a consegnarli ai loro aguzzini. Questo gesto ha due conseguenze: in primo luogo, la vittima rimane priva di qualunque documento d’identità, il che significa che percepisce di essere ancora più legata a coloro che la sfruttano; in secondo luogo, questi documenti possono poi essere falsificati ed utilizzati da altre ragazze, il che porta ad un doppio guadagno da parte dell’organizzazione criminale.
(15) - La regione balcanica, da questo punto di vista, costituisce un ideale punto di transito e di destinazione per molte delle donne provenienti dall’Est Europa. Le rotte, tuttavia, non sono solo, è ovvio, segrete, ma variano anche a seconda delle necessità, dell’efficacia dell’opera di contrasto, delle convenienze economiche del trasporto e degli accordi tra le diverse organizzazioni criminali che controllano i territori di transito.
(16) - US Department of State, Trafficking in Persons Report, 2005, pag. 6. Le stime possono essere molto divergenti tra loro: nel 2001 l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), ad esempio, offriva un range ancora maggiore, supponendo che le vittime fossero tra le 700.000 e i 2 milioni (IOM, “2001 Trafficking in Migrants,” Quarterly Bulletin, numero 23, aprile 2001).
(17) - US Department of State, Trafficking in Persons Report, 2005, pag. 6. Il numero di bambini (minori sotto i 18 anni) è in costante aumento e vengono impiegati soprattutto nell’industria del sesso e della pedopornografia. Molti di loro vengono direttamente venduti dai propri genitori: per esempio, in alcuni Paesi africani, i debiti di una famiglia vengono passati da una generazione all’altra, per cui i genitori vendono i figli nel tentativo di estinguere il debito contratto da loro stessi o anche dai propri genitori. Parimenti, la vendita di spose-bambine costituisce una pratica comune in alcune regioni di Cina ed India, laddove cioè l’infanticidio di feti femminili o volontaria uccisione per fame di neonate, a causa della preferenza per la nascita di progenie di sesso maschile, ha provocato una totale disparità e disomogeneità demografica. Tralasciando volutamente la questione dei bambini soldato, pratica comune non solo in alcuni Paesi africani, ma anche in Myanmar e Colombia, ritengo necessario ricordare che molti bambini - di giovanissima età, talvolta tra i tre e i quattro anni - che provengono soprattutto dall’Asia Orientale (in particolare Pakistan e Bangladesh) o dall’Africa, sono venduti nell’area del Golfo Persico per essere utilizzati come fantini nelle corse di cammello. Dal momento che è fondamentale che il fantino sia il più leggero possibile, molti di loro vengono tenuti quasi a livello di indigenza, privi di qualsiasi assistenza medica ed in drammatiche condizioni igenico-sanitarie. Su questo tema è intervenuto il governo degli Emirati Arabi Uniti, tra i più interessati dal fenomeno, ma anche uno dei primi a cercare soluzioni normative per fronteggiare il fenomeno: ai minori provenienti dai Paesi che normalmente forniscono questo mercato viene richiesto di possedere un proprio passaporto, mentre il Governo di Abu Dhabi ha iniziato a collaborare con l’UNICEF e con i Governi di provenienza dei minori - in questo caso si tratta di Pakistan, Bangladesh, Sudan e Mauritius - per sviluppare azioni di contrasto congiunte, nonché per rimpatriare tutti i minori sfruttati come fantini di cammelli. Si veda: US Department of State, op. cit., pag. 12 e BBC News, “More child camel jockeys return”, 8 luglio 2005. Sullo specifico argomento si vedano anche: www.camelraces.com, www.antislavery.org, www.unicef.org. Sullo sfruttamento dei bambini: UNICEF, Children on the Edge: Protecting Children from Sexual Exploitation and Trafficking in East Asia and the Pacific, UNICEF, 2001; UNICEF, Childhood Under Threat 2005.
(18) - Nei decenni scorsi, il THB e l’immigrazione illegale si sono diretti verso l’Unione Europea, l’America del Nord, l’Australia e la Nuova Zelanda. Negli ultimi anni si è avvertito un lieve cambiamento. Da una parte, le politiche sempre più restrittive dei Paesi sviluppati e le conseguenti pene maggiori inflitte agli immigrati irregolari hanno contribuito a scoraggiare, sebbene solo in minima parte, il fenomeno. Soprattutto, però, alcune aree geografiche hanno accresciuto la propria economia, diventando così nuovi poli di attrazione sia per gli immigrati clandestini, sia per i trafficanti di esseri umani. In questo senso, un caso emblematico è rappresentato dalla Turchia: fino a pochi anni fa Paese di provenienza di molti immigrati clandestini (soprattutto di etnia kurda), ora è divenuto un importante punto di arrivo anche per molte vittime di THB provenienti dall’Europa centro-orientale. Le ragioni sono molteplici: da una parte la notevole crescita economica conosciuta dal Paese negli ultimi anni, dall’altra un relativamente semplice accesso ai visti d’entrata nel Paese per coloro che provengono, oltre che dall’Unione Europea, anche dagli Stati dell’ex blocco sovietico, e che consiste esclusivamente nell’acquisto di visto d’ingresso del valore di US$ 10 al momento dell’arrivo entro i confini nazionali. La stessa area centrasiatica sta subendo simili evoluzioni: il Kazakhistan sta infatti diventando un polo di attrazione per i trafficanti di esseri umani provenienti dai Paesi circostanti, soprattutto dal più povero Uzbekistan.
(19) - È il caso dell’Italia, ad esempio, dove, oltre a motivazioni di carattere culturale e soprattutto ad interessi criminali altrimenti contrastanti, è vero che la maggior parte delle ragazze destinate al mercato della prostituzione trova la via delle più ricche città del nord e del centro, piuttosto che delle aree del Mezzogiorno. Si veda ad esempio: C. Motta, Immigrazione clandestina e criminalità: Puglia frontiera d’Europa, pagg. 39-49, in S. Becucci e M. Massari (a cura di), Mafie nostre, mafie loro, Einaudi, Torino, 2001.
(20) - È stato anche sostenuto che “la schiavitù sessuale o l’induzione alla prostituzione siano ‘effetti collaterali negativi’ della pace che le operazioni forniscono come un bene pubblico”, intendendo con “effetti collaterali negativi” che queste siano la causa di “un esito negativo all’interno di qualunque tipo di mercato, che così costringe il lato della domanda ad un costo più alto di produzione del proprio bene o servizio”, D. Pallen, Sexual Slavery in Bosnia: The Negative Externality of the Market for Peace, Swords & Ploughshares, 2002, pagg. 27-43.
(21) - Su questo tema, le maggiori polemiche a livello mediatico hanno riguardato, infatti, le truppe delle Nazioni Unite impegnate in territorio africano, in Burundi ad esempio ma soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo: in merito si veda infra, nota successiva.
(22) - La questione dello stretto legame tra traffico di esseri umani (soprattutto giovani donne), prostituzione forzata, e missioni di pace ha interessato in modo particolare le Nazioni Unite che, all’inizio del nuovo millennio, hanno subíto una serie di attacchi da parte della stampa sul comportamento di alcuni militari operanti sotto l’egida del Palazzo di Vetro. Si veda ad esempio: M. Jordan, UN tackles sex abuse by troops, BBC News.com., 21 giugno 2005; O. Bowcott, Report reveals shame of UN peacekeepers, Guardian International, 25 marzo 2005, nel quale si legge, tra l’altro, che “la reputazione delle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite ha subito ieri un colpo umiliante, quando da un rapporto interno è emerso che sono stati riscontrati ripetuti casi di abusi sessuali e di stupri perpetrati dai soldati che avrebbero dovuto restaurare lo stato di diritto”; C. Lynch, U.N. Faces More Accusations of Sexual Misconduct, Washington Post, 13 marzo 2005; C. Lynch, U.N. Sexual Abuse Alleged in Congo, Washington Post, 16 dicembre 2004. Per quanto diverse siano le missioni incriminate (Burundi, Timor Est, Libera, Costa d’Avorio e Kosovo - si vedano per tutti: S. Price, New sex misconduct claims hit UN, BBC News, 17 dicembre 2004, Global Forum Policy, Burundi: UN Mission sets up units to check sexual abuse, 15 novembre 2004, S. Martin, Must boys be boys?, Refugees International, ottobre 2005), lo scandalo ha avuto inizio con la missione nella Repubblica Democratica del Congo (Missione MONUC): nella primavera del 2002, infatti, ipotesi di diffusi abusi sessuali su donne e bambini rifugiati o su IDPs (Internally Diplaced Persons) si sono incentrate sul personale - civile e militare - operante nella missione MUNOC.
La gravità delle accuse, tra le quali anche pedofilia e foto e video pedopornografici, ha costretto le Nazioni Unite a stilare rigidi codici di condotta. Quello del MONUC, nello specifico, afferma che “è strettamente proibito a tutto il personale del MONUC:
- compiere qualsiasi atto o abuso sessuale, o comunque riconducibile ad attività sessuali, o di compiere atti che comportino l’umiliazione, il disonore o lo sfruttamento in base al sesso della vittima;
- avere alcun tipo di attività sessuale con minori (persone di età inferiore ai 18 anni); l’errata attribuzione della maggiore età ad un persona non sarà ritenuta valida in sede di difesa;
- utilizzare minori o adulti per procurare servizi di carattere sessuale ad altri;
- scambiare soldi, lavori, beni o servizi per ottenere prestazioni sessuali da prostitute o da altri;
- richiedere alcun tipo di favore sessuale in cambio delle attività di assistenza umanitaria svolte, o in cambio di cibo o di qualsiasi altro bene destinato ai rifugiati;
- recarsi in case di tolleranza o in altri luoghi dichiarati non frequentabili”.
L’espressione “abuso sessuale” indica, secondo quanto stabilito dal bollettino del Segretario Generale ST/SGB/2003/13 del 9 ottobre 2003, riguardante le misure speciali per la protezione da sfruttamento e da abuso sessuale, any actual or attempted abuse of a position of vulnerability, differential power, or trust, for sexual purposes, including, but not limited to, profiting monetarily, socially or politically from the sexual exploitation of another (ogni consumato o tentato abuso sessuale, tramite lo sfruttamento di una posizione di vulnerabilità della vittima, o di potere della parte agente, o della fiducia nutrita nei suoi confronti, nonché l’ottenimento, incluso ma non esclusivo, di un profitto economico, sociale o politico derivanti dallo sfruttamento sessuale di una persona). Mentre, con “sfruttamento sessuale” si è inteso actual or threatened physical intrusion of a sexual nature, whether by force or under unequal or coercive conditions (la minaccia o l’effettiva unione di natura sessuale, ottenuta con la forza o a causa di condizioni sfavorevoli o di necessità da parte della vittima). Ciò che va tuttavia sottolineato è che, da quando si sono avute le prime accuse, il numero di denunce è sensibilmente aumentato, tanto che lo stesso Segretario Generale, Kofi Annan, ha affermato: “L’aumento delle accuse è causa di profondo turbamento” e che sebbene il numero delle accuse, dall’anno 2003, si sia duplicato, il Segretario Generale è consapevole che i dati non riflettono ancora la vera estensione di questi deplorevoli incidenti (BBC news, UN sexual allegations double, 6 maggio 2005). Le Nazioni Unite hanno cercato di rispondere con determinazione non solo alle accuse rivolte ai propri uomini, ma soprattutto cercando di impedire che tali eventi si potessero ripetere. Per questa ragione, nel giugno 2004, il Segretario Generale Kofi Annan ha approvato un lavoro proposto dal Dipartimento per le operazioni di peacekeeping, dal titolo “La Posizione Ufficiale circa il fenomeno del traffico di esseri umani e le operazioni di pace delle Nazioni Unite”, Position Paper on Human Trafficking and United Nations Peacekeeping. Tale politica, completata dal Code of Conduct on Sexual Exploitation and Sexual Abuse (Codice di condotta sullo sfruttamento sessuale e sull’abuso sessuale), promuove un approccio di tolleranza zero verso gli abusi sessuali e il coinvolgimento di peacekeepers delle Nazioni Unite nel THB. Per ciò che concerne la politica delle Nazioni Unite in materia si veda http://www.un.org/Depts/dpko/dpko/ctte/SEA.htm.
(23) - La violenza contro le donne durante i conflitti armati è stata, ed è ancora, “pratica comune” in molte parti del mondo. Lo sfruttamento sessuale di donne catturate nel territorio controllato dai belligeranti (siano essi regolari o meno) è stato testimoniato in Angola (UN, Peace, Women and Security, New York, 2002), nel conflitto della ex Yugoslavia, in Sierra Leone, in Liberia, a Timor Est, nella Repubblica Democratica del Congo ed in quasi ogni altro conflitto. Si veda: S. Wölte, Armed Conflict and Trafficking in Women, Deutsche Gesellschaft für Technische Zusammenarbeit (GTZ), gennaio, 2004.
(24) - A questo proposito si ricorda inoltre che donne e bambini costituiscono la maggioranza dei rifugiati e degli internally displaced persons (IDPs): questa condizione li rende ancora più vulnerabili e indifesi. Proprio le difficoltà economiche rendono i rifugiati o gli IDPs più facilmente ricattabili. Questo è stato chiaramente messo in evidenza dal recente rapporto di Save the Children sulla situazione in Liberia (From Camp to Community: Liberia study on exploitation of children, 2006), nel quale si delineano i fattori che incoraggiano le donne e i minori dei campi profughi a offrire prestazioni sessuali in cambio di denaro. Questi derivano non solo da severe privazioni economiche e dalle pressioni dei genitori, ma anche dal desiderio di possedere piccoli oggetti alla moda. Questo, in particolare, attrae soprattutto le ragazze più giovani (molto spesso minori di giovane età, tra i 10 e i 12 anni). Costoro, però, sono anche quelle che possono essere ingannate più facilmente e che ricevono meno delle ragazze più adulte, e talvolta nulla. Spesso, poi, il pagamento non avviene in contanti, ma con cibo (che avrebbe dovuto essere comunque destinato ai profughi), passaggi in auto, piccoli favori, come poter vedere un video. Talvolta i campi profughi, soprattutto quando permangono per lungo tempo, possono favorire l’interessamento della criminalità organizzata, che trova nel campo quanto necessario ai propri affari.(25) - Esiste infatti una giustificazione formale per il possesso e per lo sfruttamento delle ragazze: nel momento in cui lasciano la loro casa, le ragazze iniziano a contrarre un debito nei confronti dell’organizzazione criminale che fornisce loro il supporto logistico e i mezzi per arrivare a destinazione (ovunque essa sia). Per ripagare questo debito la ragazza viene venduta, ma il nuovo acquirente considera il prezzo di vendita come parte del proprio investimento, per cui la vittima non può percepire alcun guadagno se non dopo aver saldato questo iniziale debito nei confronti del suo nuovo sfruttatore. A ciò si aggiunge poi che, dalla supposta paga che dovrebbe essere percepita dalla ragazza, vengono detratte tutte le spese di vitto e alloggio, così che è materialmente impossibile per la vittima ripagare il debito. Quando ciò avviene, il proprietario rivende la ragazza e ricomincia quindi un nuovo ciclo di debiti. A questi vantaggi economici, si aggiungono anche questioni relative alla sicurezza: le vittime che vengono spostate continuamente non possono crearsi delle amicizie, non possono fidarsi di nessuno, non possono rivolgersi a nessuno, sono completamente nelle mani dei loro sfruttatori e dipendono in tutto e per tutto da loro. Talvolta, per aumentare questa dipendenza e per ridurre le possibilità di fuga, le ragazze vengono costrette ad assumere sostanze stupefacenti, fornite loro dagli stessi aguzzini. Sull’argomento, si veda tra gli altri: Human Rights Watch, Hopes betrayed: Trafficking of Women and Girls to Post-Conflict Bosnia and Herzegovina for Forced Prostitution, Human Rights Watch, volume 14, numero 9, novembre 2002.
(26) - Questo rende, a sua volta, estremamente complesso poter infiltrare agenti specializzati per conoscere dall’interno le strutture criminali. Lo stringente controllo, fisico e psicologico, delle vittime, complica ulteriormente la situazione. Sul rapporto tra criminalità organizzata e THB si veda, tra gli altri: International Center for Migration Policy Development (ICMPD), The relationship between Organized Crime and Traffick in aliens, giugno 1999.
(27) - Un ambiente sicuro e stabile in cui operare costituisce il principio chiave delle operazioni della NATO nei Balcani. Sia, infatti, i mandati della missione SFOR (Stabilization Force, attiva dal dicembre 1996 al dicembre 2005) sia quelli di KFOR prevedono espressamente che venga istituito tale ambiente. Si vedano, a tale proposito, il sito della SFOR www.nato.int/sfor/organization/mission.htm (SFOR mission is to provide a secure and safe environment in Bosnia and Herzegovina), sia il Military Technical Agreement between the International Security Force (KFOR) and the Governments of the Federal Republic of Yugoslavia and the Republic of Serbia (ww.nato.int/kfor/kfor/documents/mta.htm) sia la Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza.
(28) - Questa stima pone il THB tra le attività criminali più redditizie, essendo secondo, infatti, solo al traffico di armi e a quello di sostanze stupefacenti: US Department of State, Trafficking in Persons Report, 2005, pag. 13.
(29) - Ad esempio, traffico di sostanze stupefacenti, di armi, di merci contraffatte, lavaggio di denaro sporco, sequestri, omicidi. Soprattutto, a queste attività sono spesso legati fenomeni di corruzione, che investono le ancor deboli istituzioni locali, rendendo più complesso e più lungo il processo di democratizzazione e di rinnovamento di cui dovrebbero essere portatrici le missioni di pace.
(30) - è interessante notare, infatti, che la tubercolosi, malattia infettiva da sempre presente nella storia dell’uomo, ma che fino a pochi anni fa si riteneva vicina all’eliminazione, è ricomparsa con tutta la sua potenza. Secondo il rapporto 2005 sulla tubercolosi pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel marzo dell’anno scorso, circa un terzo della popolazione mondiale è infettato con il batterio responsabile della patologia, mentre nel solo anno 2003, ci sono stati quasi 9 milioni di nuovi casi in tutto il mondo. Per questo, mentre “nel 1989, al quartier generale dell’OMS di Ginevra, lo staff dedicato alla tubercolosi era composto di due sole persone: oggi sono un centinaio”, da: V. Murelli, Vincere la tubercolosi, Le Scienze, agosto 2005, pag. 54.
(31) - è opportuno sottolineare come, nel corso dell’ultimo decennio, la questione sanitaria stia assumendo un ruolo sempre maggiore nelle relazioni internazionali (si vedano, a tale proposito: C. McInnes  e K. Lee, Health, security and foreign policy, Review of International Studies, numero 32, 2006, pagg. 5-32). Ciò riguarda, in modo particolare, la diffusione di HIV/AIDS, che viene considerata una vera e propria pandemia, poiché exacerbated by conditions of violence and instability, which increase the risk of exposure to the disease through large movements of people, widespread uncertainty over conditions and reduced access to medical care (R. Bazergan, HIV/AIDS: Policies and programmes for blue helmets, Institute for Security Studies Paper, numero 96, 2004, pag. 1). In effetti, l’UNAIDS - Joint United Nations Programme on HIV/AIDS (Programma congiunto delle Nazioni Unite sull’HIV/AIDS) - ritiene che circa 44 milioni di persone siano attualmente infette, mentre circa 3 milioni siano morte nel corso del 2004. Ma non solo. Recentemente, i soldati sono stati inclusi nella lista di coloro che sono a maggior rischio di infezione da HIV/AIDS, ma sono considerati anche come uno dei principali gruppi “ponte”, in grado di contribuire a diffondere la malattia in altre regioni ed in altri ceti sociali. Gli eserciti, infatti, sono di norma composti da giovani uomini che spesso prestano servizio lontano dagli affetti famigliari per lunghi periodi e che hanno un’alta disponibilità economica. Come messo in rilievo da Bazergan (op. cit., pag. 2), “uno studio del 1997 ha trovato una correlazione tra gruppi di persone positive all’HIV nel nord della Namibia e la loro prossimità con basi militari. Allo stesso modo, studi sugli effetti della smobilitazione in Uganda hanno rivelato risultati devastanti per le aree rurali dove le truppe smobilitate, che avevano elementi positivi al virus dell’HIV, si sono ritirate”. Sotto questo aspetto, la questione dell’HIV/AIDS tocca direttamente le possibilità di uno Stato di inviare propri uomini all’estero. Molti Paesi, soprattutto africani, hanno optato infatti per analisi preliminari, tali per cui solo coloro che non risultano infetti possano prendere parte alle operazioni di sostegno alla pace. Queste analisi, però, potrebbero minare la capacità di alcuni Stati di inviare propri contingenti: il contingente sudafricano (South African National Defence Force - SANDF) presumibilmente ha avuto problemi a creare un iniziale distaccamento di 93 soldati per la missione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo (MONUC): SANDF ha dapprima effettuato il test su un gruppo di 400 potenziali militari, ma al 90% di loro è stato diagnosticato che erano HIV-positivi. Un secondo gruppo di 400 uomini ha dato risultati leggermente più incoraggianti, in quanto dopo i test era positivo solo l’87% (Bazergan op. cit., pag. 3, che cita, a sua volta, J. Harker, HIV/AIDS and the security sector in Africa: a threat to Canada, Commentary, Canadian Security Service Intelligence Service, Ottawa, Canada, 2001).
Sull’impatto della diffusione di HIV/AIDS nelle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite si veda anche: R. Bazergan, The impact of HIV/AIDS on UN peacekeeping missions, Jane’s Intelligence Review, volume 14, numero 11, novembre 2002, pagg. 36-38. Il problema della diffusione dell’HIV/AIDS riguarda anche lo Stato nel quale ha luogo la missione. Negli ultimi anni, si sono registrati aumenti nella diffusione del virus sia nei Balcani sia in Asia Centrale. Si ritiene che la principale causa di ciò sia da imputare all’aumento nel consumo di sostanze stupefacenti, ma ciò non toglie, tuttavia, che la diffusione non sia limitata ai soli casi di tossicodipendenza.
(32) - L’interesse della NATO nei confronti del THB ha iniziato a manifestarsi all’inizio del 2003, a seguito dei primi scandali che hanno interessato i Caschi Blu delle Nazioni Unite impegnati in Congo. Ragioni umanitarie e di sicurezza, oltre che la necessità di evitare scandali dannosi all’immagine dell’Alleanza Atlantica, e tali da inficiare quindi i successi delle missioni, hanno spinto la NATO ad affrontare con decisione la questione. La prima proposta è venuta da Norvegia e Stati Uniti, che hanno interessato gli altri Stati appartenenti all’Alleanza. Ciò ha portato dapprima alla creazione di linee guida, poi, in occasione del Summit di Istanbul del giugno 2004, alla presentazione, e alla successiva adozione, di una policy ufficiale della NATO per combattere il THB (NATO policy on combating human trafficking). Sul tema del THB si sono mosse anche le Forze Armate americane: il 25 febbraio 2003, il Presidente americano George W. Bush ha firmato una Direttiva Presidenziale di Sicurezza Nazionale riaffermando l’interesse degli Stati Uniti nel contrasto al traffico di esseri umani e ordinando una politica di tolleranza zero per tutto il personale militare americano, inclusi i peacekeepers che operano nei balcani. Successivamente, il 30 gennaio 2004, il Vice Segretario Generale, Paul Wolfowitz, ha firmato un memorandum nel quale si afferma che il THB “è incompatibile con i principali valori militari e non sarà in alcun modo facilitato”. Passi simili sono stati intrapresi dal Governo norvegese, che ha adottato un piano d’azione per combattere il traffico di donne e bambini con un budget di circa 1,3 miliardi di Euro. Come per i militari americani, anche le Forze Armate norvegesi hanno adottato una politica di tolleranza zero sull’acquisto di servizi sessuali da parte di tutto il personale militare in servizio fuori area.
(33) - La Politica della NATO per il contrasto del fenomeno del traffico di esseri umani. Adottata ad Istanbul il 29 giugno 2004.
(34) - NATO policy on combating trafficking in human beings, art. 5. L’Italia ha disciplinato questa fattispecie con la legge “Misure contro la tratta di persone” - legge numero 228, 11 agosto 2003 - che ha permesso di riformulare alla luce delle nuove esigenze, gli articoli 600, 601 e 602 del Codice Penale, aventi ad oggetto la tratta e la riduzione in schiavitù.
(35) - NATO policy on combating trafficking in human beings, art. 6.
(36) - L’espressione “il personale impiegato nelle missioni della NATO” vuole includere non solo i militari operanti nei contingenti dell’Alleanza, ma anche tutto il personale civile ed i contractors che sono stati coinvolti/assunti da Paesi della NATO. Proprio quest’ultimo punto è messo in evidenza dal comma f dell’art. 5 della NATO policy on combating trafficking in human beings, che così recita: (…) Allies (…) agree (…) to incorporate contractual provisions that prohibit contractors from engaging in trafficking in human beings or facilitating it and impose penalties on contractors who fail to fulfil their obligations in this regard (Gli Alleati concordano di adottare provvedimenti contrattuali che proibiscano ai lavoratori concessionari di essere coinvolti nel traffico di esseri umani o di facilitarlo, e di imporre delle penaltà a coloro i quali non rispetteranno queste norme). Il medesimo concetto è ribadito anche all’art. 3 del NATO Guidelines on combating trafficking in human beings for military forces and civilian personnel deployed in NATO-led operations, che recita: Forces conducting operations under NATO command and control are prohibited from engaging in trafficking in human beings or facilitating it. This prohibition also applies to any civilian element accompanying such forces, including contractors (Le forze che contribuiscono alle operazioni sotto il comando e controllo della NATO non possono essere coinvolte nel traffico di esseri umani, né facilitarlo in alcun modo. Questa proibizione si applica anche a tutti gli elementi civili che accompagnano queste forze, inclusi i lavoratori concessionari). Senza ulteriori specificazioni, dunque, utilizzerò il termine “personale” et similia intendendo con ciò sia personale civile, che militare che contractors, facente parte o meno dell’Alleanza.
(37) - NATO policy on combating trafficking in human beings, art. 5, comma d.
(38) - NATO Guidelines on combating trafficking in human beings for military forces and civilian personnel deployed in NATO-led operations (Linee guida della NATO per il contrasto del traffico di esseri umani per il personale civile e delle forze armate dispiegato in operazioni a guida NATO).
(39) - Si tratta di linee guida poiché di volta in volta devono essere sviluppate azioni appropriate alle esigenze del teatro.
(40) - La definizione di THB accettata dalla NATO è quella espressa dall’art. 3 del UN Protocol to Prevent, Suppress and Punish Trafficking in Persons, especially Women and Children, supplementing the United Nations Convention against Transnational Organized Crime.
(41) - Art. 1, commi a e b.
(42) - Art. 3, principi generali.
(43) - Art. 4, principi generali.
(44) - In tale senso, nel progettare e condurre PSO, le autorità della NATO dovranno includere nel Operational Plan (OPLAN) misure specifiche per supportare gli sforzi delle autorità del Paese ospite per contrastare il THB (art. 9, comma a); comprendere, nella fase di pre-dispiegamento, l’addestramento specifico sul tema del THB (art. 9, comma b). Dovranno, infine ed in particolare, identificare all’interno dell’area di operazioni, organizzazioni locali e internazionali in grado di proteggere ed ospitare le vittime del traffico (siano esse adulti o minori), nonché stabilire appropriati contatti con queste organizzazioni (art. 9, comma c).
(45) - Art. 8, commi a, b e c.
(46) - Art. 10.
(47) - Art. 11, comma a. L’articolo successivo (art. 11) specifica infatti che le autorità delle Nazioni contribuenti dovrebbero non solo effettuare corsi specifici sulle condotte criminali, ed in particolar modo sul THB (comma a), ma anche: condurre investigazioni e provvedimenti tempestivi ed adeguati in casi di cattiva condotta del proprio personale (comma b); sviluppare specifici meccanismi normativi per denunciare i crimini (comma c); in accordo con la legislazione nazionale, creare politiche che favoriscano e proteggano eventuali informatori in grado di fornire prove di crimini, incluso il THB (comma d); infine, mantenere tracce della eventuale cattiva condotta o dei crimini di un individuo, da utilizzare per impedirne il futuro reimpiego in altre PSO (comma e).
(48) - NATO Guidance for the development of training and educational programmes to support the policy on combating the trafficking in human beings (Linee guida della NATO per lo sviluppo di programmi di addestramento ed educativi per il sostegno alla politica di contrasto del traffico di esseri umani).
(49) - Questo modulo dovrebbe essere sviluppato prima del dispiegamento e consistere in una panoramica generale sul THB, su quali sono i segnali per identificare le vittime di traffico e, dunque, su come rapportarsi ad esse, nonché una visione della normativa della propria Nazione di appartenenza in materia (art. 3 del NATO Guidance for the development of training and educational programmes to support the policy on combating the trafficking in human beings).
(50) - I moduli specifici dovrebbero essere suddivisi in due parti: l’una per i comandanti o per i supervisori, riferita a come affrontare eventuali rapporti di coinvolgimento di proprio personale in attività illecite, incluso il THB e quindi quali misure prendere per contrastarlo; l’altra per le unità di polizia militare che fanno parte del contingente nazionale, ad esempio su come dovrebbero investigare, come devono essere trattate le vittime del THB, come possono essere protette (art. 4). Proprio per questa ragione, la NATO ha anche suggerito di coinvolgere nelle indagini anche organizzazioni governative e non governative che si occupano specificamente di questo tema, oltre a interpreti e psicologi in grado di sviluppare con maggior facilità un dialogo e possibilmente di ottenere, dunque, anche informazioni su quanto accaduto e sui responsabili. I colloqui sono resi ancor più difficili dalla negazione, da parte delle vittime, della propria situazione e di quanto accaduto. A questo proposito, è particolarmente significativo quanto notato dalla IOM nel corso di uno studio svolto in Moldavia: nel 2003, infatti, la IOM ha acquistato i diritti cinematografici per mostrare il film “Lilya 4-ever” (Lilya 4-ever, regia di Lukas Moodysson, Memfis Film, Svezia 2002; il film narra le vicende di una minore russa vittima del traffico) a un gruppo selezionato di circa 60.000 possibili vittime di traffico, vale a dire persone tra i 16 e i 25 anni di età, con bassa scolarizzazione e prive di impiego. I risultati emersi sono stati sorprendenti: pur provando empatia per le vittime mostrate nel film, pur comprendendo con maggiore chiarezza quali possono essere i pericoli del traffico, nessuno degli spettatori si è riconosciuto come potenziale vittima. E ciò, nonostante il fatto che quasi il 90% di loro si sia identificato come potenziale migrante, regolare o meno. Si veda: M. Sander Lindstrom, Turkey’s Efforts to Fight Human Trafficking in the Black Sea Region: A Regional Approach, The Quarterly Journal, Winter 2005, pag. 44. Sui programmi di sostegno psicologico offerti alle vittime del traffico, si veda ad esempio: IOM Kosovo, A General Review of the Psychological Support and Services Provided to Victims of Trafficking, settembre 2003.
(51) - Guidelines for NATO staff on preventing the promotion and facilitation of trafficking in human beings (Linee guida per il personale impiegato nei Comandi della NATO per la prevenzione dello sviluppo e della diffusione del traffico di esseri umani).
(52) - Si specifica che il termine “staff della NATO” comprende international civilian personnel (seconded or freelance), i.e. personnel of a NATO body recruited from among the nationals of members of the Alliance and filling international posts appearing on the approved establishment of that NATO body. The present policy applies also to consultants and temporary personnel (il personale civile internazionale - distaccato o liberi professionisti - cioè il personale di un ente della NATO reclutato tra cittadini di Nazioni facenti parte dell’Alleanza Atlantica e occupanti delle posizioni di impiego previste dai vigenti organici della NATO. La presente direttiva si applica anche ai consulenti esterni ed a coloro che prestano servizio a tempo determinato), art. 7 del Guidelines for NATO staff on preventing the promotion and facilitation of trafficking in human beings.
(53) - Art. 4, commi a e b del Guidelines for NATO staff on preventing the promotion and facilitation of trafficking in human beings.
(54) - Art. 8 del Guidelines for NATO staff on preventing the promotion and facilitation of trafficking in human beings.
(55) - Le Nazioni Unite denunciano anche l’ulteriore maggiore difficoltà nel punire i responsabili civili, piuttosto che i militari, poiché i primi non sono sottoposti, per ovvi motivi, ad alcuna disciplina e non hanno alcuna restrizione. Si veda ad esempio: Associated Press, Sex Abuse by UN Civilian Employees Harder to Stop Than That of Troops, 16 marzo 2005.
(56) - Si veda a questo proposito, il già citato rapporto di Save the Children sulla Liberia (nota 24), in particolare alle pagg. 11-12. è comunque importante sottolineare che lo sfruttamento sessuale dei più deboli (soprattutto minori di ambo i sessi) avviene anche da civili che non rientrano in nessuna organizzazione internazionale o ONG. Il rapporto di Save the Children (pag. 11) chiarisce infatti che “un ampio numero di uomini sono risultati essere implicati in attività sessuali con minori. Si trattava di solito di uomini adulti dell’età di 30 - 60 anni, con un certo status sociale o economico. Alcuni di questi uomini avevano accesso ai campi, ma molti provenivano dall’esterno, erano in visita o lavoravano temporaneamente nei campi o nelle loro immediate vicinanze”.
(57) - La stessa difficoltà coinvolge le Nazioni Unite, che hanno lamentato come anche coloro che sono ritenuti colpevoli di atti criminali in missione raramente subiscano punizioni diverse dal mero rimpatrio - la cui decisione spesso dipende dalle Nazioni Unite stesse - senza che, una volta in Patria, ci siano altre conseguenze. Talvolta, queste stesse persone, dopo un certo periodo di tempo, siano inviate nuovamente all’estero, senza, dunque, che venga tenuta in considerazione la possibilità di reiterazione del crimine.